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Jacques II Jacobites
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Récit par le nonce Gualterio de la mort de Jacques II à Saint-Germain-en-Laye

« Su l’avviso che giunse la notte de 12 del corrente dello stato pericolossimo in cui si trovava il Re britannico stimo il nunzio a proposito di traferirsi la matina seguente alla corte de San Germano. Vi trovo S. M.tà con febre, che gli ripligliava per fino a tre volte il giorno con una prostratione totale di forze, e con una sonnolenza gravissima, la quale lo faceva continuamente dormire senza pero impedirgli di riscuotersi ogni volta che volevano dirgli qualche cosa e di rispondere adattatamente con uso di ragione che ha conservato sempre intierissimo per fino all’ultimo. I medici lo facevano fino d’allora disperato, onde il nunzio predetto credette che per edificazione delle due corti e per dimostratione di riconoscenza ad un prencipe ch’era stato coisi fedele alla Chiesa gli corresse debito di assistergli per fino all’ ultimo respiro, si come ha fatto in effetti non abbandonandolo né giorno né notte dal martedi matina perfino al venerdi sera in cui rese l’anima a Dio. Continuo è stato altresi il concorso d’' prencipi della case reale e de gran signori che sono andati a sapere di mano in mano lo stato della sua salute, mà tra gli altri si è distinto con particolari marche d’affetto il sig. prencipe di Conti che per essere cugino germano della Regina ha voluto usare con essa particolari finezze restendo tutti que’ giorni dalla matina per fino alla sera in San Germano. Il Re ha mandato ogni giorno più signori della prima sfera ad informasi dello stato delle cose, et il mercordi dopo desinare vi venne egli stesso in persona. Il nunzio si ritrovava nella stanza della Regina quando fù portato l’avviso della sua venuta. S. M.tà gli disse che non haverebbe voluto che il Re Christianissimo passasse per la stanza dell’infermo, dubitando che si come s’erano sempre teneramente amati cosi potesse seguire una vicendevole commotione in vedersi, e lo incarico di procurare d’indure S. M.tà a passare per un picciolo balcone al di fuori. Il nunzio prego il sig. duca di Lauson [Lauzun] ad insinuarlo a S. M.tà, il quale non fece difficoltà di prendere quella strada mà trovato poi esso nunzio sul medesimo balcone gl’espresse un sommo desiderio di vedere onninamente il Re Britannico, in maniera che si concerto che cio sarebbe seguito appresso la visita della Regina. Entrata S. M.tà nella di lei stanza, fece instanza che si chiamasse il prencipe di Galles. Venuto questi rimasero tutti tre soli, mà si è poi saputo per bocca del Re medesimo che il picciolo prencipe si come era stato un tempo considerabile senza vedere la madre cosi subito che fù entrato nella camera senza riguardo del Re presente gli si getto al collo e ivi con molte lagrime s’abbracciarono cosi teneramente che il Re dice d’havere havuto della pena a distaccarli l’uno dell’alltra. La Regina a cui tratanto il. Re haveva communicato la propria intentione notifico al prencipe la risoluzione presa da S. M.tà di riconoscerlo e trattarlo da Re ogni volte che venisse a mancare il Re suo padre. Il fanciullo che non havea notizia alcuna dell’avvenimento e che non poteva havere ne tampoco sepranza nientedimeno riceve tal avviso come se vi fosse stato preparato, e gettandosi a i piedi del Re gli desse queste precise parole: Io non mi scodero mai che sete voi che mi fate Re, e qualsivolglia cosa che mi succeda impiergaro questa dignità a farvi conoscere la mia riconoscenza. Il Re gli disse che lo faceva volontieri mà sotto conditione che conservasse sempre immutabile le religione cattolica, in cui era stato educato, mentre se fosse stato mai possibile ch’egli l’abandonnasse o volesse anche solamente nasconderla non solo perderebbe affatto la sua amicitia mà sarebbe risguardato con horrore di tutti gl’huomini da bene che sono nel mondo e come l’ultimo e il più vile degl’huomini. A che il prencipe rispose con le proteste della maggiore costanza. Più altre cose furono dette vicendevolmente sopra lo stesso argomento; dopo di che il prencipe si ritirà et essendo uscito dalla camera dirottamente piangendo dette motivo a milord Perth suo governatore di dimandargli che cosa gl’havesse detto il Re di Francia: mà gli rispose che ne haveva promesso il segreto a S. M.tà e che non poteva violarlo. In effetti non vole dirle cosa alcuna. Bensi tornato al suo appartamente si rinchiuse nel gabinetto e si pose a scrivere e domandatogli dal governatore medesimo cio che notasse disse senz’ altro ch’era il discorso tenutogli dal Re Christianissimo, il quale voleva poter rileggere tutti i giorni della sua vita.
