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Château-Vieux Pièce
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Rôle de la garnison du château de Saint-Germain-en-Laye

« C’est le roule des monstres de LX lances a cheval et de LX archiers estans en garnison a Saint Germain en Laye soubz le gouvernement et de la retenue de noble homme mons. François de Suroenne dit l’Aragonnois, capitaine de lad. place pour le Roy nostre sire, receues par nous Robert Hedouys et Audry de Villiers, contreroulleur de ladicte garnison, commis ad ce de par le Roy nostred. seigneur, pour ung quartier d’an commençant le XIXme jour de mars et finisant le XXIXe jour de juin ensuivant IIIIc XL.
Et premierement
Lances a cheval :
Jehan de Surienne
Vincent de Surienne
Le bastart de Surienne
Jacquemin de Moulineaulx
Jacques de Millery
Jehan André
Robinet de Launoy
Pierres de Tisy
Pierre d’Oriac dit Lodvat
Jehan Duval
Fery Duval
Huguelin Lescossois
Jehan Dubu
Jehan de Fontenay dit Lodvat
Jehannet Remon
Guillaume Coudaret
Louys Leconte
Jacquet de Savoye
Le grant Jehan
Le bastart Bardenche
Guillaume Legrant
Gillet de Caffaz
Michault Jacquet
Cudinet Bicquet
Estienne Barat
Le bastart de Villecte
Regnault Berengier
Jehan Prevost
Jacquemin Bonnebeuf
Jehan Pomier
Pierre de Savoye
Jehan Bonenfant
Hayne de Bucelles
Le petit Rodigue
Jacquot Lebarbe
Estienne Clanegris
Michiel Lalement
Perrin Lalement
Jehan de Fontenay
Pierre de Beaujeu
Jehan Dallemaigne
Drouet de Vaucelles
Jehault Varlet
Andry Coustant
Jehan de Salses
Gorget de Fontaines
Thevenin Petit
Pierre Dubois
Jehan de Neufchastel
Jehan Omon
Le grand Lauteman
Thomas Detous
Yvon Chevreneau
Loppes de Nelphe
Reganult Legaston
Pierre Gentilz
Berthehemin de Medines
Phelebert Lebourguignon
Jehan Moreau
Andry de Villers, contreroleur
Archiers :
Jehan Brunel
Oudinet de Laufernat
Jehan du Buisson
Le petit Guion
Le petit Breton
Pierre des Crenell
Jehan Berengier
Jehan Dauvergne
Guillaume Bonnet
Jehan de Courtenay
Pierre Lepetit
Estienne Lecouraigeux
Le gros Camys
Anthoine Deciville
Jacquemin Lepiquet
Jehan Thoudez
Pierre Delaplanque dit Lepere
Guillaume Teste
Le petit Jehan
Thevein Lagrigue
Le Picart de Bethisy
Gieffroy Caquart
Guillaume Pasquier
Pierre Seigneur
Jehan Leroy dit Debrie
Roulet Delasausoye
Le Normant du Patis
Jehan Henry
Guillaume Langlois
Jehan Descry
Jehan Luilliet
Guillaume Dubois
Le Picart de Feries
Le gros Philippe
Simon Delaunoy
Robinet Lenepveu
Jehan Tuault
Estienne Lenormant
Le bastart d’Arnouville
Le petit Garsie
Gaspart d’Aragon
Pierre de Villaines
Jehan Maillet
Le petit Lanceman
Thomas Larchier
Le petit Lambart
Hennequin Larmierres
Jehan de Marigny
Guillot Vallon
Jehan Lamoureux
Gaultier Desoppes
Guillaume Le Gascon
Perrenet Larchier
Jehan Charpentier
Francequin Lelombart
Hennequin Duchesne
Ythier Renier
Jehennet de Navarre
Robert Herison
Le bastart Quatrosses
LX archiers
Toutes lesquelles lances et archiers dessus nommés nous Robert Hedouys et Andry de Villers, commissaires devant diz, certiffions avoir veus et passés a monstres audit lieu de Saint Germain, et iceulx estre montés, armés et habillés suffisamment chacun selon son estat, le XXIIe jour de may l’an dessusd. mil IIIIc XL, tesmoins noz signez et sainctz manuels.
R. Hedouys, De Villers »

Récit signalant les places occupées par Louis XIV et ses favorites dans la chapelle du château de Saint-Germain-en-Laye

« Le Roi vivait avec ses favorites, chacune de son côté, comme dans une famille légitime : la Reine recevait leurs visites ainsi que celles des enfants naturels, comme si c’était pour elle un devoir à remplir, car tout doit marcher suivant la qualité de chacune et la volonté du Roi. Lorsqu’elles assistaient à la messe à Saint-Germain, elles ses plaçaient devant les yeux du Roi, Mme de Montespan avec ses enfants sur la tribune à gauche, vis-à-vis de tout le monde, et l’autre à droite, tandis qu’à Versailles Mme de Montespan était du côté de l’Evangille et Mlle de Fontanges sur des gradins élevés du côté de l’Epître. Elles priaient, le chapelet ou leur livre de messe à la main, levant les yeux en extase, comme des saintes. Enfin, la Cour est la plus belle comédie du monde. »

Primi Visconti

Récit par le nonce Gualterio de la mort de Jacques II à Saint-Germain-en-Laye

« Su l’avviso che giunse la notte de 12 del corrente dello stato pericolossimo in cui si trovava il Re britannico stimo il nunzio a proposito di traferirsi la matina seguente alla corte de San Germano. Vi trovo S. M.tà con febre, che gli ripligliava per fino a tre volte il giorno con una prostratione totale di forze, e con una sonnolenza gravissima, la quale lo faceva continuamente dormire senza pero impedirgli di riscuotersi ogni volta che volevano dirgli qualche cosa e di rispondere adattatamente con uso di ragione che ha conservato sempre intierissimo per fino all’ultimo. I medici lo facevano fino d’allora disperato, onde il nunzio predetto credette che per edificazione delle due corti e per dimostratione di riconoscenza ad un prencipe ch’era stato coisi fedele alla Chiesa gli corresse debito di assistergli per fino all’ ultimo respiro, si come ha fatto in effetti non abbandonandolo né giorno né notte dal martedi matina perfino al venerdi sera in cui rese l’anima a Dio. Continuo è stato altresi il concorso d’' prencipi della case reale e de gran signori che sono andati a sapere di mano in mano lo stato della sua salute, mà tra gli altri si è distinto con particolari marche d’affetto il sig. prencipe di Conti che per essere cugino germano della Regina ha voluto usare con essa particolari finezze restendo tutti que’ giorni dalla matina per fino alla sera in San Germano. Il Re ha mandato ogni giorno più signori della prima sfera ad informasi dello stato delle cose, et il mercordi dopo desinare vi venne egli stesso in persona. Il nunzio si ritrovava nella stanza della Regina quando fù portato l’avviso della sua venuta. S. M.tà gli disse che non haverebbe voluto che il Re Christianissimo passasse per la stanza dell’infermo, dubitando che si come s’erano sempre teneramente amati cosi potesse seguire una vicendevole commotione in vedersi, e lo incarico di procurare d’indure S. M.tà a passare per un picciolo balcone al di fuori. Il nunzio prego il sig. duca di Lauson [Lauzun] ad insinuarlo a S. M.tà, il quale non fece difficoltà di prendere quella strada mà trovato poi esso nunzio sul medesimo balcone gl’espresse un sommo desiderio di vedere onninamente il Re Britannico, in maniera che si concerto che cio sarebbe seguito appresso la visita della Regina. Entrata S. M.tà nella di lei stanza, fece instanza che si chiamasse il prencipe di Galles. Venuto questi rimasero tutti tre soli, mà si è poi saputo per bocca del Re medesimo che il picciolo prencipe si come era stato un tempo considerabile senza vedere la madre cosi subito che fù entrato nella camera senza riguardo del Re presente gli si getto al collo e ivi con molte lagrime s’abbracciarono cosi teneramente che il Re dice d’havere havuto della pena a distaccarli l’uno dell’alltra. La Regina a cui tratanto il. Re haveva communicato la propria intentione notifico al prencipe la risoluzione presa da S. M.tà di riconoscerlo e trattarlo da Re ogni volte che venisse a mancare il Re suo padre. Il fanciullo che non havea notizia alcuna dell’avvenimento e che non poteva havere ne tampoco sepranza nientedimeno riceve tal avviso come se vi fosse stato preparato, e gettandosi a i piedi del Re gli desse queste precise parole: Io non mi scodero mai che sete voi che mi fate Re, e qualsivolglia cosa che mi succeda impiergaro questa dignità a farvi conoscere la mia riconoscenza. Il Re gli disse che lo faceva volontieri mà sotto conditione che conservasse sempre immutabile le religione cattolica, in cui era stato educato, mentre se fosse stato mai possibile ch’egli l’abandonnasse o volesse anche solamente nasconderla non solo perderebbe affatto la sua amicitia mà sarebbe risguardato con horrore di tutti gl’huomini da bene che sono nel mondo e come l’ultimo e il più vile degl’huomini. A che il prencipe rispose con le proteste della maggiore costanza. Più altre cose furono dette vicendevolmente sopra lo stesso argomento; dopo di che il prencipe si ritirà et essendo uscito dalla camera dirottamente piangendo dette motivo a milord Perth suo governatore di dimandargli che cosa gl’havesse detto il Re di Francia: mà gli rispose che ne haveva promesso il segreto a S. M.tà e che non poteva violarlo. In effetti non vole dirle cosa alcuna. Bensi tornato al suo appartamente si rinchiuse nel gabinetto e si pose a scrivere e domandatogli dal governatore medesimo cio che notasse disse senz’ altro ch’era il discorso tenutogli dal Re Christianissimo, il quale voleva poter rileggere tutti i giorni della sua vita.
S. M.tà fini tratanto la visita della Regina et accostandosi al letto del Re infermo gli fece i più cordiali complimenti. L’altro assopito nella sua sonnolenza habbe sul principio qualche difficoltà a riconoscerlo e l’andava ricercando quasi sospeso con gl’occhi, mà rivoltosi finalmente alla parte ove il Re era, tosto che l’hebbe veduto pose la bocca al riso e dimostro un estremo piacere. La ringratio poi di tutte le finezze le quali qu’usava e singolarmente d’havergli mandato il giorno antecedente il suo primo medico. Dopo varie espressioni d’affetto il Re Christianissimo disse che haverebbe voluto parlare di qualche negozio a S. M.tà Britannica. Ciascheduno volea ritirasi per rispetto mà il Re comando che tutti si fermassero et alzando la voce disse che volea assicurarlo che quando Dio havesse fatto altro di lui, haverebbe presa cura particolare del principe di Galles, e non minore di quella che potesse haverne esso stesso se fosse vivo; che dopo la sua morte lo riconoscerebbe per Re e lo trattarebbe nella medesima forma con cui haveva trattato lui medesimo. Cio che gli rispondesse il Re Britannico non pote udirsi perchè l’Inglesi, de’ quali era piena la camera e che non solamente non s’attendevano ad una tale dichiaratione mà per il contrario haveano probabilità tali da credere tutto l’opposto dettero tutti un’alto grido di Viva il Re di Franci, e gettandosi a i piedi di S.M.tà gli testimoniaronon la loro gratitudine d’une maniera che quanto era più viva et in un certo modo lontana dal rispetto ordinario tanto maggiormente mostrava i sentimenti de loro cuori. Il nunzio dopo haver dato luogo a tal transporto di gioia in quelle genti s’accosto ancor’egli a S. M.tà e gli disse che lo ringratiava a nom di tutta la Chiesa dell’atto eroïco il qual veniva di fare, pregando Dio a volerglielo ricompenzare con altretante fecilità. S. M.tà rispose allora con somma benignità e poi esso nunzio essendo andato servendolo per fino alla carrozza lo richiamo per strada e gli soggiunse ch’egli ben sapeva di quale importanza poteva essere tale risoluzione e conosceva le difficoltà che potevano esservi state mà che il rispetto della religione havea sorpoassato ogni cosa e ve lo haveva unicamente determinato. Si sa poi S. M.tà haver detto in appresso che ben conosceva tutti gli pregiuditii che poteva recargli una cosi fatta determinazione, la quale haverebbe dato pretesto al prencipe d’Oranges d fare de’ strepiti in Inghilterra di suscitargli contro il Parlemento e forse di caggionargli la guerra mà che havea voluto che gl’interessi della religione passassero innazi a tutte le altre cose, lasciando a Dio la cura del resto. In effetti si penetra che la maggior parte del Consiglio fosse di contraria opinione e che l’operato si debbia al solo arbitrio del Re. E’vero che i prencipi della casa reale erano stati di tal desiderio et hanno dimostrato una somma sodisfazione del successo; il duca di Borgogna particolarmente, che se n’espresse ne’ termini più forti che possino imaginarsi.
Ritornando al Re defonto è certo che questa è stata la maggiore consolazione che potesse havere morendo, mentre altro affare temporale non gl’occupava la mente. Ne ha dati altresi gli contrassegni maggiori mentre ordino subito che il prencipe si traferisse a Marli per ringraziarne S. M.tà se bene la Regina non giudico poi d’inviarvelo havendosi mandato in sua vece milord Midleton suo primo ministro. La matina seguente si fece chiamare di bel nuovo esso prencipe e parlandogli del medesimo affare gli ricordo la fedeltà a Dio, l’ubidienza alla madre e la riconoscenza al Re Christianissimo. Né poi ha parlato con alcun prencipe o signore della corte di Francia che non gl’habbia tenuto ragionmento sopra di cio et espressegli le grandi obligazioni che sentiva sù tale soggetto. Queste sono state le sole parole ch’egli habbia impiegate negl’affari del mondo. Tutto il rimanente non ha risguardolo che il Cielo, eccitando di tempo in tempo i preti e i religiosi che l’assistevano a dire delle orazioni, scegliendo esso stesso quelle che maggiormente desiderava e sopra tutto mostrando un sommo desiderio et una somma divozione della messa, recitandosi la quale egli che nel rimanente del tempo soleva essere addormentato si è sempre tenuto con gl’occhi aperti e facendo con la testa tutti que’ segni di venerazione che la sua positione e la sua debolezza potevano permettergli all’elevazione. Fino agl’ultimi respiri è stato udito recitare delle preghiere et allorché gli manco la voce fù veduto movere a tal ogetto le labra. Oltre di cio ha dimostrata una tranquilità d’animo infinita et una rassegnatione eroica al divino volere: consolandro egli stesso la Regina del dolore che dimostrava per la sua perdita. Ha finalmente dell’infermità et havendo sempre riposto che stava bene. Ha habuto una esatta ubidienza alle ordinationi de’ medici et ha preso senza replica tutto quello che hanno voluto dargli benche vi havesse per altro ripugnanza. Finalmente ha havuto sempre il giuditio sanissimo e la mente etiandio più pronta e più libera di quella che l’havesse per molti mesi antecedenti. Gli è durato de lunedi fino al venerdi sempre in una specie d’agonia patendo varii accidenti che di tanto in tanto facevano crederlo vicino a morire e risorgendo un momento appresso. Gl’ultimi singulti della morte furono brevi e non durarono lo spatio d’un hora e mezza ancor’essi assai miti e cher per quanto pote osservarsi non gl’erano un gran tormento. Spiro venerdi alle tre e mezza della sera pianto con caldissime lagrime da suoi tanto cattolici che protestanti, i quali l’hanno tutti per tanti giorni servito con un’amore et attenzione indicibile. La Regina non ha fatto un tutto questo tempo che piangere mà senza pero abandonare la cura degl’affari correnti. Morto il Re le più grandi angoscie mà persuasa alla fine di lasciarsi mettere in carrozza si è trasferta ad un convento delle monache della Visitatione posto in un villaggio vicino a Parigi per nome Challiot ove si tratterrà fino lunedi sera. Il Re s’era offerto di accompagnarvela in persona mà non ha voluto permetterglielo. Si ritroverà bene a S. Germano nel ritorno che S. M.tà vi farà per riporla nel suo appartamento, et allora si crede che visitarà la prima volta il successore in qualità di Re.
Il nunzio credette di non dover frapporre indulgio alcuno a far questa parte per dare un’esempio autentico agl’ altri ministri e per dimostrare tant maggiormente al nuovo Re la benevolenza della Sede Apolostica, onde passo subito a complimentarlo nel sup appartamento, dicendogli che nel gravissimo dolore che la Chiesa sentiva per la perdita d’un membro cosi principale qual era il Re defunto non poteva invenire maggiore consolazione di quella che gli proveniva dal riconoscerne S. M.tà per successore, non dubitendo che dovesse essere herede ugualmente delle virtù che delle corone del Padre e particolarmnte in cio che risguarda la costanza nella religionez per cui quel principe era stato cotanto glorioso. Rispose che S. S.tà poteva essere certa di haverlo sempre altretanto ubidiente quanto sia stato suo padre. Le disposizioni venture di quella corte non sono per ancora mote mà si avviseranno in appresso. In quanto alle ossequie S. M.tà Christianissima voleva fargliela fare reali a sue spese mà il Re defonto raccommando d’essere sepolto senze pompa e la Regina ha poi talmente insisito sopra la medesima istanza che si à rimasto di far transportare il cadavere senza pompa alle benedittine inglesi per tenervelo in deposito per fino a tanto che piaccia a Dio di disporre le cose in maniera da poterlo riportare nel sepolcro de suoi maggiori in Inghilterra. Ha bensi S. M.tà fatto fare un cuore d’argento dorato coronato alla reale per rinchiudervi quello del del defonto già trasferito segretamente a Challiot per essere risposto vicino a quello della Regina sua madre che si conserva nel medesimo luogo. Pensa inoltre a tutto cio che possa essere di sollievo, di conforto e di commodità alla Regina e procura d’usargli tutte le finezze possibili per consolarla. Il che si rende più necessario quanto l’afflittione dell’animo reca alla medesima pregiudizio anche nel corpo, trovandosi hoggi travagliata da mali di stomaco e da una straordinaria debolezza benche speri che le cose non siano per passare più oltre. »

Gualterio, Filippo Antonio

Récit par le maître des cérémonies Nicolas Sainctot de la réception du dauphin dans l’ordre du Saint-Esprit au Château-Vieux

« [f. 209] Ceremonies observées lorsque le Roy fit monseigneur le Dauphin chevalier du Saint Esprit, 1682
Le premier jour de l’an, le Roy voulut conferer l’ordre du Saint Esprit à monseigneur le Dauphin. Il luy avoit envoyé en naissant le cordon et la croix du Saint Esprit, suivant en cela l’usage qui se pratique pour tous les Enfans de France, mais ces marques exterieures ne l’agregeant point à l’ordre, il le fit chevalier dans toutes les formes.
Ce mesme jour, monseigneur le Dauphin fit ses devotions de grand matin et communia par les mains du cardinal de Bouillon, grand aumosnier de France et grand aumosnier des ordres du Roy. Ensuitte, il vint chez luy se vestir de l’habit de novice, scavoir d’un pourpoint de toile d’argent, de chausses troussées de toile d’argent et de bas de soye de gris de perle, se chaussa d’escarpins de toile d’argent, avec des mules de velour noir, prit un capot [f. 209v] de velours noir doublé d’une toile d’argent, et mit une tocque de velour noir avec le bord retroussé d’un bouquet de plusieurs plumes blanches, au milieu desquelles estoit une egrette d’heron. Et à cet habit, qui est l’habit ordinaire des novices, il avoit fait ajouter des diamans en plusieurs endroits.
Sur les dix heures, monseigneur le Dauphin, precedé du sieur de Mesme, prevost et grand maistre des ceremonies de l’ordre, se rendit dans l’appartement du Roy. Le Roy aussytost fit entrer dans son cabinet les commandeurs et les officiers de l’ordre, où, selon les formes ordinaires, on arresta que monseigneur le Dauphin seroit receu chevalier.
Après une deliberation, monsieur le Duc, nommé pour parrain de Monseigneur, le conduisit dans le cabinet du Roy. Le grand maistre des ceremonies, le herault et l’huissier marchand devant luy.
Monseigneur, s’estant approché du Roy, se mit à genous sur un carreau pour recevoir l’ordre de Saint Michel, qu’il faut recevoir avant que d’entrer en celuy du Saint Esprit. Alors le Roy tira son espée et luy en donna un [f. 210] coup sur chaque epaule en disant : par saint Geroges et par saint Michel, je te fais chevalier. On employe le nom de saint Georges avec celuy de saint Michel parce que saint Georges est l’ancien patron des chevaliers.
Cette ceremonie finie, on marcha à la chapelle du viel chasteau en cet ordre :
L’huissier de l’ordre
Le herault de l’ordre
Le grand maistre des ceremonies, ayant à sa droite le marquis de Seignelay, grand tresorier de l’ordre, et à sa gauche le marquis de Chasteauneuf, secretaire de l’ordre.
Ensuitte marchoit seul le marquis de Louvois, chancelier de l’ordre.
Après quoy venoient les commandeurs, deux à deux, en cet ordre :
A droit estoient :
Le marquis de Gamache
Le marquis de Beringhen
Le duc de Saint Agnan
Le duc de Crequy
Le duc de Luynes
Le duc de Saint Simon
A gauche estoient :
Le marquis de Bethune
[f. 210v] Le duc de Montausier
Le duc du Lude
Le mareschal de Nouaille
Le duc de Chaulnes
Le duc d’Anguien seul
Monsieur seul
Monseigneur le Dauphin seul
Deux huissiers de la chambre du Roy portant leurs masses precedent le Roy.
Le Roy
A sa gauche, un peu devant, le marquis de Tilladet, capitaine des Cent Suisses
A sa droite, un peu derriere, le grand aumosnier en camail et en rochet
Le duc de Noailles, capitaine des gardes, derriere le Rot, ayant à sa droite le duc d’Aumony, premier gentilhomme de la chambre, et le duc de de la Rochefoucault, grand maistre de la garde robe, à sa gauche.
Le Roy passa par la salle des gardes, par le grand escallier, et par la cour du château. Les gardes du corps estoient en haye et sous les armes dans tous ces lieux, et les Cent Suisses aussy, dont les tambours battirent jusques à ce que il fut en sa place dans la chapelle.
Le Roy, apres avoir salué l’autel, se plaça dans son fauteuil posé sur le [f. 211] marchepied de son prie Dieu. Monseigneur le Dauphin se mit à droit sur un siege playant, Monsieur à sa gauche sur un siege playant, et monsieur le Duc hors du marchepied, sur un siege playant, les chevaliers à droit et à gauche sur des bancs.
Les officiers qui estoient demeurez debout à droit, proches leurs places, s’advancerent au milieu de la chapelle, saluerent l’autel et le Roy, puis, se tournant, saluerent la Reine qui estoit dans une tribune pour voir la ceremonie. Ensuitte, ils saluerent les chevaliers à droit et à gauche. Ce qu’estant fait, ils vinrent s’assoir sur des escabaus posés à droit, celuy de l’huissier vers l’hautel, celuy du herault un peu plus esoigné de l’autel, ceux du grand maistre des ceremonies, du grand tresorier et du secretaire de l’ordre sur une mesme ligne en s’aprochant du Roy, et celuy du chancelier plus pres de sa personne.
Ces saluts estoient inutils en ce temps là. Il faloit qu’après les avoir faits, il [f. 211v] s’ensuivit quelque action de ceremonie. Mais d’attendre que tout le monde soit entré pour le saluer, voilà ce qui me parroist à contre temps. Les officiers devoient, en entrant dans l’eglise, saluer le saint sacrement, c’est un respect qu’on luy doit, saluer la chaise du Roy, on salue son lict et celuy de la Reyne en entrant dans leurs chambres, et ils devoient ensuitte saluer la Reyne.
L’archevesque d’Auch, vestu pontificalement, vint s’agenouiller au pied de l’autel, d’où il commença le Veni Creator que la musique de la Chapelle continua.
A la fin de l’hymme, ce prelat salua l’autel, donna de l’eau benite au Roy, et commença ensuitte la messe.
A l’offerte, les officiers firent les mesmes saluts qu’ils avoient desja faits et, s’estant rangés, le grand maistre des ceremonies alla advertir le Roy par un salut particulier de venir à l’offrande. Il en fit un aussy à monseigneur le Dauphin, et un à Monsieur, pour les advertir d’accompagner le Roy.
[f. 212] Le Roy, s’estant aproché des marches de l’autel, baisa la patene et offrit le cierge que monseigneur le Dauphin lui presenta, et les ecus d’or que Monsieur luy donna, Monseigneur et Monsieur ayant receu des mains du grand maistre des ceremonies le cierge et les ecus d’or, dont le nombre est tousjours egal à celuy des années du Roy.
Après l’offrande, le Roy, retournant à son prie Dieu, fit un salut à l’autel, un à la Reine, et un de chaque costé pour les chevaliers.
A l’Agnus Dei, le grand aumosnier presenta au Roy la Paix à baiser, que le soudiacre luy apporta.
Sur la fin de la messe, les officiers firent ensemble les reverences, et le grand maistre des ceremonies fit un salut particulier au Roy pour l’advertir de se rendre au trosne qu’on luy avoit preparé à gauche, proche l’autel du costé de l’evangile.
Le Roy sortit de sa place, fit les [f. 212v] saluts, alla au trosne precedé des officiers de l’ordre et suivy du capitaine de ses gardes, du premier gentilhomme de sa chambre et du grand maistre de la garderobe, s’asit dans son fauteuil sous un dais et mit son chapeau.
Le grand aumosnier se mit derriere le Roy, le chancelier à droit avec le livre des Evangiles, le grand tresorier à costé du chancelier tenant le colier de l’ordre et le cordon bleu, le secretaire de l’ordre à gauche du Roy avec l’acte de serment, le herault et l’huissier au bas des marches du trosne.
Pendant que ces officiers prenoient leurs places sur le trosne, le grand maistre des ceremonies salua monseigneur le Dauphin pour luy marquer qu’il estoit temps de s’aprocher du Roy, Monsieur en particulier et monsieur le Duc pour les advertir tous deux d’accompagner Monseigneur.
Monseigneur le Dauphin, Monsieur et monsieur le Duc firent [f. 213] les reverences, s’approcherent du Roy. Monseigneur se mit à ses pieds sur un carreau de velour violet, Monsieur et monsieur le Duc se tenant debout à droit et à gauche, et le grand maistre des ceremonies prenant sa place à gauche, entre le Roy et le secretaire de l’ordre.
Le Roy, ayant pris du chancelier le livre des Evangiles, monseigneur le Dauphin mit la main dessus le livre, receut en mesme temps le serment, qu’il signa, la plume et l’acte de serment luy ayant esté presentés par le secretaire de l’ordre. Ce qu’estant fait, le sieur Gitonneau, premier valet de garderobe, estant de service aupres de monseigneur le Dauphin, luy osta le capot et le Roy luy mit le cordon bleu en luy disant : Recevés de notre main le colier de notre ordre du benoist Saint Esprit, au nom du père, du fils et du saint Esprit, et il luy mit le manteau et le colier de l’ordre.
Cette ceremonie finie, monseigneur [f. 213v] le Dauphin, se relevant, salua le Roy, demeura proche de luy, et les officiers descendirent de leur place, saluerent l’autel, le Roy, la Reine et les chevaliers. Alors, on commança à marcher dans l’ordre qu’on avoit gardé en venant et l’on alla dans l’appartement du Roy où, monseigneur le Dauphin l’ayant laissé, il retourna dans le sien precedé du grand maistre des ceremonies, du herault de l’ordre et de l’huissier de l’ordre. »

Récit par le comte de Brulon d’audiences accordées par le roi à Saint-Germain-en-Laye

« Ce premier memoire qui suit est du comte de Brulon
Le vingtieme fevrier mil six cens trente quatre, le comte de Brulon, avec les carrosses du Roy et de la Reyne, alla prendre à son logis le sieur de Loustorieres, resident de l’Empereur, pour le conduire à Sainct Germain, où le Roy luy donna à disner, puis le conduisit à l’audience de Leurs Majestez, des princesses du sang et du cardinal de Richelieu.
[…]
[p. 774] Le vingt deuxieme juin mil six cens trente quatre, le Roy estant à Sainct Germain, le comte d’Alais et le comte de Brulon, avec les carrosses du Roy et de la Reyne et grand nombre de noblesse et d’autres carrosses, furent au devant du sieur Boloneti, evesque d’Ascoly et envoyé nonce du pape, à Venvre, proche le village d’Icy, où, apres avoir receu les complimens de la part de Sa Majesté, il entra dans le carrosse du Roy avec cinq evesques, le comte d’Alais et le comte de Brulon, et fut conduit en son logis. Le lendemain, il fut visité de la part du Roy par le sieur de Souvré, premier gentilhomme de la chambre, et de la part de la Reyne par son premier maistre d’hostel. Le vingt cinquieme du mesme mois, le comte d’Alais et le comte de Brulon, avec les carrosses du Roy et de la Reyne, furent prendre à son logis le cardinal de Bichy puis ledit nonce pour les accompagner à Saint Germain, à la descente, où le Roy leur donna à disner, et apres furent conduits à l’audience de Leurs Majestez au neuf chasteau. Devant qu’entrer, ils rencontrerent les gardes sous les armes, c’est ascavoir les gardes du grand prevost, les suisses et gardes du corps. Et ainsi le cardinal Bichy, en presentant le nonce, son successeur, prit congé du Roy en ceremonie, puis ils virent le cardinal de Richelieu qui, ayant sceu que ledit cardinal Bichy et le nonce estoient en habits decents, les receut aussi de mesme. Le cardinal Bichy prit pourtant encore une autre fois congé du Roy et de la Reyne et dudit cardinal de Richelieu, sans ceremonie, et en particulier.
Le vingt sixieme juin mil six cens trente quatre, le Roy estant à Sainct Germain, le mareschal de Chastillon, le comte de Brulon, avec [p. 775] les carrosses du Roy et de la Reyne furent à Sainct Denys au devant des sieurs Pau et Knuith, ambassadeurs des Estats d’Holande, qu’ils amenerent à l’hostel des ambassadeurs, qui estoit meublé pour eux, et où ils furent traités par present jusques à un jour apres leur audience. Et le vingt neufieme, furent conduits à Sainct Germain avec les carrosses du Roy et de la Reyne par le mareschal de Chastillon et le comte de Brulon, à la descente, où le Roy leur donna à disner. Apres furent conduits à l’audience de Leurs Majestez puis des princes et princesses, dudit cardinal de Richelieu et autres ministres.
[…]
[p. 776] Le seizieme octobre mil six cens trente quatre, les sieurs Lofler et Streuf, le premier ambassadeur extraordinaire de la couronne de Suede, et l’autre des quatre Cercles d’Alemagne, estans arrivez à Paris, le Roy estant à Sainct Germain, n’ayant pas accepté le logis du Roy, il leur fut envoyé des vivres chez eux de la part de Sa Majesté, tout le temps de leur sejour en ladite ville, qui fut d’un mois. Deux jours apres, le marquis de Mortemar les alla visiter de la part de Sa Majesté, et le vingt unième le comte de Harcour et Bautru, avec les carrosses du Roy et de la Reyne, les conduisirent à Sainct Germain où, arrivans, les gardes prirent les armes. Et apres que Sa Majesté leur eut donné à disner, ils furent conduits à son audience, puis aussitost par les mesmes chez monsieur le duc d’Orleans dans sa chambre, lequel estoit retourné le mesme jour, et ne veirent point la Reyne. Le quatrieme novembre ensuivant, ils furent prendre congé du Roy en la mesme façon à Sainct Germain, et visiterent aussi ledit cardinal de Richelieu. Puis il leur fut porté de la part du Roy à chacun une chaisne d’or avec sa medaille, de deux mille ecus.
Le vingtieme octobre mil six cens trente quatre, le mareschal de Chastillon et Bautru, avec les carrosses du Roy et de la Reyne, furent à Sainct Denys au devant du sieur Contarini, ambassadeur ordinaire de Venise, qui venoit en la place du sieur Sorenzo, son predecesseur, et le conduisirent à son logis derriere les Minimes, où le lendemain le marquis de Mortemar le furent visiter de la part du Roy. Et le vingt quatrieme, le mareschal de Chastillon et Bautru, avec des carrosses du Roy et de la Reyne, furent prendre en leurs logis lesdits Sorenzo et Contarini pour les conduire à Sainct Germain où, arrivans, les gardes prirent les armes et, apres que le Roy leur eut donné à disner, ils furent conduits à l’audience de Leurs Majestez, dont le premier prenoit congé en presentant son successeur le dernier. Puis ils veirent les princesses et le cardinal de Richelieu. Il fut presenté audit Sorenzo un service [p. 777] de vaisselle d’argent de deux mille écus, et à son secrétaire une chaisne d’or, avec la medaille du Roy, de douze cens livres, et une boette de diamans de mille ecus au sieur Contarin, de present extraordinaire. Le vingt septieme janvier mil six cens trente huit, le mareschal de Chastillon et le comte de Brulon le conduisirent à Saint Germain avec le sieur Cornaro son successeur, qu’il presenta au Roy pour resider aupres de luy, en prenant congé en la mesme façon que dessus. Quelques jours apres, le Roy luy ayant fait demander s’il vouloit estre fait chevalier, comme il se doit par le secretaire d’Estat des Affaires etrangeres lorsque c’est la premiere ambassade qu’ils font vers les testes couronnées, il eut une audience particuliere, encore sans ceremonie, dans le cabinet du Roy à Sainct Germain, y conduit par le comte de Brulon, où le Roy luy ayant encore demandé s’il vouloit estre chevalier, on luy jetta un carreau preparé par le premier valet de garderobbe qui estoit lors, nommé Picot. Estant à genoux, le Roy tira son epée et le fit chevalier de l’accolade, et luy donna en mesme temps une epée et un baudrier. Le comte de Brulon luy porta un buffet de vaisselle d’argent doré de deux mille ecus, une boette de diamans de mil pour present extraordinaire, et au secretaire de l’ambassade, le sieur Alberty, une chaisne de douze cens livres.
Le trentieme octobre mil six cens trente quatre, le milord Fildin, ambassadeur extraordinaire d’Angleterre, arriva à Paris avec sa femme, le Roy estant à Sainct Germain. Il y eut ordre de meubler l’hostel de Schomberg, l’hostel des Ambassadeurs extraordinaires estant occupé, mais ne l’ayant voulu accepter pour le peu de temps qu’il avoit à sejourner, il fut traité par present pendant qu’il demeura à Paris. Le lendemain, il fut visité de la part du Roy par le comte de Nancé, et, le deuxieme jour de novembre, le comte d’Alais et Bautru, avec les carrosses du Roy et de la Reyne, le furent prendre pour le conduire à Sainct Germain où, arrivans, les gardes prirent les armes. Et apres que le Roy luy eut donné à disner, il fut conduit à l’audience de Leurs Majestez, qu’il ne veid que cette fois. La Reyne envoya aussi un carrosse à sa femme, et arrivant à Sainct Germain, la marquise de Senecé la vint recevoir de la part de la Reyne au bas de l’escalier, et la conduisit dans une chambre, où elle disna avec elle, traitée par la Reyne. Elle la conduisit apres disner chez la Reyne, où le Roy se rendit à son retour de la chasse, qu’il hasta expres, et la salua, ayant eu le tabouret. La Reyne venant à Paris, l’ambassadeur et l’ambassadrice y alloient tous les jours sans ceremonie. Il fut porté à cet ambassadeur de la part du Roy une chaisne de diamans de plus de deux mille ecus, et partit fort satisfait. Il ne veid point le cardinal de Richelieu, mais monseigneur le comte de Soissons et toutes les princesses.
Le 18 novembre 1634, ledit sieur Bautru, avec les carrosses du Roy et de la Reyne, fut prendre l’ambassadeur de Savoye et le comte de Cumians, maistre des ceremonies et conducteur des ambassadeurs de Piedmont, envoyé de la part de Son Altesse de Savoye, pour les accompagner [p. 778] à l’audience de Leurs Majestez, qu’ils eurent apres que le Roy leur eut donné à disner. Ledit ambassadeur y disna aussi, parce qu’il estoit allé à l’audience pour le presenter, puis il veid le susdit cardinal de Richelieu. Il vint pour se resjouyr avec le Roy du retour de monseigneur son frere des Pays Bas, et pria le Roy de la part de son maistre de trouver bon qu’il allast visiter ledit seigneur, comme il en avoit ordre. Ce que Sa Majesté trouva fort bon, et s’en alla le trouver à Blois. Puis à son retour ledit Bautru, avec les carrosses du Roy et de la Reyne, le conduisit à Saint Germain, où, apres que le Roy luy eut donné à disner, il prit congé de Leurs Majestez et dudit cardinal de Richelieu. Il luy fut presenté de la part du Roy un diamant de sept mille francs, dont il fut fort content.
Le 26 novembre 1634, le comte d’Alais et Bautru, avec les carrosses du Roy et de la Reyne et quantité d’autres carrosses et de noblesse, furent à Piquepuce au devant du sieur Mazarin, nonce extraordinaire du pape, pour le conduire à Paris au logis du nonce ordinaire, n’ayant esté logé par le Roy. Il entra en carrosse avec ledit nonce ordinaire, le comte d’Alais, le conducteur des ambassadeurs, les archevesques d’Arles et de Tours, et l’evesque de Bolongne. Le lendemain, il fut visité de la part du Roy par monsieur de Liancour et de la part de la Reyne par le comte d’Orval. Le quatrieme decembre ensuivant, le comte d’Alais et Bautru, avec les carrosses de Leurs Majestez, l’accompagnerent à Saint Germain où, apres que le Roy luy eut donné à disner, il fut conduit à l’audience de Sa Majesté, qui le receut bien, comme aussi la Reyne et le cardinal de Richelieu. Il veid aussi toues les princesses, scavoir Madamoiselle seule avec son rochet, et les autres avec son habit ordinaire. Monseigneur le Prince estant arrivé en cette ville, les nonces ne le voulans aller visiter le premier, ny luy eux, ils furent chez madame la Princesse, où mondit seigneur le Prince se trouva. Puis il les retourna voir, et eux furent apres le voir avec leurs habits. Le 4 fevrier 1636, le comte d’Alais et le comte de Brulon, avec les carrosses du Roy et de la Reyne, le furent prendre à son logis pour le conduire à sa dernier audience, qu’il eut de Leurs Majestez à Paris, avec les mesmes ceremonies que dessus. Puis il prit congé de Monsieur, de tous les princes et princesses, et du cardinal de Richelieu. Le comte de Brulon luy porta de la part du Roy un buffet de vaisselle d’argent de la valeur de quatre mille ecus, et partit fort content de cette cour.
[…]
Le premier decembre, le sieur Bautru ayant visité les trois ambassadeurs suisses des cantons de Zurich, Berne et Schaffouze, le cinquieme il les fut prendre dans les carrosses du Roy et de la Reyne pour les accompagner [p. 779] à l’audience de Leurs Majestez, qu’ils eurent à Saint Germain en Laye, apres que le Roy leur eut donné à disner dans la descente des ambassadeurs. Le marquis de Nesle vint disner avec eux de la part du Roy et les accompagna à l’audience, puis veirent le cardinal de Richelieu et les autres ministres.
Le 15 janvier 1635, le comte de Brulon avec le carrosse du Roy alla prendre l’ambassadeur de Savoye et le sieur de Saint Thomas, qui avoit demeuré icy agent deux ans, pour les conduire à Saint Germain, où l’ambassadeur ne fut que pour presenter ledit de Saint Thomas au Roy et à la Reyne, pour prendre congé de Leurs Majestez, s’en retournant. Le Roy leur donna aussi à disner, et le comte de Brulon luy porta de la part du Roy une boette de diamans de deux mille francs.
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[p. 780] Le septieme avril mil six cens trente cinq, le general Rituvin, qui repassoit d’Alemagne en Suede, estant arrivé à Paris et ayant envoyé demander l’audience du Roy, le comte de Brulon l’alla visiter de la part de Sa Majesté. Et le neuvieme ensuivant le conduisit dans son carrosse à Sainct Germain, où, apres avoir eu favorable audience du Roy dans son cabinet, monsieur le Premier luy donna magnifiquement à disner, apres lequel il fut conduit chez la Reyne, puis chez le cardinal de Richelieu à Ruel, qui le receut fort bien.
[…]
[p. 781] Le sixieme decembre mil six cens trente cinq, le sieur de Berlize, avec les carrosses du Roy et de la Reyne, fut prendre à son logis le sieur [p. 782] Chrestien Ulderic Guldenleven, envoyé de la part du roy de Dannemarck, pour le conduire à Sainct Germain, où apres que le Roy luy eut donné à disner, il le conduisit à l’audience de Leurs Majestez.
Le vingt troisieme decembre mil six cens trente cinq, le Roy estant à Saint Germain, les sieurs de La Meilleraye et de Berlize, avec les carrosses du Roy et de la Reyne furent prendre à son logis le marquis de Baden, de la branche de Durlach, pour l’y accompagner, où, apres que le Roy luy eut donné à disner, ils le conduisirent à l’audience de Leurs Majestez.
[…]
[p. 784] Le huitieme mars mil six cens trente six, le sieur de Berlize, encore qu’il ne fust en charge, à cause que le comte de Brulon estoit aupres du duc de Parme, eut commandement d’aller trouver le duc Bernard de Weymar de Saxe, avec les carrosses du Roy et de la Reyne, à Lagny sur Marne, où le comte de Guiche, qui l’estoit allé trouver de la part du cardinal de Richelieu à Meaux, l’amena, luy ayant dit qu’il estoit là de la part du Roy, il mena trois ou quatre de ses amis qui le saluerent. Apres quoy il le conduisit à Champ, où le sieur de Croisilles et le general Parfait l’attendoient, avec tous les officiers de la Maison, pour le traiter. Il avoit eu ordre de luy faire donner à disner à Lagny, mais à cause de la difficulté qu’il y avoit pour les officiers d’aller jusques à six lieues de Paris, pour apres disner venir apprester le souper à l’Arsenal où il devoit loger, il les fit venir audit lieu, ce que le Roy trouva estre fait à propos. Le sieur de La Trimouille le vint recevoir en ce lieu au sortir de son disner de la part du Roy, accompagné de quantité de carrosses et de noblesse. Apres les complimens faits, ils monterent dans le carrosse du Roy, où estoient lesdits duc de Weimar et de La Trimouille, les comtes de Guiche et de Nassau, et le sieur de Berlize, passerent par le Bois de Vincennes où ils rencontrerent nombre de carrosses pleins de dames ; il fut salué par la garnison, veid plus de deux cens carrosses tout le long du chemin jusques à l’Arsenac, où il fut logé dans le plus bel appartement, meublé des meubles du Roy. Un autre logis fut destiné pour son train. Le lendemain, il ne voulut voir personne avant le Roy. Il avoit amené avec luy le comte de Nassau, le baron de Friberg et le [p. 785] sieur Ponica, sur lequel il se reposoit de toutes ses affaires. Le dixieme, il le conduisit à l’audience avec le duc de La Tremouille à Sainct Germain. Quand il fut arrivé, il fut trouver le Roy dans son cabinet, où il estoit, auquel il dit son arrivée. Là Monsieur luy demanda s’il se couvriroit ; il repondit qu’il n’en scavoit rien, qu’il l’avoit demandé au cardinal de Richelieu qui luy avoit dit qu’il ne le devoit point et que neantmoins il craignoit qu’il ne fust en cette volonté, et que sur ce qu’il avoit pressé le sieur de Chavigny là-dessus, il luy avoit dit que s’il luy en parloit, que ce seroit luy donner lieu de pretendre une chose à laquelle, peut estre, il ne pensoit pas ; que si toutesfois il vouloit, il presentiroit dudit sieur Ponica s’il estoit dans cette pretention, mais qu’il ne luy en parleroit point, s’il ne luy en commandoit expressement ; et luy allegua ce qu’il avoit fait à l’evesque de Wirtzbourg, duc de Franconie, à Mets, lequel comme souverain de l’Empire s’estoit couvert, qu’il estoit de la maison de Saxe et que ce qui luy feroit plustost desirer estoit le duc de Parme, auquel le Roy avoit fait cet honneur, et que luy s’estimoit bien d’une autre maison. Avec toutes ces raisons, et autres, Sa Majesté resolut qu’il ne luy en parleroit point, et luy commanda de l’aller querir, l’ayant laissé dans le departement du surintendant, qu’on avoit meublé des meubles du Roy. Il luy dit que le Roy estoit prest à la voir. Les suisses se mirent en haye sur le degré, le capitaine des gardes le receut à l’entrée de la salle. Ayant fait une reverence devant le Roy et son compliment, le Roy voulut se couvrir, il crut que le Roy l’avoit invité à en faire autant et en mesme temps il voulut mettre son chapeau ; le Roy, voyant cela, osta si promptement le sien que cela fut apperceu de peu de personnes, et parlerent tousjours decouverts. Puis il passa dans son cabinet, où Monsieur, frere du Roy, se trouva, et parlerent ensemble pres d’une demie heure, où quelques fois aussi le Roy le faisoit parler, puis luy dit de le mener disner, ce qu’il fit. Incontinent apres, suivant le discours qu’il avoit eu depuis avec le sieur de Chavigny, il dit audit sieur Ponikan qu’il ne croyoit pas que le duc pretendist de vivre autrement chez la Reyne que Monsieur, frere du Roy, qui ne se couvroit. Il luy dit que son maistre avoit veritablement voulu se couvrir devant le Roy, d’autant que le duc de Parme se couvroit, qu’il ne le devoit trouver estrange, d’autant qu’il y avoit plus d’empereurs dans la maison de son maistre qu’il n’y avoit eu de gentilshommes dans la maison du duc de Parme, mais que pour chez la Reyne il ne se couvriroit. Il l’y mena, où Monsieur se trouva, puis chez Monsieur, qui le fit couvrir, comme aussi les ducs de La Trimouille et Wirtenberg qui l’accompagnoient. Apres une visite de demie heure sans s’asseoir, il remena ledit duc dans sa chambre, de laquelle ils partirent pour aller à Ruel, où il veid le cardinal de Richelieu, qui le vint recevoir au haut de l’escalier, et prit apres plusieurs offres qu’il fit audit duc la main droite, et passa devant aux portes, et s’assit de mesme. Il le vint reconduire jusques au [p. 786] carrosse, où le duc ne voulut entrer, quelque priere que luy fit ledit cardinal, qu’il ne se fust retiré, puis vint recoucher à l’Arsenac ce mesme jour. Tous les jours suivans, il fut visité des princes et ducs qui estoient lors à Paris. il fut rendre les visites et aussi voir Madamoiselle, mesdames la Princesse et Comtesse, et toutes les duchesses. Le 18 du mesme mois, ce duc fut coucher à Saint Germain, et descendit dans sa chambre. Puis le sieur de Berlize alla trouver le Roy, qui luy demanda s’il se couvriroit. Il luy dit que le cardinal de La Valette luy avoit dit qu’il prenoit cela sur luy pour luy faire scavoir, mais neantmoins que ledit sieur de Ponikan et le comte de Guiche luy avoient dit que l’on estoit demeuré d’accord qu’il ne se couvriroit devant le Roy mais qu’il auroit le tabouret chez la Reyne ; sur ce qu’il veid Sa Majesté en inquietude, il luy dit qu’il alloit parler à Ponikan, et qu’il l’asseureroit de tout. Poikan luy dit qu’on avoit offert à son maitre de le faire couvrir comme duc de Franconie ou d’avoir le tabouret chez la Reyne. Apres plusieurs repliques, il le fit condescendre à avoir seulement le tabouret chez la Reyne, et que c’estoit le moyen d’estre mieux venu aupres du Roy. Il fit entendre au duc tout ce que dessus, qui luy dit qu’il feroit tout ce que le Roy desiroit et qu’il luy suffisoit de s’estre mis en devoir de demander les choses qu’il croyoit estre deues à sa maison, afin que les siens n’eussent à luy reprocher qu’il avoit volontairement fait des choses indignes de sa naisasnce. Apres plusieurs offres avantageuses qu’on luy avoit faites de la part de l’Empereur, il dit tout ce que dessus au Roy, et comme il luy avoit dit qu’il desiroit que le Roy le traitast comme un de ses sujets ducs, et ce en presence du duc de Saint Symon, de quoy le Roy fut fort content. Il luy commanda de l’aller querir, ce qu’il fit, et comme il entra dans le cabinet, il pria qu’on fist fermer la porte, afin comme l’on peut connoistre que les siens ne le veissent decouvert. Le Roy luy fit grand accueil et demeura plus d’une heure ; Sa Majesté demeura un demy quart d’heure decouvert, puis se couvrit. Le lendemain, il fut voir le Roy et ouyt au jubé de la chapelle la musique. Le soir le Roy luy envoya la musique de la Chambre, qu’il trouva excellente. Apres le disner, il fut chez la Reyne, qui luy fit donner le tabouret, qu’il prit apres plusieurs refus. Il n’y demeura qu’un demy quart d’heure, puis se leva, et demeura encore une demie heure debout. La Reyne se leva aussi. Puis repassa chez le Roy par dans la chambre de la Reyne où il estoit ; où, après avoir demeuré une demie heure, il prit congé du Roy, et s’en alla à Ruel voir le père Joseph, capucin.
[…]
[p. 788] Le second jour d’avril mil six cens trente sept, les jeunes princes de Hesse estans venus à Paris pour faire leurs exercices, et desirans voir le Roy, le comte de Brulont les ayant visitez de la part de Sa Majesté, le sieur de Souvré et ledit comte, avec les carrosses du Roy et de la Reyne, les menerent à Saint Germain où, apres que le Roy leur eut donné à disner, ils les conduisirent à l’audience de Leurs Majestez, devant lesquelles ils ne pretendirent point se couvrir.
Au mois d’octobre mil six cens trente sept, le sieur de Berlize, avec les carrosses du Roy et de la Reyne, fut prendre l’ambassadeur de Savoye et le marquis de Saint Germain, gentilhomme envoyé de Savoye, pour prendre congé de Leurs Majestez à Sainct Germain, où il les conduisit après que le Roy leur eut donné à disner, et ensuite chez le susdit cardinal de Richelieu. Peu de jours après, il luy porta un diamant de la part du Roy, de huit à neuf mille livres.
[…]
[p. 789] Au mois de novembre mil six cens trente sept, le marquis de Parelle estant arrivé de la part de madame de Savoye pour donner part au Roy de la mort de Son Altesse, le sieur de Berlize, avec les carrosses du Roy et de la Reyne, fut prendre cet ambassadeur pour le conduire à Saint Germain, où, après que le Roy leur eut donné à disner, il le conduisit à l’audience de Leurs Majestez, qui le receurent aussi en grand deuil. Il prit congé de la mesme façon et le sieur de Berlize luy porta apres de la part du Roy un diamant de mil ecus.
Le onze novembre mil six cens trente sept, les sieurs de Noailles et de Berlize, avec les carrosses du Roy et de la Reyne furent dans Piquepuce au devant du sieur Salus, ambassadeur extraordinaire de Gennes, qu’ils emmenerent à son logis, qu’il avoit arresté et meublé, le Roy ne l’ayant ny logé ny defrayé. Il fut visité le lendemain par le marquis de Fourilles, grand mareschal des logis, et deux jours apres le mareschal de Saint Luc et le sieur de Berlize le firent prendre dans les carrosses du Roy et de la Reyne pour le conduire à Sainct Germain, où le Roy luy donna à disner, eut audience de Leurs Majestez et, en revenant, du cardinal de Richelieu à Ruel. Il ne visita point les princesses.
Le huit decembre, le sieur de Berlize conduisit à Sainct Germain dans son carrosse le sieur de Vosberg, deputé des Etats de Holande, sans autre ceremonie, estant venu pour affaire particuliere. Puis prit congé du Roy seul, apres avoir demeuré icy trois semaines.
Le vingt cinquieme janvier, le mareschal de Chastillon et le comte de Brulon, avec les carrosses du Roy et de la Reyne, furent à La Chapelle au devant du sieur Cornaro, ambassadeur ordinaire de Venise, le conduisirent à son logis, où le lendemain il fut visité de la part du Roy par le sieur de Souvré. Et le vingt neufieme du mesme mois, le mareschal de Chastillon et le comte de Brulon, avec les mesmes carrosses, furent prendre à son logis le sieur Contarin et luy pour les conduire à l’audience de Leurs Majestez à Saint Germain, où ledit Contarin, prenant congé, presenta ledit Cornaro son successeur. Le Roy leur donna à disner et les gardes du regiment, en entrant et sortant, prirent les armes.
Le vingt deuxieme fevrier mil six cens trente huit, le mareschal de La Force et le comte de Brulon furent à Piquepuce avec les carrosses [p. 790] du Roy et de la Reyne au devant du sieur Agnelly, evesque de Cazal, ambassadeur extraordinaire de Mantoue, qu’ils menerent à son logis, le Roy ne l’ayant ny traité ny defrayé. Et deux jours apres, fut pris dans son logis par ces messieurs et les mesmes carrosses, pour le conduire à Sainct Germain, à l’audience de Leurs Majestez, où le Roy luy donna à disner. Puis veid toutes les princesses et le cardinal de Richelieu.
Audit an mil six cens trente huit, le Roy partant pour aller en Picardie, la grosses de la Reyne estant apparente, le comte de Brulon, qui estoit en charge, suivant le Roy, Sa Majesté commanda eu sieur de Berlize d’en aller donner part à tous les ambassadeurs, comme il fit, et ensuite tous ces ambassadeurs allerent visiter la Ryne. Et lorsque le Roy revint de son voyage, les en ayant dispensez, le visiterent aussi pour s’en resjouyr avec luy.
La mesme année mil six cens trente huit, le comte de Cameran, fils du marquis de Ville, estant venu de la part de madame de Savoye en qualité de gentilhomme envoyé, le comte de Brulon, avec les carrosses du Roy et de la Reyne, fut prendre l’ambassadeur et luy pour les conduire à Saint Germain à l’audience de Leurs Majestez, où le Roy leur donna à disner. Puis, apres avoir pris congé du Roy, quelque temps apres, le comte de Brulon luy porta un diamant de mil ecus. Il venoit se conjouyr de la grossesse de la Reyne.
Le susdit an mil six cens trente huit, le sieur Tartereau estant venu, gentilhomme envoyé de la part du roy et de la reyne d’Angleterre, pour se resjouyr de leur part de la grossesse de la Reyne, le comte de Brulon, avec les carrosses du Roy et de la Reyne, le fut prendre à son logis, puis furent prendre ensemble les ambassadeurs extraordinaire et ordinaire à l’hostel des ambassadeurs pour les conduire à Saint Germain, où ils eurent audience de Leurs Majestez. Le Roy leur y donna à disner. Le comte de Brulon le mena seul chez le cardinal de Richelieu. Peu de jours apres, il prit congé en la mesme façon, et eut un present d’une chaisne d’or de quatre cens ecus que luy porta le comte de Brulon, laquelle il luy reporta deux jours apres, disant qu’on avoit donné un present de plus grande valeur à un envoyé de Savoye ; on luy donna au lieu de cela un diamant qui ne valoit guere davantage.
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Le vingt quatrieme avril mil six cens trente huit, le comte Bardy estant arrivé à Paris quelques jours auparavant en qualité de resident du grand duc, et ayant esté visité de la part du Roy par le comte de [p. 791] Brulon, il le conduisit à Sainct Germain dans les carrosses du Roy et de la Reyne à l’audience de Leurs Majestez, où le Roy luy donna à disner ; puis il veid Madamoiselle, madame la Princesse, qu’il salua, et madame la Comtesse aussi, et le cardinal de Richelieu.
Au mesme an mil six cens trente huit, le comte de Brulon, avec les carrosses du Roy et de la Reyne, fut prendre l’ambassadeur de Savoye et l’abbé de La Monta, envoyé de madame de Savoye pour apporter la ratification du traité fait entre le Roy et ladite dame. Il les conduisit à Saint Germain à l’audience de Leurs Majestez, où le Roy leur donna à disner ; veid le cardinal de Richelieu. Puis, ayant demeuré deux mois à Paris, le sieur de Berlize le conduisit avec ledit ambassadeur en mesme ceremonie pour prendre congé de Leurs Majestez. Il eut en present un diamant de deux mille ecus.
La susdite année mil six cens trente huit, le sieur Forbes estant arrivé de Polongne et se disant ambassadeur, le comte de Brulon le fut voir et luy demanda son passeport, dans lequel, ayant trouvé, estant en latin, qu’on ne luy avoit donné que la qualité de Nuncius, quoy qu’il dit qu’en son pays cela se prenoit pour ambassadeur, il ne fut traité que comme gentilhomme envoyé du roy de Polongne. Ledit comte de Brulon le conduisit à Sainct Germain avec les carrosses du Roy et de la Reyne, où il eut audience de Leurs Majestez. Le Roy luy donna à disner. Il veid le cardinal de Richelieu. Et, ayant pris congé avec la mesme ceremonie, le comte de Brulon luy porta une chaisne d’or, avec la medaille du Roy, de quatre à cinq cens ecus, dont il ne fut guere content.
Au mois d’octobre mil six cens trente huit, tous les ambassadeurs eurent audience. Les ambassadeurs extraordinaire et ordinaire d’Angleterre y menerent le sieur de Sainct Ravy, gentilhomme envoyé du roy d’Angleterre, et le sieur Germain de la Reyne sa femme, pour se resjouyr de la naissance de monseigneur le Dauphin. Le sieur de Berlize les fut prendre tous dans les carrosses du Roy et de la Reyne chez l’ambassadeur extraordinaire, pour les conduire à Sainct Germain à l’audience de Leurs Majestez. Le Roy leur y donna à disner, et peu de jours apres, en ayant pris congé de la mesme sorte, ledit sieur de Sainct Ravy eut un diamant de mil ecus et le sieur Germain un de deux mille ecus. Entre leur premiere et dernier audience, le sieur de Bellievre, lors ambassadeur ordinaire pour le Roy, ecrivit en Cour que le Roy d’Angleterre s’estoit plaint que l’on faisoit trop d’honneur à ses gentilshommes envoyez, luy ne les traitant ny ne leur envoyant des carrosses pour aller à l’audience, et que si le Roy le vouloit encore ainsi faire à l’avenir, il falloit doresnavant adjouster cet article à leurs traitez. On pense à ce sujet à l’audience de congé de ces deux messieurs ne les traiter ny leur donner les carrosses, mais on voulut achever de leur faire comme on avoit commencé, et fut des lors resolu de ne traiter ainsi plus ceux d’Angleterre. Le mesme jour, le sieur Knuit, deputé des Estats, la Reyne mere estant en Holande, estant venu pour ses affaires, s’estant rendu à Saint Germain, y eut audience de Leurs Majestez sans aucune ceremonie.
[p. 792] Le vingt cinquieme octobre mil six cens trente huit, le sieur de Berlize, avec les carrosses du Roy et de la Reyne, fut prendre le comte Henry de Nassau, gentilhomme envoyé de la part du prince d’Orange pour se resjouyr de la naissance de monseigneur le Dauphin pour le conduire à Sainct Germain à l’audience de Leurs Majestez, où le Roy luy donna à disner. Ledit de Berlize luy porta un diamant de mil ecus.
Le vingt huitieme octobre mil six cens trente huit, le sieur de Berlize, avec les carrosses du Roy et de la Reyne, fut prendre à son logis le sieur de Ludmar, gentilhomme envoyé du prince palatin, pour le conduire à Saint Germain à l’audience de Leurs Majestez, où le Roy luy envoya à disner.
Au mesme mois d’octobre mil six cens trente huit, le sieur Demsky, soy disant gentilhomme envoyé de Polongne pour s’avancer quelques jours de voir le Roy, disant estre pressé, estant venu au sujet du prince Cazimir, frere dudit roy, prisonnier à Salon en Provence, demanda à voir Leurs Majestez sans ceremonie. Ce qui fut fait, s’estant rendu à Sainct Germain, ledit sieur de Berlize leur presenta, et comme il demanda congé, se mettant en pretention d’estre traité comme les gentilshommes envoyez, on luy demanda son passeport, où ayant trouvé qu’on le luy donnoit aucune qualité, on luy refusa de le traiter comme les gentilshommes envoyez, et on l’obligea de se rendre encore à Sainct Germain seul, où le mesme de Berlize le presenta encore à Leurs Majestez pour en prendre congé sans aucune ceremonie, et mesme partit sans avoir de present.
Ledit mois d’octobre mil six cens trente huit, le sieur de Berlize, avec les carrosses du Roy et de la Reyne, fut prendre l’ambassadeur extraordinaire de Mantoue et le marquis Agnelly, son neveu, gentilhomme envoyé de madame de Mantoue pour se resjouyr de la naissance de monseigneur le Dauphin, pour les conduire à Sainct Germain à l’audience de Leurs Majestez et de mondit seigneur le Dauphin, où le Roy leur donna à disner. A la fin de decembre, il en fut prendre congé en la mesme sorte, puis ledit de Berlize luy porta un diamant de deux mille francs.
Audit mois d’octobre mil six cens trente huit, le sieur Tasson, envoyé du duc de Parme pour se resjouyr de la naissance dudit seigneur le Dauphin, n’ayant veu ny le Roy ny la Reyne, estant tombé malade, le sieur Leonard, agent ordinaire, ayant fait l’office, le sieur de Berlize porta audit Tasson un diamant de cinq cens ecus.
Au mois de decembre 1638, le sieur de Berlize, avec les carrosses du Roy et de la Reyne, fut prendre l’ambassadeur de Savoye et le baron de Pesieux, gentilhomme envoyé de madame, pour donner part au Roy de la mort du petit duc. Il les conduisit à Saint Germain à l’audience de Leurs Majestez, où le Roy leur donna à disner, et prit congé le 25 decembre en la mesme façon. Ledit de Berlize luy porta un diamant de deux mille francs, puis s’en aller en Flandres trouver le prince Thomas, avec la permission du Roy, pour luy donner aussi part de cette nouvelle.
[p. 793] Le trentieme janvier mil six cens trente neuf, le mareschal de Sainct Luc et le sieur de Berlize, avec les carrosses du Roy et de la Reyne, furent à Piquepuce au devant du baillis de Forbin, grand croix et ambassadeur extraordinaire de Malte, et le conduisirent à l’hostel de Sillery, son logis, avec un cortege de soixante carrosses à six chevaux. Tous les princes, ambassadeurs catholiques et quantité de seigneurs ayans envoyé au devant de luy, n’ayant esté ny logé, ny defrayé. Le lendemain, le sieur de Liancourt l’alla visiter de la part du Roy. Le treizieme fevrier, le mareschal de Sainct Luc et le comte de Brulon, avec les carrosses du Roy et de la Reyne, le furent prendre à son logis pour le conduire à Sainct Germain à l’audience de Leurs Majestez, où le Roy luy donna à disner devant que d’y aller. On mit en deliberation s’il se couvriroit ; enfin le comte de Brulon qui en parla au Roy, Sa Majesté se souvenant que le commandeur de Fromigere, ambassadeur extraordinaire de Malte, estant aussi François et capitaine au regiment de ses gardes, s’estoit couvert, resolut qu’il se couvriroit, mais qu’il en useroit modestement et avec respect, comme il fit, ayant fait une petite harangue couvert, apres il parla encore quelque temps au Roy decouvert, comme il fit à la Reyne. Veid aussi monseigneur le Dauphin, estant venu principalement pour se resjouyr avec le Roy de sa naissance, puis les princesses du sang, qu’il baisa, monseigneur le Prince, qui luy donna la main et le titre d’Excellence, et le cardinal de Richelieu. Le dixieme avril, il prit congé de Leurs Majestez, conduit par les mesmes et en la mesme façon à Sainct Germain. Le comte de Brulon luy porta une boette de portrait de diamans de la valeur de quarante mille livres. Puis il partit, non pour retourner à Malte, mais pour aller commander les galeres du Roy en qualité de lieutenant general.
Le quatrieme avril mil six cens trente neuf, le comte de Brulon, avec les carrosses du Roy et de la Reyne, fut prendre l’ambassadeur de Savoye et le sieur Gontery, general des Postes et de la maison de madame et son gentilhomme envoyé, pour les conduire à Sainct Germain, où le Roy leur donna à disner. Et apres fut conduit à l’audience de Leurs Majestez et de monseigneur le Dauphin. Le quatorzieme du mesme mois, il en prit congé en la mesme sorte. Il luy fut porté une chaisne d’or de quatre cens ecus.
Le vingt huitieme may mil six cens trente neuf, le comte de Brulon conduisit à Saint Germain l’ambassadeur de Savoye, le jeune comte de Moret et le baron de La Croix, tous deux gentilshommes envoyez de madame, dans les carrosses du Roy et de la Reyne. Le Roy leur donna à disner, puis ils eurent audience de Leurs Majestez et de monseigneur le Dauphin, qu’ils ne veirent que cette fois. Il leur fut donné à chacun un diamant de deux mille livres. »