S. M.tà fini tratanto la visita della Regina et accostandosi al letto del Re infermo gli fece i più cordiali complimenti. L’altro assopito nella sua sonnolenza habbe sul principio qualche difficoltà a riconoscerlo e l’andava ricercando quasi sospeso con gl’occhi, mà rivoltosi finalmente alla parte ove il Re era, tosto che l’hebbe veduto pose la bocca al riso e dimostro un estremo piacere. La ringratio poi di tutte le finezze le quali qu’usava e singolarmente d’havergli mandato il giorno antecedente il suo primo medico. Dopo varie espressioni d’affetto il Re Christianissimo disse che haverebbe voluto parlare di qualche negozio a S. M.tà Britannica. Ciascheduno volea ritirasi per rispetto mà il Re comando che tutti si fermassero et alzando la voce disse che volea assicurarlo che quando Dio havesse fatto altro di lui, haverebbe presa cura particolare del principe di Galles, e non minore di quella che potesse haverne esso stesso se fosse vivo; che dopo la sua morte lo riconoscerebbe per Re e lo trattarebbe nella medesima forma con cui haveva trattato lui medesimo. Cio che gli rispondesse il Re Britannico non pote udirsi perchè l’Inglesi, de’ quali era piena la camera e che non solamente non s’attendevano ad una tale dichiaratione mà per il contrario haveano probabilità tali da credere tutto l’opposto dettero tutti un’alto grido di Viva il Re di Franci, e gettandosi a i piedi di S.M.tà gli testimoniaronon la loro gratitudine d’une maniera che quanto era più viva et in un certo modo lontana dal rispetto ordinario tanto maggiormente mostrava i sentimenti de loro cuori. Il nunzio dopo haver dato luogo a tal transporto di gioia in quelle genti s’accosto ancor’egli a S. M.tà e gli disse che lo ringratiava a nom di tutta la Chiesa dell’atto eroïco il qual veniva di fare, pregando Dio a volerglielo ricompenzare con altretante fecilità. S. M.tà rispose allora con somma benignità e poi esso nunzio essendo andato servendolo per fino alla carrozza lo richiamo per strada e gli soggiunse ch’egli ben sapeva di quale importanza poteva essere tale risoluzione e conosceva le difficoltà che potevano esservi state mà che il rispetto della religione havea sorpoassato ogni cosa e ve lo haveva unicamente determinato. Si sa poi S. M.tà haver detto in appresso che ben conosceva tutti gli pregiuditii che poteva recargli una cosi fatta determinazione, la quale haverebbe dato pretesto al prencipe d’Oranges d fare de’ strepiti in Inghilterra di suscitargli contro il Parlemento e forse di caggionargli la guerra mà che havea voluto che gl’interessi della religione passassero innazi a tutte le altre cose, lasciando a Dio la cura del resto. In effetti si penetra che la maggior parte del Consiglio fosse di contraria opinione e che l’operato si debbia al solo arbitrio del Re. E’vero che i prencipi della casa reale erano stati di tal desiderio et hanno dimostrato una somma sodisfazione del successo; il duca di Borgogna particolarmente, che se n’espresse ne’ termini più forti che possino imaginarsi.