Récit par le baron de Breteuil de la visite du roi d’Espagne au roi et à la reine d’Angleterre à Saint-Germain-en-Laye

« [p. 345] [Le 17 novembre 1700], à six heures du soir, le roi et la reine d’Angleterre vinrent de Saint Germain voir le Roi et le roi d’Espagne. […] [p. 346] Si LL. MM. BB. fussent venus par le côté du degré, le roi d’Espagne auroit été le recevoir à cette première visite jusque auprès de l’entrée de la salle des gardes, le Roi en ayant donné l’exemple quand il reçut pour la première fois le même roi d’Angleterre, en 1688, à Saint Germain en Laye, car j’y vis S. M. avancer, à trois ou quatre pas près, jusqu’à l’entrée de la salle des gardes, sur quoi Elle m’a fait l’honneur de me dire à l’occasion de la cérémonie dont il est question aujourd’hui qu’Elle en fit plus ce jour là qu’elle n’en auroit fait dans une autre occasion, parce que dans l’état malheureux qui faisoit pour lors venir le roi d’Angleterre à sa Cour, il falloit passer par-dessus les mesures ordinaires pour lui marquer ce que l’on doit à la majesté royale, en quelque état qu’elle se trouve, et la tendre compassion avec laquelle elle entroit dans ses malheurs. Cependant, cela a fait un exemple, le roi d’Angleterre ayant rendu le réciproque au Roi à la première visite que S. M. lui fut rendre, et l’ayant encore fait au roi d’Espagne comme vous le verrez ci après. Dans toutes les autres visites que le Roi et LL. MM. BB. se sont rendus réciproquement, ils ne vont, pour se recevoir et se reconduire, qu’à la porte de la chambre qui précède celle où se passe la visite, car quoique ici elle se passe toujours dans le cabinet et souvent dans les arrière cabinets du Roi, ce n’est que parce qu’ils veulent être seuls et enfermés.
[…]
[p. 351] Le [23], le roi d’Espagne alla au château de Saint Germain rendre visite au roi, à la reine d’Angleterre et au prince de Galles. Il avoit son grand manteau de deuil. Le duc de Beauvilliers, le marquis de Saumery, ses deux gentilshommes de la manche et son écuyer l’accompagnèrent vêtus de même.
Le roi d’Angleterre le vint recevoir à l’entrée en dedans de la salle des gardes, dont la porte touche à l’escalier. La visite se fit dans la seconde chambre qui est après la salle des gardes, dans laquelle il n’y avoit point de lit. Ils furent assis sur deux fauteuils égaux, et le marquis de Chazeron, lieutenant des gardes du corps, qui avoit pris la queue du manteau du roi d’Espagne à la descente du carrosse, ne la quitta point que dans le moment qu’il s’assit, chose très extraordinaire ainsi que je l’ai déjà remarqué. La même chose se pratiqua chez la reine.
[p. 352] Les deux rois se couvrirent pendant la visite, et le roi d’Angleterre reconduisit S. M. C. jusqu’à l’endroit où il l’avoit été recevoir.
Il passa de là chez la reine, qui est logée de l’autre côté du même degré. Elle le vint pareillement recevoir à la porte en dedans de la salle des gardes, et le conduisit dans sa chambre à coucher où la visite se passa, l’un et l’autre étant assis dans des fauteuils égaux, le roi d’Espagne ayant la droite, et la reine le reconduisit au lieu où elle l’avoit pris.
Et comme l’appartement du prince de Galles est derrière celui du roi son père, ce prince vint recevoir le roi d’Espagne au même endroit où le roi d’Angleterre l’avoit reçu et le conduisit dans sa chambre, qui est trois ou quatre pièces au delà de celle où le roi d’Angleterre avoit reçu la visite du roi d’Espagne. Celle de S. M. C. au prince de Galles se passa debout, après laquelle ce prince reconduisit S. M. C jusqu’à son carrosse, qu’il vit partir. En descendant le degré, le prince de Galles n’affecta point de marcher à côté du roi d’Espagne, mais il marcha toujours devant, comme font les courtisans. »

Le Tonnelier, Louis Nicolas, baron de Breteuil

Récit par la Grande Mademoiselle de séjours de la cour à Saint-Germain-en-Laye

« [p. 11] Vers la fin de l’hiver [décembre 1637], la Reine devint grosse ; elle desira que j’allasse demeurer à Saint Germain. Durant sa grossesse, dont l’on fit beaucoup de mystere, le cardinal de Richelieu, qui n’aimoit point Monsieur, n’etoit pas bien aise que personne qui lui appartient fut auprès de Leurs Majestés ; et quoiqu’il m’eut tenue sur les fonts de bapteme avec la Reine, quoiqu’il me dit, toutes les fois qu’il me voyoit, que cette alliance spirituelle l’obligeoit à prendre soin de moi et qu’il me marieroit, discours qu’il me tenoit ainsi qu’aux enfans, à qui on redit incessamment la meme chose, quoiqu’il temoignat avoir beaucoup d’amitié pour moi, l’on eut néanmoins bien de la peine à lever tous les scrupules que sa mefiance lui faisoit avoir. Quand il eut consenti à mon voyage, j’allai à Saint Germain avec une joie infinie : j’etois si innocente que j’en avois de voir la Reine dans cet etat, et que je ne faisois pas la moindre reflexion sur le prejudice que cela faisoit à Monsieur, qui avoit une amitié si cordiale pour elle et pour le Roi qu’il ne laissa pas d’en etre aise et de le temoigner. L’assiduité que j’avois auprès de la Reine m’en faisoit recevoir beaucoup de marques de bonté et elle me disoit toujours : « Vous serez ma belle fille », mais je n’ecoutois de tout ce que l’on me disoit que ce qui etoit de la portée de mon age.
La cour etoit fort agreable alors : les amours du Roi pour madame de Hautefort, qu’il tachoit de divertir tous les jours, y contribuoient beaucoup. La chasse etoit un des plus grands plaisirs du Roi ; nous y allions souvent avec lui : madame de Beaufort, Chemeraut et Saint Louis, filles de la Reine, d’Escars, sœur de madame de Hautefort, et Beaumont, venoient avec moi. Nous etions toutes vetues de couleur, sur de belles haquenées richement caparaçonnées, et pour se garantir du soleil, chacune avoit un chapeau garni de quantité de plumes. L’on disposoit toujours la chasse du coté de quelques belles maisons, où l’on trouvoit de grandes collations, et au retour le Roi se mettoit dans mon carrosse entre madame de Hautefort et moi. Quand il etoit de belle humeur, il nous entretenoir fort agreablement de toutes choses. Il souffroit dans ce temps là qu’on lui parlat avec assez de liberté du cardinal de Richelieu, et une marque que cela ne lui deplaisoit pas, c’est qu’il en parloit lui meme ainsi. Sitot que l’on etoit revenu, on alloit chez la Reine ; je prenois plaisir à la servir à son souper, et ses filles portoient les plats. L’on avoit, reglement trois fois la semaine, le divertissement de la musique, que celle de la chambre du Roi venoit donner, et la plupart des airs qu’on y chantoit etoient de sa composition ; il en faisoit meme les paroles, et le sujet n’etoit jamais que madame de Hautefort. Le Roi etoit quelquefois dans une si galante humeur qu’aux collations qu’il nous donnoit à la campagne, il ne se mettoit point à table, et nous servoit presque toutes, quoique sa civilité n’eut qu’un seul objet. Il mangeoit après nous et sembloit n’affecter pas plus de complaisances pour madame de Hautefort que pour les autres, tant il avoit peur que quelqu’une s’aperçut de sa galanterie. S’il arrivoit quelque brouillerie entre eux, tous les divertissemens etoient sursis ; et si le Roi venoit dans ce temps là chez la Reine, il ne parloit à personne et personne aussi n’osoit lui parler ; il s’asseyoit dans un coin, où le plus souvent il bailloit et s’endormoit. C’etoit une melancolie qui refroidissoit tout le monde, et pendant ce chagrin il passoit la plus grande partie du jour à écrire ce qu’il avoit dit à madame de Hautefort et ce qu’elle lui avoit répondu : chose si veritable qu’après sa mort l’on a trouvé dans sa cassette de grands procès verbaux de tous les demelés qu’il avoit eus avec ses maitresses, à la louange desquelles l’on peut dire, aussi bien qu’à la sienne, qu’il n’en a jamais aimé que de très vertueuses.
[1638] Sur la fin de la grossesse de la Reine, madame la Princesse et madame de Vendôme vinrent à Saint Germain et y amenerent mesdemoiselles leurs filles. Ce me fut une compagnie nouvelle : elles venoient se promener avec moi, et le Roi s’en trouva fort embarrassé ; il perdoit contenance quand il voyoit quelqu’un à qui il n’etoit pas accoutumé, comme un simple gentilhomme qui seroit venu de la campagne à la cour. C’est une assez mauvaise qualité pour un grand roi, et particulièrement en France, où il se doit souvent faire voir à ses sujets, dont l’affection se concilie plutot par le bon accueil et la familiarité, que par l’austere gravité dont ceux de la maison d’Autriche ne sortent jamais. Monsieur vint aussi à la cour, et peu après la Reine accoucha d’un fils. La naissance de monseigneur le Dauphin me donna une occupation nouvelle : je l’allois voir tous les jours [p. 12] et je l’appelois mon petit mari ; le Roi s’en divertissoit et trouvoit bon tout ce que je faisois. Le cardinal de Richelieu, qui ne vouloit pas que je m’y accoutumasse ni qu’on s’accoutumat à moi, me fit ordonner de retourner à Paris. La Reine et madame de Hautefort firent tout leur possible pour me faire demeurer ; elles ne purent l’obtenir, dont j’eus beaucoup de regret. Ce ne furent que pleurs et que cris quand je quittai le Roi et la Reine ; Leurs Majestés me temoignerent beaucoup de sentimens d’amitié, et surtout la Reine, qui me fit connoitre une tendresse particuliere en cette occasion. Après ce deplaisir, il m’en fallut essuyer encore un autre. L’on me fit passer par Ruel pour voir le cardinal, qui y faisoit sa demeure ordinaire quand le Roi etoit à Saint Germain.
[…]
[p. 14] Le Roi partit de Paris pour le voyage de Roussillon au mois de fevrier de l’année 1642 ; il laissa la Reine et ses deux enfans à Saint Germain en Laye, après avoir donné tous les ordres et pris toutes les precautions possibles pour leur sureté. Ces deux princes etoient sous la charge de madame de Lansac, en qualité de leur gouvernante ; et pour leur garde ils n’eurent qu’une compagnie du regiment des gardes françoises, dont le bonhomme Montigny etoit capitaine, le plus ancien de tout le regiment. Ces deux personnes là eurent chacun un ordre particulier : celui qu’eut madame de Lansac etoit qu’en cas que Monsieur, qui demeuroit à Paris le premier après le Roi, vint voir la Reine, de dire aux officiers de la compagnie de demeurer auprès de monseigneur le Dauphin et de ne pas laisser entrer Monsieur, s’il venoit, accompagner de plus de trois personnes. Quant à Montigny, le Roi lui donna une moitié d’ecu d’or, dont il garda l’autre, avec commandement exprès de ne point abandonner la personne des deux princes qu’il gardoit ; et s’il arrivoit qu’il reçut ordre de les transferer ou de les remettre en les mains de quelque autre, il lui défendit d’y obeir, quand meme il le verroit ecrit de la main de Sa Majesté, si ce n’etoit que celui qui le lui rendroit lui presentat en meme temps l’autre moitié de l’ecu d’or qu’il retenoit.
[…]
[p. 19] Peu après que l’on eut mis madame la comtesse de Fiesque auprès de moi, le Roi tomba malade de la maladie qu’il avoit eue devant le voyage de Perpignon. Cela m’obligeoit à lui rendre mes devoirs, et j’allois souvent [à] Saint Germain. Le Roi prenoit plaisir à mes visites, et me faisoit toujours fort bonne mine ; aussi n’en revenois je jamais que vivement touché de son mal, dont chacun auguroit que la suite seroit funeste. En effet, au commencement du mois d’avril suivant, peu après la disgrâce du sieur des Noyers dont j’ay parlé, il commença à empirer, et ne fit que languir et souffrir jusqu’au [p. 20] quatorzième jour de mai, qui fut celui de son décès. Si le pitoyable état où la maladie avoit réduit son corps donnoit de la compassion, les pieux et généreux sentimens de son ame donnoient de l’edification : il s’entretenoit de la mort avec une résolution toute chretienne ; il s’y etoit si bien preparé, qu’à la vue de Saint Denis par les fenetres de la chambre du chateau neuf de Saint Germain, où il s’etoit mis pour etre en plus bel air qu’au vieux, il montroit le chemin de Saint Denis, par lequel on meneroit son corps ; il faisoit remarquer un endroit où il y avoit un mauvais pas, qu’il recommandoit qu’on evitat, de peur que le chariot ne s’embourbat. J’ai meme ouï dire que durant sa maladie il avoit mis en musique le De profundis qui fut chanté dans sa chambre incontinent après sa mort, comme c’est la coutume de faire aussitot que les rois sont decedés. Il ordonna avec la meme tranquilité d’esprit ce qui seroit à faire pour le bien de l’administration de son royaume quand il seroit mort.
[…]
[p. 47] Peu après, Leurs Majestés sortirent de Paris sous pretexte de faire nettoyer le Palais Royal, et allerent à Ruel. Le chateau de Saint Germain etoit occupé par la reine d’Angleterre, dont le fils, M. le prince de Galles, etoit allé en Hollande. […]
Pendant que la cour etoit à Ruel, le parlement s’assembloit tous les jours pour le meme sujet qu’il avoit commencé : c’etoit pour la révocation de la paulette, et il continuoit à fronder M. le cardinal ; ce qui avoit plus contribué à faire aller la cour à Ruel que le nettoiement du Palais Royal. L’absence du Roi augmenta beaucoup la licence et la liberté avec laquelle l’on parloit dans Paris et le parlement. Ce corps fit meme quelques demarches qui deplurent à la cour ; de sorte qu’elle fut obligée d’aller à Saint Germain, d’où la reine d’Angleterre delogea et vint à Paris. Monsieur, qui couchoit quelquefois à Ruel, y etoit pendant ce temps là et manda à Madame de quitter Paris et d’emmener avec elle ses deux filles, qui etoient très petites, ma sœur d’Orleans et ma sœur d’Alençon. Madame la Princesse manda M. le duc d’Enghien, son petit fils ; et je me trouvai assez embarrassée d’etre la seule de la maison royale à Paris à laquelle on ne mandoit rien. Comme l’on ne doit jamais balancer à faire son devoir, quoique notre inclination ne nous y porte pas, je m’en allai à Ruel, et j’arrivai comme la Reine alloit partir pour Saint Germain. Elle me demanda d’où je venois : je lui dis que je venois de Paris et que, sur le bruit de son départ, je m’etois rendue auprès d’elle pour avoir l’honneur de l’accompagner, et que, quoiqu’elle ne m’eut pas fait l’honneur de me le commander, il m’avoir semblé que je ne pouvois manquer à faire ce à quoi j’etois obligée, et que j’esperois qu’elle auroit assez de bonté pour l’avoir agreable. Elle me repondit par un sourire que ce que j’avois fait ne lui deplaisoit pas, et que c’etoit beaucoup pour moi, après la maniere dont on m’avoit traitée, de voir que l’on me souffroit. Quoique mon procedé meritat bien qu’ils en eussent un obligeant pour moi pour reparer le passé, je temoignai à Monsieur et à l’abbé de La Rivière que je n’etois pas contente que l’on eut envoyé querir jusques aux petits enfans, et qu’à moi l’on ne m’eut dit mot. La reponse ne fut que de gens fort embarrassés. Quand l’on manque envers des personnes qui ne manquent jamais, leur conduite nous coute beaucoup de confusion, et pour l’ordinaire, dans cet etat, l’on tient des discours meilleurs à etre oubliés qu’à etre retenus. Pendant ce voyage, je ne fis ma cour que par la nécessité qui m’y obligeoit. J’etois logée dans la meme maison que la Reine : je ne pouvois manquer de la voir tous les jours ; ce n’etoit pas avec le meme soin et la meme assiduité que j’avois fait depuis la regence : aussi n’y avois-je pas les memes agremens. […]
[p. 48] Pendant que la cour etoit à Saint Germain, on fit force allées et venues pour s’accommoder avec le parlement. Ils envoyerent des deputés qui confererent avec M. le cardinal, en vertu d’une declaration que le Roi donna. Elle est si celebre que, quand il n’y auroit que les registres du parlement qui en feroient mention, ce seroit assez pour m’en dispenser d’en dire davantage. L’on disoit alors (et je l’ai encore oui dire depuis) qu’elle auroit eté fort utile pour le bien de l’Etat et le repos public, si elle fut demeurée en son entier. Il est à croire qu’elle n’est pas tout à fait conforme à l’autorité du Roi, puisqu’il [p. 49] sembloit qu’elle avoit eté obtenue quasi par force, et donnée à dessein d’apaiser les troubles dont l’on etoit menacé si on l’eut refusée. Les connoisseurs et les politiques jugeront mieux que je ne pourrois faire si on a eu raison de l’enfreindre.
Madame accoucha, pendant le séjour de Saint Germain, d’une fille que l’on appela mademoiselle de Valois ; comme elle est délicate, elle ne put venir à Paris avec la Cour, qui partit la veille de la Toussaint pour s’y rendre.
[…]
[p. 49] Pendant que la Cour fut à Paris, elle n’y eut pas tout le contentement qu’elle pouvoit desirer ; cela obligea M. le cardinal de conseiller d’en sortir : ce qui etoit un dessein un peu hardi lorsqu’on consideroit l’incertitude de l’evenement. Comme Monsieur et M. le Prince etoient les gens les plus interessés au bien de l’Etat, il voyoit que selon toute vraisemblance ils en devoient etre les maîtres, et que ce qui pourroit arriver de ce conseil tomberoit plutôt sur eux que sur lui. La suite a fait voir que l’on eut pu se passer de ce voyage, qui a eté cause de tous les facheux troubles qui ont suivi, et de l’absence de M. le Prince, qui est à compter pour beaucoup. Monsieur et M. le Prince disoient que le cardinal eut beaucoup de peine à les faire consentir à ce dessein ; ils y consentirent enfin, et ils disent aussi s’en etre bien repentis depuis : ils l’ont dû faire, ils en ont bien pati tous deux. Monsieur avoir la goutte depuis quelque temps, et deux jours avant le départ la Reine alla tenir conseil chez lui ; ce fut là que la dernière résolution de ce voyage se prit. L’on trouva que la nuit du jour des Rois etoit propre pour ce dessein, pendant que tout le monde seroit en débauche, afin d’etre à Saint Germain avant que personne s’en aperçût. J’avois soupé ce jour là chez Madame, et toute la soirée j’avois eté dans la chambre de Monsieur, où quelqu’un de [p. 50] ses gens me vint dire en grand secret que l’on partoit le lendemain, ce que je ne pouvois croire à cause de l’etat où Monsieur etoit. Je lui allai debiter cette nouvelle par raillerie ; le silence qu’il garda là dessus me donna lieu de soupçonner la verité du voyage. Il me donna le bonsoir un moment après, sans avoir rien répondu. Je m’en allai dans la chambre de Madame ; nous parlames longtemps là dessus : elle etoit de la meme opinion que moi, que le silence de Monsieur marquoit la verité de ce voyage. Je m’en allai à mon logis assez tard.
Entre trois et quatre heures du matin, j’entendis heurter fortement à la porte de ma chambre ; je me doutai bien de ce que c’etoit : j’éveillai mes femmes et envoyai ouvrir ma porte. Je vis entrer M. de Comminges ; je lui demandai : « Ne faut il pas s’en aller ? » Il me repondit : « Oui, Mademoiselle ; le Roi, la Reine et Monsieur vous attendent dans le Cours, et voilà une lettre de Monsieur ». Je la pris, la mis sous mon chevet et lui dis : « Aux ordres du Roi et de la Reine, il n’est pas necessaire d’en joindre de Monsieur pour me faire obeir ». Il me pressa de la lire ; elle contenoit seulement que j’obeisse avec diligence. La Reine avoit désiré que Monsieur me donnat cet ordre, dans l’opinion que je n’obeirois pas au sien et que j’aurois été ravie de demeurer à Paris pour me mettre d’un parti contre elle ; car contre le Roi, je ne vis jamais personne qui avouat d’en avoit eté, c’est toujours contre quelque autre personnage que le Roi. Si elle ne s’etoit pas plus trompée en tout ce qu’elle auroit pu prevoir qu’en cette crainte, elle auroit eté plus heureuse et auroit eu moins de chagrin. Jamais rien ne fut si vrai que ce que j’ai pensé cent fois depuis.
Au moment que M. de Comminges me parla, j’etois toute troublée de joie de voir qu’ils alloient faire une faute, et d’etre spectatrice des miseres qu’elle leur causeroit : cela me vengeoit un peu des persécutions que j’avois souffertes. Je ne prevoyois pas alors que je me trouverois dans un parti considerable, où je pourrois faire mon devoir et me venger en meme temps : cependant, en exerçant ces sortes de vengeances, l’on se venge bien contre soi-meme. Je me levai avec toute la diligence possible, et je m’en allai dans le carrosse de Comminges ; le mien n’etoit pas pret, ni celui de la comtesse de Fiesque. La lune finissoit, et le jour ne paroissoit pas encore ; je recommandai à la comtesse de Fiesque de m’amener au plus tot mon équipage. Lorsque je montai dans le carrosse de la Reine, je dis : « Je veux etre au devant ou au derriere du carrosse, je n’aime pas le froid et je veux etre à mon aise ». C’etoit en intention d’en faire ôter madame la Princesse, qui avoit accoutumé d’etre en l’une des deux places. La Reine me répondit : « Le Roi mon fils et moi nous y sommes, et madame la Princesse la mere ». Je repondis : « Il l’y faut laisser, les jeunes gens doivent les bonnes places aux vieux ». Je demeurai à la portiere avec M. le prince de Conti ; à l’autre etoit madame la Princesse la fille et madame de Seneçay. La Reine me demanda si je n’avois pas eté bien surprise ; je lui dis que non, et que Monsieur me l’avoit dit, quoiqu’il n’en fut rien. Elle me pensa surprendre en cette menterie, parce qu’elle me demanda : « Comment vous etes vous couchée ? » Je lui repondis : « J’ai eté bien aise de faire provision de sommeil, dans l’incertitude si j’aurois mon lit cette nuit ». Jamais je n’ai vu une creature si gaie qu’elle etoit ; quand elle auroit gagné une bataille, pris Paris, et fait pendre tous ceux qui lui auroient deplu, elle ne l’auroit pas plus eté, et cependant elle etoit bien eloignée de tout cela.
Comme l’on fut arrivé à Saint Germain (c’etoit le jour des Rois), l’on descendit droit à la chapelle pour entendre la messe, et tout le reste de la journée se passa à questionner tous ceux qui arrivoient, sur ce que l’on disoit et faisoit à Paris. Chacun en parloit à sa mode, et tout le monde etoit d’accord que personne ne temoignoit de deplaisir du depart du Roi. L’on battoit le tambour par toute la ville, et chacun prit les armes. J’etois en grande inquiétude de mon equipage ; je connoissois madame la comtesse de Fiesque d’une humeur timide mal à propos, et dont je craignois de patir, comme je fis : elle ne voulut point sortir de Paris dans la rumeur, ni faire passer mon équipage : ce qui m’etoit le plus necessaire ; quant à elle, je m’en serois bien passée. Elle m’envoya un carrosse, qui passa parmi les plus mutins sans qu’on lui dit rien ; le reste auroit passé de meme. Ceux qui etoient dedans reçurent toutes sortes de civilités, quoique ce fut de la part de gens qui n’en font guère ; et cela me fut rapporté. Elle m’envoya dans ce carrosse un matelas et un peu de linge. Comme je me vis en si mauvais équipage, je m’en allai chercher secours au chateau neuf, où logeoient Monsieur et Madame, qui me preta deux de ses femmes de chambre : comme elle n’avoit pas toutes ses hardes non plus que moi, le tout alla plaisamment. Je me couchai dans une fort belle chambre en galetas, bien peinte, bien dorée et grande, avec peu de feu, et point de [p. 51] vitres ni de fenetres, ce qui n’est pas agreable au mois de janvier. Mes matelas etoient par terre, et ma sœur, qui n’avoit point de lit, coucha avec moi. Il falloit chanter pour l’endormir, et son somme ne duroit pas longtemps ; elle troubla fort le mien ; elle se tournoit, me sentoit auprès d’elle, se reveilloit et crioit qu’elle voyoit la bete ; de sorte que l’on chantoit de nouveau pour l’endormir, et la nuit se passa ainsi. Jugez si j’etois agréablement pour un personne qui avoit peu dormi l’autre nuit, et qui avoit eté malade tout l’hiver de maux de gorge et d’un rhume violent ! Cependant toute cette fatigue me guerit. Heureusement pour moi les lits de Monsieur et de Madame vinrent : Monsieur eut la bonté de me donner sa chambre, il avoit couché dans un lit que M. le Prince lui avoit prêté. Comme j’etois dans la chambre de Monsieur, où l’on ne savoit point que je logeasse, je me reveillai par le bruit que j’entendis ; j’ouvris mon rideau : je fus fort étonnée de voir ma chambre toute pleine de gens à grands collets de buffle, qui furent fort étonné de me voir, et que je connoissois aussi peu qu’ils me connoissoient. Je n’avois point de linge à changer, et l’on blanchissoit ma chemise de nuit pendant le jour, et ma chemise de jour pendant la nuit ; je n’avois point mes femmes pour me coiffer et habiller, ce qui est très incommode ; je mangeois avec Monsieur, qui fait très mauvaise chère. Je ne laissois pas pour cela d’etre gaie, et Monsieur admiroit que je ne me plaignois de rien. Pour Madame, elle n’etoit pas de meme : aussi suis je une créature qui ne m’incommode de rien, et fort au dessus des bagatelles. Je demeurai ainsi dix jours chez Madame, au bout desquels mon equipage arriva, et je fus fort aise d’avoir toute mes commodités. Je m’en allai loger au chateau vieux, où etoit la Reine ; j’etois resolue, si mon equipage ne fut venu, d’envoyer à Rouen me faire faire des hardes et un lit : et pour cela je demandai de l’argent au tresorier de Monsieur, et l’on m’en pouvoit bien donner, puisque l’on jouissoit de mon bien ; si l’on m’en eut refusé, je n’aurois pas laissé de trouver qui m’en eut preté. […]
Les occasions de combat ne furent pas frequentes pendant cette guerre : elle dura peu, et l’on fut longtemps à Saint Germain sans que les troupes qui devoient assiéger Paris fussent venues. L’on n’eut jamais dessein de l’assieger dans les formes ; la circonvallation eut été un peu trop grande, et l’armée trop petite. L’on se contenta de la separer en deux quartiers, l’un à Saint Cloud et l’autre à Saint Denis : c’etoit celui de Monsieur, et l’autre de M. le Prince. L’on prenoit quelquefois des charrettes de pain de Gonesse et quelques bœufs, et l’on venoit le dire en grande hate à Saint Germain : l’on faisoit des prisonniers, et c’etoient gens peu considerables. La grande occasion fut à Charenton, que l’on prit en deux heures ; Monsieur et M. le Prince y etoient en personne : ils y assistèrent tous deux à leur ordinaire, et celui qui le defendoit s’appeloit Clanleu. Il avoit eté à Monsieur, et l’avoit quitté : il ne vouloit point de quartier. M. de Châtillon y fut blessé, et mourut le lendemain au bois de Vincennes, [p. 52] et M. de Saligny, tous deux de la maison de Coligny. Il arriva une aventure assez remarquable, et qui paroît plutôt un roman qu’une vérité. Le marquis de Cugniac, petit fils du vieux marechal de La Force, qui etoit dedans, voulut se sauver et se jeter sur un bateau ; la riviere etoit gelée et un glaçon le porta de l’autre côté de l’eau, et meme plusieurs ont dit qu’il le porta jusqu’à Paris.
Après cet exploit, les deux armées furent assez longtemps en bataille entre le bois de Vincennes et Piquepus, et personne ne se battit. L’on eut une grande joie à Saint Germain de cette expedition : il n’y eut que madame de Châtillon qui fut affligée. Son affliction fut moderée par l’amitié que son mari avoit pour mademoiselle de Guerchy, et meme dans le combat il y avoit une de ses jarretieres nouée à son bras : comme elle etoit bleue, cela la fait remarquer, et en ce temps là l’on n’avoit pas encore vu d’écharpe de cette couleur. La magnificence n’etoit pas grande à Saint Germain : personne n’avoit tout son équipage ; ceux qui avoient des lits n’avoient point de tapisseries, et ceux qui avoient des tapisseries n’avoient point d’habits, et l’on y etoit très pauvrement. Le Roi et la Reine furent longtemps à n’avoir que des meubles de M. le cardinal. Dans la crainte que l’on avoit à Paris de laisser sortir les effets du cardinal sous pretexte que ce fussent ceux du Roi et de la Reine, ils ne vouloient rien laisser sortir, tant l’aversion etoit grande. Cela n’est pas sans exemple que les peuples soient capables de haïr et d’aimer les memes gens en peu de temps, et surtout les François. Le Roi et la Reine manquoient de tout, et moi j’avois tout ce qu’il me plaisoit, et ne manquois de rien. Pour tout ce que j’envoyois quérir à Paris, l’on donnoit des passeports, on l’escortoit ; rien n’etoit égal aux civilités que l’on me faisoit.
La Reine me pria d’envoyer un chariot pour emmener de ses hardes ; je l’envoyai avec joie, et l’on en a assez d’etre en état de rendre service à de telles gens, et de voir que l’on est en quelque consideration. Parmi les hardes que la Reine fit venir, il y avoit un coffre de gants d’Espagne ; comme on les visitoit, les bourgeois commis pour cette visite, qui n’etoient pas accoutumés à de si fortes senteurs, eternuerent beaucoup, à ce que rapporta le page que j’avois envoyé, et qui etoit mon ambassadeur ordinaire. La Reine, Monsieur et M. le cardinal rirent fort à l’endroit de cette relation, qui etoit sur les honneurs qu’il avoit reçus à Paris. Il etoit entré au parlement à la grand’chambre, où il avoit dit que je l’envoyois pour apporter des hardes que j’avois laissées à Paris ; on lui dit que je n’avois qu’à témoigner tout ce que je desirerois, que je trouverois la compagnie toujours pleine de tout le respect qu’elle me devoit, et enfin ils lui firent mille honnetetés pour moi. Mon page disoit aussi qu’en son particulier on lui en avoit beaucoup fait. Il ne fut point etonné de parler devant la Reine et M. le cardinal ; pour Monsieur, il l’avoit vu souvent, et lui alloit parler de ma part. Il eut une longue audience, il fut fort questionné : il avoit vu tout ce qui se passoit à Paris, où je ne doute pas qu’on ne l’eût aussi beaucoup questionné ; et pour un garçon de quatorze ou quinze ans, il se demela fort bien de cette commission. Depuis, Monsieur et toute la cour ne l’appeloient plus que l’ambassadeur ; et quand je fus à Paris, il alloit voir tous ces messieurs, et etoit si connu dans le parlement qu’il y recommandoit avec succès les affaires de ses amis. […]
[p. 53] La Reine alloit tous les jours aux litanies à la chapelle, et elle se mettoit dans un petit oratoire au bout de la tribune où les autres demeuroient ; et comme la Reine demeuroit longtemps après qu’elles etoient dites, celles qui n’avoient pas tant de dévotion s’amusoient à causer, et l’on observa que M. de Saint Mesgrin parloit à madame la Princesse. Pour moi, je n’en voyois rien : j’etois dans l’oratoire avec la Reine, où le plus souvent je m’endormois, parce que je n’etois pas une demoiselle à si longues prières ni à méditations. […]
Quand l’on parla de paix, je m’en souciois peu : je ne songeois en ce temps là qu’à mes divertissemens. Je me plaisois fort à Saint Germain, et j’aurois souhaité y pouvoir passer toute ma vie. Le bien public n’etoit pas alors trop connu de moi non plus que celui de l’Etat, quoique par ma naissance on y ait assez d’intérêt ; mais quand on est fort jeune et fort inapliquée, on a pour but que le plaisir de son âge. Il y eut plusieurs conferences à Ruel avec M. le Prince et le cardinal Mazarin : comme le detail en est su de tout le monde, je ne m’embarquerai ici en aucune affaire, parce que je n’en ai pas une parfaite connoissance ; et pour ne m’en pas donner la peine, je dirai seulement que je ne crois pas qu’elle fut fort avantageuse au Roi. Je fus des premieres qui allai à Paris dès que la paix fut faite ; je demandai congé à la Reine et à Monsieur d’y aller ; madame de Carignan y vint avec moi. Comme je n’y avois aucune affaire, je n’aurois pas demandé congé si je n’avois eu un beau prétexte, savoir de visiter la reine d’Angleterre sur la mort du roi, son mari, auquel le parlement d’Angleterre avoit fait couper la cour il n’y avoit que deux mois. L’on n’en porta point le deuil à la Cour, c’est à dire comme on l’auroit dû ; il n’y eut que les personnes et point les équipages, faute d’argent : la raison est bien [p. 54] pauvre. Quand j’ai parlé ci devant de la miserable situation où l’on etoit, j’avois oublié de dire que nous etions à Saint Germain en l’etat où nous voulions mettre Paris : l’intention etoit de l’affamer, et néanmoins les habitans y avoient tout en abondance, et à Saint Germain l’on manquoit souvent de vivres ; les troupes qui etoient aux environs prenoient tout ce qu’on y apportoit. Ainsi l’on etoit quasi affamé : ce qui faisoit souvent dire que M. le cardinal ne prenoit pas bien ses mesures, et que c’etoit ce qui empêchoit les affaires de bien réussir.
[…]
[p. 60] Le roi d’Angleterre, qui ne devoit etre que quinze jours en France, y fut trois mois. Comme la cour etoit à Paris, et lui avec la reine, sa mere, à Saint Germain, on les voyoit peu. Lorsque je suis qu’il etoit sur son départ, j’allai rendre mes devoirs à la reine, sa mere, et prendre congé de lui. La reine d’Angleterre me dit : « Il faut se réjouir avec vous de la mort de l’imperatrice : il y a apparence que si cette affaire a manqué autrefois, elle ne manquera pas celle ci ». Je lui répondis que c’etoit à quoi je ne songeois pas. Elle poursuivit ce discours, et me dit : « Voici un homme qui est persuadé qu’un roi de dix huit ans vaut mieux qu’un empereur qui en a cinquante, et quatre enfans ». Cela dura longtemps en manière de picoterie, et elle disoit : « Mon fils est trop gueux et trop miserable pour vous ». Puis elle se radoucit et me montra une dame angloise dont son fils etoit amoureux, et me dit : « Il apprehende tout à fait que vous ne le sachiez, voyez la honte qu’il a de la voir où vous etes, dans la crainte que je ne vous le dise ». Il s’en alla. Ensuite, la reine me dit : « Venez dans mon cabinet ». Comme nous y fumes, elle ferma la porte et me dit : « Le roi, mon fils m’a priée de vous demander pardon si la proposition que l’on vous a faite à Compiègne vous a deplu : il en est au desespoir, c’est une pensée qu’il a toujours et de laquelle il ne peut se defaire ; pour moi, je ne voulois pas me charger de cette commission ; il m’en a priée si instamment que je n’ai jamais pu m’en défendre. Je suis de votre avis : vous auriez été miserable avec lui, et je vous aime trop pour l’avoir pu souhaiter, quoique ce fut son bien que vous aussiez été compagne de sa mauvaise fortune. Tout ce que je puis souhaiter, est que son voyage soit heureux, et qu’après vous veuillez bien de lui ». Je lui fis là dessus mes complimens le miex qu’il me fut possible. »
[…]
[p. 375] [1662] Le Roi se promenoit souvent pendant l’hiver avec la Reine : il avoit eté avec elle deux ou trois fois à Saint Germain, et l’on disoit qu’il avoit regardé La Motte Houdancourt, une des filles de la Reine, et que La Valliere en etoit jalouse.
[…]
[p. 392] [1665] La Cour alla à Saint Germain et faisoit souvent des voyages à Versailles. Madame s’y blessa et y accoucha d’une fille qui etoit morte il y avoit dejà dix ou douze jours ; elle etoit quasi pourrie ; ce fut une femme de Saint Cloud qui la servir : l’on n’eut pas le temps d’aller à Paris en chercher une. On eveilla le Roi et l’on fit chercher le curé de Versailles, pour voir si cette fille etoit en état d’etre baptisée. Madame de Thianges lui dit de prendre garde à ce qu’il feroit : qu’on ne refusoit jamais le bapteme aux enfans de cette qualité. Monsieur, à la persuasion de l’eveque de Valence, vouloit qu’on l’enterrat à Saint Denis. J’etois à Paris ; j’allai droit à Versailles pour rendre ma visite à Madame. Dès le meme soir, Monsieur alla coucher à Saint Germain, où je trouvai la Reine affligée de ce que cette fille n’avoit pas eté baptisée, et blamoit Madame d’en etre cause par toutes les courses qu’elle avoit faites sans songer qu’elle etoit grosse. Madame disoit qu’elle ne s’etoit blessée que de l’inquietude qu’elle avoit eue que le duc d’York n’eut été tué, parce qu’on lui avoit parlé d’une bataille qu’il venoit de donner sur mer, sans lui dire s’il en etoit revenu.
On laissa Madame dès le meme jour de ses couches, parce que la reine mère d’Angleterre arrivoit et qu’on vouloit lui laisser le logement de Versailles : elle venoit de voir son fils. Le Roi alla au devant d’elle jusqu’à Pontoise dans l’abbaye de Saint Martin, dont Edme de Montaigu etoit abbé. La reine mère d’Angleterre, arrivée comme je le viens de dire, ne paroissoit pas satisfaite de la beauté de sa belle fille ; elle etoit charmée de sa pieté et disoit qu’elle n’avoit jamais tant vu prier Dieu ni de si bonne foi qu’elle le faisoit.
Je ne fus pas longtemps à la cour, parce que la saison de prendre les eaux de Forges venoit. Je m’y en allai ; j’avois dejà commencé à boire qu’il vint un courrier m’avertir que la Reine mere se mouroit. Je partis en relais de carrosse, j’arrivais à dix heures du roi à Pontoise, où l’assemblée du clergé se tenoit. J’y trouvai M. l’archeveque de Paris, qui l’etoit en ce temps là de Rouen, qui me dit que la Reine mère se portoit mieux. Je m’en allai coucher aux Carmelites : le lendemain, j’allais diner à Saint Germain, où le Roi, la Reine et la Reine mere me temoignèrent mille amitiés sur l’empressement avec lequel j’etois venue. Je vis que la maladie n’etoit plus dangeureuse : je m’en retournai continuer de prendre les eaux.
[…]
[p. 394] [20 janvier 1666] J’entendis sonner la grosse clocher de Notre-Dame : comme on ne le fait jamais que dans de grandes occasions, je dis : « L’on croit la Reine morte ». Un moment après Monsieur fit un grand cri ; le medecin entra, le Roi lui dit : « Elle est donc [p. 395] morte ! » Il lui dit : « Oui, Sire ». Il me dit à pleurer comme un homme penetré de douleur. Madame de Fleix porta ses clefs au Roi ; l’on alla dans son cabinet chercher son testament, qui fut lu devant toute la parenté, à la reserve de Monsieur, qui ne voulut pas y demeurer. Après que M. Le Tellier eut achevé la lecture, le Roi monta en carrosse pour s’en aller, et je m’en allai chez moi me coucher.
Le lendemain et les deux jours suivans, je fus extremement visité de toutes les dames qui alloient à Saint Germain avec leurs mantes : elles vinrent chez moi avec le meme habit. J’allai conduire le chœur au Val de Grâce. […] Le lendemain, j’allai diner à Saint Germain, pour recevoir les ordres du Roi pour conduire le corps à Saint-Denis. Il etoit au conseil, où j’allai lui parler devant les ministres.
[…]
[p. 398] [1666] Le Roi fit tendre ses tentes dans la garenne de Saint Germain ; elles etoient très belles : il y avoit des appartemens complets comme dans une maison. Le Roi y donna une grande fete ; madame de Montausier y tint une petite table, où j’envoyai Châtillon et Créqui, et je n’en gardai qu’une pour etre à celle de la Reine. Madame de Montausier avoit la sienne dans le meme lieu ; toutes les personnes qu’elle y fit mettre etoient ou devoient etre de celles qui peuvent manger avec la Reine.
[…]
[p. 402] [1668] Le Roi s’en alla au mois de janvier à Saint Germain pour y mener la Reine et M. le Dauphin, d’où il partit pour s’en aller en Franche Comté. M. le Prince y etoit, avec des troupes qu’il avoit feint de tenir auprès de lui pour y tenir les Etats.
[…]
[p. 407] [1669] Après avoir appris toutes ces nouvelles, je m’en allai à Saint Germain, où je passai l’hiver sans faire de voyages à Paris comme j’avois acccoutumé de faire ; c’est à dire qu’avant cela j’y demeurois quinze jours et cinq ou six jours à la Cour. Cet hiver, sans savoir quasi pourquoi, je ne pouvois souffrir Paris ni sortir de Saint Germain. Lorsque j’y etois, une de mes filles eut la petite verole ; cet accident m’empecha d’aller à la Cour pendant quatre ou cinq jours ; je les passai à Paris avec beaucoup de langueur ; je me souviens que je fus très aise lorsqu’on me fit savoir que je pouvois retourner à la Cour. Je voyois M. de Lauzun chez la Reine, avec qui je prenois un très grand plaisir de causer ; je lui trouvois sous les jours plus d’esprit et plus d’agrement à ce qu’il disoit qu’à toute autre personne du monde. Il se tenoit toujours réservé dans les termes de soumission et de respect que les autres gens ne peuvent imiter.
[…]
[p. 408] M. le chevalier de Lorraine fut arreté au chateau neuf, lorsqu’il etoit dans une chambre renfermé avec Monsieur. Le comte d’Ayen le fit demander pour lui parler ; il vint et M. d’Ayen l’arreta. Le chevalier de La Hillière, qui etoit avec lui, dit à M. le comte d’Ayen de lui faire rendre son épée : ce qu’il fit ; et après ils le menerent dans la chambre du capitaine des gardes du corps dans le Louvre et ensuite coucher dans une maison dans le bourg. Il fut conduit à Lyon.
[…]
[p. 409] Monsieur et Madame revinrent de Villers Cotterets ; elle avoit un grand appartement de plain pied à celui du Roi ; et quoiqu’elle logeat avec Monsieur au chateau neuf, lorsqu’elle en etoit sortie le matin, elle passoit les après dinées au vieux chateau, où le Roi lui parloit plus aisement des affaires qu’elle negocioit avec le roi d’Angleterre, son frere. Depuis la disgrâce du chevalier de Lorraine, elle s’etoit accoutumée à me parler.
[…]
[p. 411] [1670] Il vint un bruit que le Roi rendoit la Lorraine, et qu’on me devoit marier au prince Charles ; je crus que c’etoit une heureuse occasion pour mettre M. de Lauzun en etat et aux termes de pressentir la situation où je me trouvois, et de me parler du sien. Je l’envoyai prier de me venir trouver à ma chambre, qui n’etoit pas bien loin de la sienne ; il me falloit meme passer devant sa porte lorsque j’allois chez la Reine. L’on me vint dire qu’il n’etoit pas dans sa chambre. Il etoit grand ami de Guitry, et il etoit souvent avec lui dans un appartement extraordinaire qu’il s’etoit fait accommoder : je me servis du prétexte de ma curiosité à le vouloir voir ; je ne doutai pas que je n’y trouvasse M. de Lauzun avec lui ; je m’etois trompée. Lorsque je descendis chez la Reine, je le vis qui parloit à la comtesse de Guiche.
[…]
[p. 422] [1670] Lorsque j’arrivai à Saint-Germain, je trouvai qu’on avoit mis les maçons dans ma chambre, qui ne pouvoient avoir fini leur travail de huit jours. Malgré ma repugnance et mon degout d’etre à Paris, il me fallut de necessité y aller. Je m’y serois ennuyée à la mort, sans que le Roi alla passer quelques jours à Versailles ; j’y courus avec beaucoup de diligence. »

Anne-Marie-Louise d’Orléans

Récit par William Shepherd de sa visite à Saint-Germain-en-Laye

« [p. 167] At the extremity of the forest, we found the town of St. Germaine, where we took breakfast, and then repaired to the terrace of the palace, which commands a charming view of the adjacent country. On the left and in the centre of the prospect we saw St. Denis and Paris ; and on the right Malmaison, St. Cloud, and the district of Versailles. On the ever memorable 30th of March, this spot was crowded with people, who distinctly saw, with various and undescribable emotions, the battle which preceded the surrender of Paris. We found the palace, which is a gloomy and inelegant brick building, surrounded by stone walls and a deep ditch, over which, opposite [p. 168] the gate, was thrown a draw-bridge. The whole edifice had the air of a state prison ; and, on enquiry, we found, that it might well class with buildings of that description. It was Napoleon’s principal military school ; and his method of supplying it with pupils, affords an instance of that tyranny in detail, which was, no doubt, one of the primary causes of his ruin. Whenever he was apprised, by his agents that any individual of rank and wealth had a son who was strong, active, and spirited, and the youth had attained the age of sixteen or seventeen, the Emperor addressed a letter to the parent, congratulating him on the early promise of his child, and gracioulsy offering, if he destined him for the army, to admit him into his school at St. Gemaine ; and promising, on his good behaviour, to cause him to make his way rapidly in the service. This letter was well understood to be a command. The young man was accordingly severed from his domestic connections. He was shut up in the palace, where, for the space of three [p. 169] years, he was precluded from personal communication with his friends ; and employed, from five in the morning till ten at night, in studying, scientifically and practically, the military art. At the expiration of that time he was liberated from confinement, and sent, with a commission in his pocket, to join the regiment to which it was thought expedient to attach him. When we consider the waste of life which was occasioned by Bonaparte’s campaigns, we may easily conceive that the pupils of his military academies were regarded ad for ever lost to their relatives and friends. Four hundred youths were at this time immured in the palace, and were to be restored to their parents on the breaking up of the establisment, which we undestood was to take place in two days from the period of our visit. What a subject must this gaol-delivery afford to the pen of a sentimental traveller, should any such character witness the transaction ! Our guide, from whom we obtained this information, was a retired soldier who had an allowance [p. 170] as an invalid, of eight sous a day. He acknowledged that most of the military were friendly to Bonaparte, but still was of opinion, that the sentiments of the nation at large would preclude his re-establishment on the throne. »

Shepherd, William

Récit par Thomas Thornton de sa visite à Saint-Germain-en-Laye

« [p. 57] We next arrived at a bridge which is peculiarly interesting from the situation in which it is placed. To the right appears an extensive succession of forest-scenery, diversified with chateaus, all built of stone, which, at a distance, assume the appearance of rocks, while the Seine beautifully meanders through an adjacent valley. To the left appears an expanded plain, with the river, which continually catches the eye, reflecting the beams of an unclouded sun, whilst a great number of towns, some of them of considerable magnitude, appear in front. The most prominent feature, however, is the forest of St. Germain, famous for the amusements of the chase which it afforded the kings of France, while that country could boast of kings. This celebrated forest is cut into rides, or green allées, three miles in length. The ground is too flat to give an air of grandeur to the scenery; but, speaking as a sportsman, that circumstance contributes to its real excellence, as the flatter the [p. 58] country the better for the chase. The First Consul has lately taken this forest under his special protection, and, as the game, which was almost extirpated during the revolution, is now replenishing, it will probably soon resume its ancient celebrity.
We arrived at St. Germain about five o’clock, and found the town, which is four leagues from Paris, superior to any we had hitherto seen in France, being entirely built of white stone. We dined at a beautiful inn called the Grand Cerf, and were glad to retire early to rest. This place is particularly worthy the notice of strangers, as having been the birth-place of Louis XIV and the residence of James II after his abdication of the throne of England.
The morning proving fine, we took an early breakfast, that we might have leisure to visit those places worthy of inspection. The palace is a grand pile of building, but, being converted into barracks, it is now considerably out of repair, although there are still many vestiges of its pristine magnificence. Most of the windows are broken, and the words Liberty and Equality are written every where on the walls, on those very walls which once formed the habitation of despotic power. How the Goddess of Liberty likes her present residence in France, I have not leisure to examine. England, you know, she has long made the place of her favourite sejour, but if our Gallic neighbours have not decoyed her away, they have, at least, set up her representative.
I must not omit mentioning the terrace, which commands a most sublime prospect; nor could I avoid recalling to my recollection the late unfortunate inhabitants of the sumptuous palace. The contemplation was unpleasant, and my spirits became still more depressed by a short conversation which took place between myself and our grey-headed conductor. He gave us to understand, that the remembrance of their decapitated master still reigned in the hearts of the inhabitants. He also [p. 59] complained much of the existing government, in consequence of which (though naturally averse to argue any point with persons of his description) I requested to know his reasons for thinking as he did? He replied, that bread was so dear. “But, my worthy citizen”, said I, “can the First Consul command the seasons?” “Monsieur”, said the old man, while the tears trickled down his cheeks, “Vous avez raison, je vois que j’ai eu tort”. I gave him a trifling present, and we parted, probably never to meet again.
I must observe, that the chief consul has hunted four or five times at St. Germain. But, as the stags are yet very scarce, he comes privately, and amuses himself, attended only by four of five general officers. He always rides very hard, and is particularly fond of horses. »

Thornton, Thomas

Récit par Thomas Raffles de son passage à Saint-Germain-en-Laye

« At Saint Germain en Laye we stopped to take a view of the palace. It is a gloomy structure, built of a dark-coloured brick, and has more the apperance of a prison than a palace. It was the retreat of the fugitive James II of England ; and here, worn with vexation and grief, he expired. It was originally designed by its founder, Francis I, as a hunting seat for the kings of France, when they enjoyed the diversion of the chase in the adjoining forest of Laye. It has been much neglected of late, however, and has greatly suffered from the Prussian soldiers, by whom it was occupied as barracks during the late war. From the terrace is a very extensive prospect, and Paris is distinctly seen in the distance. The town of St. Germain is chiefly built of stone – the streets are wide, the houses, generally, are on a grand scale, and there is an air of magnificence about the whole. The approach to it, by a spacious avenue through the forest, is extremely fine. In this forest Napoleon took great delight, and there he used frequently to hunt. »

Raffles, Thomas

Récit par Thomas Platter de sa visite aux châteaux de Saint-Germain-en-Laye

« [p. 212] Le 28 novembre, je quittai Paris avec plusieurs personnes et j'arrivai par le village de Roully au port de Nelly ; la Seine a deux bras en cet endroit, nous les avons traversés tous les deux. Nous sommes arrivés au bourg de Nanterre, et nous avons [p. 213] retrouvé le fleuve au village du Pecq, où nous avons traversé de nouveau les deux bras de la Seine. Enfin, en gravissant là une colline, nous sommes arrivés à la ville ou au bourg de Saint-Germain-en-Laye, et nous sommes descendus à l'hôtel de l'Image de Notre-Dame. La ville est située à quatre lieues de Paris.
Saint-Germain-en-Laye est une ville ou un bourg où il n'y a rien de remarquable à voir, à l'exception de ses deux magnifiques châteaux royaux, le vieux et le neuf, et c'est pour les voir que j'y suis allé ; ils sont tous deux à proximité de la Seine.
Le 29 novembre au matin, car nous étions arrivés la veille, fort tard dans la soirée, nous avons visité le vieux château, que le roi n'habite plus, mais qui n'en est pas moins un château royal.
Le toit est garni de grosses pierres de taille et est tout à fait plat ; les quatre façades sont en briques.
A l'intérieur, il y a un bel escalier tournant qui est très vaste, et on y voit de jolies salles. Autour du château se trouve un beau jardin, dans lequel sont des faisans, des pigeons indiens, des poules étrangères et toute espèce de volaille exotique. Il y a, près du château, un jeu de paume et un parc de deux lieues de long, qui s'étend jusqu'au château neuf.
Nous sommes allés ensuite visiter le château neuf, qui n'est pas fort éloigné du vieux. La partie postérieure de l'édifice est attenante à un vignoble, tandis que la partie antérieure touche au vieux château. Dans la grande salle, il y a beaucoup de beaux tableaux ; on y remarque notamment un petit cadre accroché au mur et peint des deux côtés ; quand on regarde du bas ce petit tableau, il représente une chasse, mais si on le regarde dans une glace, qui est adossée au plafond, on voit deux amoureux qui s'embrassent. C'est un tableau peint avec beaucoup de talent ; il en est de même du reste de tous les objets d'art qui se trouvent dans cette salle. Le château a deux étages ; le roi a, m'a-t-on dit, l'habitude de loger à l'étage inférieur, où les salles communiquent entre elles. Si on avait élevé plus haut la construction, on aurait eu à craindre le vent, le château se trouvant sur une haute montagne. Le toit, autant que je puis m'en souvenir, est recouvert avec des ardoises de peu d'épaisseur.
En sortant du château par la porte de derrière, j’ai vu une galerie magnifique, qui conduisait par deux larges escaliers de pierre au parc d'agrément, que l'on peut parcourir tant à cheval qu’en [p. 214] voiture. Tout au haut de l'escalier se trouve un balcon, qui donne accès au château, et d’où on a non seulement une belle vue sur le paysage environnant, mais d'où on embrasse également d'un coup d'œil les fontaines et les jets d'eau de la cour et du parc. Sous ce balcon et cet escalier se trouve un souterrain construit avec beaucoup d'art, au milieu duquel a été élevée une fontaine avec des coquillages et des coraux ; un griffon projette l'eau, et des rossignols, mus également par l'eau, chantent très agréablement. Sur le côté droit, on nous conduisit dans une grotte, où on a installé plusieurs jets d'eau avec beaucoup d'ingéniosité et comme je n'en avais jamais vu auparavant. Ces jets d'eau sont recouverts tant en haut que sur les côtés d'ambre fondu, que l'on a fait venir de la mer et des mines. On y voit toutes sortes de coquillages, des moules bizarres, des coraux, mêlés à de belles pierres. Lorsqu'on fait marcher les jets d'eau, l'eau sort du rocher et de toutes les statues, qui y ont été placées avec beaucoup de goût, en sorte que le spectacle est fort pittoresque et fort curieux. Le sol est pavé, autant que je m'en souviens, de petits cailloux de couleur ; il se compose d'une foule de petits tuyaux, qui élèvent l'eau jusqu'à la voûte, d'où elle retombe sur le sol sous forme de forte pluie, en sorte qu'on ne peut rester ni en haut ni en bas sans se mouiller.
Les murs ont beaucoup de cavités où l'on a placé de nombreuses figures en métal, en marbre, en coquillages et autres ; presque toutes lancent des jets d'eau. Il y a beaucoup de personnages qui se meuvent ; ainsi on voit des forgerons courir et frapper sur une enclume, des oiseaux chanter, tout en remuant la tête et les ailes, on voit aussi des lézards, des grenouilles, des serpents et autres animaux posés par-ci par-là sur les pierres et lancer de l'eau, en faisant des mouvements quelconques. Si je ne me trompe, il y a au milieu de la grotte un Neptune, dieu de la mer, avec son trident, qui sort de l'eau, debout sur un char. On le voit paraître à la surface, en sortir, tourner de nouveau sur lui-même pour disparaître encore.
[p. 215] Sur le côté gauche de l'escalier ou balcon, on construit encore une autre voûte ou grotte pour y placer un orgue. Dans un mur on a disposé des roses jaunes, en coquillages, qui se détachent sur un fond noir. En somme, il y a tant de belles choses à voir qu'il ne m'était plus possible de tout noter en si peu de temps. On m'a montré également une grande quantité d'ambre, de coquillages, de coraux et de plantes, que le grand duc de Florence a envoyés à Sa Majesté pour décorer encore d'autres grottes.
En sortant de ces grottes, nous vîmes dans la cour une fontaine superbe qui lançait l'eau avec une telle force qu'elle s'élevait en un seul jet à la hauteur de deux hommes. L'eau faisait tant de bruit en tombant que l'on croyait entendre un coup de mousquet. Plus haut, il y avait aussi deux fontaines qui n'étaient pas encore terminées. Le roi a fait venir spécialement pour ce travail un Italien qui a construit ces grottes et ces fontaines, et on peut dire qu'il a fait de fort belles choses. On voit notamment, dans la grotte où est l'orgue, une table de l'intérieur de laquelle sort l'eau sous forme d'une potence, et ainsi qu'une épée, elle retombe à [p. 216] l’endroit d’où elle était sortie. Cet architecte doit construire également, avec un goût extraordinaire, dans le jardin, une grotte sans eau.
Le jardin qui y attenait par derrière n'était autrefois qu'une prairie coupée par de belles allées et ornée de belles plantes. D'après ce que j'ai entendu dire, le vignoble, jusqu'à la rivière, doit être réuni au jardin. »

Platter, Thomas

Récit par Sophie von La Roche de sa visite à Saint-Germain-en-Laye

« [p. 546] Wir kamen eben von der beruhmten Terrasse von St. Germain zuruck, die wir nicht nur wegen ihrer Schonheit, sondern auch mit einem gewissen Geist der Wallfahrt, fur das Andenken Heinrich des IV. Der sie auffuhren liess, besuchten, und von welcher man die vortrefliche Ausficht auf Paris, das Thal, die Seine und Marly hat ; ja man sagt : Dieses schone Schloss wurde nie verlassen worden seyn, wenn man Ludwig dem XIV. Die Ausficht auf die Thurme der Abten St. Denis hatte verbergen konnen, weil er nicht Kraft genug in seiner Seele fand, den Begrabnisort seiner Vorfahren mit Ruhe anzusehen. Ludwig der XI. Welcher auch den Tod furchtete, hatte dieses Schloss seinem Leibarzt, vielleicht aus der nemlichen Ursache, geschenkt ; Karl der V. hingegen hatte es, wegen der schonen Lage und [p. 547] gesunden Luft, im Jahr 1370 erbaut, und hatte freylich den Bennahmen des Weisen nicht verdient, wenn er den Gedanken des Todes nicht wie ein Mann getragen hatte. Er mag sich wohl oft bey Erblickung dieser bedeutenden Thurme vorgenommen haben, die Lorbeerkrone eines guten Nachruhms zur Zierde seiner Ruhestatte zu erwerben. KIarl der VI. verlohr St. Germain an die Englander. Sein Sohn kaufte es von einem englischen hauptmann zuruck. Franz der I. dachte darinnen an den Genuss seines Lebens bey der schonen Jagd in dem nahe anstossenden Wald. Man sieht noch an der obersten Fensterreyhe ringsumher im hof den gebrannten Salamander, welcher sein Sinnbild war. Henrich der IV. und Ludwig der XIII. vergrosserten und verschonerten es. Man will jetzo diess Schloss als Beweiss der Verganglichkeit ansehen, weil der Alcove, in welchem Ludwig der XIV. gebohren wurde, nun ein Staubwinkel ist, und die Gallerien, worinnen sich der hofstaat versammelte, Kornboden geworden sind. Ich habe nicht viel gegen diese Abanderung einzuwenden, den Ludwig der XIV. ist jetzo selbst nichts mehr, als eine Hand voll Staub, warum sollte das Zimmer davon befreyt seyn ? und nuzliche Kornmagazine fur das gemeine Wesen entehren, wie ich denke, die Stelle der Hofleute nicht sonderlich. Gerne mochte ich aber, dass der Zufall den lezten grosen Bewohner dieses von seinen Konigen verlassenen Hauses, Jacob den II. Konig von England, welcher seinen Thron verliess, in dem Zimmer hatte sterben lassen, in welchem sein Beschutzer gebohren wurde. Dieser hatte uber Veranderung und Verschiedenheit nachdenken und sprechen konnen. Merkwurdig ists, dass hier in den koniglichen Garten die ersten Springbrunnen im Grosen errichtet wurden, welche der Prasident [p. 548] Moncontis von Lyon erfand. Das Schloss ist ein groses Viereck, dessen angebaute grose Thurme auswarts als breite Vorsprunge, im Hof aber, als runde Thurme erscheinen. Das Ganze ist von dunkelrothen Ziegelsteinen und sehr hoch gebaut. Innen und aussen laufen Gallerien herum, von welchen man die angenehmste Aussicht hat. Der Theil des schonen Waldes, welcher an das Ende der Terrasse fuhrt, ist immer voll Spazierganger von der besten Menschenclasse. Man sahe ihnen an, dass Klugheit, Ruhe und Freundschaft unter ihnen wohnen. Viele angesehene Familien von Paris begeben sich hieher, eine vernunftige Stille und wohlfeilere Lebensmittel zu finden, und dennoch in der Nahe des Hofs von Versailles zu leben, wo sie leicht alles Neue erfahren, und die Gnadenzeit fur sich und die Ihrigen nutzen konnen. Wir gingen auch in die Kapelle, welche von schoner Bauart ist. Die Decke ist voll Gemalde aus der biblischen Geschichte, sehr fein gemalt, und die Einfassungen der Winkel, welche das Gemalde bildet, und die Saulen, welche das Gewolbe tragen, sind alle vortreflich vergoldet. Sie sind aber nicht nur ein Beweiss der alten Pracht, sondern auch der alten Kunst. Denn gewiss, die neuen Vergoldungen werden nicht so lange in ihrer Schonheit dauern. Ich wunschte einen alten Saal des Schlosses zu sehen. Aber er ist ganz verbaut, und wie das Louvre in Paris zu Gnadenwohnungen eingerichtet. Die Vorhöfe sind einsam und mit Gras bewachsen. Von den schonen Grotten, und in Wasserwerken sich bewegenden Gottern und Thieren, sieht man nichts mehr ; aber Leute jedes Alters, mit dem Ausdruck einer stillen Zufriedenheit, finden sich hier unter den Baumen, welches in Paris, dessen Rauchsaulen und Thurmspitzen man erblickt, nicht moglich ist, wo [p. 549] die Menschen vom Ehr und Geldgeitze, von Sorgen und Neugierde umher getrieben warden, und auch der, so in der Kutsche sizt, durch die Gegenstande der Pracht und Kunst, durch den Larmen der Fuhrwerke und Fussgänger aus dem Gleichgewichte gebracht wird. »

La Roche, Sophie (von)

Récit par Seth William Stevenson de sa visite au château de Saint-Germain-en-Laye

« Arrived at the Chateau of St. Germain, we were received with great friendship by Col. De B. whom we found en militaire, exercising the Company of the King’s Gardes du Corps, of which he is the acting Commandant. In this employment he has for some time past been kept six hours every day, on foot and on horseback ; a service of no little fatigue for the officer, who has the training of the squadron, composed as it is almost entirely of recruits : for the gentlemen who accompanied their bon paire des Gants (père de Ghent) as they punningly call the King, to and from Flanders, have on account of their fidelity been subsequently placed as officers in the Royal Army, now re-organizing. They are selected from families of noble origin, and of known devotion to the Royal cause ; and are for the most part as fine a set of fellows as one would desire to see : but so young, so volatile, so careless, and withal so proud of their rank as officers, and their dignity as body-guards-men, that to manage them properly can be no easy task. M. De B. however, has evidently acquired the method of bringing all these mettlesome and quarrelsome tempers [p. 75] into a practicable form of subordination, if not as yet into a perfect state of discipline. The native cheerfulness and liberality of his disposition, and the knowledge which he has acquired of men, manners, and events, operate in the regulation of his own conduct towards these new pupils, by the happy medium between over indulgence and excessive severity. He is beloved and respected by them all.
The Chevalier de Saint Louis pointed out to us a gentleman of his Company, not more than 25 years of age, decorated with several orders ; of whom he related some interesting particulars both of his bravery and devotion to the good cause. This young Frenchman, at that time in the Russian service, was the first to plant the allied standard on the walls of Leipsic, at the great battle of 1813. Being on Alexander’s staff, on that ever memorable day, he solicited and obtained permission to lead 50 chosen men to the attack of one of the gates of the city ; and with this gallant little band, though reduced to less [p. 76] than half its number by the enemies’ fire, before they could reach the top of the rampart, he succeeded in forcing an entrance for the assailant troops to enter the place. The immediate consequence to him was, that he was honoured with the Russian, Prussian, and Swedish orders ; and the further result, his being placed in the Gardes du Corps !
The avocations of the drill being finished, the Colonel conducted us to his apartments in the Castle, where we had the honour of being introduced to Madame De B. who received us with the utmost politeness as her husband’s friends, and with a hospitable cordiality as her fellow countrymen. After partaking of some refreshment, we were favoured with the Lady’s company in a walk through the castle. This building, the birth place and residence of several kings, is now in a most forlorn and dilapidated state. The substructure is of stone ; and, rising out of a deep and broad fosse, it has in this part all the massiveness and gloom of the castellated mansions of the thirteenth and fourteenth centuries. About midway from the base, the materials of which the exterior of the Palace is composed are of red and grey bricks, and it is evidently of later architecture : its lofty walls are encircled at this point of change with a balcony defended by an iron balustrade ; but all in so ruined and dangerous a condition as to make one pay somewhat dearly, in the agitation of the nerves, for the satisfaction which a noble prospect affords to the curiosity.
From this balcony, ranging through the long suite of apartments, small and great, that look out upon it, we saw nothing but the emblems of human grandeur in adversity – so lonely, dismantled, and woe-begone is now that friendly asylum, where the abdicated Majesty of [p. 77] England breathed forth the expiring sigh of « rooted sorrow, » and unavailing vexation. When, however, the manifold signs of that decay into which the Castle has fallen, were attributed, (and that too by Royatistes) to the scurvy treatment which it had experienced, during its recent appropriation as the barracks of the British troops, I made bold, for the information of such grateful folks, to offer a recollection or two which my mind still retained of the Castle of St. Germain, at the period of Napoleon's Consulate ; when it was nothing better than the cazerne of his guard, whom I had seen lounging on these same balconies, and of course committing the usual nuisances of military licence, and unrestrained mischievousness. Really, Messieurs les Gardes du Corps, it was, to say the truth, not much in my expectation, and I dare say as little in your own, at that time, to see the defenders of Louis le Desiré, in the undisturbed occupation of this ci-devant dépôt of the chosen veterans of Buonaparte! Nevertheless, such things have actually taken place ; and I am very far from being of the number of those who are sorry for the change. Be it remembered, however, that, in order to confirm this happy restoration, the Duke of Wellington and the British Army were under the imperious necessity of arriving here before the Guards of the King of France, and if in thus doing his Most Christian Majesty « a great right, » our thoughtless but not wrong-hearted countrymen, have done his castle « a little wrong ; » why, let it be a point of friendship, on your part, « to wipe all clean again, and say no more about it. »
What a spring of ideas forces itself on the mind, as one pursues in this dreary pile the endless maze of staircase [p. 78], hall, and corridor, and « passages that lead to nothing. » Methought, what would be the feelings of « the Stuart, » if, revisiting this mutable scene of earth, his wounded spirit could « walk in death ; » and still gifted with the mortal faculties of reminiscence and speculation, have comprehended the wondrous series of events, that brought hither the descendants of his once obedient people, to support in all just rights the great grandson of his royal brother and benefactor ! Among the faults of our Second James, arbitrary, bigotted, and
infatuated as he was, that of being devoid of the love of country, and of attachment for his English subjects, will not, I apprehend, be ranked by the impartial reviewer of his character and conduct.
On quitting the Palace, we directed our walk to the famous Terrace, which for the picturesque charms of the prospect, as well as for the great extent of landscape embraced in the coup d’œil, deserves the praises with which it has ever been celebrated. But I decidedly differ from the opinion expressed by Colonel De B. (in the national pride of heart inherent in a Frenchman), that it is even equal, and much less am I disposed to agree that it is superior (as he considers it), to the rich, the varied, the always novel beauties of the view from Richmond Hill, or from Windsor Castle. The alignement of this elevated promenade, from the Pavillion, (where Louis XIV is said to have been born) to the grand entrance into the forest, is upwards of a mile and a half. It is delicious to inhale the health that comes floating hither on the wings of the pure air, from the expansive plain which it commands. The sinuosities of the Seine, however, form the only really striking feature of the prospect : the spires of St. Denis and the cupola of the Pantheon, [p. 79] are the marks by which alone we trace the vicinity of the capital. Still, the situation of St. Germain is altogether so fine – so worthy of being the residence of Royalty, that one can imagine no reasonable motive which could have induced the « Grand Monarque » to exchange it for that of Versailles.
The hour of dinner drawing near, we returned to the Chateau. With the exception of our friend’s and another officer’s rooms, together with a suite belonging to the Duke of Grammont, this vast place is uninhabited ; and so intricate is its ichnography, that a person losing himself in the dark, in passing from one quarter of the building to another, would find it both difficult and dangerous to attempt regaining the clue, till the return of day light. Welcomed with a kind reception by our host and hostess, we passed an hour or two after
dinner in a most agreeable manner. The party consisted, besides ourselves, of two brother officers of the Colonel's, very gentlemanly young men, and great amateurs de musique. Madame De B. keeps up as much of the English mode of living as possible. With a flattering reproach to my friend and myself, for omitting the social insular custom of the table, she observed she anticipated the pleasure of drinking healths that day. The French, who boast so much of their polite assiduities to the sex, have no relish for, nor conception of that pleasing act of convivial gallantry – the ceremonial of drinking wine with a lady. I told Madame De B. that I recognized the hand of English neatness and good order in the state and arrangement of the apartments. « Yet no one (she remarked) but those who have kept house in France, can imagine the inconveniences and difficulties to be encountered, in the attempt to overcome, though in [p. 80] never so small a degree, the dirty and slovenly habits of French servants. » The Colonel, afterwards, speaking of what he laughingly denominated his wife’s miseries, acknowledged that his countrymen were sometimes most unaccountable folks, both in their ideas and actions. He then illustrated the subject with a few appropriate anecdotes, relating them to us with a glee which evinced his own correct idea as to the impression they were sure to make on our minds. Suffice it to say of these traits caractéristiques, that they pointedly served to shew the difference of perception between the two nations, in regard to the constituent qualities of what is called delicacy, in reference to expression and manners.
We finished our afternoon with a walk about the town, in which, however, there is little to interest the stranger, or apparently to accommodate the resident. The two or three only decent looking streets have a deserted appearance : no symptoms of business, and but a scanty shew of property : yet in this, among other places, our English émigrés, our economists flock together ; here they plant themselves and vegetate. Discontented with the state of their own country, they are still everlastingly grumbling at what they encounter with here : indulging in that waywardness of temper, which they so egregiously mistake for independence of spirit, they evince their patriotic opposition to the policy of their own government by openly eulogizing the system of Buonaparte ; and manifest their respect for the constituted authorities of the realm in which they are now domiciliated by ridiculing and abusing the Bourbons ! Yet, with all this language, (unseasonable and indiscreet to speak of it in the mildest terms) accompanied too by what the French call « une manière méprisante, » [p. 81] they wonder that they are not received with more consideration and cordiality ; and they incontinently proceed to denounce French society altogether, as equally devoid of hospitality, and unsusceptible of friendship : when the fact is, that they themselves neither study those points of urbanity, which can alone give them claims to the one ; nor do they take the trouble of shewing themselves possessed of those amiable qualities which are so peculiarly adapted to elicit and confirm the sentiments of the other.
After enjoying the refreshing air of a serene and cloudless evening, we retired well pleased with our day. The nights here are delicious : no damps, no noisome vapours. Such is the advantage which France possesses over England – in point of climate. Next morning before breakfast, we walked to the esplanade before the castle, and there found the Gardes du Corps already on horseback, and a General inspecting them. Though one of Buonaparte’s officers, he commands the district. Immediately after the second restoration of the King, a promise was held out to the little band of faithful soldiers, who had followed his Majesty to Ghent, that
they should all be advanced a grade in rank : that promised recompence, it seems, has not been yet bestowed. Several instances of favour have been shewn to old scholars of Napoleon (unimplicated in the last treasons) ; but to this system of conciliation (prudent no doubt) have not hitherto been conjoined any corresponding marks of attention and encouragement to those men of approved loyalty, who had so often risked life, and so long sacrificed property, in the Royal cause. With this small but honourable class it would appear, that « Virtue must be its own and only reward. » Possessed of these facts on [p. 82] the spot, it was no difficult matter to efface from my mind the erroneous impression, so industriously inculcated by some of our home politicians, that the present government of France was influenced by the spirit, and made subservient to the views of the Ultra Royalists !

After breakfast, we bent our course into the forest of St. Germain, which is upwards of eight leagues in circumference, occupying between two and three thousand acres, and presenting, in full perfection, the various diversifications of woodland scenery. The plantations chiefly consist of oak and beach ; but the timber, being suffered to remain in too crowded a state, does not grow to any considerable size. About a mile into the forest is a house called Les Loges : at the period of my first visit it was an academy for the education of young gentlemen, and where I passed several agreeable days in the society of my worthy friend H. I beheld its walls and turrets of conventual origin and construction with a pleasing – mourning emotion ; they reminded me of past enjoyments ; and they warned me of the rapid march of time. The present appropriation of this establishment is that of a Maison d’Education for the daughters of Members of the Legion of Honour ; an endowment of the Ex-Emperor, which does him honour ; and which is very properly supported by the Royal Government. « O si sic omnia ! » Would that Buonaparte’s institutions had in general been so deserving of commendation : how gratifying would the record of them be to that disposition which « nothing extenuates, nor sets down aught in malice. »
We were perpetually charmed in observing the effect of light and shade produced on the foliage, as, favoured with a serene and brilliant sky, we advanced into the [p. 83] heart, or ranged along the skirt of this vast wood. At intervals we find circular openings (called by the wood-men etoiles, or stars) : from these central points, four and sometimes six or seven paths radiate to a greater or lesser extent. In rambling through the different paths, our admiration is continually excited, either by the view of a beautiful country opening at their extremity, or by the luxuriant verdure of their branches, which intertwining form long alcoves. The tints of the embowering leaves, now sinking into a gloomy shade, now bursting into light and vivacity, as their degree of density renders them exposed or impervious to the sun, keep the eye unceasingly fascinated by the rapidity of transition or by the boldness of contrast. As we emerge from the forest, in the direction of the ancient and picturesque town of Poissy, the landscape becomes quite Arcadian. The course of the Seine, marked out by an extensive and elevated ridge of woodland is bordered with villages and country seats, whose walls of white stone, and roofs of blue slate, are in lively opposition to the green landscape. The stag and wild boar are hunted in this forest : we saw none of either ; indeed, « as to game » of any kind, it was little more than Boniface’s « couple of rabbits ». The Royal Gardes de Chasse seem to have here a very scanty charge compared with what generally devolves to the keeper of an English gentleman’s preserve.
Early in the afternoon we took leave of our friends at the Castle, and set out on our return to Paris. »

Stevenson, Seth William

Récit par Nicolas Faure, seigneur de Berlize, d’audiences accordées par le roi à Saint-Germain-en-Laye

« Au mois d’octobre de ladite année mil six cens trente cinq, l’ambassadrice d’Angleterre me demanda audience de la Reyne, ce qui fut fait comme il ensuit. Premierement, elle se rendit dans le carrosse de Sa Majesté à Saint Germain, et je la receus là de la part de la Reyne à moitié du degré par lequel on va à la descente. Puis la dame de Senecey, dame d’honneur, la receut à l’entrée de la chambre du sieur Bouthillier, où elle se reposa en attendant que l’on eust servy sur table en la chambre de la descente. Apres le disner, la Reyne luy donna audience, et puis s’en revint à Paris coucher. Je ne fus chez elle à cause de son mary l’ambassadeur, lequel ne vouloit vivre avec nous comme ses predecesseurs ; il estoit demeuré d’accord qu’il ne seroit au logis lorsque j’irois pour la prendre avec le carrosse de la Reyne, neantmoins je n’en voulus rien faire.
Le sixieme decembre mil six cens trente cinq, je menay à l’audience chez le cardinal de Richelieu le fils naturel du roy de Dannemarck, lequel estoit seulement envoyé. Il venoit icy pour dire au Roy que certains marchands françois estoient allez pescher en leurs costes avec un passeport dudit cardinal comme admiral de la mer, que luy, comme ayant le commandement de la pesche l’année prochaine mil six cens trente six, il avoit eu ordre du roy de Dannemarck de venir scavoir comme il en ordonneroit à ses sujets, d’autant que cela luy feroit tort avec les roys ses alliez, lesquels pour avoir la permission de ladite pesche donnoient une certaine somme tous les ans que leurs sujets payoient. Il desiroit aussi avoir une sauvegarde pour un comte souverain d’Alemagne qui confine vers la Pomeranie, parent de son roy, afin que les troupes du Roy n’allassent sur ses terres, ayant esté neutre dans toutes les guerres d’Alemagne. Il eut audience du Roy à Sainct Germain le vingtieme, et fut traité.
Le marquis de Bade de la branche de Durlach eut audience du Roy le vingt quatrieme de decembre, et fut traité à Sainct Germain. Je pris le sieur de La Meilleraye, comme officier de la couronne, pour le conduire. Il parla au Roy decouvert, quoyque souverain et prince de l’Empire, neantmoins les Alemans n’ont cet honneur, quoyque les ambassadeurs des princes d’Italie parlent couverts au Roy. Il presenta au Roy deux de ses enfans, lesquels il laissa à Paris à l’academie, et pour faire leur cour à Sa Majesté.
Le huitieme mars mil six cens trente six, encore que je ne fusse pas en charge, neantmoins à cause que le comte de Brulon estoit pres le duc de Parme, j’eus commandement d’aller trouver le duc Bernard de Weymar de Saxe, avec les carrosses du Roy et de la Reyne, à Lagny sur Marne, où le comte de Guiche qui l’estoit allé trouver de la part du [p. 798] cardinal de Richelieu à Meaux l’emmena, luy ayant dit que j’estois là pour le recevoir de la part du Roy, comme je fis. J’y menay trois ou quatre de mes amis, qui le saluerent. Apres quoy je le conduisis à Champ, où les sieurs de Croisilles, maistre d’hostel du Roy, et Parfait, controlleur general, l’attendoient avec tous les officiers de la maison du Roy pour le traiter. Ledit cardinal avoit dit qu’on luy donnast à disner à Lagny, mais à cause de la difficulté qu’il y avoit pour les officiers d’aller à six lieues de Paris pour apres le disner venir apprester le souper à l’arsenac, où il devoit loger, je le fis venir disner à Champ, ce que le Roy trouva depuis avoir esté fait à propos. Le duc de La Trimouille le vint recevoir à Champ, au sortir de son disner, de la part du Roy, accompagné de vingt carrosses et de quantité de noblesse. Apres les compliments faits, ledit sieur de La Trimouille monta dans le carrosse du Roy avec le duc de Weymar, les comtes de Guiche et de Nassau, et moy, et passasmes au travers du bois de Vincennes. Il fut salué par la garnison en passant, et veid plusieurs carrosses le long du chemin jusques à l’arsenac, où il fut logé dans le plus beau departement, qui estoit meublé des meubles du Roy. Le lendemain de son arrivée, neufieme du mois, il ne voulut voir personne avant le Roy. Il avoit amené avec luy les comtes de Nassau, baron de Friberg et de Ponika, qui estoit celuy sur lequel il se reposoit de toutes ses affaires. Le dixieme du mois de mars, je le menay à l’audience avec le sieur de La Trimouille à Sainct Germain en Laye. Quand je fus arrivé, je fus trouver le Roy dans son cabinet, où il estoit, auquel je dis son arrivée. Il me demanda s’il se couvriroit ; je luy repondis que je n’en scavois rien et que je l’avois demandé au cardinal de Richelieu, lequel m’avoit dit qu’il ne se devoit couvrir, que neantmoins je craignois qu’il ne fust en cette volonté, et que sur ce que j’avois pressé le sieur de Chavigny la dessus, il m’avoit dit que si je luy parlois de cela, que ce seroit luy donner lieu de pretendre une chose à laquelle, peut estre, il ne pensoit pas, que si toutesfois il vouloit, je presentirois bien dudit Ponika s’il estoit dans cette pretention, mais que je ne luy en parlerois de peur qu’on ne dist que je serois cause de tout ce qui en arriveroit ; que quant à moy, je croyois qu’il seroit dans cette pretention, et luy alleguay ce qu’il avoit fait à l’evesque de Wirtzbourg, duc de Franconie, à Mets, lequel comme souverain de l’Empire s’estoit couvert, que celuy cy estoit de la maison de Saxe et que ce qui luy feroit plustost desirer estoit le duc de Parme, auquel le Roy avoit fait cet honneur, et que celuy cy s’estimoit bien d’autre maison. Avec toutes ces raisons, et autres que je dis des ambassadeurs d’Italie, qui se couvrent devant le Roy, Sa Majesté resolut que je ne luy en parlerois, ains le sieur de Chavigny, et me commanda de l’aller querir. Je l’avois laissé dans le departement du surintendant à Sainct Germain, qu’on avoit meublé des meubles du Roy. Je luy dis que le Roy estoit prest à la voir. Le capitaine des gardes le receut à l’entrée de la salle. Ayant fait une humble reverence devant le Roy et son compliment, le Roy voulant se couvrir, il crut que Sa Majesté l’avoit invité à en faire autant, et en [p. 799] mesme temps voulu mettre son chapeau : le Roy, voyant cela, osta si promptement le sien que cela fut apperceu de peu de personnes, et parla tousjours decouvert. Puis il passa dans son cabinet, où Monsieur, frere du Roy, se trouva, et parlerent ensemble pres d’une bonne demi heure, où quelques fois aussi le Roy me faisoit l’honneur de me parler. Puis me dit que je le menasse disner, ce que je fis. Incontinent apres le disner, suivant le discours que j’avois eu dudepuis avec ledit sieur de Chavigny, je dis à Ponika que je croyois que le duc son maistre ne pretendoit pas vivre autrement chez la Reyne que Monsieur, frere du Roy, lequel ne se couvroit. Il me dit que son maistre avoit veritablement voulu se couvrir devant le Roy, d’autant que le duc de Parme se couvroit, et que je ne devois trouver estrange, d’autant qu’il y avoit eu des empereurs de la maison de son maistre avant qu’il y eut des gentilshommes dans celle du duc de Parme, et que, pour ce qui estoit de chez la Reyne, il ne se couvriroit. Je l’y menay, où Monsieur se trouva, et puis de là chez mondit seigneur frere du Roy, où Monsieur le fit couvrir, comme pareillement les ducs de La Trimouille et de Wirtenberg qui l’accompagnoient. Apres une visite d’une demie heure sans s’asseoir, je remenay ledit duc en sa chambre, de laquelle nous partismes pour aller à Ruel.
[…]
[p. 807] Le marquis de Sainct Germain, maistre de la garderobbe de Son Altsse de Savoye, fut envoyé à Paris pour apporter la nouvelle d’une defaite d’Espagnols. Je le menay à l’audience, et l’ambassadeur de Savoye aussi. Dans le temps qu’il fut à Paris, le duc de Savoye mourut. Il prit congé au mois d’octobre sur la fin, et veid le Roy vestu de drap violet selon la coustume, et la Reyne et les dames avec leur grand voile, à Sainct Germain, où je le menay à sa derniere audience. Le sieur de Chavigny luy fit faire son present par le sieur de La Barde, son premier commis. Ce qu’ayant sceu, avant que de m’en vouloir plaindre, je luy fis demander le sujet et s’il avoit eu cet ordre du Roy. Il me dit que non, mais que d’autant que je luy avois envoyé demander par Gyraut, auquel il ne voulut donner le present, et voyant que je n’avois esté moy mesme chez luy, il l’avoit envoyé par ledit de La Barde, qu’il ne pretendoit tirer cela à consequence. Je luy repartis qu’il me devoit bailler le present entre mes mains et non en celles d’une personne qui n’estoit au Roy et qu’il devoit faire là-dessus ce que les conducteurs des ambassadeurs luy diroient. […]
[p. 808] Le marquis de Parelle, un des quatre premiers escuyers du duc de Savoye, vint à Paris au mois d’octobre mil six cens trente sept pour supplier le Roy de la part du duc de Savoye et madame de les prendre en sa protection, et les supplier de croire qu’ils n’avoient autre volonté que l’execution des commandemens de Sa Majesté, que pour cet effet madame n’avoit voulu voir le cardinal de Savoye qui estoit à Savonne. Je le menay à l’audience à Saint Germain avec l’ambassadeur de Savoye. Il fut traité à disner et, le dix neufieme novembre, il prit congé du Roy en mesme lieu, et fut aussi traité. Le lendemain, je luy donnay un diamant de la part de Sa Majesté.
[…]
[p. 809] Le comte de Cumiane, maistre des ceremonies de Savoye, vint à Paris au mois de janvier 1638. Il fut conduit selon l’ordinaire à l’audience par le comte de Brulon, mon compagnon, à Saint Germain. Le sujet de son voyage estoit pour supplier le Roy de la part de la duchesse de Savoye que le père Monet, jesuite, ne s’en allast de Savoye, selon que Sa Majesté avoit tesmoigné le desirer de Son Altesse. Le comte de Cameran fut envoyé ensuite de Sadite Altesse pour se resjouyr de la continuation de la grossesse de la Reyne. La reyne d’Angleterre aussi envoya un gentilhomme françois, nommé Tarteron, pour se rejouyr de la mesme grossesse.
[…]
Incontinent apres la naissance de monseigneur le Dauphin, tous les ambassadeurs eurent audience : le comte de Leicester et le vicomte de Scudamor l’eurent aussi, et y amenerent les sieurs de Sainct Ravy et Germain, le premier envoyé de la part du roy d’Angleterre et le second de la reyne pour se resjouyr de la naissance dudit seigneur le Dauphin. Je les fus prendre dans les carrosses du Roy et de la Reyne, et furent traitez à Saint Germain. Le sieur de Chavigny me demanda pourquoy je leur avois baillé les carrosses du Roy et de la Reyne. Je luy dis estre la coutume. Il me dit que le roy d’Angleterre s’estoit plaint de ce qu’on avoit fait trop d’honneur aux gentilshomme qui venoient de sa part, et nommément à un nommé Tartereau, que sir le Roy les [p. 810] vouloit traiter de cette façon, qu’il falloit qu’il les traitast ainsi et qu’ils en demeurassent d’accord, et qu’il falloit adjouster cela par un article à leurs traitez. Le sieur de Bullion me dit le sieur que le sieur de Bellievre, qui estoit lors pour le Roy ambassadeur en Angleterre, luy en avoit escrit, et me monstra la lettre. […]
Le vingt cinquieme octobre mil six cens trente huit, le comte Henry de Nassau eut audience du Roy, et eut les carrosses. Apres plusieurs difficultez qu’il y eut sur la façon dont on le traiteroit, et apres que j’eus representé plusieurs raisons, il fut resolu qu’il seroit traité comme ceux des princes souverains. Il estoit envoyé pour se resjouyr de la naissance de monseigneur le Dauphin.
Le vingt sixieme octobre, je fus prendre à l’hostel de Venize le sieur de Luthmar, gentilhomme envoyé de la part du comte palatin, electeur, et son conseiller d’Estat, dans les carrosses du Roy et de la Reyne. Il eut audience de Sa Majesté, et fut traité.
Le sieur Demsky, gentilhomme envoyé de la part du roy de Polongne, eut audience du Roy et de la Reyne. Il estoit venu demander, de la part du roy son maistre, le prince Cazimir son frere, lequel allant au service du roy d’Espagne avoit esté jetté par la tempeste, estant sur la mer, en un port de Provence, où il avoit esté arresté. Il n’eut ny carrosses ny ne fut traité, pource qu’il aima mieux avoir son audience prompte et n’estre traité que d’attendre longtemps et les avoir : ainsi le fit il entendre apres luy avoir offert de la part du Roy que, s’il vouloit attendre deux ou trois jours, qu’il seroit traité comme les autres. Il aima mieux aller à l’audience un jour qu’on traitoit des ambassadeurs envoyez d’Angleterre. Lorsqu’il prit congé du Roy, il fut traité de la mesme façon.
Le marquis Agnelly, gentilhomme envoyé de la part du duc de Mantoue, eut audience du Roy en octobre, et s’en retourna en decembre de la mesme année mil six cens trente huit. Je le fus prendre au logis de l’evesque de Cazal, son oncle, ambassadeur extraordinaire de Son Altsse de Mantoue, dans les carrosses du Roy et de la Reyne, et fut traité en la premiere et derniere audience.
En fevrier mil six cens trente neuf, arriva à Paris le bailly de Fourbin, [p. 807] commandeur et grand croix de l’ordre de Malte, lequel je fus recevoir avec le mareschal de Sainct Luc à Piquepuce chez les religieux de Sainct François. Il y eut difficulté de la façon avec laquelle on le recevroit ; neantmoins le Roy jugea qu’il se devoit couvrir. Le comte de Brulon le mena à l’audience avec le mareschal de Sainct Luc, où il fut couvert, et en usa fort discretement, se couvrant seulement un peu pour dire qu’il le pouvoit, et puis se decouvrit à l’heure mesme comme luy avoit dit le comte de Brulon et moy aussi qu’il devoit faire, attendu qu’il estoit François. Il y eut bien de la difficulté pour le faire couvrir, laquelle à la fin fut vaincue par les exemples qu’on rapporta des sieurs de Ville, envoyé de la part du duc Charles de Lorraine, et du commandeur de Fourmigeres, envoyé il y avoit plusieurs années de la part du grand maistre de Malte.
L’an 1640, le 8 mars, le prince Cazimir, frere de Wladislas IV du nom, roy de Polongne, et fils du feu Sigismond, aussi roy de Polongne, ayant esté invité de disner avec le Roy à Sainct Germain en Laye, 1. Le Roy quittant sa chaire fut environ cinq ou six pas au devant de luy, 2. et ayant fait une humble reverence devant Sa majesté et son compliment, le Roy se couvrant, il se couvrit presque en mesme temps, 3. il presenta la serviette à Sa Majesté, 4. et fut assis sur un escabeau pliant, sur lequel estoit un carreau de veloux, trois places loin de la chaire du Roy du mesme costé, il s’assit quelque peu apres que le Roy fut assis, 5. la chaire du Roy estoit de veloux, 6. ce prince n’avoit point de dais au dessus de luy, 7. les plats et les viandes estoient de mesme que ceux du Roy et en pareil nombre, mais les plats du Roy estoient couverts et ceux dudit prince decouverts, 8. l’on presenta sur la fin du disner des dragées au Roy et non au prince, 9. il fut le mesme jour chez la Reyne, qui estoit dans le lict, où on luy donna un tabouret et ne se couvrit point devant Sa Majesté, 10. sur le soir il fut saluer le cardinal de Richelieu en son hostel à Paris, qui le receut et l’accompagna ; il veid aussi monseigneur le Dauphin. »

Récit par Niccolò Madrisio de sa visite à Saint-Germain-en-Laye

« [p. 324] Il luogo insigne per le fasce di Lodovico Decimo quarto è San Germano detto in Laja dalla vicinanza d’una selva di questo nome, principiato gia da Carlo Quinto, proseguito poi dagl’Inglesi, che ne furono qualche tempo Padroni, posto tra Parigi, d’onde è discosto qualche dodici miglia, e Poissi picciola città natalizia di San Luigi, e famosa per la conferenza seguita tra i Cattolici, e i Protestanti di Francia alla presenza di Carlo Nono, e di Catterina de’ Medici all’ora Reggente ne’ primi torbidi, che successer colà della Religione. A riguardo dell’onore, che ha avuto il Castello di San Germano di veder nascer Lodovico XIV, vi si recita ogn’anno li 5 Settembre nella Regia Capella un Panegirico in lode di Sua Maestà, de’quali se n’avra una seria omai di settanta, non essendo, come ben si può credere, tutti d’ugual bellezza, ne tutti corrispondenti al grand’ argomento, che trattano. Francesco Primo, che si dilettava oltra modo di caccie, ristabili in grazia delle medesime con qualche mutazione il vecchio Castello qual ora si vede girar attorno il Cortile in forma della lettera D, figura, ch’egli li fece dare per alluder al nom d’una Dama da lui amata, il quale principiava in tal lettera. Il nuovo Palagio fu fatto fabbricar [p. 325] da Enrico Quarto ; le sei Galerie, le numerose scale, le grotte sotterranee, i compartimenti del Giardino, o più tosto de’ vari Giardini, che s’incontrano nella discesa da quell’erto Colle sono opera di Lodovico Decimo Terzo, al che tutto il Monarca presente ha dati poi quegli ultimi delicati abbellimenti, c’han reso altre volte San Germano il più celebre di tutti i luoghi Reali. La Natura vi ha contribuito tutto per far il sito amenissimo, la vista aggradevole, e piena di tutti gl’immaginabili privilegi. In un gran tratto di paese, che di piena vaghezza si domina da quell’altezza veramente straordinaria, vi si scopre assai bene così lontano, ch’egl’è, lo stesso Parigi. Ciascuno de’ Giardini, e delle grotte accennate teneva già qualche giuoco curioso d’acqua con varie figure, che si moveano, le quali all’ora faceano una gran parte di queste delizie. Nella grotta, che ancora porta il nome da lui, v’era un’ Orfeo, che nell aprirsi dell’acqua suonava delicatamente la lira accorrendo da vari siti molte sorti d’animali ad udirlo : Diverse altre statue rappresentanti il Re, il Delfino, et la Corte s movevano a veder lo spettacolo, e gli arbori si piegavano alla loro comparsa. Vi era in altra Grotta un Perseo, che volava per aria a liberar Andromeda, ed un Dragone levatosi dibatteva strepitosamente le ali vomitando dalla bocca un gran fonte, attorno il quale molti Rosignoli, e Canarini disposti negli alberi facean la melodia, ch’è lor propria. Sorpasserò [p. 326] un popolo d’altre figure minori che bello stesso tempo maneggiavano ogn’altra sorta di musicali strumenti, e rappresentavano tutti i mestieri dell’arti correndo une spesa si grande nel mantenimento di tante macchine, e giuochi, che dicono che rottasi una volta una corda al violino d’Orfeo non costasse a Lodovico XIII meno di 300 scudi il rimetterla. V’avean pure delle Grotte asciutte, che col mezzo di certo moto secreto dell’acque producevano un venticello freschissimo, il quale in oltre animava Organi, e simili strumenti pneumatici. V’eran molt’altri ingegnosi scherzi non men d’acqua, che d’aria, i quali seccatisi i fonti dopo che il Re ha fermate le sue applicazioni a Versaglie, si son tutti guastati, rimasi inselvatichiti i Giardini della discesa suddetta, e sepolte nell’erba tutte quelle logge, e quelle, altre volte si magnifiche scale in guisa che sono divenute impraticabili, e mettono una formal compassione. Quando io fui colà vi latrava in quelle Galerie una Mandra di cani, che il Re Giacomo d’Inghilterra vi tenea rinserrati per uso delle sue caccie. Il vecchio Castello solo serviva all’abitazione di questo Re, e della sua Corte, come pure per di lui servigio si teneva aggiustata, e culta l’unica parte del Giardino superiore in cima del Colle, e s’era anzi accresciuta di non peche bellezze. San Germano all’ora, ciò che differ gli Storici del Palagio di Teodofico, si potea chiamar un rigido Monastero, ed una vera scuola morale nel soggiorno di [p. 327] quest’ esule coronato, e dell’ incomparabil Maria d’Este sua Moglie non solo perchè rappresentava la maggio peripezia di fortuna, che si sia mai veduta ai di nostri, ma anco per le tante virtù Cristiane, ed Eroiche, nelle quali ambidue incessantemente s’impiegavano avendo destinato per ciascun giorno della settimana qualche particolar esercizio della loro esemplarissima Divozione. »

Madrisio, Niccolò

Récit par Michel de Castelnau de l’envoi de prisonniers au château de Saint-Germain-en-Laye

« [p. 112] [31 octobre 1560] Au mesme temps, Carrouges fut envoyé vers madame de Roye, sœur de l’admiral, et belle mere du prince de Condé, pour visiter ses papiers, et la faire mener prisonniere a Sainct Germain en Laye, comme ayant eu part a la conjuration d’Amboise : aussi esperoit on trouver en sa maison plusieurs memoires qui serviroient a faire le procez audict prince.
[…]
[p. 312] [vers août 1563] Sur quoy Leurs Majestez me firent belles promesses, et en mesme instant me commanderent, avant que de licencier mes chevaux legers, d’aller sur le chemin de Rouen, pour rencontrer les deux ambassadeurs d’Angleterre qui vouloient s’acheminer vers le Roy, lequel ne les vouloit nullement voir. L’un estoit Smyth, pour ambassadeur ordinaire, l’autre estoit Trokmarton, son predecesseur, tous deux commandez par la reyne d’Angleterre de se haster d’aller trouver Leurs Majestez au Havre de Grace, où Trokmarton laissoit aller Smyth devant pour voir quel il y feroit. Mais l’un et l’autre y arriverent trop tard ; et d’autant que Foix, qui estoit pour lors ambassadeur du Roy residant en Angleterre, estoit fort estroitement observé et quasi comme prisonnier, le Roy fut conseillé de faire le semblable à l’endroit de Smyth, et de ne [p. 313] recevoir Trokmarton, en quelque façon que ce fust ; mais plustost le faire arrester prisonnier, comme celuy lequel, ayant esté cause de la guerre avec la Reyne sa maistresse, et de rompre le traité de Cambresis fait avec elle, se seroit encore hazardé de passer en France sans passeport ni sauf conduit du Roy ; surquoy Sa Majesté ne le pouvoit recevoir autrement que pour un prisonnier. Ce qu’elle me commanda de luy dire, et davantage qu’estant hay en l’armée du Roy comme il estoit, tant des catholiques que des huguenots, et de tous les peuples de France, il seroit en danger de sa personne s’il n’estoit en lieu de seureté. Luy ayant fait cette harange, comme il estoit homme fort colere et passionné en toutes ses actions, il se voulut elever, se prevalant de sa maistresse, et se deffendre par plusieurs raisons. Mais, pour couper chemin à tous ses discours, je l’envoyay au chasteau de Sainct Germain en Laye, avec garde, comme j’en avois eu commandement. »

Castelnau, Michel (de)

Récit par Mary Berry de sa visite à Saint-Germain-en-Laye

« [p. 178] Lundi, 20. Nous partons pour Saint-Germain. Les environs en sont très jolis. L'intérieur du château est totalement dévasté, et si changé et si négligé, qu'il est presque impossible de retrouver l'appartement royal. Il ne reste rien qu'un grand salon qui a été autrefois un théâtre, et où l'on voit encore le chiffre et la devise de François Ier, et trois petites pièces dorées qui doivent dater du temps de la minorité de Louis XIV.
Toute cette moitié du château, comprenant les appartements habités par notre Jacques et sa famille, a été divisée en deux dans sa hauteur, et est réduite aujourd'hui à deux entresols, occupés, pendant la Révolution française, par une école militaire de cavalerie qui n'existe plus, de sorte que la plus grande partie du château est abandonnée, et le reste sert de caserne à des officiers du dépôt de cavalerie en garnison permanente ici. La ville a un aspect moins florissant que celles des environs de Paris que j'ai déjà vues. La terrasse est belle, comme longueur et comme vue. Le bois, situé derrière la terrasse, est coupé, comme tous les bois [p. 179] français, en étoile, charmant dans sa première verdure et rempli de rossignols. »

Berry, Mary

Récit par Maria Edgeworth de sa visite au château de Saint-Germain-en-Laye

« [p. 113] À Saint-Germain, ce vaste palais qui servait il y a peu de temps encore de caserne à l’armée anglaise, notre guide féminin était extrêmement bien informé. Réellement, François Ier, Henri IV, Marie de Médicis, Louis XIV et Mlle de la Vallière semblaient avoir été de ses connaissances intimes. Elle connaissait tous leurs secrets. Elle nous montra la chambre de
Mlle de la Vallière ! Une chambre resplendissante de dorures, – de dorures qui ont contribué à dérober à sa vue les souffrances de l'avenir ! – La pauvre femme ! Ces ors ont, par exception, échappé à la destruction révolutionnaire.
Dans la hauteur de la voûte si dorée de cette pièce, le guide nous montra une trappe par laquelle Louis XIV descendait. Comment on a pu aménager cette trappe, je ne le comprends pas bien ; cela dut être un travail périlleux à [p. 114] cause de l’élévation de la chambre. Mais mon guide féminin, qui certainement l’a vu faire, m’assura que Sa Majesté descendait très tranquillement dans son fauteuil, et, comme elle tenait de grosses clefs dans sa main, et qu'elle était presque aussi grosse que Mrs Liddy, je ne me hasardai ni à la contredire, ni à émettre aucun doute. »

Edgeworth, Maria

Récit par Ludwig Rellstab de sa visite à Saint-Germain-en-Laye

« [p. 372] Auf die blendenden Herrlichkeiten von gestern ließ ich heut einen ganz entgegengesetzten Genuß folgen. Bei dem schönsten Frühlingswetter fuhr ich auf der [p. 373] Versailler Eisenbahn rechten Ufers nach St. Germain. Es ist berühmt wegen seiner schönen Lage, aber doch nicht berühmt genug, denn ich wüßte kaum eine reizenderen, eigenthümlicheren Punkt, wo Natur und Anbau so Hand in Hand gingen, um das Schöne herzustellen. Schon der Weg bis dahin is reizend. Man fährt zwischen Weinbergen, Landhäusern, Gärten dahin, mit immer wechselnden Ausftchten auf die viel gekrümmte Seine. Man benutzt ihren Strom mehrfältig, und hält endlich an demselben, am sogenannten Pecq (den die Franzosen beiläusig Pé aussprechen) einem Oertchen am diesseitigen Ufer, von dem aus wir das Städtchen St. Germain gegenüber an und auf der Anhöhe liegen sehn. Hier nehmen uns Omnibus in Empfang, führen und über die Seinebrücke und das jenseitige, steile, wohl gegen zweihundert Fuß hohe Ufer auf einem zwischen Weinbergen und Gärten hindurch gewundenen Wege hinan. Bei dieser Fahrt bis vor das Thor zu sehn, die uns indeß durch Nichte, als durch einige, recht stattliche öffentliche Gebäude, eine Kirche, ein Stadthaus, ja sogar ein Theater, auffällt. Die Theater siud jetzt wie Brennnesseln, sie wuchern überall. Der Wagen hält vor dem Eingang des Schlosses. Dasselbe ist durchaus alterthümlich, es hat kleine Festungsmauern, ist mit eine und ausspringenden Winkeln [p. 374] angelegt, und von einem röthlich graven Stein erbaut, der das Auffallende und Seltsame des Ganzen noch vermehrt. Mir haben diese Gebäude einen ungleich größeren Reiz, als die neuen, oder frisch erhaltenen Schlösser mit ihrer koketten Pracht, und zur Staffage einer Landschaft vollends siud sie bei weitem günstiger. Dennoch sollte das Schloß von St. Germain nicht grade so verfallen, daß man jetzt ein Militair Gesängniß daraus gemacht hat. Dazu wahrlich bauten sich die Ahnen unsrer Könige nicht an den schönsten Punkten an, dazu schufen sie nicht mit ungeheuren Rosten diese herrlichen Terrassen, daß man, wo die Götter der Erde zu ihrer Lust weilten, die ärmsten Sclaven derselben zu ihrer Strase einwohne. Ist einmal Blut und Schweiß der Menschheit zur Herstellung des Schönen geflossen, so erneuert und verdoppelt sich der Frevel, wenn man es ihr nicht zu Gute kommen läßt. Aber das geschieht auch noch, denn der Garten von St. Germain, offenbar immer das Schönste, und nicht wieder herzustellen, wird der Stadt erhalten. Und wahrlich er ist der reizendste von allen in der Umgegend von Paris, durch seine unbeschreiblich schöne Lage. Ich will der hohen alten Bäumen, der schattendunkeln Laubgänge, der sanften Rasenteppiche gar icht gedenken, denn diese sinden sich auch in den andern Gärten, wiewohl kaum so schön. Aber der Blick von der Terrasse ! [p. 375] Er ist wahrhast italienisch zu nennen ! Weithin überschaut man die freie Krümmung des schönen Stromes, zwischen Weinhügeln und Gärten, eine Menge schimmernder Flecken und Landhäuser blinken aus dem Grün der Umbüschungen. Zur rechten steht man die Wasserleitung von Marly, mit ihren hohen Bogen ; gegenüber die prächtige Höhe der Mont Valerien, in der Ferne den graven Montmartre. Eben so anmuthig und romantisch ist der Bordergrund auf dem steilen Ufer der Seine, der sich in Terrassen abdacht, die mit Gärten und Billen bedeckt stud. Der Schloßgarten selbst zieht sich diese steile Höhe hinunter, und auf vielfach gewundenen und gebrochenen Steintreppen können wir von hier aus die Seinebrücke wieder erreichen, ohne die Stadt zu berühren.
Ich machte heut noch viele Abschiedsbesuche, doch der von St. Germain wurde mir fast am schwersten. Bon allen Landschaften um Paris ist diese unbedingt die schönste die ich bisher gesehn, und sollte ich ein Bewohner von Paris werden, so müßte ich wenigstens den Sommer Hindurch in St. Germain sein ! »

Rellstab, Ludwig

Récit par Louis Huygens de sa visite aux châteaux de Saint-Germain-en-Laye

« Ou on entre le premier c’est le vieux chasteau qui est bastij par François I de brique mais fort singulierement. C’est icij où loge le le Roij d’à present car le defunct estoit dans le chasteau neuf qui est en bas et bastij par Henri 4.
Il ij a dans ce vieux bastiment une chapelle assez belle où il ij a des orgues. Au reste, les appartemens du Roij et de la Reijne et la salle des comediens ij sont assez mediocres et mal entretenus, encor que le Roij ij vienne assez souvent. Elle est du reste fort grande, et on dit mesme qu’il ij [a] plus de 500 chambres logeables et encor n’ij a t il qu’une court. A costé gauche de la maison il ij a des parterres qui sont bien jolis et au delà d’autres grand jardins. Derriere il ij a premierement une grande court et au delà le chasteau neuf, qui est assez estendu en largeur mais aussij bien bas. L’architecture n’en est pas tout à fait à la moderne mode. Le corps de logis consiste principalement aux appartemens du Roij et de la Reijne. Cestuij cij est peint mais pas trop bien. Celuij du Roij est beaucoup meilleur et le plancher tout doré et lambrissé. On nous monstra icij la chambre où il est mort. A chaque appartement il ij a une longue galerie voutée toute peinte. Dans l’une des deux il ij a plusieurs villes assez mal representée, entre autres Maestricht et Nimwegen et Werrdenbirgh en Westphalie où ils ont mis dessous Werdenbroch, ville de Wespallon. Derriere cette maison, il ij a une grande terrasse, de laquelle on descend par des grands degrez dans les jardins qui viennent jusques à la riviere, mais sont tres mal entretenus, tous les degez abattus et toutes ces fameuses grottes, qui ont tant cousté autrefois, en desordre. Le chasteau vieux est toute couvert de grosses pierres de tailles au lieu d’ardoises. Quand on ij est monté dessus, on descouvre une fort belle campagne et Paris fort distinctement. »

Huygens, Louis

Récit par Joseph Lavallée de sa visite à Saint-Germain-en-Laye

« [p. 13] C’est, comme vous le savez, Monsieur, pour ce Versailles que Louis XIV abandonna Saint-Germain-en-Laye, dont la situation est enchanteresse, et dont la beauté de la vue ne se peut comparer qu’à celle dont on jouit au Mont-Casal, dont nous vous parlerons dans le département du Nord. Mais ce que vous ne saviez pas, c’est qu’une puérile foiblesse entra pour beaucoup dans la détermination de ce Roi. On apperçoit de Saint-Germain le clocher de Saint-Denis. Et le conquérant n’envisageoit qu’en tremblant l’écueil de ses fausses grandeurs. C’est ainsi que Catherine de Médicis abandonna, ou pour mieux dire, suspendit la construction du Louvre, parce qu’un devin lui avoit prédit qu’elle mourroit près de Saint-Germain, et que le Louvre est sur la paroisse de Saint-Germain-l’Auxerrois. Et voilà les maîtres du monde !
Ce séjour de la cour à Saint-Germain rappelle une bouffonnerie de Bassompierre : Marie de Médicis aimoit Saint-Germain, elle disoit au maréchal, « je me plais ici. Quand j’y suis, j’ai un pied à Saint-Germain, [p. 14] l’autre à Paris ». En ce cas, Madame, lui répondit-il, je voudrois être toujours à Nanterre.
Il y avoit jadis de l'aristocratie jusques dans les recueils de bons mon. Il falloit qu'ils fussent émanés ou d'un être noble, ou d'un prince ou d'un flatteur, pour que les compilateurs de pointes les jugeassent dignes d'être transmis à la postérité. Quoiqu’il n'y ait point encore de décret contre cet abus, vous ne trouverez pas mauvais que nous y dérogions en faveur d'un bon laboureur, dont deux réponses, que nous allons vous transcrire ici, valent bien cinq ou six tomes de calembourgs de quelques ci-devant marquis. La scène est encore à Saint-Germain. Un laboureur porte à un receveur des impositions sa quote-part de ce qu’il doit à la patrie. « Comment, lui dit le publicain, vous ! que jadis il falloit toujours attendre, vous venez de vous-même, et vous payez avec joie ? C’est, répond le laboureur, que je donne aujourd'hui ce que vous preniez autrefois.
Le même laboureur tenoit tête à un ex-parlementaire. La morgue magistrale n'avoit pas abandonné cet homme. « Tu ne me parlois pas si haut quand je portois les cheveux longs. – Ce n’étoit pas la longueur de vos cheveux qui m'en imposoit, mais celle de votre robe, qui envahissoit tout. Et quand vous me parliez alors, vous aviez derrière vous le bourreau qui m’écoutoit ».
[p. 15] Le premier château de Saint-Germain fut bâti par Louis VI, dit le Gros. Ruiné depuis par les Angalis, rebâti par Charles V, livré encore au comte de Varwick par un honnête religieux de Sainte-Geneviève, prieur de Nanterre, et nommé Carbonnet, peur la somme de trois cents salus d'or, réparé par François Ier, enfin augmenté par Louis XIV, il est tel aujourd’hui que la planche ci-jointe vous le représente. C’est un pentagone irrégulier.
Henri IV en avoit fait bâtir un autre, que l’on appeloit le château neuf, dont il n'existe plus qu'une partie.
C’est-là que Jacques II, roi d’Angleterre, a terminé ses jours et ses malheurs. Exemple de ta foiblesse des Rois, il perdit pour jamais sa couronne à la bataille de la Boine, en juillet 1690. Cent ans après, à pareil jour, Louis XVI recevoit la sienne des mains du Peuple Français.
Là, froids au souvenir des malheurs mérités d'un roi débilement dévot, nous avons mouillé de nos larmes l’autel de l’amitié, cette passion des cœurs honnêtes. Cet autel est le sarcophage où reposent les cendres de J.-B. Léon du Breuil, et de Jean-Joseph Pechmeja. Tous deux du même âge, la nature avoit placé leur berceau dans la même ville. L’amitié les a couchés dans la même tombe. Ils vécurent ensemble. Ils moururent ensemble. Ils reposent ensemble. Du
Breuil mourut, Pechmeja le suivit. Mort le second, Pechmeja est le premier ! De semblables tombeaux, malheureusement trop rares, consolent d'être homme. [p. 16] L’histoire les oublie pour citer les mausolées des conquérans ! mais les cœurs sensibles sont le livre de vie où s’inscrivent les noms des héros de l'amitié. Une loi défendoit aux Scythes d'avoir plus de deux amis. Inutile loi ! qui peut en avoir deux n’en mérite pas un. Mais l’amitié ! quel homme a chanté ceux qui la connurent. Tel qui lit tes odes de Pindare, sait-il seulement qu'il mourut la tête sur les genoux de son ami.
A travers la superbe forée de Saint-Germain, où se trouvoit le monastère des Loges, on arrive à Poissy. Le dissipateur Brunoi, fils de Paris Mont-Martel, a, dans ses revers, habité quelque tems les Loges. Il dépensa sa fortune en processions. Ses beaux-frères s’enrichirent de ses débris dont ils le dépouillèrent. J’ai vu beaucoup de gens qui se ruinoient avec des filles, le traiter d'extravagant, parce qu’il se ruinoit avec des encensoirs. Une lettre-de-cachet l’enleva à l’amour du Saint-Sacrement. Ces spoliateurs restèrent libres. Ils avoient les vices de leurs protecteurs. »

Lavallée, Joseph

Récit par Joseph Delort de sa visite à Saint-Germain-en-Laye

« [p. 57] Nous entrons dans Saint-Germain-en-Laye, à quatre lieues de Paris, ville située sur une montagne, au pied de laquelle coule la Seine, et peuplée d'environ 9,000 habitans. Elle doit son nom à 1’évêque Saint-Germain, [p. 58] qui vivait dans le 5e siècle, et l'épithète en Laye lui vient de la forêt silva Ledia ou Lea, dont il est fait mention dans un ancien cartulaire de l'abbaye Saint-Germain-des-Prés.
En remontant à l'origine de cette ville, qui sera toujours célèbre, tant par le séjour qu'y ont fait nos princes que par son magnifique château, on voit que, sous le roi Robert, on y érigea une chapelle dédiée à Saint Germain, puis un petit monastère, près duquel se forma un village qu'on appela tout simplement Saint-Germain.
Sous le règne de Louis-le-Jeune, on y bâtit une maison de plaisance ; et dès-lors nos rois continuèrent à s’y plaire et par suite à l’habiter.
Christine de Pisan, qui fut élevée à la cour de Charles V, nous apprend que ce monarque, à juste titre surnommé le Sage, fit moult notablement réédifier le chatel de Saint-Germain en 1370. Il fut pris par les Anglais sous Charles VI. Charles VII le reprit des mains d'un capitaine anglais, et Louis XI son fils, qui n'aimait point la campagne, mais qui n'épargnait rien pour la conservation de ses jours, en fit présent à Jacques Coitier, son premier médecin, qui [p. 59] en fut dépouillé à la mort du prince. Néanmoins Charles VIII et Louis XII le négligèrent beaucoup. Ce ne fut qu’à l'époque où François Ier, qui avait beaucoup de goût pour lâchasse, et s'était pris d'affection pour Saint-Germain, que le château fut augmenté d'un étage, ce que l'on reconnaît facilement à la couleur grise du moellon, décoré par des dessins en brique. Louis XIII y fit faire encore de grands embellissemens, et durant le règne de son fils, les cinq pavillons qui flanquent les encoignures, furent élevés par J. H. Mansart ; du reste, les lettres initiales sur les diverses constructions, rappellent les règnes sous lesquels elles ont été faites.
Ce que l'on appelle le château neuf, sur le faîte de la montagne plus près de la Seine, fut commencé sous Henri IV et Marie de Médicis, qui n'épargnèrent rien pour la perfection des ouvrages. Il fut embelli par Louis XIII qui y fut élevé ; et Louis XIV, qui y naquit le 5 septembre i638, en fit sa principale habitation jusqu'à la construction de Versailles. Mais, de tout cet édifice, au bas duquel est le village du Pec, il n'existe [p. 60] plus aujourd'hui que la tour où est né Louis-le-Grand, et qui tombe en ruines.
Marie de Médicis aimait tellement ce séjour, un des plus agréables qui soit en France et où l'on a remarqué qu'on vivait longtemps, qu'elle disait au maréchal de Bassompierre : « Je me plais ici, quand j'y suis ; j'ai un pied à Saint-Germain, l'autre à Paris. » – « En ce cas, madame, lui répondit le maréchal, je voudrais être toujours à Nanterre. »
On ne peut douter non plus que Henri lV ne l’aimât aussi, puisque, pour donner aux habitans une marque de l'intérêt qu'il leur portait, il les affranchit de tout impôt, le 10 juillet 1598, privilège dont ils jouirent jusqu'en 1789.
La lettre suivante, inédite, qui se rattache à mon sujet, écrite à la duchesse de Verneuil, prouvera qu'il y venait souvent :
« Mon cher coeur yls ont bien fayt le diable [p. 61] vers ma fame, je vous voyrré demayn au matyn et vous conterré tout, je veus fayre des myenes, cest pourquoy je ne desyre pas, qu’an ce tamps là vous soyes ycy, afyn que l’on ne vous acuse de ryen. Je manvoys demayn a St Germayn. Prepares vous à partyr demayn, car mardy je joueré mes jeus et vous voyrres si je suys le mettre. Je te donne le bon soyr mes cheres amours et un mylyon de besers.
H.»
En 1689, le roi Jacques II, ayant perdu sa couronne, se retira à Saint-Germain, où il fut accueilli avec la générosité qui caractérise les princes français. Il y mourut le 16 septembre 1702, et la reine son épouse, de la maison d'Est, y termina aussi sa carrière le 7 mai 1718.
Comme on vient de publier les Mémoires de ce roi, et que je n'y ai point trouvé les quatre lettres autographes intéressantes qui me sont tombées entre les mains, je crois
devoir les présenter ici […].
[p. 67] Fier d'avoir visité l'asile
Des plus illustres de nos Rois,
J'en sors, et, traversant la ville,
Bientôt j'arrive dans le bois.
D'abord, je trouve un militaire,
Que décorait la croix d'honneur,
Entretenant une bergère,
De ses combats, de sa valeur.
Car son âge me porte à croire
Que de l'amour la vive ardeur
Existe plus dans sa mémoire
Qu'elle ne règne dans son cœur.
Mais, l'amitié par sa douceur
Remplaçant la saison de plaire,
Peut-être du départ du frère
Il se console avec la sœur.
[p. 68] Plus loin, vers des routes secrètes,
Je rencontre sur mon chemin
Un homme lisant des tablettes :
J'approche, il se tourne, et soudain
Je reconnais un des poètes
Qui jadis chanta tour-à-tour
Et nos exploits, et nos conquêtes,
Et les conquêtes de l'amour.
– Quel but, ô favori des Muses,
Vous a conduit en ce vallon ?
Ces lieux sont-ils votre Hélicon?
– Tu me railles ou tu t'abuses.
Admirateur de Cicéron
Je fais comme fit ce grand homme :
Toujours il revoyait aux champs
Ses écrits composés à Rome ;
Et moi, je viens, tous les printemps,
À Saint-Germain, dans ces retraites,
Au sein des bocages fleuris,
Lire les pièces que j'ai faites
Dans le tourbillon de Paris.
[p. 69] Respectant les occupations de cet homme, je le saluai, et je continuai ma route avec mon ami.
Les belles masses de verdure de la forêt, l’une des plus belles du royaume puisqu’elle a cinq mille sept cent quatorze arpens, me rappellent que les rois de la première et seconde races s'appliquèrent peu au gouvernement des forêts, précisément peut-être parce que la France en était alors remplie. Ce ne fut que sous Philippe-Auguste que l’on commença à en tirer parti. Philippe III, Charles V et Charles VI rendirent sans doute des ordonnances pour leur conservation, mais ce fut François Ier, qui surtout les regarda comme un précieux trésor pour l’État ; aussi consacra-t-il tous ses moyens à leur entretien.
[p. 70] En causant ainsi, nous arrivons au bout de la grande route où se trouve le joli château des Loges, enclavé dans la forêt, et qui doit son nom au mot latin du moyen âge Logiae, qui signifie habitation au milieu des bois.
Le petit pavillon qu'on voit fut construit par ordre d'Anne d'Autriche, qui s’y rendait toutes les fois qu'elle allait à Saint-Germain.
Ce lieu, aussi célèbre par la foire qui s’y tient, que par les divers établissemens auxquels il servit a résisté aux destructions opérées par le vandalisme. En 1624, des ermites s'y établirent. Plus tard, c'est-à-dire en 1685, Louis XIII y plaça des Religieux, Augustins ; et c'est ainsi qu'après avoir servi à d'autres établissemens de ce genre, une succursale de la maison royale d'Ecouen y fut établie dans la révolution. Enfin une ordonnance de mai 1816, en a subordonné l'organisation à la maison royale de Saint-Denis. »

Delort, Joseph

Récit par John Gustavus Lemaistre de son passage à Saint-Germain-en-Laye

« In returning to Paris, we took the road of St. Germain. The old castle still remains ; but its outward appearance was so gloomy, that we felt no inclination to visit the interiour. If the french monarch intended to pay a compliment to the pretender, in giving him a palace as nearly as possible resembling St. Jame’s, his choice was admirable. The view from the terrace is pretty, but by no means either as extensive, nor as rich, as I expected from its celebrity. »

Lemaistre, John Gustavus

Récit par Johann Wilhelm Neumayr von Ramssla de sa visite à Saint-Germain-en-Laye

« [p. 143] Den 20 zogen J. Fürstl. Gn. nach S. Germain en Laye : seynd zwey königliche Häuser / ligen beyde auff einem Berge : Das alte ist ein groß Gebäwbe / meistlich von gebackenen Steinen auffgefützrek / die Form ist fast ovalis, Inmassen solches am Hoff inwendig zu sehen / welches dem Gebäwde ein selßam Ansehen gibt : Im Hoff seynd in dreyen Ecken Thürme / in solchen kan man zu oberst auffs Dach kommen. An stadt des Dachs ligen grosse steinerne Platten über einander / daß das Wasser abschiessen kan : So ist auch oben / so wol in als außwendig ein Parapetto, oder Lehne von steinern Seulen rings herumb / und demnach das ganße Gebäwde oben wie eine altana gemacht / daß man oben allenthalben sicher herumb gehen / und sich vmbsehm kan / wie man dann ein schön Theil Landes vor sich hat. Inwendig sihet man oben herumb viel Salamandra in Stein gehawen / darauß abzunemen / daß Ludovicus Xll diß Hauß gehawet.
[p. 144] Die Gemach / so viel J.F.G. gezeigetworden / seynd gar schlecht / wie auch der Saal. Nechst bey dem Thor / auff der rechten Hand ist die Capell : Die Fenster am Schloß seynd hoch / und in Schwibbogen gefast / welches dem Gebäwde ein schön Ansehen gibt : Hat ein tieffen Graben herumb Gegen Mitternacht ist ein Lustgarten mit schönen Quartiren vnnd Gängen : So ist auch nechst daran ein lustiger dicker Wald oder Thiergarten / etliche Meilwegs groß / hat rings herumb eine hohe Mawer. Auß vorbemeltem Garten seynd viel lustige alléen und Gänge in solchen Wald gemacht : Sol eine schöne Lust darinnen seyn : Darumb haben auch die Könige allzeit diesen Ort sehr geliebet und hoch gehalten der / jetzige junge König ist allhier erzogen worden.
Nicht weit davon stehet ein groß Ballhauß / sol der schönsten eines in Franckreich seyn.
Das ander königliche Hauß ligt ohn gefehr 200 Schritt von diesem / gar an der Ecke des Berges. Ob es wol nicht so weitleufftig / hoch und groß / als das ander / so ist es doch viel schöner / ordentlicher und künstlicher angelegt und gebawet. Das gantze Gebäwde ist nidrig / und nur Gemachs hoch auffgeführet : Die Gemach seynd ohn gefehr ein pahr Ellen von der Erden erhöhet : Man gehet allenthalben durchauß von einem ins andere / Ist auch das gantze Werck gleichsam in zwey Quartier außgetheilet / eins vor den König / und das ander vor die Königin / wie ein Theil an Zimmern und Galeria gebawet / so ist auch das ander. In des Königs Galeria stehen an den Wänden viel Städte auff grossen Taffeln abgemahlet / unter andern auch Venedig / Florenz / Prage / Nimegen / darunter diese Wort : Ville du fondement de l’Empire, [p. 145] Denn Carolus Magnus hat solche zu einen Reichssitz in denselben Landen gemacht / wie er auch mit Ach und Theonville daselbst gethan. Am Ende über der Thür hat der Mahler ein groß durchsichtig und prospectivisch Gebäwde gemahlet / welches von serne das Ansehen / als sehe man noch weiter die Galeria hinauß.
In der Königin Galeria stehen viel Fabuln auß Ovidio und andern Poeten, auch auff grossen Taffeln / fast in natürlicher grösse gemahlet.
Diese Galerien seynd oben rund / wie ein lang Gewölbe / Ist alles überauß schön von Golde und Farben angestrichen. So seynd auch in den Gemachen viel schöner kunstreicher Gemählde / Wände und Decke allenthalben schön gefasset / und auch mit Golde und Farben auffs künstlichste gemahlet : Camin von bundten Marbel auffs zierlichste gemachet.
Auß den Galerien und Gemachen sihet man hinab in den Fluß Seine, und ein gut Theil ins Land. Es ist aber hinter den beyden Galerien, und zwar so lang das gantze Gebäwde ist / ein Platz etwa zwölff Schritt breit / gepflastert : In der mitte daselbst stunde eine blaw Seule von Holtz mit viel güldenen Lilien daran / sol ein Brunn seyn war aber nicht ganghafft / und viel daran zerbrochen.
Weil es auch umb das Hauß also beschaffen / daß man auff beyden Seiten / da es an der lenge wendet / damit herauß an Berg gerücket / Als ist an der einen Seiten auff der Ecken eine Capell / dorinn der König Meß hört : Ist von schönen bundten Marbel / und oben hinauß rund mit einem Thürmlein / daran die Fenster / damit das Liecht daselbst hurein fallen kan. Sie ist zwar klein / aber recht schön und artig nach der architectur gemacht.
[p. 146] Von bemeltem Platz seynd zweene grosse gepflasterte Wege hinab auff einen andern Platz / so auch gepflastert : Daselbst ist eine Galeria auff hundert Schritt lang (denn so lang ist auch das gantze Hauß) die ist gleich unter vorgedachtem obersten Platz : An beyden Seiten seynd Grotten, oder schöne künstliche Gewölbe / mit Meerschnecken / Muscheln / Perlenmnutter / seltzamen Meer unnd andem Gewächsen / unnd Steinen außgesetzet. Mitten in der ersten Grotta stunde ein runder Lisch auß schwarßen Marbel / In der mitte war ein Röhrlin / auff dasselbe stackte der Italiäner / so auff die Wasserkunst bescheiden / unterschiedene Instrument, darauß sprang das Wasser auff allerley Art. Insonderheit hat er eins / das gab Wasser auff eine Form / als wann es ein schön Cristallen Kelchglaß were : Item ein anders / wie ein Umbrel, unnd also formirte er etliche Gefäß / und andere Ding vom Wasser. Auff der einen Seiten an der Wand saß eine Nympha, die schlug auff der Orgel / und regte das Häupt. Bey dem Fenster stunde ein Mercurius auff einem Fuß / und bließ eine Tromete. So saß auff der andern Seiten ein Guckguck auff einem grünen Baum / ließ sein Gesang so eigentlich hören / als wann er natürlich were.
In der andern Grotta kam ein Drach auß einer Klufft herfür / schlug mit seinen Flügeln / reget den Kopff / strackt solchen endlichen in die höhe / und speyete viel Wassers von sich. So waren auch viel Vogel umb ihn herumb / die fiengen an zu singen. Auff der andern Seite stunde ein grosser steinerner Trog von Muscheln / unnd allerley Meersteinen / auch gar künstlich gemacht : In solchem kam ein Neptunus auff seinem Wagen / so zwey Meerwunder zogen / auß einer [p. 147] Klufft herfür / regete sich alles / als hette es das Leben : Er wandte sich aber im Trog mit dem Wagen / und fuhr wieder in die Klufft hinein.
Von diesem Platz gehen abermaln zweene gepflasterte grosse Wege hinab noch auff einen andern Platz / so auch gepflastert / daselbst ist eben auch eine solche lange Galeria mit zweyen Grotten, welche gerade unter die ersten gebawet. In der ersten Grotta stunde an der einen Seiten ein grosser steinerner Trog / auch auff die Art gemacht / wie von den vorigen gemeldet worden / war voll Wasser / vnnd sahe man nichts darinn / bald that sich allmehlich ein grosser Drach auß dem Wasser herfür / breitete die Flügel auß / hub den Kopff in die höhe / gab ein selßam Gethön / unnd endlich auch Wasser von sich. Auff der andern Seiten stund ein Berg / daran waren Wind und andere Mühlen / die giengen umb / Item allerley Handwercksleute / die ftengen an zu arbeiten / und regete sich alles : In der Grotta am audern Ende dieser Galeria, war ein Orpheus mit seiner Lyra, unnd umb ihn eine grosse Anzahl wilder Thier und Vögel : Wann er musiciret, so sol sichs alles regen / war dumaln ungangbar / dann die Grotta sol ein Riß betommen haben / und sagte der Welsche / daß sie unter 40000 Cronen nicht könte wieder repariret werden.
Alle bißhero erzehlte Grotten seynd also gemacht / daß man einen trieffnaß dorinn machen kan / dann das Wasser felt nicht allein von oben herab / sondern springt auch auß der Erden / und von allen Seiten herfür.
Von diesem Platz gehet man noch ferner zweene gepflasterte [p. 148] Wege hinab auff einen grossen Platz / daselbst wird jetzt ein Lustgarten mit Quartieren von artigen Zügen mit Burbaum zugericht. Auß diesem Garten werden noch mehr Wege gemacht / daß man vollends gar hinab zum Fluß kommen kan : Ist also an diesem Ort ein recht königlicher Lust. König Kenricus IV hat es gebawet auch bey seinem Leben / weil es nicht weit von Pariß / sich gar offt daselbst auffgehalten. Es ist zwar alles gar ansehnlich und herzlich auffgeführet und zugericht : Ist aber anders nichts als ein grosser Steinhauffen. Dann da sihet man nichts als Steinwerck / und gar keine Bäwme oder Streucher. Wann der Berg auff die maß zugericht were / wie der zu Tivoli bey Rom am schönen Palatio daselbst / weil er selbigen bey nahe gleichet / würde die Lust bev weitem schöner und herrlicher seyn. »

Neumayr von Ramssla, Johann Wilhelm

Récit par Johann Friedrich Reichardt de sa visite à Saint-Germain-en-Laye

« [p. 258] Bei dem traurigen Malmaison, einem unansehnlichen, alten, schlecht gebauten Landhause in ebenem, off’nem Felde an der Landstraße, rundum mit breiten Graben und einer hohen Mauer umgeben, fuhren wir vorbei, und verschoben seine Besichtigung auf den Rückweg, um die, Parade des schönen dritten Husarenregiments, welches in St. Germain in Garnison liegt, nicht zu versäumen. […]
[p. 261] Nach der Parade machten wir noch in Gesellschaft des Obersten und seiner aus Paris angelangten Mittagsgesellschaft, in welcher sich auch Damen aus seiner Familie befanden, einen schönen, langen Spaziergang längs der herrlichen, wohl eine Viertelstunde langen Schloßterrasse, [p. 262] die Seine entlang. Von da übersahen wir wohl an vierzig bis funfzig Lieues des angebautesten Landes. Für einen angenehmen oder gar schönen Anblick ist die Gegend selbst zu sehr angebauet, um so mehr, da die weiße Kreidefarbe aller Dörfer und Städte sehr einförmig und beleidigend fürs Auge ist, und es der Gegend im Ganzen, und besonders in der Ferne, auch an Holz und Wiesen fehlt. St. Germain selbst hat in seiner Nähe einen Wald, der über fünf tausend Arpens Land einnimmt, und der mit seinem sandigen Boden für jede Jahrszeit zur Iagd sehr schicklich und bequem ist ; auch wird er jetzt von dem umliegenden und in der Nähe wohnenden Militär sehr dazu benutzt. Der Kriegsminister Berthier selbst jagt sehr oft darin, und wenn Bonaparte einmal einige Stunden der Jagdlust widmet, so geschieht es meistens auch in dem Walde von St. Germain.
Zurück nahmen wir den Weg durch angenehmes Gehölz von sehr verschiedenen Baumund Straucharten, das hinterwärts die Terrasse begränzt und im Schatten bis an das Schloß zurückführt. Es ist eine höchst angenehme Promenade [p. 263] für die Einwohner der Stadt, die sie gegen Abend auch fleißig zu besuchen pflegen.
Die an dem Hügel längs der Seine gelegene Stadt ist für eine Landstadt recht artig und ansehnlich gebaut, und scheint sehr bevölkert zu seyn. Einwohner und Gebäude hatten ein stattliches, zum Theil recht zierliches Aeußere ; man sieht es den Leuten, und besonders den Kindern, gar sehr an, daß der alte Ruf von vorzüglich guter und reiner Luft, dessen die Stadt schon lange genießt, gar wohl gegründet ist.
Das Schloß hat von aussen ein recht würdiges, gothisches Ansehen ; inwendig, und schon im innern Hofe ist es aber ein ganz widersinnig schiefes Gebäude. Doch ist es von Franz dem Ersten an bis auf Ludwig dem Vierzehnten sehr oft die Residenz der Könige von Frankreich gewesen. Als Veste ward es schon von Ludwig dem Sechsten erbauet : dann aber von den Engländern zerstört, und unter der Regierung Carls des Fünften wieder erbauet, und von Franz dem Ersten zu einer königlichen Wohnung im damaligen Sinne erweitert. Ludwig der Vierzehnte fügte noch fünf starke Pavillons [p. 264] hinzu, die das Schloß umgeben. In diesem Schlosse lebte der vertriebene Iacob der Zweite von England von Ludwig des Vierzehnten Wohlthaten, und starb hier auch. Dergleichen wird von den jetzigen Franzosen andern benachbarten Mächten oft übel genommen.
In der Nähe dieses alten Schlosses hatte sich Heinrich der Vierte auch ein neues Schloß erbauen lassen, auf dessen Trümmern der Graf von Artois wieder ein neueres errichten ließ. Eine artige Anekdote sagt, daß unter den Büsten, mit welchen das Schloß Heinrich des Vierten verziert war, eine dem Präsidenten Fauchet, dem Verfasser der Antiquités françoises et gauloises, sehr ähnlich sah. Als dieser einst bei Heinrich dem Vierten um den langerwarteten Lohn für seine literarischen Arbeiten nachsuchte, sagte der König zu
ihm, auf jene Büste zeigend : seht da Euer Bildniß, das ich zum ewigen Andenken hier habe hinsetzen lassen. Fauchet, sehr wenig zufrieden mit einer solchen Belohnung machte darauf folgende artige Verse :
J’ai trouvé dedans Saint-Germain
De mes longs travaux le salaire ;
[p. 265] Le Roi de pierre m’a fait faire,
Tant il est courtois et humain.
S’il pouvoit aussi bien de faim
Me garantir que mon image ;
Ah ! que j’aurois fait bon voyage !
Je retournerois dès demain.
Viens Tacité, Saluste et toi,
Qui a tant honoré Padoue,
Venez ici faire la moue
En quelque coin ainsi que moi.
Der gute Heinrich nahm ihm das gar nicht übel ; als er die Verse gelesen hatte, ernannte er ihn vielmehr mit einem ansehnlichen Gehalte zum Historiographen von Frankreich.
Heinrich mußte doch schon zu seiner Zeit das alte Schloß für eine königliche Residenz zu wüst und gering gehalten haben. Was man nun gar in der neuesten Zeit in dem weiten Raum für Löcher zu Stuben und Kammern hingeflickt hat, um die unbeweibten Offiziere der Garnison zu logiren, das ist ganz unbeschreiblich ; ich glaubte in eine Holz-oder Waschkammer zu kommen, als ich das erste Zimmer eines Lieutenants betrat ; daneben hatte er denn wieder ein übrig gebliebnes Stück von einem hohen Saal, den man in kleine, unregelmäßige [p. 266] Stuben und Kammern verwandelt hatte. Andre Zimmer waren freilich besser, und die meisten hatten, zur Schadloshaltung fürs Innere, die langen Thürflügelfenster, aus welchen viele auf einen eisernen Balcon hinaustreten und die freie Aussicht auf die reiche Gegend genießen konnten.
Die Lage des alten Schlosses ist ganz unbeschreiblich schön. Die breite, erhobne Terrasse trennt es nur vom schönen Fluß, dessen geschlängelten Lauf das Auge weit in die Ferne hin verfolgt, und über welchen hinweg man das unübersehbare, reiche Land vor sich hat. An der andern Seite hat man den lieblichen Wald, an der andern das fruchtbare Land, hinter sich die sehr artige Stadt, durch einen schön bepflanzten, schattigen, geräumigen Platz von dem Schlosse abgesondert.
Wie Ludwig der Vierzehnte, der schon Willens war auf der schönen, hohen Terrasse ein neues Schloß zur beständigen Residenz der Könige von Frankreich zu erbauen, diese köstliche Lage dennoch hat mit dem öden, flachen, wasserlosen Versailles vertauschen können, ist unbegreiflich. Man sagt, er Hab’ es gethan, [p. 267] weil es ihm fatal war, und er es auch von schlimmer Bedeutung gehalten habe, vom Schlosse herab den Thurm der Abtey von St. Denis, den Begräbnißort der Könige von Frankreich, stets vor Augen zu haben. Dies kann in Zukunft ein Grund für die neuen Könige oder Kaiser von Frankreich werden, ihre Residenz dahin zu bauen ; ihnen bietet die alte Abtey jetzt nur eine schöne Ruine dar. Ihr Vorgänger und Wegebereiter ließ die Leichen der Könige vieler Jahrhunderte, in Asche verwandelt, den Lüften hingeben.
Catharina von Medicis mochte dieses Schloß auch nicht bewohnen, weil Wahrsager ihr prophezeiht hatten, sie würde nahe bei St. Germain sterben. So floh sie auch das Louvre, in welchem sie sich schon eine Wohnung bereiten ließ, als sie gedachte, daß es im Sprengel der Kirche S. Germain l'Auxerrois belegen sey. .
Maria von Medicis gesiel sich desto mehr in St. Germain. Um ihr Gefallen an dieser angenehmen, Paris so nahen Wohnung, einst dem Marschall von Basfompierre auszudrucken, fagte sie zu ihm : wenu ich dort [p. 268] bin, hab’ ich einen Fuß in St. Germain und den andern in Paris, worauf der galante Marschall, eingedenk, daß das Dorf Nanterre in der Mitte jener beiden Städte lag, in dem damaligen galanten Hoftone erwiederte : in dem Falle möcht’ ich zu Nanterre seyn.
Hätte Ludwig der Vierzehnte den funfzigsten Theil des ungeheuren Geldes, welches ihm Verfailles und die große Wasserleitung gekostet, um den Ort mit dem nothwendigsten Wasser zum Gebrauch zu versehen, und die todte Oede mit künstlichem Wasser zu beleben, zu einem Prachtgebäude auf der Terrasse von St. Germain verwandt, so müßte es die erste und schönste Wohnung eines Königs geworden seyn. Bei ihm gieng aber alles von dem Begriffe des unbeschränkten eignen Willens aus, und lief immer auf die Prätension hinaus, überall das Unmögliche möglich zu machen. Iede, auch nur Scheinbefriedigung dieser [p. 269] übermenschlichen Aufoderung beglückte ihn mehr, als der schönste Genuß der Natur und alles dessen, was den bessern Menschen und den wohlwollenden Regenten beseligen kann. Einen hohen Sinn setzt jenes freilich voraus, und den sindet man auch fast in allem, was seinen Namen tragt. Ja selbst das hohe point d’honneur, welches in seinem Jahrhunderte der ganzen französischen Nation so zur Natur geworden, wie es vor ihm wohl nur Krieger und Ritter besitzen mochten, ist wohl noch als ein lebendiger Nachklang aus Ludwigs langem Leben zu beachten. »

Reichardt, Johann Friedrich

Récit par James Fenimore Cooper de sa visite à Saint-Germain-en-Laye

« [p. 77] The next stage brought us to St. Germain-en-Laye, or to the verge of the circle of low mountains that surround the plains of Paris. Here we got within the influence of royal magnificence and the capital. The Bourbons, down to the period of the revolution, were indeed kings, and they have left physical and moral impressions of their dynasty of seven hundred years, that will require as long a period to eradicate. Nearly every foot of the entire semi-circle of hills to the west of Paris is historical, and garnished by palaces, pavilions, forests, parks, aqueducts, gardens, or chases A carriage terrace, of a mile in length, and on a most magnificent scale in other respects, overlooks the river, at an elevation of several hundred feet above its bed. The palace itself, a quaint old edifice of the time of Francis I, who seems to have had an architecture not unlike that of Elizabeth of England, has long been abandoned as a royal abode. I believe its last royal occupant was the dethroned James II. It is said to have been deserted by its owners, because it commands a distant view of that silent monitor, the sombre beautiful spire of St. Denis, whose walls shadow the vaults of the Bourbons; they who sat on a throne not choosing to be thus constantly reminded of the time when they must descend to the common fate and crumbling equality of the grave.
An aqueduct, worthy of the Romans, gave an imposing idea of the scale on which these royal works were conducted. It appeared, at the distance of a league or two, a vast succession of arches, displaying a broader range of masonry than I had [p. 78] ever before seen. So many years had passed since I was last in Europe, that I gazed in wonder at its vastness.
From St. Germain we plunged into the valley, and took our way towards Paris, by a broad paved avenue, that was bordered with trees. »

Cooper, James Fenimore

Récit par Henri de La Tour d’Auvergne, vicomte de Turenne, d’événements survenus au cours d’un séjour de la cour à Saint-Germain-en-Laye

« Nous partismes de Chantilly et vinsmes à Saint Germain en Laye, ou l’on fit sejour de trois mois. La, Monsieur et le roi de Navarre communiquoient souvent ensemble, et avions souvent des nouvelles de M. de La Noue. Les choses s’acheminans a une prise d’armes, [p. 16] ainsy que vous l’entendrez, M. de Montmorency vint a Saint Germain. Un jour, sur les six heures du soir, c’estoit vers le mois de fevrier, M. de Guise descendant d’un degré qui venoit de la chambre de la Reine mere, accompagné d’un gentilhomme et d’un page, trouve le jeune Vantabrun ; ayant eu peu de propos, M. de Guise met l’espee a la main, l’autre veut enfiler le degré, il le ratrape en bas, luy donne divers coups ; l’ayant porté par terre, croyant l’avoir tué, s’en court a la chambre du Roy, qui gardoit le lict, d’où il s’approche avec une voix emue. Il supplia le Roy, en s’abaissant, de luy pardonner sa faute d’avoir tué Vantabran dans le chasteau, qui luy avoit dit que sa femme, madame de Guise, et M. de Montmorency le vouloient faire tuer ; soudain M. de Montmorency repartit en suppliant le Roy d’ordonner que Vantabrun pust estre ouy, s’il luy restoit encore un peu de vie, se presentant, sous le bon plaisir du Roy, a maintenir que luy ny madame de Guis n’avoient jamais eu de semblables propos, ny pres ny loin, approchant cela. Sur ces entrefaites, La Mole entra, qui demanda justice au Roy, et tint des propos mal rangez et assez audacieux, ajoustant que Dieu avoit gardé la vie a son cousin pour, par sa bouche, scavoir la verité. Vantabrun est mené dans la garde robbe, quelques uns du Conseil ordonnez pour l’ouir, cela s’assoupit sans plus avant en avoir tiré la verité. L’opinion commune fut qu’on vouloit jetter le chat aux jambes a M. de Montmorency et, si Vantabran eus testé tué, que cela eust servy de pretexte a ce qu’on eust pu entreprendre contre luy, s’estant remarqué que cet assassin de Montrevel s’estoit veu a Saint Germain, ce qu’il n’avoit accoustumé, le Roy mesme n’estant bien aise de le voir pres de luy, recompense ordinaire des traistres, d’estre en soupçon mesme a ceux qui les employent. Parmy toutes ces choses, il y avoit des amours meslees, qui font ordinairement a la cour la pluspart des brouilleries, et s’y passent peu ou point d’affaires que les femmes n’y ayent part, et le plus souvent sont cause d’infinis malheurs a ceux qui les ayment et qu’elles ayment. C’est pourquoy, si vous me croyez et voulez estre sage, vous vous retirerez de la passion, et tascherez de vivre en sorte qu’elles ne croyent que vous les meprisiez ou fassiez mauvais offices, mais qu’elles vous pourront conjurer a les aymer plus que tout votre pouvoir au devant de toutes vos actions la gloire de Dieu, de n’enfreindre ses commandemens de tout vostre possible.
M. de La Noue resout la prise des armes au 10 mars, avertit partout, mesmement le sieur de Guitry Berticheres, pour avertir ceux de dela la riviere de Loire. Monsieur en est averty et les autres princes, mais assez tard, n’y ayant pas plus de trois semaines jusques au jour. Ces princes s’assemblerent et aviserent le moyen de se retirer et ou : il fut avisé de scavoir de M. de Bouillon s’il vouloit les recevoir a Sedan, et a cet effet le sieur de La Boissiere est depesché vers luy, qui fit son voyage en huict jours, asseura la volonté de M. de Bouillon, non seulement d’ouvrir les portes, mais qu’il viendroit recevoir ces messieurs sur la riviere de Vesle, qui passe a Reims, avec un bon nombre de noblesse, en luy faisant scavoir le jour. Nous voila donc resolus de nostre partement, et du lieu de nostre retraitte. Le roi de Navarre va prendre son logis au village pour y coucher, M. de Thoré estoit avec nous et M. de Montmorency s’en estoit retourné a Chantilly. Il arriva par une tres grande faute, de laquelle la verification n’en a esté bien faite pour scavoir d’ou elle venoit, mais elle nous pensa couster la vie a tous, qui fut que M. de Guitry, au lieu de prendre le 10 de mars, s’avança de dix jours, m’ayant dit plusieurs fois que celuy que M. de La Noue luy avoit envoyé luy avoit donné l’autre jour qu’il avoit pris. Mon opinion a esté que l’ambition luy avoit fait commettre cette faute, estimant que s’avançant devant M. de La Noue, qu’il attireroit les hommes a luy et qu’il pourroit plus facilement executer quelque entreprise, et qu’aussi il ne temoigneroit ne dependre du commandement de M. de La Noue, raisons tres foibles pour luy avoir fait commettre tant de gens en un tres grand danger. Nous ne fusmes avertis que sur les [p. 17] deux heures apres midy qu’il avoit donné son rendez vous pour le lendemain de se venir saisir de Mantes, ou estoit la compagnie de M. de Montmorency en garnison, commandee par le guidon du sieur de Buy, qui estoit de nostre intelligence. Nous, fort esbahis, nous n’avions donné jour a M. de Bouillon, et apprenions l’incertitude du sieur de Guitry, des forces qu’il pouvoit faire, l’entreprise de Mantes fort incertaine, comme il a paru ; de partir incontinent, nous n’avions ny lieu ny forces certaines pour nous retirer. Nous renvoyons vers Guitry, luy mandant qu’aussitost qu’il a Mantes qu’il nous avertist, que nous cependant nous aurions le pied a l’estrier dans le village, n’y ayant plus que Monsieur engagé dans le chasteau.
Sur l’entree de la nuit, voila l’alarme a la Cour, si chaude que, n’en connoissans bien la cause, les perturbations estoient grandes, les bagages chargez, les cardinaux de Loraine et de Guise a cheval pour s’enfuir a Paris, et, a leurs exemples, plusieurs autres. Les tambours des Suisses, du corps et des compagnies françoises des gardes battoient aux champs. Les avis du rendez vous du sieur de Guitry pour l’assemblee de ses forces se rapportoient de Normandie, de Beausse et du Vexin, ou il estoit ; le partement du Roy resolu a l’instant, les gardes redoublees au chasteau ; mon oncle de Thoré et moy, qui estions au village, au logis de M. le connestable, prest a partir si je l’eusse voulu croire, ce que je ne voulus, mais d’aller au chasteau aviser si nous pourrions faire sortir Monsieur. Estans dans le chasteau, ou le roi de Navarre avoit aussi esté mandé, je cherchay Monsieur, et entray en la chambre de la Reine, ou le roy de Navarre s’approcha de moy et me dit : « Nostre homme dit tout ». Alors je m’approchay de mon oncle de Thoré et luy dis qu’il s’en allast, et qu’il vengeast le mauvais traitement qu’on me pourroit faire, et me crut, dont bien luy prit : s’il fust demeuré, il estoit mort, d’autant que Monsieur l’avoit fort chargé par sa confession qu’il fit a la Reine mere, par la foiblesse de sa constance, et par l’induction de La Mole, qui, marry de n’avoir [p. 18] esté de tous nos conseils, pour se venger de nous, et de moy principalement, estimant que ce mauvais office qu’il faisoit a son mestre en luy conseillant de perdre sa creance et reputation, et ses meilleurs serviteurs, qu’il s’attiroit un grand gré du Roy et de la Reine, ce qui avint autrement, ainsi que vous l’entendrez.
La Reine, ayant sceu ce qu’elle vouloit de son fils, sort de son cabinet et va a la chambre du Roy, ou je m’en allay par le grand degré, curieux, ainsi qu’il se peut juger, de scavoir ce que Monsieur avoit dit. Ainsi que j’entray, je le vois parlant a madame de Sauve, riant comme s’il n’y eut eu rien ; il la quitte et me dit : « Je n’ay rien dit de vous, sinon qu’en general vous m’aviez promis de faire tout ce que vous dirois, mais que votre oncle s’en aille ». Il commençoit a estré jour, on vouloir envoyer vers Guitry, mais je rompis ce coup ; soudain je luy dis qu’il le devoit avoir fait, d’autant que ces gens la croiroient qu’il les auroit tous trompez, et que je les rendrois capables d’excuser ce qu’il avoit dit, et que leur precipitation nous avoit tous perdus. J’avois aussi une autre raison, qui estoit que le Roy s’attendant de tirer quelque service de moy durant cette entremise, qu’on ne me feroit deplaisir, n’estant fort asseuré si Monsieur n’avoit dit de moy que cela. Je le conviay de remettre cela en avant de m’envoyer vers Guitry, ayant songé que j’y pourrois servir. Le Roy se delibere que j’irois de la part de Monsieur, M. de Torsi de la sienne, et un nommé d’Arbouville de la part du roy de Navarre, qui n’avoit brouillé personne. »

La Tour d’Auvergne, Henri (de)

Récit par Gerard Anton von Halem de sa visite à Saint-Germain-en-Laye

« [p. 140] Am bezauberndsten sind dich die Höhen von St. Germain, die ich an einem andern Tage besuchte. Recht frey habe ich dort in der reinsten Luft geathmet, und geschwelgt in der schönen [p. 141] Natur. Von der Platteform des Schlossplatzes herab übersieht man mit weitem Blick die Landschaft, die Seine, welche sich, wie die Weser bey Rinteln, mannigfaltig schlängelt, die Brücke über die Seine, etwas ferner die Arcaden der Wasserleitung von Marly, die Thürme St. Denis, die Höhen des Calvaire und Montmartre. Man kann sich nicht davon trennen. Statt sich in Versailles zu vertiefen, hätte Ludwig XIV, hier geboren, auch hier sein Schloss verschönernd ausbauen sollen. Er that es nicht, sagt man, weil er nicht immer seinen Blick auf St. Denis, sein sicheres Grabmal, richten mochte. Das alte, aber geräumige Schloss zu St. Germain nahm die entthronten Stuarts auf, und Jakob II fand hier seinen Tod. Das Schloss dient jezt sur Schule für zweyhundert junge Cavalleristen, die wir auch in militärischem Zuge fröhlich vor unserm Speisequartier vorbey reiten sahen, und von vielen Jünglingen freundliche Grüsse [p. 142] erhielten. Das Alter der Aufzunehmenden ist wenigstens sechzehn, höchstens achtzehen Jahre. Es wird zur Aufnahme, ausser gesunder Leibes-Beschaffenheit, einige mathematische Vorkenntniss, und Fertigkeit, die Sprache richtig zu reden und zu schreiben, erfordert. Die jährliche Pension ist 2400 Franken, und nach drey oder vier Jahren Studien haben sie die Aussicht, als Sous-Lieutenants in die Regimenter einzutreten. »

Halem, Gerard Anton (von)

Récit par Georg von Fürst de sa visite à Saint-Germain-en-Laye

« [p. 207] Zu einer andern Zeit ritten wir nach S. Germain en Laye, welches auch ein Königliches Lust Schloß ist, und 6 Meilen von Pariß lieget. Es sind allhier 2 Königliche Häuser, welche beide auf einem Berge erbauet seyn. Das alte ist ein groß Gebäude, so meistens von Ziegelsteinen aufgeführet. Es hat ein ovales Ansehen, und macht eine wunderliche Figur. In drei Ecken des Hoffes stehen hohe Thürme, in welchen man biß oben auf das Dach steigen kan. Auf dem Dache liegen grosse steinerne Platten, welche so geleget seyn, daß das Wasser darauf abschießt. Und auf den Seiten befinden sich schöne Seulen, welche das ganze Gebäude umgeben, und einen vortreflichen Altan machen. Man kan sich weit und breit darauf umsehen, und ein groß Stücke Landes [p. 208] betrachten. Gegen Mitternacht ist ein Lust-Garten welcher mit schönen Quartieren und Gängen ausgeziehret ist. Nächst daran stößt ein dicker Wald, oder Thier Garten, welcher etliche Meilen groß ist, und rings herum mit einer Mauer umgeben. Man nennet diesen Wald das Holz der Verrätherey. In einer Ecken stehet ein steinerner Tisch, daran ehemahls diejenigen gesessen, welche eine gro Verrätherey angerichtet, und sich deswegen einander verschworen haben. Von diesem Holße ist merkwürdig, daß es von der Zeit an teine Früchte getragen. Wenn man einen Ast von einem Baume abschneidet, so verdorret er, und bringt keine Blätter mehr hervor. Der Ast selbst zu Grunde, wie ein Stein, wo er in die vorbeyflüßende Seine geworffen wird. Man meynet, daß Gott dadurch feinen Zorn anzeige, welchen er gegen die Verräther gefasset, die an diesem Orte ihre Gottlosigkeit beschlossen haben. Das neue Hauß liegt ohngefehr 200. Schritte von dem alten, und ganz an der Ecke des Berges. Es ist zwar nicht so weitläufftig, hoch und groß, als das vorige, aber viel schöner, ordentlicher und künstlicher gebauet. Man kan aus einem Zimmer in das andere gehen. Das ganze Gebäude ist gleichsam in zwei Quartiere eingerheilet, eins vor den König, und das andere vor die Königin. Wie denn auch auf beyden Seiten die Zimmer einerley seyn. Bey diesem Berge ist ein schöner Platz zusehen wo auf beyden Seiten vortreffliche Grotten gemachet seyn. In der esten funden wir einen runten Tisch von schwarzen [p. 209] Marmor, welcher in der Mitten ein Röhrgen hatte. Auf daßelbe steckte der Kunst Meister unterschiedne Instrumente, durch welche das Wasser auf unterschiedne Weise sprunge. Insonderheit gefiel uns eine Art wohl, da das Wasser eine Gestalt vorstellete, als wenn man ein Kelch Glaß von dem schönsten Christall sähe An der Wand faß eine Nymphe, welche auf der Orgel schlug, und das Haupt darzu bewegte. Mercurius aber stund bey dem Fenster auf einem Fusse, und machte ein lustiges Stückgen mit seiner Trompete. Auf der andern Seite sahe man einen Guckug, welcher auf einem Baume saß, und seine Stimme so natürlich hören ließ, als wenn er lebendig wäre. In der andern Grotte wurden wir einen Drachen gewahr, welcher aus seiner Klufft hervor kam. Er schlug mit seinen Flügeln um sich, regte den Kopf, streckte ihn hoch in die Höhe, und spiehe viel Wasser von sich Um ihn befanden sich viel Vögel, welche ihre Stimmen erhuben, und eine angenehme Mufique machten. An der andern Seite stund ein großer Trog, welcher von Muscheln und Meersteinen sehr künstlich verfertiget war. Neptunus kam auf einem Wagen hinein gefahren, welcher von zwei Meerwundern aus einer Klufft gezogen wurde. Es regte sich alles, als wenn es lebendig wäre. Wie er sich nun in dem Troge mit seinem Wagen umgewendet hatte, so fuhr er wieder in seine Klufft hinunter. Von diesem Orte giengen wir auf einen andern Platz, wo wir ebenfalls schöne Grotten antraffen. In der ersten sahen wir auch einen grossen Trog, welcher [p. 210] mit Wasser ganz angefüllet war. Wie wir hinzukamen, so war nichts darinnen zu finden. Bald aber regte sich allmehlich ein großer Drache. Er kam aus dem Wasser hervor, breitete die Flügel aus, hub den Kopf in die Höhe, und verursachte ein wunderlich Geräusche. Endlich spiehe er viel Wasser von sich, daß wir uns kaum retiriren konten. Auf der andern Seite stund ein Berg, daran sich Wind und Wasser Mühlen befanden, die ordentlicher Weise herum giengen. Dabey sahe man allerley Handwercks Leute, welche anfiengen zu arbeiten, und sich an allen Orten bewegten. An dem äussersten Ende der Grotte saß Orpheus mit seiner Leyer und um ihn stunden viel Thiere und Vögel So bald er nun anfieng zu leyern, sogleich wurde auch alles rege, und sprung um ihn herum. In allen diesen Grotten muß man sich wohl in acht nehmen, wenn man nicht will bade naß werden. Denn ehe man sichs vermuthet, so springet das Wasser aus der Erden, aus den Wänden, und auch aus der Decke. Es ist lustig anzusehen, wenn es uns nur nicht selber betrifft. Hier hielt sich der König in Engelland, Jacob der II. auf, und beweinte mit seiner Gemahlin die grosse Thorheit, welche er in Engelland begangen. Sein Vater, Carl der I. vergriff sich an dem ersten Grund Gesetze und wollte aus eigner Macht dem Volcke Contributionen aufflegen. Darüber verlohr er sein Königreich, und auch seinen Kopff darzu. Hieran hätte sich sein Sohn spiegeln sollen, und desto behutsamer regieren. Allein er griff das andere Grund [p. 211] Gesetze an, und wolte neue Gesetze machen, ohne das Parlament darum zu befragen. Hierüber büßte er seine drey Kronen ein, und muß allhier das Gnaden Brod essen. Doch was können nicht die Papistischen Rathgeber anrichten, wenn sie einen Regenten überreden wollen, daß er wider alle Grund Gesetze handeln, und seine Evangelische Unterthanen mit Gewalt zum Pabstthum zwingen dürffe. »

Fürst, Georg (von)

Récit par Francisco J. Herboso de sa visite à Saint-Germain-en-Laye

« [p. 231] Saint-Germain es una pintoresca pero monótona ciudad de 17.000 almas. No posee más atractivos que el castillo, la floresta, la iglesia y una estatua á Mons. Thiers, el libertador del territorio.
Tiene también su importancia histórica por haber nacido ahí (en el pavillon Henry II) Luis XIV y por ser el lugar del fallecimiento de Thiers.
El castillo, su principal atractivo, fué comenzado por Luis VI, denominado el gordo, quien hizo de él una fortaleza.
Durante las guerras con Inglaterra fué totalmente destruido y Carlos V lo reedificó en 1367.
Puede decirse, sin embargo, que el verdadero fundador es Francisco I, porque á él le tocó
concluirlo.
Pocos palacios han pasado por tantas transformaciones y han sido dedicados á tan diversos usos : fué en su origen, como acabamos de decirlo, [p. 232] fortaleza y en seguida residencia real, asilo de Jacobo II de Inglaterra, escuela de caballería dumnte el primer imperio, penitenciaría militar á principios del segundo y desde 1807 un interesante museo de antigüedades nacionales.
Los tres pisos, pues, están ocupados por el museo.
En el piso bajo encontramos casi todas las copias en yeso y piedra de los grabados del Arco de Constantino en Boma y varias alegorías de Trajano.
En el primero, colecciones y estatuas de piedra, ídolos antiguos, etc.
En el segundo, todos los objetos y armas de las épocas de piedra y fierro, huacas, objetos de vidrio romano, tumbas ó sean cajas cuadradas de piedra, de regular tamaño, en las cuales se depositaban los restos humanos cubiertos con tapas de vidrios.
Finalmente, en el tercero, objetos pertenecientes a los Galos : monumentos, mausoleos con momias y fac-similes de trabajos ejecutados por Julio César durante la campaña de la Galia.
La terraza del castillo domina á París con sus alrededores y goza de una hermosa y pintoresca vista. Ahí principia la gran floresta de Saint-Germain, inferior á la de Fontainebleau, pero mucho más hermosa que la de Montmorency. »

Herboso, Francisco J.

Récit par Francis Hall de sa visite à Saint-Germain-en-Laye

« [p. 211] St. Germain, a tall brick castle, surrounded by a fosse, has a venerable though gloomy aspect : the apartments are small, and for the most part unfurnished, exhibiting only the remnants of magnificence ; but it is not without a feeling of interest we pass through the chambers in which the exiled James spent the last years of his life : the silence and nakedness, both of the castle and town, are in unison with ideas of faded grandeur ; like the character of the fallen monarch, they look monastic, dark and unfortunate. A large town, half inhabited, seldom fails to give birth to melancholy : decay is in all circumstances abhorrent to our feelings, but especially the decay of human society. The principal Restaurateur still exhibits the sign of "The Prince of Wales" ; and feeble as is this record of royalty, it would be difficult to find in any other corner of the world so considerable a mark of respect to the exiled Stuarts. The superb terrace, which bounds the park towards the valley of the Seine, is justly admired [p. 212] for its extent of 7200 fett, and pleasing prospect over Paris and St. Denis. The park contains 8500 acres, and is still stocked with game, for the recreation of the royal family. »

Hall, Francis

Récit par Elie Brackenhoffer de sa visite à Saint-Germain-en-Laye

« [p. 11] Le jeudi 13 octobre, en compagnie de M. Offmülner et de son majordome, ainsi que d’un Suisse, j’ai fait une excursion à Saint-Germain-en-Laye. Nous sommes partis en voiture à 7 heures du matin, et à 10 heures nous sommes arrivés. La journée était belle et claire, mais le vent froid. Le chemin était agréable ; nous y avons vu une grande quantité de villages et de bourgs, qui étaient un charme pour les yeux. Devant Saint-Germain, s’étend une grande île, que le grand chemin traverse, sur plus d’une lieue de long ; des deux côtés il y a des ponts à péage. Cette île, assez vaste (comme on l’a dit) est plein de cerfs, de chevreuils, de lièvres et de lapins ; comme il est interdit, sous les peines les plus sévères, de les tuer ou de leur faire du mal, ils sont si familiers, qu’ils n’ont pas peur des voyageurs ou des passants ; au contraire, ils accourent. Cette île est entourée par la Seine ; elle est pleine d’arbres et de bois, et chaque année, à [blanc, pour la Saint-Hubert], les princes et les plus grands personnages de la cour y font une grande chasse, après laquelle on donne un fin banquet en l’honneur de ce saint, patron des chasseurs. Cette année, Mons. Monbason, grand veneur de France, présenta un cerf, [p. 12] en présence des ducs d’Orléans, d’Anguien et d’autres grands personnages assemblés.
Saint-Germain est un peu sur la hauteur (il faut mettre pied à terre deux fois) ; pour ce motif, il y a une plus belle vue sur la campagne et les localités environnantes que dans toutes les autres résidences royales. Elle est à 4 milles de Paris. On la divise en vieux et nouveau château. Le vieux, bâti par Charles V, et restauré pour la première fois par François Ier, est petit, et tout en brique. Son toit est revêtu de carreaux, presque comme à la Bastille, à Paris ; on peut s’y promener et regarder très loin autour de soi. Sur les cheminées de ce château, on voit partout F.F., ce qui signifie que François Ier l’a restauré. Il est très haut ; il y a 63 appartements, mais pas particulièrement magnifiques. La chambre du roi, où il réside parfois en hiver, paraît un peu sombre ; à ce moment elle n’était pas meublée. On nous a aussi montré la salle où se joue la comédie ; au-dessous de la scène, des deux côtés, on a peint un escalier de six ou huit marches environ avec tant d’art, qu’on s’y trompe, et que nous ne pouvions pas croire qu’il fût peint, avant de nous en être approchés et de l’avoir touché de nos mains.
La cour est presque ovale ; elle est de grandeur moyenne ; à droite de l’entrée, se trouve une chapelle, qui est toute dorée, et décorée à profusion de belles peintures et d’autres ornements. L’autel est orné de colonnes de marbre noir et d’ouvrages dorés. L’orgue, également doré, est superbe et d’un grand prix. Ce château est entouré d’un fossé profond, mais sans eau. Aussi, pour entrer, on passe sur un pont, muni d’un pont-levis.
A gauche du château, il y a un beau parterre, sur lequel [p. 13] donne la chambre du roi, et qui a une belle vue. Au bout de ce parterre, commence un beau parc, un bois, long de deux lieues, dans lequel on peut voir un long jeu de mail, muni de pavillons quarrez en maçonnerie, où l’on peut se reposer ou bien où peuvent se mettre les spectateurs, sans être gênés. Devant le château, il y a une grande et large basse-court, dans laquelle sont les écuries et autres communs. De là, on accède à droite dans une très grande et belle cour, divisée en deux par une cloison, par laquelle nous parvînmes tout droit au château neuf.
Il a été bâti par Henri IV ; il est donc encore assez neuf. On y montre : 1° L’antichambre du roi. 2° Chambre où est mort Louis XIII. 3° Cabinet. 4° Galerie du roi, au haut de laquelle on voit cet emblème : Duo protegit unus, ce qui veut dire qu’il possède à lui seul deux royaumes, la France et la Navarre. Au-dessus de la porte, est représenté le château de Fontainebleau ; des deux côtés, sont très joliment peintes à la détrempe, en assez grande dimension, les villes suivantes : Huy, Venize, Prague, Namur, Mantoua, Aden en Arabie, Compaigne, Heureuse, Sion en Suisses, Moly, Tingu, Stafin en Afrique, Teracina, Ormus en Perse, Bellitry, Werderboch en Westphale, Numegen, avec cette inscription : Ville du fondement de l’empire, car Charlemagne a voulu faire de ces villes des villes impériales. Passau, Mastrich, Thessala Tempe, Florence.
5° L’antichambre de la reine. 6° Sa chambre, dans laquelle est né Louis XIV, le roi actuel. 7° Le cabinet de la reine. 8° Sa galerie, ornée de grands panneaux avec des scènes tirées d’Ovide. Ces appartements sont égaux en dimensions et en beauté ; tous en effet, sont ornés de belles dorures et de sculptures ; égaux aussi en vue, car ils ont la même exposition, étant tous dans le corps de bastiment qui donne sur le jardin. Dans les deux appartements, il y a encore [p. 14] quelques autres pièces pour les officiers et les gardes, dont la Française est d’un côté et la Suisse de l’autre.
Sous la galerie et la chambre du roi, on montre encore quelques chambres basses, ou bien plutôt écuries, dans lesquelles se trouvaient les oiseaux et les quadrupèdes suivants : un castor ; des corneilles des Pyrénées, environ de la grosseur d’un pigeon, tout entières d’un noir intense, comme du charbon ; elles ont des becs rouge sang, et des pattes sans plumes ; des outardes, ou oies sauvages ; des petits chevaliers de la mer, petits oiseaux marins ; un aigle ; un perroquet de toutes les couleurs, extraordinairement grand et beau ; un mouton du pays de More, qui est haut, et qui a un cou et des pattes longs et rudes, un museau pointu ; un mouton turc ; un bouquetin femelle ; le mâle a été détruit après la mort de Louis XIII, parce qu’il avait fait beaucoup de mal et endommagé des gens ; on montre encore ses cornes, elles sont extraordinairement grandes et admirables en cela. La femelle est loin d’avoir d’aussi grandes cornes ; elles sont cependant plus grandes, plus larges et plus incurvées que les ordinaires ; son poil est aussi d’autre couleur que les ordinaires, il est épais, gris et a un aspect bien sauge. Un mouton de la Barbarie, qui a une queue, large en haut presque comme deux mains, et qui par le bas se réduit à rien ; elle n’est pas particulièrement longue, mais elle est épaisse et grasse, et en bas elle est toute blanche et molle de graisse ; il se met à beugler quand on lui tire ou lui prend la queue.
Un chat de l’ile du Canada, autrement dit une civette ; il est beaucoup plus grand qu’un chat domestique, mais il en a presque la forme et le poil. Dans une cour, devant, il y avait beaucoup de canards et d’oies des Indes, une grande quantité de poules d’eau des Indes, quelques cygnes, des faisans et autres gallinacés.
De là, nous sommes descendus dans les jardins, [p. 15] pour voir les grottes. Il y avait à vrai dire cinq grottes naguère, savoir une grotte seiche, dans laquelle on prenait le frais en été et on se garantissait de la grande chaleur ; la grotte de Neptune ; des orgues ; de Persée ; et d’Orphée ; mais il ne reste que les deux dernières, les autres s’étant écroulées en 1643, avec de grands dommages et de grosses pertes, après avoir été bâties à grands frais. Ces grottes passaient, disent quelques-uns, pour supérieures à toutes celles de France, d’Allemagne et d’Italie, mais la plupart affirment qu’elles égalaient celles d’Italie, sans toutefois les surpasser.
Avant que nous visitions les grottes, le fontainier exigea de nous une pistole, pour faire jouer les eaux, sous ce prétexte qu’il était obligé d’y employer 50 torches ; et comme il s’obstinait dans sa prétention, il fallut bien en passer par là, car nous ne voulions pas être privés du meilleur morceau de notre excursion. Dans la grotte de Persée, il y avait, tout à l’entrée, un grand bassin, dans lequel se trouvait un grand dragon ; au-dessus de lui était juché Persée ; sur le côté il y avait une montagne, près de laquelle était sculptée Médée, le tout en cuivre. Persée presque de grandeur naturelle se précipitait de la hauteur vers le dragon, il avait en mains un bouclier et une épée, et quand il fut près du dragon, il donna quelques coups ; [p. 16] le dragon, qui était grand, horrible et épouvantable, se dressa avec un grand fracas, battit des ailes en l’air, ouvrit la gueule et grinça des dents, de si terrible manière, qu’en raison de la soudaineté, on en était presque épouvanté. Le dragon laissa retomber ses ailes, calma sa fureur, et à ce moment l’eau du bassin s’épandit plus abondante, submergeant presque le dragon ; il paraissait mort, et avoir été tué par Persée. Et alors Persée revint à sa place. C’est une belle pièce, qui mérite bien d’être vue.
Dans la même grotte, à gauche, il y a une montagne, où se trouvent quantité de forges, de papeteries et de moulins à blé en bois, qui sont tous mis en mouvement par des appareils hydrauliques. De même, quelques chapelles ou églises, dont l’eau faisait sonner les cloches. Tout cela est très gentil et très beau. Devant cette grotte, l’eau joua aussi comme si de tous les bouts et de tous les coins était tombée une pluie chassée par le vent, de sorte que tous ceux qui ne se retirèrent pas de côté furent complètement trempés.
De là, nous nous rendîmes à l’autre grotte. Dans celle-ci était assis Orphée, presque de grandeur naturelle ; il jouait du violon, remuant les mains et frottant l’archet sur le violon, mais à l’intérieur, par un habile jeu des eaux, une position était introduite qui donnait d’elle-même le ton du violon. Autour, se dressaient beaucoup d’arbres, sculptés en bois, qui remuaient et dansaient ; un rossignol était perché sur un arbre et chantait. Des deux côtés, accoururent toute sorte de bêtes sauvages qui écoutèrent Orphée, puis l’une après l’autre rentrèrent. Un coq d’Inde se tenait non loin d’Orphée, se tournait et se trémoussait, et se posait comme s’il dansait. Un singe était assis, qui portait constamment une pomme à sa gueule. Parmi tout cela, coulaient les rigoles, giclaient les tuyaux venus d’un bassin devant lequel était assis Orphée.
Après cela, dans une grande fenêtre ou trou carré, qui s’étendait loin en arrière en perspective, de toutes parts [p. 17] garnie de lumières, un jeu d’eau produisait l’effet suivant : les sept planètes, faites d’une sorte de bronze et peintes, se mirent en mouvement ; une partie, savoir le soleil, la lune et Mercure en haut, les autres par terre, et il est impossible de voir avec quoi ni comment ils sont tirés. Puis, apparaissent aussi les douze figures du Zodiaque, les quatre éléments. Item, le jeune roi s’avance aussi, avec son frère le duc d’Anjou, escortés par les Suisse. On représente encore la mer, avec ses grandes vagues, et des bateaux qui y naviguent. On représenta également l’enfer, plein de feu, et si artistiquement fait qu’on croit voir tout brûler réellement ; et on y voit des figures représentées par une tête, sur laquelle s’acharne la fureur du feu ; les yeux de cette tête sont rouge feu. Devant l’enfer, se tient Acharon, l’infernal nocher ; un autre tient Cerbère enchaîné.
Il y a aussi une représentation analogue du paradis, et beaucoup d’autres choses, qu’à cause de leur multitude je n’ai pas toutes pu retenir et décrire. Dans cette grotte, à droite, Bacchus est assis sur un tonneau ; il a une coupe en main, si pleine qu’elle déborde, et que l’eau en tombe goutte à goutte.
Il y a aussi les quatre vertus cardinales en marbre blanc ; on dit qu’elles se trouvaient naguère à la pyramide des Jésuites, qui était près du palais.
Ces deux grottes sont carrés, bien voûtés, joliment pavées de petits cailloux vernissés, pour le reste, de toutes parts ornées de coquillages et de toute sorte de colimaçons, ainsi que de cristal, de merveilleuses pétrifications, de minéraux et autres ornements. A remarquer qu’on ne voit pas de murailles ni de mortier, ni sur les côtés, ni en haut. Le pavé (formé, comme on l’a dit, de petites pierres et d’ardoises de dimensions égales) représente des roses et d’autres figures, ainsi que des coquillages et des colimaçons, [p. 18] assemblés non sans un art consommé, et formant toute sorte de dessins.
Quant aux jardins, il semble à vrai dire qu’ils ont dû être superbes et charmants, mais maintenant ils sont à l’abandon ; en effet, dans le voisinage de l’eau, on ne voyait pas trace du moindre canal ; à vrai dire, à en juger par le cuivre, il devait y en avoir cinq ou six, mais ils étaient complètement envahis par la végétation. De même, dans le verger voisin, tout était ravagé et en désordre. Il y a cinq jets d’eau, mais l’eau ne jaillissait pas de tous.
De ces jardins, l’un est plus haut que l’autre : on en a une très jolie vue sur l’île voisine, et par les temps clairs, on distingue fort bien de là Paris et beaucoup de petites villes, de bourgs et de villages. Pour la jolie vue, ces jardins surpassent de beaucoup toutes les autres résidences de plaisance royales. »

Brackenhoffer, Elie

Récit par Eduard Kolloff de sa visite à Saint-Germain-en-Laye

« [p. 128] Die anmuthige Lage der Stadt Saint-Germain-en-Laye auf einem der vielen Hügel, welche die Ufer der Seine beherrschen, bewog zuerst Ludwig den Dicken, hier ein Schloß zu bauen. Dasselbe wurde im vierzehnten Iahrhundert von den Engländern zerstort und erstand erst unter Karl V wieder aus seiner Asche. Franz I erweiterte und verschönerte es, indem er ihm zu Ehren der Diana von Poitiers die Form eines gothischen D geben ließ. Ludwig XIV verließ diesen seinen Geburtsort aus Aberglauben und bewies gleiche Schwache, wie Katharina von Medicis, welche dasselbe Schloß aus einem andern Vorurtheile floh. Nostrodamus hatte namlich der französischen Agrippina prophezeit, daß sie in Saint-Germain sterben würde. Sie wählte darauf Paris zu ihrem Aufenthaltsorte und bewohnte das Louvre ; aber das Louvre grenzte an die Kirche Saint-Germain l'Auxerrois. Sie begab sich daher nach Blois, wo sie krank wurde und zur größten Ehre und Freude der Astrologen in den Händen des gelehrten Bischofs von Noyon starb, welcher Saint-Germain hieß.
Heinrich IV hat in Saint-Germain unermeßliche Summen verschwendet. Er fügte zu dem alten Schlosse noch ein neues hinzu, welches die Residenz der schönen Gabriele von Estrées wurdeWenn [p. 129] man sich damals über die an das Schloß stoßende Terrasse lehnte, erblickte man Kaskaden, Grotten, hängende Gärten u. s. w. Der König hatte den berühmten Mechaniker Francini aus Florenz kommen lassen, um in Saint-Germain die Wunder seiner Kunst zu zeigen. Dieser schuf daselbst die Grotten des Perseus und Orpheus, zwei Meisterwerke der mechanischen Bildnerei ; auf der einen Seite sah man den Perseus in voller Rüstung, wie er der an den Felsen gebundenen Andromeda zur Hülfe eilt, und emen ungeheuren Drachen, welcker wüthend aus einem Gartenteiche hervorschießt, besiegt und wiederum in den Abgrund zurückjagt ; gegenüber war Orpheus in natürlicher Größe abgebildet, auf einem Felsen sitzend und fromme Kirchenarien auf seiner Leier spielend, zur großen Rührung der ihn umgebenden Felsblöcke, welche Strome von Thronen vergießen, und aller Thiere der Schöpfung, welche vom Elephanten bis zur Blattmilbe, aus ihren Schlupfwinkeln herbeieilen, um den Tonen der Musik zu lauschen. Diese ganze künstliche Welt lebte, regte und bewegte sich aufs wunderbarste ; zum großen Verluste für die Kunst ist sie leider im I. 1649 untergegangen.
Unter den Nachkommen Heinrich IV wurde das Schloß von Saint-Germain ein Asyl für Iakob II und die Seinigen ; gegenwärtig ist es in eine militärische Strafanstalt verwandelt.
[p. 130] Die Stadt ist unbedeutend ; viele kleine Rentiers haben sich aus dem Lärm der Hauptstadt nach Saint-Germain zurückgezogen, obschon mehrere daselbst befindliche Reiterkasernen und das Garnisonsleben die angenehmen Spaziergänge und die ländliche Zufriedenheit und die gesunde Luft vielfach verbittern. Die Eisenbahn hat reges Leben in die Stadt gebracht ; bereits sind die Preise der Häuser und Wohnungen bedeutend gestiegen. Von der berühmten Terrasse hat man wirklich eine herrliche Aussicht auf das Thal der Seine, deren Lauf man von hier aus weithin verfolgen kann. Von Paris sieht man außer dem Triumphbogen wenig ; wohl aber die nordwärts gelegenen Anhöhen. Der Wald, welcher die Terrasse auf der Südseite beschattet, bietet äußerst liebliche Spaziergänge. Das alte weitläuftige Schloß mit vielen für den Architekten wichtigen Details ist für gewöhnliche Besucher unzugänglich geworden.
Das sogenannte Logenfest, ein Iahrmarkt, welcher alle Herbst gehalten wird, zieht jedesmal eine unermeßliche Menschenmenge nach Saint-Germain. »

Kolloff, Eduard

Récit par Denis-Joseph-Claude Le Fèvre de sa visite à Saint-Germain-en-Laye

« [p. 37] Marly a subi le sort de Sceaux. La révolution a passé par là. Je n'aime pas à rencontrer les pas de cette mégère. J'en détourne les yeux, et je me dépêche d'arriver à Saint-Germain. Nous montons en humble fiacre cette belle voie terrassée qui fut faite pour des carosses à huit chevaux. Nous descendons à l'auberge de la veuve Fortin.
Nos chevaux essoufflés demandent l'écurie,
Et nous le déjeuner, On le sert, nous mangeons.
Il faut voir mes enfans dont la dent expédie
La côtelette mal rôtie,
Pain, cerises, biscuits, brioche, macarons !
Tandis que ces petits gloutons
Font à table ainsi leur partie,
[p. 38] Dans la chambre voisine une lubrique orgie
Nous régale de ses chansons.
C'étaient des acteurs, des actrices
Des boulevards, venus à Saint-Germain,
Qui s'ébattaient, chez la veuve Fortin,
Comme derrière les coulisses.
Quoique mes enfans ne fussent pas d'âge à deviner ces mystères, nous nous sommes empressés de nous éloigner de la scène où ils se passaient, en prenant le chemin du château.
Ce château, bâti en pierres et en briques, est d'une architecture féodale qui lui donne l'air d'une forteresse. Louis XIV, ami de la magnificence, devait s'y déplaire. On dit aussi que l'importunité de voir le lieu de sa sépulture, du séjour de sa grandeur, l'en dégoûta. Si cela est vrai, nous devons à une faiblesse la création de Versailles. C'est un grand effet de plus né d'une petite cause.
La terrasse, ouvrage de Le Nôtre, est magique. Armide n'eût pu en créer une plus belle pour intéresser la vue de Renaud. L’œil règne de là sur un empire qu'il semble avoir conquis, comme César, en se présentant. Si l’œil parlait, il pourrait dire aussi : veni, vidi, vici ; toute sa conquête se montre à lui comme dans une parade, la Seine, une infinité de villages, les hauteurs de Montmorency, ses vallées, les coteaux de Marly, des prairies, des bois, des champs cultivés, et mille maisons de plaisance qui s'élèvent du sein des hameaux, comme des aigrettes d'officiers au milieu d'un groupe de soldats.
[p. 39] Je prenais ma part de royauté, en dominant sur ce vaste espace, quand je fus accosté par un personnage que l'habitude de voir ce spectacle rendait moins attentif que moi. […]
[p. 44] J’avais entendu vanter la forêt de Saint-Germain, elle a surpassé l'idée que je m'en étais faite. Heureux qui, libre de soucis et d'affaires, peut y promener ses rêveries et son indépendance ! que ces allées sont vastes et belles ! que ces pelouses sont douces! Que ces pavillons de verdure sont richement étoffés! Si le labyrinthe de Crète eût ressemblé à cette forêt, Dédale eût aimé sa prison, et Thésée y serait resté avec Ariane.
Cette superbe population d'arbres, plus tranquille que celle des cités, a inspiré à Desmahis une jolie invocation au silence. Le silence l'a exaucé. Il habite sous ces grands et petits dômes de feuillage, et ne permet qu'aux oiseaux de l'interrompre.
En parcourant la forêt dans tous les sens, je n'ai pu passer devant le Val, château du prince de
Beauveau, sans rendre un petit hommage tacite à un hôte aimable que ce château recevait souvent.
Au plaisir, au bon ton fidèle,
C'est dans sa prose et ses couplets
Le plus léger, le plus piquant modèle
[p. 45] Des grâces de l'esprit français.
Voltaire aimait sa muse familière,
Comme un phosphore, un feu follet,
Qui toujours surprend, toujours plait
Par les jets vifs de sa lumière.
Qui ne sait ces vers délicats
Façonnés dans un style honnête
Sur un objet qui ne l’est pas.
Et dont il fit conquête sur conquête ?
Vous rappeler ici ces diamans de vers
Si finement taillés, c'est vous nommer Boufflers.
La promenade donne de l'appétit. Le dîner nous rappelle à l'auberge. Nous repassons devant le château, que je regarde encore. Je serais resté plus long-temps à considérer ce vieux monument, bâti par Louis IV et rajeuni par Henri IV et Louis XIV, si ma compagnie n'eût pas été plus pressée de se mettre à table que de rester en contemplation devant des pierres. Le dernier roi qu'elles ont logé est celui que son gendre avait supplanté à Londres.
Du néant des grandeurs témoignage éclatant,
Ce fut là que Stuart, déchu du diadème,
Sans pompe, sans armée, et réduit à lui-même,
Ne pouvant vivre en roi, vécut en pénitent.
Une grande infortune attendrit toujours l'âme.
Qui sait s'y résigner doit être exempt de blâme.
Cependant, malgré moi, je reste confondu,
Qu’un prince qui porta le sceptre d'Angleterre,
Lorsque ce sceptre fut perdu,
Ait cru le remplacer en prenant un rosaire.
[p. 46] Ce prince passait pour brave, autant qu'il avait été voluptueux dans la cour de délices de son frère Charles II. Mais il y a de ces adversités qui écrasent tous les ressorts ; et quand, tombé de la sphère des grandeurs factices, la foi vous montre une religion qui vous tend une main pour vous relever, et vous fait voir de l'autre, comme refuge certain, une sphère bien plus éblouissante que celle que vous avez quittée ; quand elle vous promet, en échange de la dignité périssable de roi de la terre, la qualité éternelle de citoyen de la république céleste , il n'est pas extraordinaire que, pénétré de la vérité de cette promesse, on se livre à l'abnégation dont Jacques Stuart a donné l'exemple.
Vous aimez, mon ami, que l'on passe du sérieux à l'enjouement. Je quitte donc le château de Saint-Germain pour l'auberge, et le ton de la complainte pour celui de convive. »

Le Fèvre, Denis-Joseph-Claude

Récit par David Garrick de son passage à Saint-Germain-en-Laye

« [p. 102] The town of St. Germain-en-Laye had boasted a royal castle since the time of Louis le Gros. The first fortress [p. 103] was destroyed during the wars with England, and Charles V began the present structure, which has been enlarged and beautified by succeding princes, especially by Louis XIV who was born here.
The palace has the form of a castle, surrounded by a dry ditch. A magnificent stone gallery runs around the middle of the whole structure, which is of an oval figure. The view towards river and plains is admirable – Paris, St. Denis and Marly are all in sight. »

Garrick, David

Récit par Augustus John Cuthbert Hare de sa visite à Saint-Germain-en-Laye

« [p. 109] S. Germain-en-Laye
(Hotels : du Pavillon Henri IV, in a delightful situation on the terrace, and with a most beautiful view ; du Pavillon Louis XIV, place Pontoise ; de l’Ange-Gardien, rue de Paris ; du Prince de Galles, rue de la Paroisse. Restaurant Grenier, close to the station ; very dear : many other restaurants.)
The first royal château of S. Germain was built by Louis le Gros in the XII c., near a monastery belonging to S. Germain des Prés at Paris. Both palace and monastery were burnt by the Black Prince. Charles V began to rebuild the palace in 1367, and it was continued by François I. Within its walls Henri II and Catherine de Medicis received the six-year-old Mary Stuart from the hands of the comte de Brézé, who had been sent to Scotland to fetch her, as the bride of their son, afterwards François II.
The old palace was like a fortress, and Henri IV, wishing for a more luxurious residence, built a vast palace which occupied the site of the existing terrace. Beneath it a beautiful garden, adorned with grottoes, statues, and fountains [p. 110] in the Italian style, descended in an amphitheatre as far as the bank of the Seine. The palace and garden of Henri IV have entirely disappeared. The former was destroyed by the comte d’Artois, afterwards Charles X. In the older château Louis XIV was born, and in the second château Louis XIII died, after a lingering illness, May 14, 1643.
« Il s’entretenoit de la mort avec une résolution toute chrétienne ; il s’y étoit si bien préparé, qu’à la vue de S. Denis par les fenêtres de la chambre du château neuf de S. Germain, où il s’étoit mis pour être en plus bel air qu’au vieux, il montroit le chemin de S. Denis, par lequel on meneroit son corps ; il faisoit remarquer un endroit où il y avoit un mauvais pas, qu’il recommandoit qu’on évitât de peur que le chariot ne s’embourbât. J’ai même ouï dire que durant sa maladie il avoit mis en musique le De Profundis qui fut chanté dans sa chambre incontinent après sa mort, comme c’est la coutume de faire aussitôt que les rois sont décédés. » – Mémoires de Mlle de Montpensier.
Here, six years later, Anne of Austria, flying from Paris with her two sons, before the rising of the Fronde took refuge with all the royal family except the Duchesse de Longueville, bivouacking upon straw in the unfurnished palace, whilst waiting for troops to come from the army in Flanders.
« Le roi manqua souvent le nécessaire. Les pages de sa chambre furent congédiés, parce qu’on n’avait pas de quoi les nourrir. En ce temps-là même la tante de Louis XIV, fille de Henri-le-Grand, femme du roi d’Angleterre, réfugiée à Paris, y était réduite aux extrémités de la pauvreté ; et sa fille, depuis mariée au frère de Louis XIV, restait au lit, n’ayant pas de quoi se chauffer, sans que le peuple de Paris, enivré de ses fureurs, fit seulement attention aux afflictions de tant de personnes royales. » – Voltaire, Siècle de Louis XIV.
Louis XIV, who added the five pavilions at the angles of the older and still existing palace, at one time thought of rebuilding the whole on a much more magnificent scale ; [p. 111] one fatal obstacle prevented him : from its lofty site he could see S. Denis, his future burial-place !
« Saint-Germain, lieu unique pour rassembler les merveilles de la vue, l’immense plain-pied d’une forêt toute joignante, unique encore par la beauté de ses arbres, de son terrain, de sa situation, les agréments admirables des jardins, des hauteurs et des terrasses, qui les unes sur les autres se pouvaient si aisément conduire dans toute l’étendue qu’on aurait voulu, les charmes et les commodités de la Seine, enfin une ville toute faite et que sa position entretenait par elle-même, il l’abandonna pour Versailles, le plus triste et le plus ingrat de tous les lieux ». – S. Simon.
After the English Revolution of 1688, James II found at S. Germain the generous hospitality of Louis XIV. He lived here for thirteen years as the guest of the King of France, wearing always a penitential chain round his waist (like [p. 112] James IV of Scotland) and daily praying God to pardon the ingratitude of his daughters, Mary and Anne. Here his youngest child Louisa – « la Consolatrice » – was born, and here, as the choir in the Chapel Royal were winging the anthem, « Lord, remember what is come upon us, consider and debold our reproach » (Septembre 2, 1701), he sank into the Queen’s arms in the swoon from which he never recovered.
« 10 janvier 1689. – Le roi fait pour ces Majestés angloises des choses toutes divines ; car n’est-ce point l’image du Tout-puissant que de soutenir un roi chassé, trahi, abandonné ? La belle âme du roi se plait à jouer ce grand rôle. Il fut au-devant de la reine avec toute sa maison et cent carrosses à six chevaux. Quand il aperçut le carrosse du prince de Galles, il descendit et l’embrassa tendrement ; puis il courut au-devant de la reine qui étoit descendue ; il la salua, lui parla quelque tems, la mot à sa droite dans son carrosse, lui présenta Monseigneur et Monsieur qui furent aussi dans le carrosse, et la mena à Saint-Germain, où elle se trouva toute servie comme la reine, de toutes sortes de hardes, parmi lesquelles étoit une cassette très riche avec six mille louis d’or. Le lendemain il fut question de l’arrivée du roi d’Angleterre à S. Germain, où le roi l’attendoit ; il arriva tard ; Sa Majesté alla au bout de la salle des gardes au-devant de lui ; le roi d’Angleterre se baissa fort, comme s’il eût voulu embrasser ses genoux ; le roi l’en empêcha, et l’embrassa à trois ou quatre reprises fort cordialement. Ils se parlèrent bas un quart d’heure ; le roi lui présenta Monseigneur, Monsieur, les princes du sang, et le cardinal de Bonzi ; il le conduisit à l’appartement de la reine, qui eut peine à retenir ses larmes. Après une conversation de quelques instans, Sa Majesté les mena chez le prince de Galles, où ils furent encore quelque tems à causer, et les y laissa, ne voulant point être reconduit, et disant au roi : « Voici votre maison ; quand j’y viendrai, vous m’en ferez les honneurs, et je vous les ferai quand vous viendrez à Versailles. » Le lendemain, qui étoit hier, Mme la Dauphine y alla, et toute la cour. Je ne sais comme on aura réglé les chaises des princesses, car elles en eurent à la reine d’Espagne ; et la reine-mère d’Angleterre étoit traitée comme fille de France. Le roi envoya dix mille louis d’or au roi d’Angleterre ; ce dernier paroit vieilli et fatigué ; la reine maigre, et des yeux qui ont pleuré, mais beaux et noirs ; un beau teint un peu pâle ; la bouche [p. 113] grande, de belles dents, une belle taille, et bien de l’esprit ; tout cela compose une personne qui plait fort. Voilà de quoi subsister longtemps dans les conversations publiques.
17 janvier 1689. Cette cour d’Angleterre est toute établie à Saint-Germain ; ils n’ont voulu que cinquante mille francs par mois, et ont réglé leur cour sur ce pied. La reine plaît fort, le roi cause agréablement avec elle ; elle a l’esprit juste et aisé. La roi avoit désiré que Mme la Dauphine y allât la première ; elle a toujours si bien dit qu’elle étoit malade, que cette reine vint la voir il y a trois jours, habillée en perfection ; une robe de velours noir, une belle jupe, bien coiffée, une taille comme la princesse de Conti, beaucoup de majesté : le roi alla la recevoir à son carrosse ; elle fut d’abord chez lui, où elle eut un fauteuil au-dessus de celui du roi ; elle y fut une demi-heure, puis il la mena chez Mme la Dauphine, qui fut trouvée debout ; cela fit un peu de surprise : « Madame, je vous croyois au lit. » « Madame, » dit Mme la Dauphine, « j’ai voulu me lever pour recevoir l’honneur que Votre Majesté me fait. » Le roi les laissa, parce que Mme la Dauphine n’a point de fauteuil devant lui. Cette reine se mit à la bonne place dans un fauteuil, Madame à sa gauche, trois autres fauteuils, pour les trois petits princes : on cause fort bien plus d’une demi-heure ; il y avait beaucoup de duchesses, la cour fort grosse, enfin, elle s’en alla ; le roi se fit avertir, et la remit dans son carrosse. Le roi remonta, et loua fort la reine ; il dit, « Voilà comme il faut que soit une reine, et de corps et d’esprit, tenant sa cour avec dignité. » Il admira son courage dans les malheurs, et la passion qu’elle avait pour son mari ; car il est vrai qu’elle l’aime.
2 février 1689. La reine d’Angleterre a toute la mine, si Dieu le vouloit, d’aimer mieux régner dans le beau royaume d’Angleterre, où la cour est grande et belle, que d’être à S. Germain, quoiqu’accablée des bontés héroïques du roi. Pour le roi d’Angleterre, il y paroît content, et c’est pour cela qu’il est là.
28 février 1689. C’est tout de bon que le roi d’Angleterre est parti ce matin pour aller en Irlande, où il est attendu avec impatience ; il sera mieux là qu’ici. Le roi lui a donné des armes pour armer dix mille hommes : comme Sa Majesté angloise lui disait adieu, elle finit par lui dire, en riant, que les armes pour sa personne étoient la seule chose qui avoit été oubliée : le roi lui a donné les siennes ; nos héros de roman ne faisoient rien de plus galant. Que ne fera point ce roi brave et malheureux avec ces armes toujours victorieuses ? Le voilà donc avec le casque et la cuirasse de Renaud, d’Amadia, et de tous nos paladins les plus célèbres ; je n’ai pas voulu dire d’Hector, car il étoit [p. 114] malheureux. Il n’y a point d’offres de toutes choses que le roi ne lui ait faites : la générosité et la magnanimité ne vont point plus loin. … La reine est allée s’enfermer à Poissy avec son fils : elle sera près du roi et des nouvelles ; elle est accablée de douleur… cette princesse fait grand’ pitié.
2 mars. Le roi dit au roi d’Angleterre, en lui disant adieu : « Monsieur, je vous voir partir avec douleur ; cependant je souhaite de ne jamais vous revoir ; mais si vous revenez, soyez persuadé que vous me retrouverez tel que vous me laissez. » Peut-on mieux dire ? Le roi l’a comblé de toutes choses, et grandes, et petites ; deux millions, des vaisseaux, des frégates, des troupes, des officiers. … Je viens aux petites choses, des toilettes, des lits de camp, des services de vaisselle de vermeil et d’argent, des armes pour sa personne, qi sont celles du roi, des armes pour des troupes qui sont en Irlande ; celles qui vont avec lui sont considérables ; enfin, la générosité, la magnificence, la magnanimité, n’ont jamais tant paru qu’à cette occasion. Le roi n’a point voulu que la reine soit allée à Poissi ; elle verra peu de monde ; mais le roi en aura soin, et elle aura sans cesse des nouvelles. L’adieu du roi son mari et d’elle faisoit fendre le cœur de tout le monde ; ce furent des pleurs, des cris, des sanglots, des évanouissements ; cela est aisé à comprendre. Le voilà où il doit être : il a une bonne cause, il protège la bonne religion, il faut vaincre ou mourir, puisqu’il a du courage. »
After the king’s death his widow, Mary Beatrice, continued for seventeen years to reside at S. Germain. Here whe witnessed the death of her darling daughter, Louisa, April 18, 1712 ; and here, in the thirtieth year of her exile, the queen herseld passed away in the presence of thirty Jacobite exiles, of whom she was the best friend and protectress.
« La reine d’Angleterre mourut le 7 mai, après dix ou douze jours de maladie. Sa vie, depuis qu’elle fut en France à la fin de 1688, n’a été qu’une suite de malheurs qu’elle a héroïquement portés jusqu’à la fin, dans l’oblation à Dieu, le détachement, la pénitence, la prière et les bonnes œuvres continuelles, et toutes les vertus qui consomment les saints. Parmi la plus grande sensibilité naturelle, beaucoup d’esprit et de hauteur naturelle, qu’elle sut captiver étroitement et humilier constamment, avec le plus grand air du monde, le plus majestueux, [p. 115] le plus imposant, avec cela doux et modeste. Sa mort fut aussi sainte que sa vie. Sur les 600,000 livres que le roi lui donnait par an, elle s’épargnait tout pour faire subsister les pauvres anglais, dont S. Germain était rempli. Son corps fut porté le surlendemain aux filles de S. Marie de Chaillot, où il est demeuré en dépôt, et où elle se retirait souvent. » – S. Simon.
« 8 mai 1718. – Hier matin à sept heures, la bonne, pieuse et vertueuse reine d’Angleterre est morte à S. Germain. Celle-là pour sûr est au ciel, elle n’a pas gardé un liard pour elle, elle donnait aux pauvres et entretenait des familles entières. De sa vie elle n’a dit du mal de personne, et quand on voulait lui raconter quelque chose sur le compte de tel ou tel, elle avait coutume de dire : « Si c’est mal de quelqu’un, je vous prie, ne me le dites pas. Je n’aime pas les histoires qui attaquent la réputation. » Elle a supporté ses malheurs avec la plus grande patience du monde, non par simplicité d’esprit : elle était très intelligente, polie et avenante… toujours elle a fait le plus grand éloge de la princesse de Galles. » – Correspondance de Madame
In accordance with the last whish of the queen, the Régent d’Orléans allowed her ladies and many other British emigrants to continue in the palace, where they and their descendants remained till the Revolution drove them from their shelter. Till then, the room in which Mary Beatrice died was kept as it was in her lifetime – her toilette table, with ist plate, the gift of Louis XIV, set out, with four was candles ready to light, as if the queen’s return was constantly expected.
Under the reign of Terror the name of S. Germain was changed to La Montagne du Bel-Air, and it was intended to turn the château into a prison, and to establidh a guillotine en permanence in its courtyard, when the fall of Robespierre intervened.
In the interior of the château the decorations and chimney-pieces are of brick. The rooms are now occupied by a Musée des Antiquités Nationales, chiefly of very early date, of great interest to archaeologists, and intended as a prelude [p. 116] to the collections of the Hôtel de Cluny. The museum is only open (free) on Sundays, Tuesdays and Thursdays, from 11.30 to 5 in summer, and 11 to 4 in winter.
In one of the rooms on the ground floor the primitive boats (pirogues) hewn out of the trunk of a tree, and found in the Seine and Saone, are especially remarkable. Other halls are devoted to casts from the Roman buildings in France (at Orange, S. Remy, &c) ; relics of the Roman legions in Gaul ; funeral urns and tombs in brick and lead ; bronzes and pottery. On the upper floor are flint weapons, fossils found in the caverns of France, and models of cromlechs, menhirs, &c.
Opposite the palace is the parish church, containing (1st chapel, right) the monument erected by Queen Victoria to James II of England, « magnus prosperis, adversis major », and inscribed « Regio cineri pietas regia. »
« Quelques jésuites itlandaises prétendirent qu’il se faisait des miracles à son tombeau. On parla lmême de faire canoniser à Rome, après sa mort, ce roi que Rome avait abandonné pendant sa vie.
Peu de princes furent plus malheureux que lui ; et il n’y a aucun exemple dans l’histoire d’une maison si longtemps infortunée. Le premier des rois d’Ecosse, ses aïeux, qui eut le nom de Jacques, après avoir été dix-huit ans prisonnier en Angleterre, mourut assassiné avec sa femme par la main de ses sujets ; Jacques II, son fils, fut tué à vingt-neuf ans, en combattant contre les Anglais ; Jacques III, mis en prison par son peuple, fut tué ensuite par les révoltés dans une bataille ; Jacques IV périt dans le combat qu’il perdit ; Marie Stuart, sa petite-fille, chassée de son trône, fugitive en Angleterre, ayant langui dix-huit ans en prison, se vit condamnée à mort par des juges anglais, et eut la tête tranchée ; Charles I, petit-fils de Marie, roi d’Ecosse et d’Angleterre, vendu par les Ecossais, et jugé à mort par les Anglais, mourut sur un échafaud dans la place publique ; Jacques son fils, septième du nom, et deuxième en Angleterre, dont il est question, fut chassé de ses trois royaumes ; et, pour comble de malheur, on contesta à son fils jusqu’à sa naissance. Ce fils ne tenta de remonter sur le [p. 117] trône de ses pères que pour faire périr ses amis par des bourreaux ; et nous avons vu le prince Charles-Edouard, réunissant en vain les vertus de ses pères et le courage du roi Jean Sobleski, son aïeul maternel, exécuter les exploits et essuyer les malheurs les plus incroyables. Si quelque chose justifie ceux qui croient une fatalité à laquelle rien ne peut se soustraire, c’est cette suite continuelle de malheurs qui a persécuté la maison de Stuart pendant plus de trois cents années. » – Voltaire, Siècle de Louis XIV.
Soon after the death of James II, Mme de Maintenon wrote to Mme de Perou :
« Je n’ai pu encore avoir des reliques du roi d’Angleterre ; la reine étoit dans son lit, hors d’état de les aller chercher. Quand on ouvrit le corps de ce saint roi, les gardes trempoient leurs mouchoirs dans son sang, et faisoient toucher leurs chapelets à son corps. J’admire la conduite de Dieu ; il a permis que ce prince ait été méprisé pendant sa vie pour lui faire sentir l’humiliation, et il le glorifie quand il ne peut plus abuser de la gloire. »
Passing in front of the palace, by the gardens planned by Lenôtre, we reach the Terrace, constructed by Lenôtre in 1676, and one of the finest promenades in Europe. The view is most beautiful over the windings of the Seine and the rich green plain ; on the right are the heights of Marly and Louveciennes ; on the left the hills of Montmorency, and Mont Valérien and Montmartre in the distance ; above Vésinet, the cathedral of S. Denis is visible – « ce doigt silencieux levé vers le ciel ». James II declared that the view from the terrace of S. Germain reminded him of that of Richmond, and he used to walk here daily, leaning upon the arm of Mary Beatrice. The terrace extends from the Pavillon Henri IV – which was the chapel of Henri IV’s palace, and in which Louis XIV was baptised – to the Grille Royale, leading to the forest.
A number of drives and straight alleys pierce the forest of St. Germain which is sandy and for the most part, [p. 118] beautiless. The château du Val, to the right of the Grille royale, built at enormous cost by Mansart for Louis XIV, on the site of a pavilion of Henri IV, is now the property of M. Fould. The pavillon de la Muette was built by Louis XIV and Louis XVI on the ruins of a château of François I. Les Loges are a succursale to the college for the daughters of members of the Legion of Honoeur at S. Denis. Near this was a hermitage to which one of Henri IV’s courtiers retired under Louis XIII, with a chapel dedicated to S. Fiacre. The pilgrimage to this chapel has given rise to the annual Fête des Loges, celebrated on the first Sunday after the day of S. Fiacre (August 30) – the most popular and crowded of all fêtes in the neighbourhood of Paris. Le chêne des Loges is one of the finest oaks in France. »

Hare, Augustus John Cuthbert

Récit par August Hermann Niemeyer de sa visite à Saint-Germain-en-Laye

« [p. 275] Wir eilten nach dem sehr nahe gelegenen St. Germain en Laye. Die kleine stille Stadt vereinigte so manches Sehenswerthe ; die herrlichste Lage, das alte Schloß, und das gerade damals so berúhmte Erziehungsinstitut der Mad. Campan.
Keinen Ort liebten die vormaligen Könige so sehr in keinem ihrer Schlósser lebten und wohnten sie so oft als hier. Große Staatsverhandlungen sind gerade in diesen Mauern zu Stande gebracht. Es war selbst die Geburtsstátte mehrerer Regenten, Heinrich des II, Carl des IX, selbst Ludwig des XIV. Als es die Kónige verließen, ward es háufig der Aufenthalt ihrer Gáste. Hier endete auch der aus England vertriebene Jakob II seine Lage.
Welche Lage hátte es aber auch mehr verdient, in den schónsten Monaten dés Jahres mit Paris vertauscht zu werden ? Sie vereinigt alles was das Auge nah und fern entzúcken kann, man mag nun auf den oberen Gallerien des Schlosses oder auf der berúhmten Terrasse – vielleicht einer der gróßten die es giebt – umherblicken. Auf der einen Seite hat man die dunklen Schattirungen des großen Parks mit seinen ehrwúrdigen Báumen, auf der andern die heitern unúbersehbaren Ebenen, wo man, den lauf der Seine in die weiteste Ferne verfolgend, auf dem fruchtbarsten Boden zahllose Schlósser, Landháuser, Dórfer und Stádte zu seinen Fúßen sieht. Selbst die reine [p. 276] luft, die man hier vorzugsweise einathmen soll, erhóht den Reiz der lage. Man begreift es nicht, wie Ludwig XIV der wohl Sinn fúr das Große und Schóne auch in der Natur hatte, dennoch den Entschluß fassen konnte, an Verfailles unendliche Summen zu verschwenden, statt hier an die Stelle des uralten durch stetes Anflicken und Bessern zur unregelmáßigen Form entstellten Schlosses (wie sie die Titelvignette darstellt) ein von Grund aus neues aufzufúhren, wo die Architektur, unterstútzt von der einzig schónen, durch alle Kunstanlagen Lenotres nicht zu ersetzende Natur, ihren hóchsten Triumph hátte feyern kónnen. Aber wie leicht werden die Herrscher des Alten múde ! Sie wollen lieber Schaffen als des Vorhandenen ruhig genießen ; sie wollen, der einfachen Natur múde, sie lieber nach ihren Einfállen durch lácherliche Spielereyen verkúnsteln. Was sie dann wáhrend des Entstehens oft Lag und Nacht bescháftigt hat, ist, wenn es vollendet dasteht, nur zu bald wieder vergessen.
Fast klingt es úbrigens wie Spott, was man jedoch einstimmig erzáhlt, daß es die Thúrme von St. Denys waren, die dem Kónige den Aufenthalt, wo sich vordem so viele seiner Vorgánger, namentlich Heinrich der IV, so glúcklich gefúhlt hatten, verleideten, und so der Plan in ihm reifte, einem platten sumpfigen Boden, alles was ihm die Natur versagt hatte, mit unermeßlichen Kosten abzugewinnen. Allerdings hat [p. 277] man auf den schónsten Standpunet von St. Germain das große Mausoleum der in Staub zerfallenen Dynastieen stets im Auge ; und da die Kónige weit sichrer als die Privatpersonen wissen kónnen, wo ihre letzte Státte seyn werde – sollte ihr Leben auch in noch so großer Entfernung enden – so konnte auch der, dem feine Schmeichler unablássig vorsagten und vorsangen, daß er der gróßte Mensch seines Jahrhunderts sey, nicht zweifeln, daß die Zeit kommen músse, wo von allen diesen vergótternden Gesángen nur das dumpfe Requiem in jenem St. Denys als Nachklang úbrig bleiben werde. Sollte aber Ludwig den Tod so sehr gefúrchtet haben ? Er starb doch mit großer Fassung ; und da in seiner Familie Todesfall auf Todesfall folgte, so konnte er ohnehin der Erinnerung daran nirgend entgehen. »

Niemeyer, August Hermann

Récit par Anna Francesca Cradock de sa visite à Saint-Germain-en-Laye

« [p. 22] À neuf heures, nous partions dans notre chaise de poste. Le beau temps n'a pas peu contribué à tout embellir sur notre chemin. Nous avons revu le pont de Neuilly. De là à Marly, c'est une suite de vignes, de vergers, de champs de blé, de luzerne, de jardins potagers cultivés avec un soin extrême. À Marly, nous vîmes la machine qui fait monter l'eau de la Seine jusqu'à l'aqueduc et alimente ainsi le parc de Marly et celui de Versailles éloigné de trois milles. Nous nous sommes promenés sur la plate-forme et avons admiré de magnifiques ormeaux.
De Marly au château de Saint-Germain, la vue est ravissante ; arrivés au château, nous y sommes montés aussitôt, et avons joui du paysage éclairé par un beau soleil. Après avoir vu, dans la chapelle, un tableau remarquable du Poussin, malheureusement très abîmé, nous descendîmes sur la terrasse. Le château, maintenant divisé en appartements, est tout en pierre ; les fenêtres seules sont encadrées de briques qui ajoutent à la gaieté et à l'élégance de la construction. Saint-Germain est une jolie ville, célèbre par sa salubrité. [p. 23] Nous dînames « Au Prince-de-Galles », et revînmes à Paris par une autre route. »

Cradock, Anna Francesca

Récit par Alexis Martin de sa visite à Saint-Germain-en-Laye

« [p. 353] Une belle et large avenue, plantée de beaux arbres, que [p. 354] nous suivons ensuite, non sans avoir volontairement fait quelques détours par de jolies allées pour la gagner, nous permet d’apercevoir, avant de l’atteindre, derrière la grande grille qui clôt sa cour d’honneur, la belle façade du château du Val. Le corps principal a deux étages d’une belle élévation ; il est d’une architecture simple, avec un mélange de gravité et de coquetterie très habilement harmonisé. Si nous pénétrons dans la propriété, qui n’a pas moins de 15 hectares de superficie, nous rencontrons successivement un chalet suisse renfermant la vacherie et la laiterie, un ancien puits avec manège, toute une série de serres magnifiques : serre aux orchidées, aux palmiers, serre de potager, de sevrage, etc. Un jardin d’hiver, un parc admirable, des terrasses d’où l’on jouit d’une vue superbe, complètent les attraits de ce séjour princier.
Le Val, sous Henri IV, n’était qu’un rendez-vous de chasse ; Louis XIV le fit reconstruire sur un plan nouveau, et Mansart, chargé d’exécuter les travaux, donna au petit castel [p. 354] ce caractère majestueux qu’il sait imprimer à toutes ses créations. Louis XV, en 1747, eut la pensée d’offrir la propriété à Mme de Pompadour, mais il changea d’idée ; les travaux d’agrandissement qu’il avait fait commencer furent abandonnés, et le château fut vendu au comte de la Marck ; il passa ensuite au maréchal de Beauvau, qui agrandit le jardin et embellit les terrasses. Champfort raconte que la du Barry eut un jour la fantaisie de visiter cette demeure, alors en grande réputation, et que la « hautaine » maréchale lui fit les honneurs de sa maison, non toutefois sans lui laisser deviner le peu d’estime qu’elle avait pour sa personne. En ces derniers temps, le Val appartenait à Mme Benoît Fould. La propriété est située, pour une partie, sur la commune de Saint-Germain ; pour l’autre, sur celle de Mesnil-le-Roi.
[…]
[p. 356] Carrières-sous-Bois, écart de la comme de Mesnil, n’est qu’une rue tortueuse habitée par des cultivateurs et des carriers. Des carrières, dont vous verrez les nombreuses ouvertures et les couloirs sombres fuyant au loin sous la forêt, on extrait de la pierre à bâtir. Auprès de Carrières, sur le bord de la Seine, est une pompe à feu qui fournit l’eau au parc et aux jardins du château du Val.
Laissant derrière nous le petit hameau, nous entrons à Saint-Germain par la grille Royale, et nous sommes sur la terrasse.
[p. 357] La terrasse de Saint-Germain est une des plus belles promenades de l’Europe ; elle a peu de rivales en étendue, elle n’en a pas pour la vue dont on jouit en la parcourant. Large de 30 mètres, longue de 2400 mètres, elle aligne magistralement ses allées sablées, le vert tapis de ses pelouses et ses rangées de beaux tilleuls, depuis la grille Royale jusqu’au pavillon Henri IV, à l’ombre des dernières futaies de la forêt et sur la crête d’un coteau d’où le regard embrasse le plus beau paysage que l’on puisse rêver. A nos pieds s’étend une plaine immense, verte, jaune, brune, fertile ; la Seine aux îles feuillues l’arrose de ses flots argentés ; des fermes, des maisons, des villages, l’égayent de leur pittoresque éparpillement. A gauche se profile la masse imposante du château de Maisons ; à droite se découpent dans l’air, sur les hauteurs de Louveciennes, les arcades de l’aqueduc de Marly. Au sommet d’une éminence, un grand rectangle gris attire nos regards : c’est le fort du mont Valérien ; une brune aiguille jaillit au loin dans la nue : c’est la tour Eiffel. Sur les premiers plans frémissent les bois du Vésinet ; deux lignes rigides, l’une blanche, l’autre noirs, traversent le fleuve ; l’une est le pont du chemin de fer, un train y passe en sifflant avant de s’engouffre dans le tunnel dont la voûte est sous nos pieds ; l’autre est le joli pont du Pecq. Au loin s’estompent sur l’azur les lignes serpentines des coteaux de Montmorency et le clocher de Saint-Denis ; le Parisien reconnait à tout instant les sites et les monuments de la capitale qui lui sont chers et familiers : ici le dôme doré des Invalides ou l’arc de triomphe de l’Etoile, là la butte Montmartre.
A l’extrémité de la terrasse, nous nous trouvons devant le [p. 358] pavillon Henri IV, construit jadis pour la belle Gabrielle, et que l’on appela le château Neuf ; c’est aujourd’hui un restaurant et un hôtel, mais ce fut autrefois une dépendance de la demeure royale que nous visiterons tout à l’heure. Une inscription rappelle que Louis XIV y naquit le 5 septembre 1638 ; une autre, quelque jour, rappellera sans doute qu’Adolphe Thiers y mourut le 3 septembre 1877. Rejetons-nous vers la droite, et nous trouverons le parterre. C’est en 1676 que Le Nôtre, obéissant aux inspirations d’Henriette d’Orléans, le dessina et fit planter les boulingrins ; modifié plusieurs fois, notamment en 1750 et en 1857, agrandi sous le second Empire, orné sur ses pelouses d’une statue d’Agrippine, de Maillet, et d’une réduction du Vercingétorix de Millet, le parterre, dont l’allée principale se rallie à la route des Loges, forme une sorte d’avant-scène à la forêt et semble être une espère de trait d’union entre les splendeurs de la nature et les imaginations humaines.
En quittant le parterre, nous entrons dans la ville et nous nous trouvons sur une place irrégulière où sont groupés les principaux monuments dont elle s’enorgueillit. Le château, l’église, la gare, le théâtre, les casernes et la statue de Thiers. Si la ville est fière, à juste titre, de son château, aussi curieux, par son architecture et le musée qu’il renferme aujourd’hui, qu’intéressant au point de vue des souvenirs historiques qu’il rappelle, il faut convenir qu’elle pourrait se montrer modeste en ce qui concerne sa gare, son théâtre et même son église, tous monuments peu dignes d’une cité de 14000 âmes qui non sans raison, l’été surtout, n’est pas sans prétentions à la vie large et luxueuse.
Le monument de Thiers, inauguré le 19 septembre 1880, est l’œuvre de M. Fauvel, pour la partie architecturale, de M. Mercier, pour la sculpture ; il donnera à nos arrière-neveux une piètre idée de celui que l’on a appelé le libérateur du territoire. Rien de moins imposant, rien de mois décoratif, que ce petit bourgeois assis dans un fauteuil de bureau, le cou serré dans un haut faux col, le corps enveloppé d’une longue et disgracieuse redingote, les pieds grossièrement [p. 359] chaussés, le regard sans vie sous ses lunettes, une carte de géographie dépliée sur ses genoux. Nous en convenons volontiers, notre costume moderne est un écueil pour tout artiste qui veut sculpter nos grands hommes ; mais Thiers, de petite taille, historien, tribun, homme d’action, devait être représenté débout, près de quelque console supportant ses livres, au pied de cette tribune législative dont, vieux encore, il gravissait si alertement les degrés, et du haut de laquelle il savait dominer une assemblée, malgré le son grêle de sa voix. Mais c’est trop s’appesantir sur une œuvre manquée, passons. Le théâtre, une grange, échappe à toute description ; la gare, embarcadère d’une désespérante vulgarité, représente bien le peu de confiance qu’inspiraient les chemins de fer quand on inaugura celui-ci, le 25 août 1837. Les conducteurs semblent avoir pensé que cela durerait toujours autant que le joujou pour aller à la campagne !
L’église, dédiée à saint Germain, a été construite en 1821 et porte bien le cacher de son temps ; son portique est soutenu par six colonnes d’ordre dorique et décor au fronton d’une composition un peu mystique de Ramey fils, la Religion protectrice entourée des Vertus. Certes, cela ne vaut pas le fronton de la Madeleine, mais il sera injuste de ne point reconnaître la bonne ordonnance de la composition et l’heureuse exécution de plusieurs figures. L’intérieur est composé d’une nef centrale séparée des bas-côtés par des colonnes d’ordre toscan et terminée par un chœur en hémicycle. Ici, lambris et décors sont luxueux ; le plafond, divisé en caissons découpés et peints richement, est copié sur celui de Sainte-Marie-Majeure de Rome ; les hautes côtés de la nef sont couverts de fresques d’Amaury Duval ; la Miséricorde, la Rédemption, le Verbe et la Charité ; ces fresques sont d’une tonalité très pâle et s’effacent encore au milieu de l’éclat des ornementations voisines. La chaire, d’abord destinée à la chapelle de Versailles, est un don fait à la paroisse par Louis XIV en 1681. C’est au-dessus du lion héraldique, entièrement doré, qui semble faire sentinelle au pied de la [p. 360] tribune, un amas de ciselure et de guillochages qui attirent l’œil sans réussir à le retenir et à le charmer. La première chapelle de droite renferme un mausolée en marbre blanc, d’une grande simplicité, élevé aux frais de la reine Victoria, à la mémoire du roi Jacques II. Quelques ossements du roi sont restés sous ce monument ; la plus grande partie a été transportée à Westminster. Maintenant, retournons-nous vers le château.
Des larges et profonds fossés qui l’entourent, le château surgit, assis sur un soubassement dont les deux étages, séparés par un rang de mâchicoulis, sont percés de petites fenêtres carrées ; au-dessus s’élèvent deux autres étages construits en pierre et briques mêlées dans le goût charmant de la renaissance. Les frontons des fenêtres, triangulaires au premier étage, sont cintrés au second ; de loin en loin apparaissent des gargouilles aux têtes grimaçantes ; du sommet, se dressent vers le ciel les grandes cheminées en briques rouges. Les balcons s’ornent de vases et de médaillons aux lettres FF et aux salamandres se tordant dans les flammes ; les angles sont ornés de tourelles à encorbellements ; une voûte en dalles de pierre forme terrasse et termine l’édifice ; des ponts, remplaçant les anciens ponts-levis, traversent les fossés. Les oppositions que forment entre elles les couleurs de la pierre et celles de la brique, le mélange des lignes courbes et des lignes droites, parfont un ensemble d’un effet très séduisant.
La chapelle, avec sa rose, son balcon aux délicates arcades bordant les combles, ses trèfles, ses ravissantes sculptures, est un véritable bijou architectural. Sa restauration est malheureusement incomplète ; les vitraux qui s’encadreront si bien dans les belles fenêtres ogivales manquent encore, ainsi que la décoration intérieure ; telle qu’elle est, pourtant, on ne peut qu’être séduit par la grâce, l’élégance, la légèreté de ce charmant édifice.
On entre au château par la porte de l’ouest, qui s’ouvre près d’une jolie tourelle adossée au donjon ; on pénètre dans une cour de forme bizarre, mais d’où l’on peut embrasser [p. 361] du regard tout l’ensemble harmonieux des bâtiments. Dans les tourelles sont pratiqués des escaliers en hélice, conduisant aux appartements aujourd’hui occupés par les salles du musée ; celles-ci seront au nombre d’une quarantaine quand le classement des collections sera achevé.
Avant de continuer notre visite, nous allons esquisser l’histoire du château, qui sera aussi celle de la ville.
[p. 362] Nous avons vu le couvent de Saint-Germain s’établir dans la forêt au temps de Robert le Pieux ; nous avons vu Louis le Gros protéger les moines qui l’habitaient. Ce même roi, vers 1125, fit construire auprès du monastère un château fort où ses successeurs, et particulièrement Louis IX, firent de fréquents séjours. Un hameau s’était formé auprès du monastère ; un village ne tarda pas à se créer près de la résidence royale. C’est sous le règne de ce prince que fut construite la chapelle, si proche parente de la Sainte-Chapelle de Paris. Incendié par les Anglais en 1346, le château fut rebâti vers 1365, par les soins de Charles V, qui affectionnait fort Saint-Germain. Des constructions de ce temps-là, il reste encore les fondations, quelques bases de tourelles, des fragments d’escalier et le puissant donjon rectangulaire qui fait l’angle des façades nord et ouest. Dans une des pièces de ce donjon Charles V avait installé sa librairie. La tour a conservé son aspect original dans l’ensemble ; mais plusieurs détails qui ne la déparent point ont été ajoutés ; tels la double terrasse, les balcons, les gargouilles, les contreforts supportent des vases qui sont du temps de François Ier, et le gracieux campanile, ornement inattendu mais d’un effet charmant, que Mansart bâtit sous Louis XIV.
François Ier, Henri II, Henri IV et Louis XIV se sont occupés de Saint-Germain. Sous le règne du premier de ces rois, une reconstruction à peu près totale du château fut entreprise par l’architecte Chambiges. Henri II commença l’édification du château Neuf ; mais les travaux, lentement menés, ne furent achevés que sous Henri IV. Marchand, à qui revient la gloire de la construction, avait élevé, à 400 mètres de l’ancien château, une demeure d’un style agréable, ainsi qu’en témoigne le pavillon Henri IV, ancienne chapelle, seul debout encore. Ajoutons que la résidence était de grande étendue : ses jardins, en terrasses superposées, descendaient vers la Seine et occupaient une importante partie du territoire du Pecq ; des pièces d’eau et des grottes, où le génie inventif de Claude de Maconis et [p. 363] la science de l’hydraulicien Francine avaient créé des merveilleuses choses pour le temps, ajoutaient aux attraits du château Neuf et aux charmes de son séjour.
Louis XIII, on le sait, affectionnait Saint-Germain et l’habita presque constamment. Anne d’Autriche et son fils se réfugièrent au château pendant les troubles de la Fronde. Vers 1661, le Grand Roi songea à reprendre possession de la demeure délaissée. Il faut croire que la construction de Marchand laissait fort à désirer sous le rapport de la solidité, car alors la cour trouva le château Neuf inhabitable, et dut se réfugier dans la demeure de François Ier. Au cours des années suivantes, les visites royales devinrent de plus en plus fréquentes, et les goûts somptueux de Louis XIV s’accommodèrent aussi peu du voisinage des bâtiments délabrés que de la modestie relative de ceux qu’il habitait. Près de 6 millions et demi furent alors dépensé pour les embellissements des entours et les décorations intérieurs. C’est alors, nous l’avons dit déjà, que Le Nôtre dessina le parterre et que Mansart construisit la terrasse ; malheureusement, il ne s’arrêta pas là et flanque les angles du monument de cinq lourds pavillons d’un style solennel, qui en dénaturèrent le beau caractère. Un de ces pavillons subsiste, à l’angle de la façade de l’ouest et du midi ; il nous permet de ne pas regretter les autres.
Louis XV et Louis XVI s’occupèrent peu de Saint-Germain ; sous leurs règnes, la ville végéta tristement à l’ombre du vieux château, toujours solide, auprès du neuf dont les pignons se crevassaient sous les toits éboulés. Vers la fin de 1787, le comte d’Artois songea un moment à faire réédifier la construction ; mais les préoccupations du moment et les évènements qui survinrent ne lui permirent pas de donner suite à son projet.
Saint-Germain, dès le début de la tourmente révolutionnaire, s’associa au mouvement parisien. Le 17 juillet 1789, un certain sauvage, meunier à Poissy, que l’on accusait d’accaparement, fut pendu à un réverbère. Sous la Terreur, le village, abjurant son vieux nom, prit celui de Montagne-du-Bel-Air ; [p. 364] ses sections s’intitulèrent Unité, Liberté, etc. ; son église devint un temple de la Raison, et le château allait être transformé en maison de détention, quand survint le 9 Thermidor. Longtemps encore l’herbe continua à pousser dans les cours solitaires du vieil édifice, et le vent à souffler dans les grandes salles démeublées et veuves de vitres. Puis le château, après avoir failli, en 1803, devenir une succursale de l’hôpital Saint-Louis, fut, par un décret du 8 mars 1809, affecté au logement d’une école de cavalerie. Transformé en prison sous Louis-Philippe, une affectation digne de lui, celle de musée des Antiquités nationales, lui fut donnée sous le second Empire. En même temps, sa restauration fut confiée aux soins de M. Millet.
On l’a compris de ce qui précède, de nombreux événements historiques se sont accomplis à Saint-Germain. Sans remonter jusqu’à Louis IX, qui y reçut, en 1247, la visite de Baudouin, empereur de Constantinople, nous nous bornerons à rappeler quelques faits comparativement modernes. En 1518, le château vit naître Henri II ; en 1530, François Ier y célébra, au milieu de sa cour brillante, ses noces avec Eléonore d’Autriche, sœur de Charles-Quint. Moins de quatre mois après son avènement au trône, Henri II faisait dresser devant la façade méridionale du château un champ clos dans le goût de ceux du moyen âge, et de la Chataigneraie et de Jarnac rompaient des lances devant une nombreuse assemblée. La Chataigneraie, très aimé du roi, passait pour le plus robuste et le plus adroit gentilhomme de son temps ; le baron de Jarnac, généralement peu sympathique, était d’une taille exiguë, et nul ne prévoyait qu’il pût sortir vainqueur de ce combat singulier. Pourtant l’avorton eut raison du colosse ; il porta un coup terrible à son adversaire, et ce dernier succomba moins à cause de la gravité de sa blessure qu’à cause du refus obstiné qu’il fit de suivre aucun traitement pout la guérir. Quant à ce fameux coup de Jarnac, devenu expression proverbiale signifiant traitrise, il semble prouvé que, s’il fut inattendu, il ne fut nullement déloyal. C’est encore à Saint-Germain [p. 365] que naquit Charles IX, le 27 juin 1550 ; à cette occasion de grandes réjouissances furent offerts à la population. Une partie de la vie de ce prince se passa au château ; nous y voyons, en 1570, les chefs catholiques et huguenots s’y rencontrer et se promettre une paix à laquelle aucun d’eux n’avait l’intention de demeurer fidèle. Dans les derniers jours de sa vie, presque à l’agonie, emporté en litière, nous voyons le même Charles IX quitter Saint-Germain pour aller mourir à Vincennes. Nous avons vu Louis XIV naître ici ; nous pouvons rappeler que Louis XIII y rendit le dernier soupir le 14 mai 1643. Sous Louis XIV, le château, qui avait servi d’asile à la veuve de Charles Ier, abrita encore Jacques II et sa femme après la révolution de 1688. Tous deux y moururent, le premier en 1701, la seconde en 1718.
Les temps qui suivirent virent la résidence délaissée et sont moins féconds en souvenirs. Rappelons pourtant qu’en 1815, après la bataille livrée sur le pont du Pecq, dix mille Anglais vinrent loger au château. En 1870, la ville fut occupée par les Allemands. L’invasion fut semblable à ce qu’elle était partout ; nous ne répéterons pas des détails déjà tant de fois donnés.
Nous allons maintenant visiter le musée ; c’est une assez longue mais fort intéressante promenade à travers les appartements, transformés en salles d’exposition, où se sont passés les faits que nous venons de rappeler ; c’est aussi et surtout grâce à la nature des collections réunies, grâce à l’intelligent classement des objets qui les composant, un curieux voyage à travers les monuments, les outils, les armes des temps anciens, une révélation des mœurs et des coutumes des races disparues, une évocation des grandes choses accomplies par l’humanité au temps de sa première enfance.
Dès notre entrée, dans le fossé que le pont traverse, nous voyons une allée couverte, jadis trouvée à Conflans-Sainte-Honorine et rétablie dans son intégrité autant qu’a pu le permettre l’absence de quelques pierres.
Les salles du rez-de-chaussée sont consacrées aux grands [p. 366] moulages, à la reconstitution des machines de guerre romaines, à l’exposition d’une foule d’objets des temps gallo-romain, mérovingien et carlovingien. Parmi les moulages, il faut citer ceux fort beaux des bas-reliefs de l’arc de triomphe de Constantin, et de la colonne Trajane, celui de la statue d’Auguste, trouvée en 1863, dans la ville de Livie, ceux du tombeau des Jules à saint-Remi, et les grands trophées de l’arc d’Orange. Les parures, les objets d’utilité courante sont représentés ici par une grande quantité d’anneaux, de boucles d’oreilles, de colliers, de styles, de boucles de ceinturons. Voulez-vous voir des armes ? Voici les angons des Gaulois, espèce de lance munie de deux crocs à sa partie inférieure ; voici la francisque des Francs, la scramaxe, sorte de sabre à rainues empoisonnées ; puis les catapultes et les balistes, qui servaient à lancer les traits et les projectiles. Là encore sont des autels élevés aux divinités gauloises, des bornes militaires, une grande quantité d’inscriptions gauloises et quelques autels où furent adorées des divinités maintenant inconnues.
Par l’élégant escalier qui fut l’escalier d’honneur au temps de François Ier, nous gagnons les salles de l’entresol. On y peut continuer la série d’études commencée en bas, se transporter par la pensée à l’époque romaine, revivre un moment au milieu de la mythologie gauloise, reconstruire les nécropoles de nos ancêtres, concevoir une idée des métiers qu’ils exerçaient en contemplant les outils, marteaux, pioches, faux, faucilles, etc., dont ils se sont servis. Cet autel, surmonté de divinités représentant les jours de la semaine, est un ex-voto offert au dieu Edelatus ; cette statue mutilée est celle de la déesse Sequana ; voici encore les dieux Bélus, Sex Arbor, les déesses Labé et Epona ; plus loin, vous verrez des pierres tombales de légionnaires romains, celles d’un centurion, d’un porte-aigle, un tombeau romain en briques, la statue d’un soldat gaulois, des stèles, dont les sculptures représentent des ouvriers et des artisans occupés à leur travail.
Montons au premier étage ; les salles que nous visiterons [p. 367] d’abord sont consacrées à l’exposition des objets venant de l’âge de la pierre. Les scies, les épieux, les javelots, les pointes de lance, se montrent ici dans leurs formes et leurs dimensions variées, tels que les taillaient dans le silex les hommes de l’époque tertiaire. Plus loin apparaît l’âge de la pierre polie ; les haches ont des gaines, les défenses de sanglier sont employées à fabriquer des poinçons et de menus objets de parure ; les plus beaux de nos menhirs, de nos dolmens, de nos allées couvertes, sont reproduits très exactement au vingtième de leur grandeur ; le tumulus de Gavr’inis occupe le centre d’une salle, et ses sculptures, moulées sur l’original, en tapissent les côtés.
La salle de Mars, la plus belle du château, ancienne salle des Fêtes sous François Ier, a conservé sa magnifique cheminée, et, comme salle d’exposition, est l’une des plus curieuses à parcourir. Environ deux cents verreries et poteries nous initient aux secrets de la céramique gallo-romaine. Admirez la belle collection d’antiquités du premier âge de fer, recueillie au Caucase par M. Chantre, les bronzes antiques d’Italie et les belles armures de gladiateurs, les instruments en pierre du Sahara, provenant de la première mission Flatters, des stèles étrusques, la réduction du tombeau de Secondinus ; enfin une foule d’objets préhistoriques rapportées des quatre parties du monde.
Dans la salle de la Conquête, que décore une belle figure de soldat romain, de M. Bartholdi, vous verrez avec intérêt une carte générale des peuples de la Gaule au temps de César, et un très curieux plan en relief d’Alise-Sainte-Reine, exécuté par M. Abel Maitre, et donnant une idée exacte des travaux d’envahissement et des lignes de circonvallation dont l’antique Alésia fut entourée 52 ans avant notre ère.
Au deuxième étage, une salle est consacrée à l’exposition des objets de la première époque du fer trouvés dans les tumuli ; elle renferme un grand nombre de casques, de vases et de bracelets. La salle du bronze est garnie d’œuvres caractérisant bien les tendances et les aspirations de cet âge nouveau ; il y a là des mors, des pendeloques, des couteaux, [p. 368] des pointes de lance, des épées, toutes choses un peu primitives certes, mais souvent d’un travail excessivement curieux. Viennent ensuite les lacustres, fac-similés des maisonnettes construites sur pilotis, au temps de la pierre polie, accompagnés d’une série de vêtements en lin ou en écorce d’arbre et de spécimens des aliments dont se nourrissaient les habitants de ces singuliers et malsains logis. Très remarquable ici est la série des stations lacustres du lac du Bourget.
La salle du Trésor, salle des Archives, probablement librairie sous Charles V, intéresse particulièrement les numismates. Très riche est la collection de monnaies romaines, gauloises et mérovingiennes renfermées dans ses médailliers. Quelques-uns des types exposés ici sont des pièces absolument uniques ; d’autres sont de toute rareté. La série romaine ne comprend que des pièces frappées en Gaule.
Vous voyez par ce rapide aperçu à quel point la visite du musée est à la fois curieuse et instructive. Il eut pour premier organisateur M. Beaune. Ajoutons que son classement est fait avec un soin, une clarté, un esprit de suite qui font le plus grand honneur à MM. Alexandre Bertrand et de Mortillet, qui sont actuellement chargés de sa conservation. »

Martin, Alexis

Récit du décès de Jacques II à Saint-Germain-en-Laye

« [p. 369] Vous attendez, sans doute, un détail de la maladie, de la mort et du convoy de Jacques II, roy d’Angleterre ; il faut vous satisfaire sur tout cela.
Depuis un anthrax que ce prince eut il y a deux ans, qui suppura fort peu, et quelques légers mouvemens de goutte, sa santé parut fort ébranlée ; mais [p. 370] cela devint beaucoup plus sensible après une attaque d’apoplexie imparfaite, qui fut suivie de la foiblesse de tout un côté, et de la paralysie de quelques doigts, arrivée au Carême dernier. Ses forces estoient fort diminuées, il maigrissoit de jour en jour, et contre son ordinaire il paroissoit plus pesant et plus assoupi. A tous ces accidens, il estoit survenu, il y a quatre mois, un crachement de sang, fort léger dans son commencement et qui devient par la suite plus sensible.
S. M. B. estoit dans cet estat le vendredy 2 de septembre qu’il luy prit une grande foiblesse, dont Elle revint par le secours des cordiaux. Dans ce moment, la fièvre s’éveilla avec l’assoupissement [p. 371] qui a conduit ce prince jusqu’au tombeau.
Le dimanche, troisième jour de son mal, une seconde foiblesse le mit dans un estat si pressant que l’on eust d’abord recours aux derniers sacremens. Le pouls luy revint un peu après un vomissement d’un sang retenu depuis quelque temps dans l’estomac, comme il paroissoit à la couleur et à l’odorat. Le pouls néanmoins, qui estoit resté embarassé, se trouva dégagé par une pareille évacuation procurée par le moyen d’un remède que M. Fagon luy fit donner. Ce remède, posé à propos, le fit un peu reposer et donna quelque espérance.
Le lundy, quatrième jour de [p. 372] son mal, et cinquième du mois, un léger purgatif luy fit rendre beaucoup de sang retenu.
Le même jour après midy, le Roy alla le voir. Sa Majesté britannique le supplia de trouver bon qu’Elle fust enterrée dans l’église paroissiale de Saint Germain en Laye. Le Roy en parla à la reine d’Angleterre, et l’on ne jugea pas à propos de répondre à ce qu’une profonde humilité luy faisoit dire. Ce prince recommanda ce jour là au Roy les regimens irlandois qui sont à son service.
Il demeura assez tranquille le mardy.
Le mercredy, apres l’usage de quelques remedes propores à arrester l’hemorragie, cet accident [p. 373] cessa absolument, et la fievre diminua de beaucoup.
Le jeudy se passa dans redoublement. Il survint un flux d’urine, ce qui fit concevoir quelque esperance.
Le vendredy, huitieme jour du mal de ce prince, la fievre augmenta, sa langue devint seche, l’assoupissement ne diminua point, et l’on apperçut que le flux d’urine devenoit involontaire et que la paralysie gagnoit la vessie. Un purgatif qui luy fut donné alors fit connoistre que cet engourdissement se communiquoit aux entrailles. On perdit des ce moment toute esperance, les accidens allerent toujours en augmentant, et les remedes furent sans effet.
[p. 374] Ce prince se trouva si mal la nuit du 12 au 13 qu’on craignit qu’il ne mourust avant qu’elle fust passée. Sa Majesté demanda le viatique pour la seconde fois, et le reçut sur les cinq heures du matin avec une piété exemplaire. On luy avoit donné l’extrême onction trois heures après midy en même temps que le viatique. Le prieur curé de Saint Germain s’acquitta de toutes ces fonctions d’une manière très édifiante.
Le même jour 13, après midy, le Roy alla voir pour la dernière fois ce prince mourant, et déclara proche de son lit, et en présence de la reine et de plusieurs seigneurs des deux Cours, que si Dieu disposoit de Sa Majesté [p. 375] britannique, il reconnoistroit et traiteroit monsieur le prince de Galles comme roy d’Angleterre, d’Ecosse et d’Irlande. Sa Majesté britannique, qui estoit dans un grand assoupissement, n’en fut point tirée par les mouvemens que ces paroles causerent dans la chambre, ou peut estre qu’estant toujours en meditation, en attendant le moment de la mort, Elle ne voulut pas interompre, pour les choses de ce monde, le sacrifice qu’Elle faisoit alors de son âme à Dieu. Tous les milords, en fondant en larmes, se jetterent aux genoux du Roy pour le remercier. Ils reconduisirent Sa Majesté en cet état, avec des acclamations qui témoignoient [p. 376] leur reconnoissance et leur affliction, et le mélange de joye et de tristesse qui paroissoit sur leur visage, ayant quelque chose d’aussi vif pour la joye que pour la douleur, on ne scavoit si l’on devoit se réjouir ou s’affliger avec cette Cour, qui pour trop sentir, ne pouvoit bien démeller elle-même ce qu’elle sentoit. La nuit du 13 au 14, on crut que ce prince alloit expirer, les redoublemens estans devenus plus frequens et plus dangereux. On reïtera plusieurs fois la recommendation de l’âme, ce qui fut fait alternativement par les aumôniers de Sa Majesté britannique et par le curé de Saint Germain. Cependant, Sa Majesté conservoit une connoissance parfaite [p. 377] qui continua jusques aux derniers momens ;
Madame la duchesse de Bourgogne alla le voir le 14 à trois heures après midy. Ce prince la remercia avec beaucoup de présence d’esprit et la pria de passer chez la Reine, à cause de la mauvaise odeur qui estoit dans sa chambre.
Monseigneur le duc de Bourgogne l’alla voir le 15, sur les dix heures et demie du matin. Lorsque ce prince y arriva, on disoit pour la cinquième fois les prières des agonisans. Sa Majesté britannique, après l’avoir remercié de sa visite, le pria de trouver bon que l’on continuast les prières. Madame l’alla voir l’après dinée du même jour, à l’issue [p. 378] de son dîner. Il entroit souvent dans une espèce de létargie, et lorsqu’on le reveilloit de son assoupissement, il répondoit juste et reconnoissoit tout le monde. Il avoit commencé le jeudy au soir à prononcer avec peine.
Le même vendredy 16 que ce prince reçut tant de visites et qu’il avoit ouy la messe dans sa chambre, ainsi que les jours précédens, il tomba dans une douce agonie sur les deux heures et demie après midy, et à trois heures et un quart, il expira sans aucun effort, ayant la bouche riante, ce qui continua d’une manière sensible quelques momens après sa mort. On observa, comme une chose digne de remarque, et dont [p. 379] il y a peu d’exemples, qu’en quinze jours que ce prince avoit passez dans le lit de la mort, aussi tourmenté des remèdes qu’on luy donnoit que de sa maladie, il ne luy estoit pas échapé le moindre mouvement d’impatience, de répugnance ny même d’inquiétude, estant dans une méditation presque continuelle et ne parlant qu’autant qu’il estoit absolument nécessaire et que la charité le demandoit. Sa piété n’avoit rien ny d’austère ny de rude. Je n’entre point dans les choses touchantes et plus édifiantes encore qu’il a dites à la reine pendant les quinze jours qu’a duré sa maladie ; elles sont au dessus de toutes sortes d’expression. La manière dont il a parlé à monsieur le [p. 380] prince de Galles n’est pas moins digne d’admiration, et moins difficile à exprimer. Il luy a fait voir par des discours aussi touchans que chrétiens qu’il ne devoit point mettre la couronne en parallèle avec la religion et l’a conjuré de ne le faire jamais. Il a protesté tout haut qu’il pardonnoit sincérement et de tout son cœur à tous ceux qui luy avoient causé tant de mal, et qu’il prioit Dieu qu’il leur pardonnast, en ajoutant qu’il leur avoit de grandes obligations, puisqu’ils estoient peut estre la cause de son salut qu’il esperoit. Il a tenu ces discours plus d’une fois et les a renouvellez en recevant le viatique. Ce n’est point l’état où il se trouvoit, et [p. 381] l’assurance d’une mort certaine qui l’ont fait parler ainsi, puisque depuis le commencement de ses malheurs jusqu’au moment de sa mort les chagrins qu’il ressentoit, peut estre plus pour sa famille que pour luy, n’ont jamais esté cause qu’il luy soit rien échapé contre les auteurs de tous ses maux. Il s’estoit mis pendant tout le cours de sa vie par une fermeté héroïque au dessus de toutes les disgraces qui luy estoient arrivées, et toutes les fois qu’il s’estoit agy de la religion, il avoit fait voir une constance digne des anciens chrétiens. Il estoit d’une valeur intrépide et il en a donné des preuves en plusieurs batailles, tant sur terre que sur mer, mais ce [p. 382] n’est pas icy le lieu de s’étendre sur des choses qui regardent ceux qui travailleront à son histoire.
Lorsque ce prince fut expiré, M. Desgranges, maistre des cérémonies de France, fit exposer son corps à la vue du peuple. Le clergé de la paroisse de Saint Germain, les recolets qui sont dans le même lieu et les augustins des Loges, au nombre de douze qui se relevoient de temps en temps, formerent deux chœurs, qui psalmodierent toute la nuit, et le matin on commença à célébrer des messes sur deux autels dressez dans la même chambre où estoit le corps.
Le samedy 17, sur les quatre heures après midy, on l’ouvrit et on l’embauma. On luy trouva [p. 383] très peu de sang, et presque réduit en eau, tous les visceres, les entrailles et même le cœur fletris et extenuez. A l’ouverture du crane il sortit une tres grande quantité de serositez et les ventricules du cerveau étoient absolument plein d’eau.
Son corps fut porté le soir, avec peu de cérémonie, aux bénédictins anglois du fauxbourg Saint Jacques, où il doit rester en dépost jusqu’à ce qu’on résolve où il sera inhumé. Son cœur a esté porté au couvent de Sainte Marie de Chaliot, où est celuy de la feue reine sa mère. Son convoy n’étoit composé que de trois carosses. Dans le premier, précédé de quatre gardes du corps qui portoient des flambeaux, étoient [p. 384] un aumônier, qui portoit le cœur du Roy, le père Sandun, confesseur de Sa Majesté, son compagnon, un autre aumônier, deux chapelains et le prieur de Saint Germain. Dans le second estoit le corps de ce prince, et M. du Vinet, exempt des gardes du corps de Sa Majesté Très Chrétienne. Vingt six gards du corps marchoient devant et derrière, avec des flambeaux. Le convoy estoit terminé par un troisième carosse, dans lequel estoient M. le duc de Barwik, Mr Porter, vice chambellan de Sa Majesté britannique, milord Hamilton, Mr Desgranges, Mr Hamilton, maistre de la garde robe, et Mr Ploiden, controlleur de la Maison de [p. 284] Sa Majesté. Mr d’Ingleton, aumônier de la semaine, fit un discours en latin en remettant le corps du roy entre les mains du prieur des bénécitins, qui répondit en la même langue, et ces discours furent trouvez fort touchans. Le corps couvert d’un poele fut mis sous un dais dans une chapelle tenue de noir. Le même cortège qui avoit esté aux bénédictins accompagne le cœur jusqu’à Sainte Marie de Challiot. Le même Mr Ingleton fit aussi un très beau discours en remettant le cœur entre les mains de la supérieure, qui y répondit avec beaucoup d’esprit.
Je dois ajouter icy qu’aussitost que le Roy fut expiré, M. [p. 386] le prince de Conty, qui depuis quelques jours n’avoit point quitté Saint Germain, estant parent de la reine, eut l’honneur de saluer le jeune roy. M. le nonce dit à ce nouveau monarque qu’il avoit ordre de Sa Sainteté de le reconnoistre après la mort du roy son père, et M. l’abbé Rizzini, envoyé de Modène, luy fit le même compliment de la part du duc son maistre.
Le 20, le Roy alla à Saint Germain, et il monta d’abord chez le roy d’Angleterre, qui l’attendit au haut du grand escalier en long manteau et conduisit Sa Majesté dans son appartement en prenant la main gauche. Il se trouva deux fauteuils, et le Roy s’assit dans celuy qui estoit [p. 387] à la droite. La visite fut courte. Sa Majesté britannique conduisit le Roy, qui l’empescha d’aller aussi loin qu’il auroit souhaité. Le Roy alla ensuite chez la reine, qui estoit au lit, et demeura près d’une heure avec cette princesse. Madame la duchesse de Bourgogne arriva pendant ce temps là, accompagnée de madame la Princesse, de madame la Duchesse, de mademoiselle d'Angu’en et des dames du palais de madame la duchesse de Bourgogne. Elles estoient toutes sans mantes, parce que la visite n’estoit pas de cérémonie. Madame la duchesse de Bourgogne alla d’abord chez Sa Majesté britannique, qui la reçut à la porte de sa chambre. Elle y resta peu de temps, et ne [p. 388] s’assit point. Cette princesse alla ensuite chez la reine, où elle trouva le Roy, qu’elle y laissa. Après cette courte visite, cette princesse alla chez madame la princesse d’Angleterre, où elle resta debout. Monseigneur le Dauphin et madame la princesse de Conty douairière y arrivèrent de Meudon une demi heure après. Le Roy, avant que de partir, alla chez madame la princesse d’Angleterre, messeigneurs les ducs de Bourgogne et de Berry, monsieur le duc et madame la duchesse d’Orléans, monsieur le Prince, monsieur le Duc et madame la Duchesse, madame la princesse de Conty et généralement tout ce qu’il y a de personnes de distinction [p. 289] à la Cour ont esté faire des complimens au roy, à la reine et à madame la princesse d’Angleterre.
Le 21, Sa Majesté britannique rendit visite au Roy à Versailles et à madame la duchesse de Bourgogne. Cette princesse étant alors à la messe, Sa Majesté l’attendit dans son appartement. Monseigneur le Dauphin et messeigneurs les ducs de Bourgogne et de Berry estoient partis pour Fontainebleau.
Je ne dois pas finir cet article sans vous dire que tous ceux qui ont vu ce jeune roy en sont charmez. Son air, ses manières et son esprit frapent d’abord également tous ceux qui ont l’honneur de l’approcher. Tout est en [p. 390] ce jeune monarque infiniment au dessus de son âge, et quoy qu’il doive beaucoup au sang dont il est sorti, il ne doit pas moins à son éducation. »

Récit du baptême d’Henri de Bourbon, futur duc de Verneuil, et de sa sœur Gabrielle à Saint-Germain-en-Laye

« Le roy Henry le grand se resolut promptement de commander au sieur de Roquemont, maistre des ceremonies, de donner ordre sans grand appareil au baptesme de monsieur et madamoiselle de Verneuil, ses enfans naturels.
Premierement, fut preparée la grande salle de Sainct Germain, sans chambre et sans lict de parade pour ce qu’il n’y avoit pas de dames pour ensuivre la ceremonie requise. Mais ladite salle fut garnie d’un dais sur la cheminée, et aussi sur la table où se poserent les honneurs. Dans ladite salle s’assemblerent les princes et seigneurs destinez pour porter les honneurs et pour accompagner la ceremonie. Et là dedans, venue l’heure du baptesme, se rendirent monsieur et madamoiselle du Verneuil, pour estre là tenus prests afin d’estre menez baptiser par monseigneur le Dauphin et par Madame, compere et commere. Et le tout ordonné dans ladite salle, fut deputé monsieur de Vendosme pour aller advertir monseigneur le Dauphin, qui estoit attendant en sa chambre que tout fust prest, et ledit sieur le conduisit jusques à ladite salle. D’autre part, fut aussi deputée madamoiselle de Vendosme pour rendre pareil devoir à Madame. Et sitost qu’ilz furent arrivez, ledit sieur maistre des ceremonies fit suivre l’ordre de l’assemblée qui se trouva, et de peur de la presse le capitaine de la garde à Sainct Germain fit haye avec sa compagnie en armes, et quelques personnes entremeslées avec des torches à la main, depuis l’escalier de ladite salle jusques à l’entrée de la chapelle du vieux chasteau. Et y ordonna aux portes de ladite chapelle, à la premiere les gardes du grand prevost, et à celle du chœur un exempt des gardes de la garde du Roy.
Premierement marchoient les trompettes, fiffres, hautsbois et tambours. Apres suivirent les gentilshommes qui se trouverent avec un flambeau à la main. Puis marcherent les honneurs, qui avoient esté presentez par madame de Vitry, fille de madame de Montglas, scavoir premierement le cierge porté par le sieur de Courtenvaux, puis le cresmeau de satin blanc, avec son carreau de mesme, porté par le sieur de Lansac, puis la saliere portee par le sieur de Frontenac, premier maistre d’hostel du Roy, l’aiguiere portée par le sieur de Montbazon, le bassin porté par monsieur le chevalier de Vendosme, puis la serviette [p. 204] portée par monsieur de Vendosme, et l’on fit servir ces mesmes honneurs pour tous les deux, et ce pour accourcir la ceremonie. Quant aux enfans, ils ne furent portez, mais monsieur de Verneuil marcha à pied, tous deux vestus de satin blanc, et fut adextré par monseigneur le Dauphin son parain, lequel estoit suivy de monsieur de Souvré, son gouverneur. Et madamoiselle de Verneuil marcha de mesme à dextre de Madame, sa maraine. Donc tous ensemble estans guidez et environnez de leurs gouverneurs et gouvernantes, et ayans quelques gentilshommes à l’entour et derriere ; suivit l’exempt du Roy pour la garde de monseigneur le Dauphin, avec quelques archers pour empescher le desordre et la presse. Et arrivez à la chapelle, où estoient les fonts parez de satin blanc, furent baptisez par monsieur l’evesque de Paris l’un apres l’autre.
Mondit seigneur le Dauphin et Madame, compere et commere, nommerent monsieur de Verneuil Henry, du nom du Roy et de la mere de l’enfant, nommée Henriette, et madamoiselle de Verneuil Gabrielle, lesquels noms furent ainsi donnez par le commandement du Roy, et immediatement apres monsieur de Verneuil fut confirmé et tonsuré par ledit evesque de Paris.
Le soir y eut festin aux depens du Roy, auquel monsieur le Premier donna ordre et servit de controlleur general. A la table de monseigneur le Dauphin furent assis mondit seigneur le Dauphin et Mesdames et furent servis de leurs viandes par leurs ordinaires officiers. Et fut attachée à leur table, en potence, une autre table de trente assiettes pour ceux qui avoient servy en cette ceremonie, à laquelle furent assis monsieur de Vendosme, le chevalier son frere, monsieur de Montbazon et le reste des gentilshommes, et là fut beu à la santé du Roy et de monseigneur le Dauphin. Et ce fut là la premiere fois que mondit seigneur le Dauphin mangea publiquement au festin. De sa place, il voyoit une partie de la grande table, et admiroit toutes les viandes qui se servoient, et paroissoit grandement resjouy de voir festiner un chacun et boire à sa santé. Le soir fut dansé entre les enfans princes et princesses, et puis chacun se retira. Et le lendemain matin le maistre des ceremonies partit pour aller rendre compte au Roy de ce qui s’estoit passé en cette action solennelle, au recit de laquelle Sa Majesté prit grand plaisir. »

Récit du baptême du duc d’Orléans à Saint-Germain-en-Laye

« L’ordre et triomphe du baptesme de tres haut et tres puissant prince monseigneur Louys, second fils de France, duc d’Orleans, fait à Saint Germain en Laye le dix neufieme jour du mois de may mil cinq cens quarante neuf
Pour les roys d’armes de France
Le dimanche dix neufieme jour de may, le roy Henry II, estant a Sainct Germain en Laye, accompagné des princes de son sang, pour solenniser le baptesme de tres haut et tres puissant prince monseigneur Louys, second fils, duc d’Orleans, fit un festin royal en la grande salle dudit chasteau de Sainct Germain, laquelle estoit toute tapissee de riche tapisserie, faite de fil d’or, de fil d’argent et de soye, enrichie et garnie par le haut de feuillages de lierre et buys, semez d’ecussons aux armes de France, de la Reyne, de Portugal, d’Escosse et de Ferrare, et des croissans entrelassez ; et au bout d’en haut de ladite salle estoit la table dressee et couverte pour le Roy, a laquelle pour aller y avoit huit marches couvertes de tapis de Turquie, et au dessus de ladite table y avoit un ciel de satin cramoisy fait en broderie, et couvert de perles. A main dextre et au dessous de la table du Roy y avoit une longue table dressee pres des fenestres pour les princes et dames.
Environ l’heure de cinq heures du soir, le Roy partit de sa chambre, accompagné de don Constantin, prince, ambassadeur et parain delegué de par don Jean, roy de Potugal ; et marchoit devant le Roy monsieur de Boisy, Grand Escuyer de France, portant une hache d’armes comme capitaine des cent gentilsommes de la Maison du Roy, madame Marguerite, la reyne d’Escosse, madame la duchesse d’Aumale et ledit delegué de Portugal ; a main senestre et de l’autre costé, messeigneurs les reverendissimes cardinaux de Bourbon, de Vendosme, de Guise, d’Amboise et de Chastillon, et autres grands seigneurs. Monseigneur d’Anguyen servoit de panetier. Louys monsieur de Bourbon d’eschançon, monsieur d’Aumale d’escuyer trenchant, monsieur le connestable de Grand Maistre.
Et pour le premier service arriva monsieur le connestable en l’ordre qui ensuit. Premier marchoient les tambours, fifres et trompettes sonnans, apres les herauts deux a deux revestus de leurs cottes d’armes, apres marchoient deux huissiers de la chambre du Roy portans la masse sur l’epaule, apres marchoient les maistres d’hostel, ayans tous les dessus dits la teste nue, apres marchoit monsieur le connestable portant son baston de Grand Maistre, enrichy et couvert [p. 150] de perles et pierreries ; puis marchoit monsieur d’Anguyen servant, comme devant est dit, de panetier. Le service estoit porté par les gentilshommes de la chambre du Roy, richement vestus, ayans la teste nue, et fut tenu tel ordre a tous les autres services comme au premier. Et durant le festin y avoit chantres chantans en musique, hautsbois et autres joueurs d’instrumens le plus melodieusement que l’on scauroit ouyr. Et a la fin du dernier service fut crié : Largesse, par Monjoye, accompagné des herauts revestus comme dessus, d’un bassin et d’une eguiere d’or de par tres haut et puissant prince monseigneur le duc d’Orleans. Et le festin achevé, le bal commença qui dura environ deux heures, et ledit bal finy le Roy se retira en sa chambre, et s’en alla madame Marguerite, la reyne d’Escosse, madame la duchesse d’Aumale et ledit delegué de Porugal, monsieur de Guise et tous les princes et dames en la chambre où estoit ledit seigneur duc d’Orleans, laquelle estoit tapissée comme il s’ensuit. Dedans ladite chambre y avoit un grand lict de parement, couvert d’un drap d’or frizé traisnant en terre, et tout a l’entour par bas estoit redoublé et fourré d’hermines ; deux oreillers tous faits en broderie, couverts de perles et pierreries, et le ciel et dossier de drap d’or couvert de perles, les franges de fil d’or et au bout desdites franges tous garnis de grosses perles ; ladite chambre tapissee tout a l’entour de tapisserie faite de fil d’or, fil d’argent et soye la plus riche que l’on veit jamais, le fonds par haut de drap d’or et par bas de tapis de Turquie. Et au sortir de ladite chambre, toute la galerie et la vis par où l’on passa pour descendre en la cour allant a la chapelle dudit chasteau estoit toute tapissée de drap d’or et de tapis de veloux cramoisy violet, semez de fleurs de lys d’or, d’hermines et de toile d’argent. Tous lesdits seigneurs assemblez dans ladite chambre, fut levé le petit prince par ledit delegué de Portugal, et fut tenu tel ordre au marcher dudit baptesme, somme il s’ensuit.
Premierement, marchoient les tambours, fifres et trompettes sonnans fanfares, apres les herauts deux a deux, revestus de leurs cottes d’armes, apres marchoient les huissiers de la chambre portans la masse, puis marchoient les chevaliers de l’ordre ayans le grand ordre, portans chacun un cierge blanc en la main, apres marchoit monsieur François de Lorraine, grand prieur de France, portant le cierge du baptesme, apres le marquis du Maine, portant la saliere, apres monsieur d’Aumale, portant le cresmeau enrichy de pierres precieuses et d’une grande croix dessus, ledit cresmeau en manière d’escarboucle, posé sur un carreau de drap d’or couvert de parles, apres monsieur de Longueville, portant l’eguiere, apres Louys monsieur de Bourbon, portant le bassin, apres monseigneur d’Anguyen, portant l’oreiller et serviette, apres marchoit le parain delegué dudit roy de Portugal, portant ledit prince, à costé de luy a main dextre monsieur de Guise, servant de parain et delegué pour le duc de Ferrare, a main senestre madame la duchesse d’Aumale, servant de maraine [p. 151] au lieu de la reyne douairiere d’Escosse. Et estoient a costé, derriere ledit sieur de Guise et la duchesse d’Aumale, René monsieur de Lorraine, et le fils du gouverneur d’Escosse, portans chacun un coin du drap d’or ou estoit ledit petit prince, servans de chevaliers d’honneur. Apres marchoit madame Marguerite, laquelle menoit par la main la petite reyne d’Escosse, apres madame la duchesse de Valentinois, apres toutes les dames en bon ordre, richement vestues et parees tellement que, pour l’abondance des pierreries et broderies, l’on n’eust sceu discerner la couleur de leurs habillemens. Tous lesquels descendus dans la cour du chasteau, estoit ladite cour toute tapisseee de riche tapisserie faite de fil d’or, fil d’argent et de soye, et aux premieres lermieres de ladite cour y avoit a un pied loin de l’autre un cierge allumé, jusques au nombre de deux cens et plus, et depuis la porte de la salle jusques a la porte de la chapelle, estoient arrangez les arches de la garde d’un costé, tenans chacun une torche allumee a la main, et de l’autre costé en pareil ordre les suisses, ayans chacun aussi une torche allumee comme lesdits archers de la garde. A la porte de ladite chapelle estoit monseigneur le reverendissime cardinal de Bourbon, revestu pour faire l’office, accompagné de messeigneurs les reverendissimes cardinaux de Vendosme, de Guise, d’Amboise et de Chatillon, avec plusieurs archevesques, tous revestus de leurs roquets. Dedans et au milieu de ladite chapelle, y avoit un theatre dressé sur quatre piliers dorez de fin or, ou fut porté ledit petit prince, et dans ledit theatre y avoit un fonts dressé d’argent doré, tout enrichy de perles et pierreries, le plus beau qu’il soit possible a un homme de voir, et fut ledit petit prince nommé par ledit delegué de Portugal Louys. Ladite chapelle estoit toute garnie de cierges blancs et grands chandeliers d’argent pendans tous garnis de cierges, qui donnoient une lueur et clarté comme s’il eus testé midy. Et ledit baptesme achevé, fut crié par ledit Monjoye dans ladite chapelle : Vive tres haut et tres puissant prince monseigneur Louys, second fils de France, duc d’Orleans. Et fut ledit petit prince rapporté en pareil ordre et triomphe qu’il avoit esté porté jusque dans ladite chambre de parement. Et au retour en la salle du Roy, furent dressees tables chargees de confitures, dragees et epiceries pour la collation. Et ce fait chacun se retira. »

Récit du baptême de Louis XIV dans la chapelle du Château-Vieux de Saint-Germain-en-Laye

« Les ceremonies du baptesme de monseigneur le Dauphin, à present Louys XIV, à Sainct Germain en Laye le 21 avril 1643
Le feu roy Louis XIII ayant fait ondoyer monseigneur le Dauphin son fils des le jour de sa naissance par monsieur Dominique Seguier, evesque de Meaux et son premier aumosnier, comme a esté remarqué cy dessus à la page 214 de ce livre, Sa Majesté avoit toujours differé la ceremonie du baptesme de ce sien fils aisné jusques au vingt unieme du mois d’avril mil six cens quarante trois, auquel estant indisposée, Elle voulut que l’on baptisast ce prince, et pour ce sujet choisit monsieur le cardinal Jules Mazarin pour parain et madame Charlote Marguerite de Montmorency, femme de feu monseigneur le prince de Condé, pour maraine de Son Altesse royale. Ainsi plusieurs de nos roys ont choisi des ecclesiastiques pour estre les parains de leurs fils aisnez, entre autres saint Louys fit le choix d’Odon ou Eude III, abbé de Saint Denys, pour estre le parain de son fils aisné Louys de France.
Ce fut sur les quatre ou cinq heures du soir du mesme jour que se fit [p. 246] cette royale et saincte ceremonie dans la belle chapelle du vieil chasteau de Sainct Germain en Laye, en cet ordre :
Monseigneur le Dauphin vestu, par dessus son habit ordinaire, d’une robbe de taffetas d’argent, marchoit devant la Reyne et la marquise douairiere de Lansac, sa gouvernante, derriere Son Altesse royale. Apres la Reyne suivoient la susnommée Charlote Marguerite de Montmorency, princesse de Condé, madame Anne de Montafié, comtesse de Soissons, madame Anne de Bourbon, duchesse de Longueville, et les autres princesses et dames de la cour.
La Reyne et monseigneur le Dauphin estans arrivez en cette royale chapelle, dont le chœur et la nef, le jubé et les galeries et tribunes estans remplis de plusieurs seigneurs et dames qui estoient venues pour voir cette auguste ceremonie, la musique du Roy chanta un motet ravissant, pendant lequel, la Reyne s’estant mise de genoux sur son prié Dieu garny de son drap de pied et carreaux de veloux rouge cramoisy à franges d’or, et monseigneur le Dauphin aussi à genoux aupres de Sa Majesté et à sa droite, la princesse de Condé se tenant aussi à genoux à sa gauche, le susnommé evesque de Meaux, vestu de ses habits et ornemens pontificaux, accompagné de quatre aumosniers de Sadite Majesté, en presence de ces six prelats, tous en rochet et camail, monsieur l’evesque et comte de Beauvais, pair de France et premier aumosnier de la Reyne, de la maison de Potier, monsieur l’evesque de Viviers, de l’illustre maison des comtes de Suze ou de la Baume en Dauphiné, monsieur l’evesque de Riés de la maison de Doni assez conneue à Florence et à Avignon, monsieur l’evesque de Sainct Paul de l’illustre maison d’Ademar de Monteil et comtes de Grignan en Provence, monsieur l’evesque de Coutances de la maison de Matignon, et de monsieur l’evesque du Puy de la maison de Maupas ou des barons du Tour en Champagne, et de plusieurs abbez et de tout le clergé de la chapelle du Roy, sortit de la sacristie et, apres avoir adoré le tres sainct sacrement qui estoit exposé sur l’autel orné de tres riches paremens, il s’approcha du prié Dieu de la Reyne, laquelle luy presenta monseigneur le Dauphin, qui fut ensuite eslevé par la marquise de Lansac sur l’appuy ou acoudoir dudit prié Dieu. Puis le cardinal Mazarin, qui avoit accompagné la Reyne depuis son departement jusques à cette chapelle, passa à la main droite de monseigneur le Dauphin et la princesse de Condé de l’autre costé, selon l’ordre observé en l’Eglise entre les parains et maraines, de laquelle dignité il a plu au Roy de les honorer, Sa Majesté leur ayant temoigné de sa propre bouche que c’estoit pour obligé encore plus estroitement le prince de Condé et Son Eminence à son service et à celuy de monseigneur le Dauphin son fils qu’Elle leur faisoit cet honneur, qui est le plus grand qu’eux ny autres pouvoient jamais recevoir.
Alors la Reyne, tenant par derriere mondit seigneur le Dauphin, qui parut beau comme un ange et fit voit en toute cette saincte action une modestie et retenue extraordinaire à ceux de son age, l’evesque [p. 247] de Meaux, qui l’avoit ondoyé comme a esté rapporté cy dessus, ayant salué Sa Majesté la mitre en teste, demanda ausdits parain et maraine le nom que l’on vouloit donner à ce prince. La princesse de Condé, ayant fait grand compliment à Son Eminence, puis une reverence à la Reyne, le nomma Louys, suivant l’intention de Sa Majesté. En suite de quoy l’evesque continua l’office selon le rituel romain, suivant lequel il exorciza, benit le sel et en mit dans la bouche de ce prince, dix neufieme dauphin de Viennois, Louys de France, quatrieme du nom, qui le receut fort pieusement, et avec une humilité qui ravit toute l’assistance en admiration. Puis, la Reyne luy ayant, ainsi qu’il se pratique en telles ceremonies, decouvert la poitrine et les epaules, l’evesque officiant luy appliqua les sainctes huiles des catechumenes, et à toutes les fois que ce prelat luy dit : Ludovice abrenuncias Sathanae, pompis et operibus ejus ?, il repondit luy mesme autant de fois : Abrenuncio, comme aussi aux trois interrogations qu’il luy fit sur sa creance, selon les termes du mesme rituel, il repondit hardiment autant de fois : Credo. Alors l’evesque luy declara qu’il estoit introduit dans l’Eglise, et tant les parain et maraine que ce prelat et tous les assistans reciterent avec Son Altesse royale à haute voix le symbole des apostres et l’oraison dominicale. Puis l’evesque, obmettant l’infusion de l’eau (qui avoit esté faite à ce prince des le jour de sa naissance le dimanche cinquieme de septembre mil six cens trente huit et qui ne se reitere jamais), la Reyne luy decouvrant la teste, l’evesque luy en oignit le sommet avec le sainct cresme. Ce fait, il luy mit sur la teste le cresmeau, recitant aussi les mots du rituel sur ce sujet, et luy presenta le cierge allumé, que Son Altesse prit elle mesme à deux mains et le tint seule durant le reste de la ceremonie. A la fin de laquelle l’evesque officiant monta à l’autel et donna la benediction solennelle, que toute l’assistance receut à genoux, et la musique du Roy chnta encore ensuite le Regina caeli etc. Puis chacun s’en retourna, merveilleusement satisfait d’avoir assisté à cette saincte et auguste ceremonie, laquelle fut fermée par un remerciement que ce prince vint faire jusque dans la sacristie à l’evesque qui l’avoit baptisé.
Ce dix neufieme dauphin Louys de France, quatrieme du nom, par cette action donna des indices de sa future bonté et pieté, et des asseurances que quand Son Altesse royale seroit plus avancée en age, elle suivroit les vertus de tant de roys et de princes ses ancestres, desquels le nom et la mémoire est en benediction pour leur affection, leur respect et leur sainct zele vers l’Eglise, unique espouse du fils unique de Dieu. La premiere action royale que Son Altesse royale fit des le jeudy Sainct le onzieme de ce mesme mois d’avril en la ceremonie de la Cene, lavant les pieds aux pauvres, ne put estre que de bon augure, estant pareillement de pieté, et un presage qu’il imiteroit le Roy son père, qui avoit fait autrefois une pareille action. »

Récit du baptême de Louis XIV dans la chapelle du Château-Vieux de Saint-Germain-en-Laye

« [p. 324] Les ceremonies du baptesme de monseigneur le Daufin
J’aurois grand sujet de craindre que tant de hauts mysteres qui se presentent si souvent à ma plume, ne pouvans estre traitez dignement pour la briesveté du temps que me prescrit la coustume et l’humeur de nostre nation, ne me donnassent rang entre les moindres escrivains si je n’affectois moins la qualité d’orateur que celle d’historien. Auquel devant suffire le recit de ce qui s’est passé, et la narration la plus simple estant la meilleure, j’espere de l’equité de mon lecteur qu’il ne condamnera pas mes petits ouvrages pour le defaut des ornemens que je ne cherche point, bien qu’ils fussent ailleurs necessaires en des matieres de telle importance que celles que je traite.
Le Roy ayant desiré que l’on baptizast monseigneur le Daufin, Sa Majesté, en tesmoignage de l’estime qu’elle fait du prince de Condé et du cardinal Mazarin, et de l’affection qu’elle a pour leurs personnes, a voulu que la princesse de Condé et Son Eminence eussent l’honneur de tenir mondit seigneur le Daufin sur les fonts et d’estre ses parein et mareine.
Pour cet effet, le vingt unieme de ce mois d’avril 1643, [p. 324] sur les quatre à cinq heures apres midi, la Reine, accompagnée de la princesse de Condé, de la comtesse de Soissons, de la duchesse de Longueville et d’autres princesses et dames de la Cour, passa par la porte qui respond de son appartement dans l’eglise du vieil chasteau de Saint Germain, dont le chœur et la nef, le jubé et tribunes ou galeries estoyent desja remplis de plusieurs seigneurs et dames et autres personnes accourues en grand nombre pour assister à cette ceremonie. Monseigneur le Daufin marchoit devant Sa Majesté et la dame de Lansac, sa gouvernante, derriere lui. Il estoit vestu par dessus son habit ordinaire d’une robe de tafetas d’argent.
A leur arrivée, la Musique du Roy, qui estoit au jubé, son lieu ordinaire, chanta un motet fort harmonieusement, pendant lequel la Reine, s’estant mise de genoux sur son prié Dieu garni de son drap de pied et quarreaux de velours rouge cramoisi à franges d’or, et monseigneur le Dauphin aussi à genoux auprès de Sa Majesté, et à sa droite la princesse de Condé se tenant aussi à genoux, à sa gauche l’evesque de Meaux, premier aumosnier du Roy, vestu de ses habits et ornemens pontificaux, accompagné de quatre des aumosniers de Sadite Majesté, en presence [p. 326] des evesques de Beauvais, de Viviers, de Riez, de Saint Pol, de Coutances et du Puy, tous en rochet et camail, de plusieurs abbez et de tout le clergé de la chapelle du Roy, sortit de sa sacristie, et après avoir adoré le saint sacrement, qui estoit exposé sur le maistre autel extraordinairement paré et brillant de plusieurs gros luminaires de cire blanche, il s’approcha du prié Dieu de la Reine, laquelle luy presenta monseigneur le Daufin, qui fut ensuite elevé par sa gouvernante sur l’appui ou accoudoir dudit prié Dieu.
Puis le cardinal Mazarin, qui avoit aussi accompagné la Reine, passa à la main droite de monseigneur le Daufin, et la princesse de Condé de l’autre costé, selon l’ordre observé en l’Eglise entre les pareins et mareines, de laquelle dignité il a pleu au Roy les honorer, Sa Majesté leur ayant tesmoigné de sa propre bouche que c’estoit pour obliger encor plus estroitement le prince de Condé et Son Eminence à son service et à celui de monseigneur le Daufin, son fils, qu’Elle leur faisoit cet honneur, qui est le plus grand qu’eux ni autres pouvoyent jamais recevoir.
Alors la Reine, tenant par derriere mondit seigneur le Daufin, qui parut beau comme un [p. 327] ange et fit voir en toute cette action une modestie et retenue extraordinaire à ceux de son aage, l’evesque de Meaux, qui l’avoit ondoyé comme vous avez sceu le jour de sa naissance, ayant salué Sa Majesté, la mitre en teste, demanda ausdits parein et mareine le nom qu’on vouloit imposer à ce prince. La princesse de Condé ayant fait grand compliment à Son Eminence, puis une reverence à la Reine, le nomma Louis suivant l’intention de Sa Majesté. Ensuite de quoi l’evesque continua l’office selon le rituel romain, suivant lequel il exorciza, benit le sel et en mut dans la bouche de ce prince, qui le receut fort pieusement et avec une humilité qui ravit toute l’assistance en admiration. Puis la Reine lui ayant, ainsi qu’il se pratique en telles ceremonies, descouvert la poitrine et les espaules, l’evesque officiant lui appliqua les saintes huiles des cathecumenes, et à toutes les trois fois que l’evesque lui dist « Ludovice abrenuncias Sathanae, pompis et operibus ejus », il respondit lui mesme autant de fois « abrenuncio », comme aussi aux trois interrogations qu’il lui fit sur sa creance, selon les termes du mesme rituel, il respondit hardiment autant de fois « credo ». Alors l’evesque lui declara qu’il estoit introduit dans l’Eglise, et tant les parein et mareine que ledit evesque et tous les assistans [p. 328] reciterent avec le prince à haute vois le symbole des apostres et l’oraison dominicale. Puis l’evesque, obmettant l’infusion de l’eau (qui avoit, comme j’ay dit, esté faite à ce prince à sa naissance et qui ne se reitere jamais), la Reine lui descouvrant la teste, l’evesque lui en oignit le sommet avec le saint chresme. Ce fait, il lui mit sur la teste le chresmeau, recitant aussi les mots du rituel sur ce sujet, et lui presenta le cierge ardent qu’il prit lui mesme à deux mains, et le tint seul durant le reste de la ceremonie. A la fin de laquelle, l’evesque officiant monta à l’autel et donna la benediction solenelle que toute l’assistance receut à genoux, et la Musique du Roy chanta encore ensuite, puis chacun s’en retourna merveilleusement satisfait d’avoir assisté à cette auguste ceremonie, laquelle fut fermée par un remerciment que ce prince vint faire jusques dans la sacristie à l’evesque qui l’avoit baptisé, donnant par ces premices un prejugé et une esperance certaine de ce qu’il faut attendre de lui quand la vigueur de l’aage aura poussé au dehors les bonnes semences de la vertu que sa naissance lui a fournies et que les bons preceptes et exemples domestiques lui cultivent sans cesse. »

Récit des retrouvailles de Louis XIII et de son frère à Saint-Germain-en-Laye

« Le XXI du mesme mois, Monsieur arriva à Sainct Germain en Laye, entre une et deux heures apres midy, le Roy ayant desjà disné, ne croyant pas (encore que mondit seigneur en eut donné advis à Sa Majesté) qu’il deut arriver de ce jour là, à cause qu’il faisoit un vent tres fascheux. Le sieur de Sainct Simon, premier escuyer de Sa Majesté, l’alla recevoir à la premiere cour, et le Roy sortit de son cabinet pour l’accueillir en sa chambre, accompagné du comte de Soissons, des ducs de Longueville, de Monbazon et de Chaune, des mareschaux de Chastillon, d’Estrées et de Brezé, du garde des sceaux, du sieur de La Meilleraye, grand maistre de l’artillerie, des surintendans des Finances, secretaires d’Estat, capitaines des gardes du corps et autres seigneurs, gentilhommes et personnes de condition, que la curiosité de cette entreveue tant desirée avoit attirés de Paris en si grand nombre que l’escalier et la sale en estant pleins, Monsieur en penetra la presse avec beaucoup de peine en un quart d’heure.
Rencontrant le Roy, qui l’attendoit prez de la porte de sa chambre, il s’inclina fort bas en luy disant ce peu de mots : Monsieur, je ne scay si c’est la crainte ou la joye qui m’a interdit la parole, il m’en reste pourtant encore pour vous demander le pardon du passé. Sa Majesté, le relevant et l’embrassant, luy repartit : Mon frere, ne parlons pas du passé, mais seulement de nous resjouir de ce que Dieu nous a fait la grace de nous reunir ici, dont je sens une grande joye. Et cela dit, ils s’embrasserent encore [p. 698] deux fois avec de grandes tendresses et tesmoignages d’une affection fraternelle. Le sieur de Puylaurens, se jettant aux piés du Roy, pour luy demander aussi pardon du passé, Sa Majesté le releva et luy dit : Que les bons services qu’il luy avoit rendu nagueres en la personne de son frere luy faisoit oublier toutes les autres choses passées.
Apres ces complimens, le Roy mena Monsieur en son cabinet, où les susdits princes, seigneurs et officiers les suyvirent. Ainsi qu’ils s’entretenoient, le cardinal duc arrivant de Ruel y entra, et salua Monsieur, qui l’embrassa et luy tesmoigna beaucoup d’affection, dont Sa Majesté, recevant un singulier contentement, dit à Monsieur : Mon frere, je vous prie d’aymer monsieur le cardinal, et Monsieur respondit : Monsieur, je l’aimeray comme moy mesme et suis resolu d’en suyvre ses conseils. Les autres gentilshommes qui avoient accompagné mondit seigneur furent appellés au cabinet, et par luy presentés pour faire aussi leurs submissions à Sa Majesté, qui les receut tous favorablement.
Ces actions de reconciliation et de joye estoient si agreables à tous les assistans que desjà deux heures s’estoient passés sans ennuy lorsqu’aucuns, considerans que Monsieur n’avoit pas encore disné, luy dirent qu’il estoit bien temps de disner. A quoy il repartit : Il y a quatre ans que je disne tous les jours sans voir le Roy, je ne puis moins faire que de preferer aujourd’huy ce contentement à mon disner. Mais le Roy mesme luy ayant dit qu’il falloit disner, il s’alla mettre à table en la seconde chambre, où il fut servir par les officiers de Sa Majesté.
La Royne estant arrivée de Paris ce mesme jour à Sainct Germain, Monsieur la salua, et tous deux se rendirent de grands tesmoignages d’affection, de contentement et de joye.
Monsieur, estant rentré au cabinet du Roy pour s’entretenir avec Sa Majesté et la trouvant occupée à ouir des ambassadeurs extraordinaires des Suedois et d’Alemagne, passa le retse de l’apres disnée avec les seigneurs de la Cour, qui luy tesmoignerent tous une extreme resjouissance de son retour. Le soir, il soupa à la table de Sa Majesté et s’entretint apres souper avec Elle.
Le lendemain, mondit seigneur fut regalé à Ruel par le cardinal duc, avec autant d’alegresse que de magnificence, qui se termina par un parfait contentement et satisfaction reciproque, ce qui fit esperer aux assistans que cette reconciliation s’affermiroit tousjours de plus en plus, l’un estant lassé de suyvre des mauvais conseils, et l’autre ne pouvant se lasser d’en bonner de bons, pour le bien de l’Estat et pour la gloire de la France.
Mondit seigneur retourna dez le soir mesme à Sainct Germain, pour prendre congé du Roy et s’en aller à son duché d’Orleans. »

Dupleix, Scipion

Récit de l’installation du roi et de la reine d’Angleterre à Saint-Germain-en-Laye

« [p. 280] Le 21 au matin, jour de S. Thomas, le bastiment qui portoit la reine d’Angleterre arriva à Calais, après [p. 281] avoir couru risque de faire naufrage au port, puisqu’il s’en fallut peu qu'il ne touchait un banc qui en estoit à dix pas ; mais le maistre du paquetbot qui se trouva là fort à propos luy servit de guide, et empefcha par là ce malheur. Après que la reine fut debarquée, le capitaine du yacht dit qu'il sçavoit bien qu'il menoit cette princesse et le pince de Galles, et qu'il l'avoit toujours reconnu. Elle ne voulut point que M. le duc de Charost luy fist rendre aucuns [p. 282] honneurs à Calais. […] [p. 283] Comme la reine [p. 284] devoit faire quelque sejour à Bouligne jusqu’à ce qu’on eust receu des nouvelles de la Cour, elle demanda d’estre logée au convent des Ursulines mais, M. le duc d‘Aumont ayant fait preparer l’appartement de madame la duchesse sa femme, elle ne put le refuser. […] [p. 284] Cependant, le Roi ayant sceu que cette princesse estoit arrivé en [p. 288] France, ce monarque qui a toujours esté l’appuy des malheureux et l’azil des opprimez en ressentit une joye proportionnée au triste etat ou il scavoit qu’elle se trouvoit. […] [p. 321] La nouvelle de l’arrivée du roy d’Angleterre à Ambleteuse ayant esté receue à Versailles, M. le marquis de Beringhen l’apprit à Beaumont par un courrier que le [p. 322] Roy lui depescha. […] [p. 328] M. le Premier, après s’etre acquité de sa commission auprès de la reyne d’Angleterre, qu’il auroit conduite jusqu’à Saint Germain sans les nouveaux ordres qu’il receut, ne songea plus qu’à partir la nuit mesme pour aller au devant de Sa Majesté britannique. […]
[p. 329] Le 6, cette princesse partit de Beaumont pour se rendre à Saint Germain en Laye, dont le Roy avoit fait meubler le chasteau pour la loger. Il avoit d’abord fait preparer celuy de Vincennes, [p. 330] mais Sa Majesté croyant l’air de Saint Germain meilleur pour la santé du jeune prince, et ce chasteau plus commode pour voir la reyne plus souvent, avoit changé de dessein.
Le Roy partit le mesme jour de Versailles pour aller au devant de cette princesse. Il estoit accompagné de monseigneur le Dauphin, de Monsieur et des princes et principaux seigneurs de la Cour. Il s’avança jusques auprès de Chatou, et les gardes du corps, les gendarmes, [p. 331] les chevaux legers et les deux compagnies de mousquetaires s’etendoient dans la plaine depuis le pont du Pec jusqu’à ce village. Quoyque leurs habits ordinaires soient assez riches et que le tout ensemble produise un effet fort éclatant, chacun s’estoit efforcé ce jour là de se mettre proprement et l’on peut dire que tous les officiers estoient magnifiquement vestus. Le carosse de Sa Majesté et celuy où estoit la reyne d’Angleterre ayant paru, chacun descendit du [p. 332] sien, dans le mesme temps, et le Roy et cette reyne se saluerent. Le Roy luy presenta monseigneur le Dauphin et Monsieur, et la remit ensuite dans le mesme carosse, où estant aussitost monté il se plaça à sa gauche, et monseigneur le Dauphin et Monsieur se mirent sur le devant. Lorsqu’on fut arrivé à Saint Germain, le Roy conduisit la reyne dans l’apartement qui luy avoit esté preparé. Il demeura quelque temps en public avec elle, et luy presenta monsieur le [p. 333] Prince, monsieur le Duc et monsieur le prince de Conty. Le Roy, en prenant congé de cette princesse, luy dit « qu’il alloit voir le prince de Galles pour apprendre s’il n’estoit point fatigué du voyage ». La reyne voulut l’y accompagner et lui dit « qu’elle avoit esté ravie qu’il ne fust pas en age de connoistre ses malheurs, mais qu’à present elle estoit bien fachée qu’il ne fust pas en etat de reconnoistre l’obligation qu’il luy avoit ». Le Roy revint ensuite à Versailles et laissa cette princesse dans [p. 334] l’admiration de ses manieres toutes engageantes et qui, avec le brillant de la majesté, laissent paroistre un air tout affable qu’il seroit difficile d’exprimer. Ce monarque de son costé trouva beaucoup d’esprit et de grandeur d’ame dans cette princesse. Elle a l’air noble ; toute penetrée qu’elle est de sa douleur, elle n’en paroist point embarassée. Elle sent bien ce qu’elle est et quoy qu’elle soit fort honneste, elle scait placer ses honnestez selon les gens et est tout à fait maitresse d’elle mesme.
[…]
[p. 359] Le roy d’Angleterre […] monta à Clermont dans le carosse du Roy que M. le Premier avoit [p. 360] au voyage en allant au devant de la reine et qu’on y avoit fait venir de Beauvais toute la nuit. M. le Premier et M. le duc de Bervick entrerent dans ce carosse avec Sa Majesté, qui alla ainsi jusqu’à Saint Germain en Laye, avec des attelages du Roy qu’on avoit mis en relais. Tout Saint Denis estoit remply du peuple de Paris, qui marqua sa joye par ses acclamations lorsqu’il vit arriver Sa Majesté britannique, ce qui acheva de faire connoiste qu’il n’y a point de peuple au monde si fidelle [p. 361] et si zelé que celuy de France, ny qui se plaise davantage à entrer dans tous les sentimens de son Roy. Tout se trouva remply de peuple, de carosses pleins de personnes de qualité et de cavaliers depuis Paris jusqu’à Saint Denis, et ce prince n’entendit que des acclamations, et ne vit que de la joye sur tous les visages.
Sa Majesté receut ce monarque au milieu de la salle des gardes de Saint Germain. La joye qu’ils eurent de se voir parut dans leurs embrassades, qui furent reiterées [p. 362] plusieurs fois. Leurs complimens estant finis, le Roy mena Sa Majesté britannique dans la chambre de la reine son epouse, qui estoit au lit, et apres y avoir demeuré quelque temps et l’avoir aussi mené chez le prince de Galles, il s’en retourna à Versailles.
Le 8, le roy d’Angleterre vint l’apres dinée à Versailles rendre visite à Sa Majesté, ayant dans son carosse M. le duc de Bervick, M. le Premier et M. de Lausun. Le Roy le receut à la porte de [p. 363] la salle des gardes et le conduisit dans son petit salon, puis dans son cabinet, où ils demeurerent seuls pendant plus d’une heure et demie. Sa Majesté le conduisit ensuite par la grande galerie à l’appartement de madame la Dauphine, qui l’attendoit dans sa chambre avec un fort grand nombre de dames. Cette princesse estant avertie qu’il venoit par la galerie, s’approcha environ à trois pas de la porte. Le roy d’Angleterre entra, accompagné du [p. 364] Roy, de monseigneur le Dauphin et d’une très grande quantité de seigneurs de la Cour. Il baisa madame la Dauphine des deux costez et ensuite Madame qui s’y trouva. Il baisa après monseigneur le duc de Bourgogne, monseigneur le duc d’Anjou et monseigneur le duc de Berry qui accompagnoient tous trois madame la Dauphine. On ne fut point assis. Madame la Dauphine estoit du costé de la balustrade et, le Roy donnant toujours la droite au roy d’Angleterre, [p. 365] estoit avec Monseigneur du costé des fenestres. La conversation dura un quart d’heure. Ce monarque prit congé pour aller chez Monseigneur, qui un moment auparavant estoit sorty de chez madame la Dauphine, pour l’aller attendre dans son appartement. Le Roy accompagna ce monarque en sortant jusqu’au haut du grand degré. Monseigneur le receut à la porte de la salle de ses gardes, et le roy fit tomber la conversation sur la campagne de ce jeune prince, [p. 366] à qui il donna les louanges qui luy sont dues, mais il luy dit ensuite « qu’il s’estoit trop exposé et qu’à l’avenir il devoit se menager davantage ». Monseigneur lui repondit, avec beaucoup de presence d’esprit, « qu’estant duc d’York il ne s’estoit pas moins exposé lorsqu’il combattoit dans les troupes de France ». Le roy repliqua « qu’il n’estoit alors qu’un malheureux aventurier mais que comme il seroit presentement le plus ancien lieutenant general s’il avoit continué, il croyoit que le Roy le [p. 367] feroit marechal de France ». Monseigneur le reconduisit jusqu’au mesme lieu où il avoit esté le recevoir. Il alla ensuite chez Monsieur, qui estant veritablement indisposé, gardoit le lit ce jour là. Comme il estoit assez naturel de parler du prince d’Orange, ce qu’on en dit fit tourner la conversation sur la bataille de Cassel et Monsieur fut loué d’avoir battu un pince si fier et qui ne manquoit ny de hardisse ny de courage. Ce prince repondit là dessus [p. 368] « qu’il voudroit qu’une semblable occasion se presentast encore et qu’il exposeroit volontiers sa vie pour le service du roy d’Angleterre ». Ce monarque alla après cela rendre visite à Madame et s’en retourna à Saint Germain. M. le Premier l’y accompagne et luy dit le soir en prenant congé de luy que la Maison du Roy qu’il avoit menée au devant de la reine avoit ordre de demeurer auprès de Leurs Majestez pour les servir.
Le 9, monseigneur le Dauphin se rendit à Saint [p. 369] Germain et visita Leurs Majestez britanniques.
Le 10, Madame et mademoiselle y allerent aussi, et le 12 les princesses du sang.
Le 13, Monsieur les visita pareillement et sur les deux heures les princes du sang firent les mesmes visites. Le mesme jour, sur les quatre heures du soir, la reine d’Angleterre vint à Versailles. Le Roy, monseigneur le Dauphin et Monsieur la receurent au plus haut du grand escalier. Elle parut se defendre la droite [p. 370] de Sa Majesté. On luy avoit preparé un fauteuil qui estoit à droite de celuy du Roy et elle s’y mit. La conservation dura un quart d’heure et l’esprit de cette princesse se montra aussi brillant qu’il avoit dejà fait. Le Roy luy dit « qu’il estoit surpris de l’entendre si bien parler françois et de de qu’on ne luy remarquoit aucun accent etranger ». Elle repondit « qu’elle s’estoit toujours senti de l’inclination pour la France et que c’estoit de là que venoit la facilité qu’elle avoit eue à apprendre le françois ». [p. 371] Leur conservation étant finie, le Roy la conduisit chez madame la Dauphine, qui l’attendoit dans sa chambre avec un tres grand nombre de dames, qui estoient fort parées. Quand cette princesse fut avertie que la reine venoit par la galerie, elle s’avança jusque dans la porte. La reine la baisa d’un costé et madame la Dauphine, luy donnant la droite, la mena dans son grand cabinet. On y avoit preparé six fauteuils, scavoir pour la reine, madame [p. 372] la Dauphine, les trois jeunes princes et Madame. Celuy de la reine estoit au milieud e la chambre et les autres estoient tournez un peu du costé du fauteuil de cette princesse. Toutes les duchesses furent assises. Madame la duchesse de Powis, gouvernante du prince de Galles, et madame la comtesse de Montecuculi, une des dames d’honneur de la reine, comme estoient icy les dames du Palais, puisqu’elles sont plusieurs et qu’elles servent par semaine, eurent [p. 373] les tabourets. On s’etonnera que je donne icy le nom de duchesse à madame de Powis apres l’avoir apellée plusieurs fois marquise ; la raison de ce changement est que le roy d’Angleterre, depuis son arrivée à Saint Germain, a recompensé le zele de M. de Powis, son marquis, en le faisant duc. La conversation dura une demy heure. On se leva et madame la Dauphine conduisit la reine jusqu’à la porte de son cabinet. Cette princesse alla ensuite chez Monseigneur, qui la receut [p. 375] à la porte de la salle de ses gardes et la reconduisit jusqu’au mesme endroit. Elle alla après chez Monsieur et chez Madame, qui luy firent tous les honneurs dus à une reine. »

Récit de l’inauguration du Salon au château de Saint-Germain-en-Laye

« Ouverture de l’exposition des Beaux-Arts au château de Saint-Germain
Le Salon de Saint-Germain a été ouvert samedi à midi et demie. M. le maire de Saint-Germain, accompagné de MM. Choret et Lepintre, adjoints, de M. le juge de paix, de MM. Johnson, Daumont, de la Brière, Villain, Juteau, etc., conseillers municipaux, a été reçu par M. Joseph Reinach, président de l’Exposition, entouré des membres du comité de la Société des Fêtes.
M. Reinach a prononcé le discours suivant :
« Messieurs,
C’est en l’absence de notre illustre maitre et ami Messonier que me revient l’honneur d’ouvrier au château de Saint-Germain la première exposition des Beaux-Arts.
Peu de temps après la nomination de la première municipalité républicaine de notre ville, la Société des fêtes, vous le savez, se réorganisait à son tour ; elle décida l’organisation de ce Salon de peinture et de sculpture, elle a changé son titre de Société des fêtes pour celui de Société des fêtes et des arts, et nous cherchions une devise appropriée à notre programme lorsque, avant-hier, dans un éloquent discours, M. le ministre de l’Instruction publique et des Beaux-Arts a dit, en s’adressant aux artistes du Salon de Paris : « que plus notre démocratie s’élève et s’éclaire, que plus nos institutions républicaines s’élargissent, plus dans nos aspirations le culte du beau, sous toutes ses formes, doit prendre le premier rang ».
La voilà, Messieurs, notre future devise ! Elle est belle, elle est simple, elle n’a pas besoin d’aucun commentaire.
Déjà plus d’un sceptique nous a dit : « A distance si petite de Paris, pourquoi une seconde exposition des Beaux-Arts ? » C’est à peu près comme si l’on nous demandait « à quoi bon une bibliothèque dans la bibliothèque nationale est si proche ? » Jamais, Messieurs, il n’y aura assez de bons livres, assez de beaux tableaux, assez de belles statues ; et, n’en doutez pas, la belle peinture et la belle sculpture n’exercent pas une moindre influence que la bonne littérature : comme celle-ci, elles forment, elles élèvent l’esprit. Notre République doit être américaine par l’intelligence pratique, romaine par le courage, athénienne par le culte du beau !
Le niveau de l’exposition que nous ouvrons aujourd’hui est très élevé. Vous pourrez, Messieurs, l’apprécier tout à l’heure, mais dès maintenant laissez-moi exprimer le vœu que notre initiative de cette année ne reste pas un fait isolé et que désormais la ville de Saint-Germain ait tous les ans son exposition des Beaux-Arts. Le succès du Salon présent, je ne crains pas de l’affirmer, est assuré. Ce Salon vient à propos, au cours de cette belle et glorieuse année, où la République française donne au monde entier sa grande fête du Travail et du Progrès.
Avant de déclarer ouverte notre exposition des Beaux-Arts, je tiens, Messieurs, à adresser tous mes remerciements, d’abord à M. le ministre des Travaux publics, qui a bien voulu mettre à notre disposition toute une partie du château de Saint-Germain, ensuite à M. Bertrand, le savant conservateur du musée Gallo-Romain, et à M. Millet, l’architecte du château, dont le concours nous a été si précieux.
Je tiens aussi à vous remercier, vous, M. le Maire, et vous, Messieurs les membres du conseil municipal, qui nous avez encouragés dans notre entreprise. De mes collègues du bureau de la Société, il ne m’appartient pas de prononcer l’éloge. Quant aux exposants, le jour ne tardera pas à venir.
Monsieur le Maire, Messieurs, permettez-moi de vous conduire dans les salles de notre exposition. »
M. le Maire a répondu en félicitant la Société des fêtes et arts de l’initiative prise par elle et a complimenté son président, les principaux organisateurs de l’exposition, M. Fauvel, M. Johnson, M. Daumont.
Puis la visite du Salon a commencé. On a particulièrement remarqué les belles expositions de MM. Detaille, Henner, Bergeret, Landelle, Roll, Gilbert, Hannoteau, Defaux, Daumont, Lepec, Ray, Boulangé, Chaudin, Johnson, etc., etc., le médaillon de Félicien David, entouré d’une couronne de roses, la statue de M. Thiers et toute l’exposition rétrospective.
Nous en parlerons prochainement d’une manière circonstanciée.
A trois heures et demie, M. le préfet de Seine-et-Oise et M. Albert Joly se sont rendus au Salon et en ont vivement félicité les organisateurs.
En résumé, succès très grand et très mérité. Dans le discours prononcé par lui au chantier du nouvel hôpital, M. Joly a complimenté M. Reinach pour avoir transporté le Salon de Paris à Saint-Germain. Nous avons la conviction que le Salon de cette année ne sera pas isolé et que, devant ce succès, les ministères et l’administration municipale feront en sorte que la Société des fêtes et des arts puisse organiser une série régulière d’expositions annuelles.
(Communiqué) »

Récit de l’hommage rendu au roi pour le duché de Bar à Saint-Germain-en-Laye

« Narré de ce qui s’est passé à l’entrée et reception du duc Charles de Lorraine faite par moy comte de Brulon, introducteur des princes estrangers et ambassadeurs, l’an 1641
Aussitost que l’on sceut à la cour que le duc de Lorraine quittoit le party d’Espagne pour se ranger à son devoir et venir trouver le Roy, je fus commandé par Sa Majesté d’aller au devant de luy jusques à La Ferté sous Yerre, avec un maistre d’hostel, deux gentilshommes [p. 810] servans, controlleur general et autres officiers pour le traiter, et luy presenter les carrosses du Roy et de la Reyne pour le conduire. Luy ayant presenté lesdits officiers, et dit comme la France se resjouyssoit de le voir aux bonnes graces du Roy, dont il recevroit des temoignages si grands qu’à la confusion de ses ennemis l’on verroit que le seul moyen de vaincre le Roy estoit de se soumettre à sa bonté. Il me repartit qu’il n’avoit jamais eu repos en son esprit que apres avoir pris la resolution de reparer ses fautes par son sang en servant un prince si bon et si grand, que ses actions serviroient d’exemple à la posterité pour justement et genereusement regner. Ces paroles finies, l’on monta en carrosses pour venir coucher à Meaux, où le presidial et la Maison de ville le vint saluer. Le lendemain, l’on vint disner à Chelles. Puis en arrivant au Bois de Vincennes, le comte de Harcourt le vint trouver avec plusieurs carrosses à six chevaux ; fut conduit à l’hostel d’Espernon, meublé aux depens du Roy. Le lendemain, contre la coustume, qui est que la premiere visite se fait au Roy, fut au logis du cardinal de Richelieu, où la forme de la reception avec le Roy fut conclue. Le lendemain, le duc de Chevreuse et moy le menames trouver le Roy, les gardes suisses en leurs ordres, les suisses du corps du long du degré. Nous le conduisimes en la chambre du Roy, lequel estant dedans sa chaire dans la ruelle de son lict, voyant le duc Charles approcher du balustre, se leva pour l’aller embrasser. Son Altesse au contraire se jetta à genoux devant luy, luy demandant pardon de ses fautes passées. Le Roy, en le relevant, l’embrassa et le voulant approcher de son lict, il se jetta derechef à genoux, luy redemandant encore pardon. Le Roy l’embrassant pour la seconde fois, le retirant vers son lict, et le voulant faire couvrir, iol se jetta pour la troisieme fois à genoux, disant que c’estoit la posture qui luy estoit la mieux seante. Neantmoins, le Roy luy mit son chapeau sur la teste, le prenant par la main, le menant dans son cabinet, où, apres une heure ou deux d’entretien, il me commanda de le mener à la chambre de la Reyne, et de là le mener voir sa famille, c’est-à-dire messeigneurs ses enfans.
Revenant à Paris, il fut en ceremonie visiter ledit cardinal, où il luy ceda la main et la porte. Quelques jours se passerent ensuite à faire le traité, par l’evenement duquel on verra qu’au Roy seul appartient, Parcere subjectis et debellare superbos. Le mardy des feries de Pasques, le Roy prit jout de luy donner à disner, et prester le serment d’entretenir le traité du vingt neufieme mars fait entre le susdit cardinal et Son Altesse, et ratifié par le Roy. Le matin du mesme jour, le Roy s’assist en son lieu et chaire ordinaire, Son Altesse trois places plus bas sur un escabeau pliant, du mesme costé, servy par le controlleur general Parfait. Apres les tables levées, et la visite de la Reyne, je le menay dans la chapelle. Vespres estant dites, l’evesque de Meaux, estant revestu de ses habits pontificaux, apporta le livre des Evangiles au Roy, qui se mettant à genoux dessus son banc, il jura l’observation du traité. Le duc de Lorraine, à genoux à costé sur le tapis du Roy, fit le mesme serment en presence dudit cardinal, [p. 811] du chancelier et de plusieurs princes et seigneurs de la cour. Huit jours apres, les difficultez pour l’hommage de la duché de Bar estans levées, le Roy me commanda de mener ledit sieur de Lorraine dans son cabinet, où il l’attendit sans se mouvoir ny oster son chapeau, ayant le chancelier à costé de luy. Ledit duc de Lorraine, estant en bas dessous, se mit à genoux sur un carreau qui luy estoit preparé, ses mains nues entre celles du Roy, fit hommage lige pour la duché de Bar, avec ses dependances, selon les formes ordinaires pratiquées en semblable occasion. Peu de jours apres, il fit ses adieux au Roy et à la Reyne, et tout le monde, et se retira en son pays, comblé d’honneurs et de biensfaits de Sa Majesté. »

Récit de l’hommage rendu au roi pour le duché de Bar à Saint-Germain-en-Laye

« Relation de ce qui s’est passé en l’hommage rendu au roy Louys XIII par le duc Charles de Lorraine pour le duché de Bar à Saint Germain en Laye au mois d’avril 1641
Le mardi deuxieme avril 1641, le Roy donna ordre au sieur de Chavigny, secretaire d’estat, de proposer au duc Charles de Lorraine de rendre la foy et hommage qu’il estoit tenu de faire à Sa Majesté à cause de son duché de Bar mouvant de sa couronne, suivant le troisieme article qu’il venoit de faire avec Sadite Majesté le 29 mars precedant. Sur quoy ledit duc Cahrles dit audit de Chavigny qu’il estoit prest de rendre la foy et hommage pourveu que l’on adjoustast en la forme de l’acte que l’on luy avoit fait voir qu’il rendoit cette foy et hommage comme avoient fait les ducs de Lorraine ses predecesseurs, ce que Sa Majesté trouva bon. Neantmoins, estans en son cabinet et attendant que ledit duc fust venu pour rendre cette foy et hommage, ainsi qu’il estoit demeuré d’accord, il pria ledit de Chavigny de faire scavoir à monsieur le chancelier qu’il desiroit luy proposer quelques difficultez sur la prestation de ladite foy et hommage, ce qui donna sujet audit chancelier de venir trouver ce duc, qui estoit proche la porte du cabinet du Roy, où estant il luy dit qu’il ne scavoit ce que l’on desiroit de luy, qu’il n’avoit aucune connoissance de la forme de la foy et hommage que ses predecesseurs avoient rendue pour le duché de Bar et qu’il doutoit mesme s’il estoit obligé de la rendre en la forme que l’on proposoit, qu’il avoit ouy dire autresfois à ses officiers que les trois derniers ducs ses predecesseurs n’avoient fait aucune foy et hommage, qu’il avoit en son duché de Bar tous les droicts regaliens et que mesme il pouvoit faire des loix, suivant lesquelles le parlement de Paris estoit obligé de juger en cas d’appel de ses juges, qu’il n’avoit aucune personne de conseil aupres de luy pour prendre resolution de ce qu’il devoit faire sur ces difficultez, neantmoins qu’il estoit prest de rendre obeyssance aux commandemens du Roy et de faire tout ce qu’il luy ordonneroit. Sur quoy le chancelier luy representa que lrosqu’il avoit fait le traité, il avoit proposé les mesmes difficultez et que l’on luy avoit fait voir que les ducs de Lorraine estoient hommes liges du Roy à cause du duché de Bar, mouvant de la couronne de France, que jamais la mouvance n’avoit esté revoquée en doute par les ducs ses predecesseurs, qui en avoient rendu la foy et hommage lige aux roys de France, que si les roys Charles IX et le roy Henry III avoient donné aux ducs ses predecesseurs les droits regaliens, cela ne les exemptoit pas de la foy et hommage, d’autant que [p. 674] par les lettres patentes verifiées à la requeste mesmes des ducs ses predecesseurs, les roys de France se reservent le ressort et la souveraineté et l’hommage lige, et est porté par lesdites lettres que le duc de Lorraine qui estoit lors en avoit fait la foy et hommage ; qu’il estoit vray que les appellations de ses juges ressortissoient aux cas du presidial au bailliage de Sens et autres cas en la cour de parlement, qui juge suivant les coustumes du Barrois qui ont esté verifiées en ladite cour de parlement, que les ducs de Lorraine, comme ducs de Bar, ne pouvoient changer les coustumes ny donner de nouvelles loix à leurs sujets sans verification du parlement, qui estoient des marques asseurées de souveraineté et que, partant, il ne devoit faire aucune difficulté de rendre la foy et hommage lige, ainsi qu’il estoit porté par l’acte qui luy avoit esté presenté ; que les roys d’Angleterre, les ducs de Bretagne, les ducs de Bourgongne, l’archiduc d’Austriche l’avoient rendue autresfois aux roys de France pour les terres qu’ils possedoient mouvantes de la couronne en la mesme forme que l’on desiroit de luy, neantmoins que s’il faisoit quelque difficulté, il representeroit au Roy ce qu’il luy avoit dit pour recevoir sa volonté. Ensuite de quoy ledit chancelier estant venu trouver le Roy et luy ayant fait entendre les difficultez proposées cy dessus par ce duc, Sa Majesté luy commanda de luy faire scavoir qu’Elle ne vouloit point le presser, qu’Elle desiroit qu’il prist du temps pour s’instruire de ses droicts et que l’on luy feroit voir par bons titres l’obligation qu’il avoit de rendre cette foy et hommage lige. Ce qu’ayant esté rapporté par le chancelier audit duc, il dit que la difficulté qu’il avoit proposée n’estoit pas qu’il eut dessein de differer de rendre la foy et hommage, au contraire qu’il estoit prest ainsi qu’il avoit dit de rendre l’obeyssance aux commandemens du Roy et de se jetter à ses pieds, qu’il prioit Sa Majesté de luy accorder cette grace qu’il le fist. Et, de fait, s’estant approché de Sa Majesté, il luy auroit dit que la difficulté qu’il avoit faite n’estoit pas pour differer de rendre la foy et hommage et l’auroit prié par trois et quatre fois, avec grande instance, de luy permettre de la rendre et qu’il vouloit obeyr à ses commandemens. Sur quoy Sa Majesté luy auroit fait reponse qu’Elle avoit resolu de luy donner du temps pour connoistre ses droicts et que dans huit jours il pourroit, estant bien informé, faire la foy et hommage, et que l’on luy feroit voir les actes qui justifient les droicts de sa couronne. Huit jours apres, les difficultez pour l’hommage de ladite duché de Bar estans levées, le Roy commanda au comte de Brullon, un des introducteurs des princes estrangers et ambassadeurs, de mener ledit sieur de Lorraine, lequel l’attendit dans son cabinet, sans se mouvoir ny oster son chapeau, ayant le chancelier à costé de luy. Ce duc estant en bas dessous, se mit à genoux sur un carreau qui luy estoit preparé, et ses mains nues entre celles du Roy, fit hommage lige pour la duché de Bar, avec ses dependances, selon les formes ordinaires pratiquées en semblables occasions. Peu de jours apres, il fit ses adieux, et se retira comblé d’honneurs et de bienfaits de Sa Majesté. »

Récit de l’audience donnée par le roi aux députés de Bordeaux à Saint-Germain-en-Laye

« Responce du Roy à messieurs les depputez de Bourdeaux, messieurs le second president Chessac et conseiller Jessac et autres, faicte à Sainct Germain en Laye le 3e de novembre 1599 sur la verification de l’edict de Nantes
Le Roy se jouant et s’esgayant avec ses petits enfans en la grande salle du chastel de Sainct Germain en Laye, et voyant de l’aultre costé de la dicte salle messieurs les depputez, laissant ses enfans, les va accoster disant :
Ne trouvés poinct estrange de me veoir icy folastrer avec ces petits enfans. Je scay faire les enfans et defaire les hommes. Je viens de faire le fil avec mes enfans, je m’en vay maintenant faire le sage avec vous et vous donner audience.
Et estant entré en une chambre avec messieurs le chancelier et le mareschal d’Ornano, lieutenant pour le Roy en Guyenne, et messieurs les depputez seulement, et ayant ouy le dict sieur president Chessac qui portoit la parole et qui harangua cinq quarts d’heure, le Roy respondant, dit :
Monsieur de Chessac, non seulement vous ne m’avés poinct ennuyé par trop grande longueur, ains plustost je vous ay trouvé court, tant j’ay pris plaisir à vostre bien dire. Car il faut que je confesse en vostre presence que je n’ay jamais ouy mieux dire. Mais je voudrois que le corps respondit au vestement. Car je vois bien que vos maximes et propositions sont les mesmes et semblables qu’estoient celles que faisoient jadis le feu cardinal de Lorraine au feu Roy en la ville de Lyon, retournant de Poulogne, tendant à ce remuement d’Estat. Nous avons obtenu la paix tant desirée, Dieu mercy, laquelle nous couste trop pour la commettre en troubles. Je la veux continuer, et chastier exemplairement ceux qui voudroient apporter l’alteration. Je suis vostre Roy legitime, vostre chef ; mon royaume en est le corps, vous avés cest honneur d’en estre membres, d’obeir, et d’y apporter la chair, le sang, les os et tout ce qui en despend. Vous dictes que vostre parlement seul en ce royaume est demeuré en l’obeissance de son Roy et partant que ne devés avoir pire condition que le parlement de Paris et Rouen, qui, devant les desbordemens et orages de la Ligue, se sont devoyez. Certes, ce vous a esté beaucoup d’heur, mais, après Dieu, il faut rendre louange non seulement à vous autres, qui n’avés eu faute de mauvaise volonté pour remuer comme les autres, mais à feu monsieur le mareschal de Matignon, qui vous tenoit la bride courte, qui vous en a empesché. Il y a longtemps qu’estant seulement roy de Navarre, je cognoissois des lors bien avant vostre maladie, mais je n’avois les remedes en main. Maintenant que je suis roy de France, je les connois encore mieux, et ay les matieres en main pour y remedier et en faire repentir ceux qui voudront s’opposer à mes commandemens. J’ay fait un edict, je veux qu’il soit gardé, et quoy que ce soit, je veux estre obey. Bien vous en prendra si le faites. Mon chancelier vous dira plus en plein ce que est ma volonté. »

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