Ritornando al Re defonto è certo che questa è stata la maggiore consolazione che potesse havere morendo, mentre altro affare temporale non gl’occupava la mente. Ne ha dati altresi gli contrassegni maggiori mentre ordino subito che il prencipe si traferisse a Marli per ringraziarne S. M.tà se bene la Regina non giudico poi d’inviarvelo havendosi mandato in sua vece milord Midleton suo primo ministro. La matina seguente si fece chiamare di bel nuovo esso prencipe e parlandogli del medesimo affare gli ricordo la fedeltà a Dio, l’ubidienza alla madre e la riconoscenza al Re Christianissimo. Né poi ha parlato con alcun prencipe o signore della corte di Francia che non gl’habbia tenuto ragionmento sopra di cio et espressegli le grandi obligazioni che sentiva sù tale soggetto. Queste sono state le sole parole ch’egli habbia impiegate negl’affari del mondo. Tutto il rimanente non ha risguardolo che il Cielo, eccitando di tempo in tempo i preti e i religiosi che l’assistevano a dire delle orazioni, scegliendo esso stesso quelle che maggiormente desiderava e sopra tutto mostrando un sommo desiderio et una somma divozione della messa, recitandosi la quale egli che nel rimanente del tempo soleva essere addormentato si è sempre tenuto con gl’occhi aperti e facendo con la testa tutti que’ segni di venerazione che la sua positione e la sua debolezza potevano permettergli all’elevazione. Fino agl’ultimi respiri è stato udito recitare delle preghiere et allorché gli manco la voce fù veduto movere a tal ogetto le labra. Oltre di cio ha dimostrata una tranquilità d’animo infinita et una rassegnatione eroica al divino volere: consolandro egli stesso la Regina del dolore che dimostrava per la sua perdita. Ha finalmente dell’infermità et havendo sempre riposto che stava bene. Ha habuto una esatta ubidienza alle ordinationi de’ medici et ha preso senza replica tutto quello che hanno voluto dargli benche vi havesse per altro ripugnanza. Finalmente ha havuto sempre il giuditio sanissimo e la mente etiandio più pronta e più libera di quella che l’havesse per molti mesi antecedenti. Gli è durato de lunedi fino al venerdi sempre in una specie d’agonia patendo varii accidenti che di tanto in tanto facevano crederlo vicino a morire e risorgendo un momento appresso. Gl’ultimi singulti della morte furono brevi e non durarono lo spatio d’un hora e mezza ancor’essi assai miti e cher per quanto pote osservarsi non gl’erano un gran tormento. Spiro venerdi alle tre e mezza della sera pianto con caldissime lagrime da suoi tanto cattolici che protestanti, i quali l’hanno tutti per tanti giorni servito con un’amore et attenzione indicibile. La Regina non ha fatto un tutto questo tempo che piangere mà senza pero abandonare la cura degl’affari correnti. Morto il Re le più grandi angoscie mà persuasa alla fine di lasciarsi mettere in carrozza si è trasferta ad un convento delle monache della Visitatione posto in un villaggio vicino a Parigi per nome Challiot ove si tratterrà fino lunedi sera. Il Re s’era offerto di accompagnarvela in persona mà non ha voluto permetterglielo. Si ritroverà bene a S. Germano nel ritorno che S. M.tà vi farà per riporla nel suo appartamento, et allora si crede che visitarà la prima volta il successore in qualità di Re.
Il nunzio credette di non dover frapporre indulgio alcuno a far questa parte per dare un’esempio autentico agl’ altri ministri e per dimostrare tant maggiormente al nuovo Re la benevolenza della Sede Apolostica, onde passo subito a complimentarlo nel sup appartamento, dicendogli che nel gravissimo dolore che la Chiesa sentiva per la perdita d’un membro cosi principale qual era il Re defunto non poteva invenire maggiore consolazione di quella che gli proveniva dal riconoscerne S. M.tà per successore, non dubitendo che dovesse essere herede ugualmente delle virtù che delle corone del Padre e particolarmnte in cio che risguarda la costanza nella religionez per cui quel principe era stato cotanto glorioso. Rispose che S. S.tà poteva essere certa di haverlo sempre altretanto ubidiente quanto sia stato suo padre. Le disposizioni venture di quella corte non sono per ancora mote mà si avviseranno in appresso. In quanto alle ossequie S. M.tà Christianissima voleva fargliela fare reali a sue spese mà il Re defonto raccommando d’essere sepolto senze pompa e la Regina ha poi talmente insisito sopra la medesima istanza che si à rimasto di far transportare il cadavere senza pompa alle benedittine inglesi per tenervelo in deposito per fino a tanto che piaccia a Dio di disporre le cose in maniera da poterlo riportare nel sepolcro de suoi maggiori in Inghilterra. Ha bensi S. M.tà fatto fare un cuore d’argento dorato coronato alla reale per rinchiudervi quello del del defonto già trasferito segretamente a Challiot per essere risposto vicino a quello della Regina sua madre che si conserva nel medesimo luogo. Pensa inoltre a tutto cio che possa essere di sollievo, di conforto e di commodità alla Regina e procura d’usargli tutte le finezze possibili per consolarla. Il che si rende più necessario quanto l’afflittione dell’animo reca alla medesima pregiudizio anche nel corpo, trovandosi hoggi travagliata da mali di stomaco e da una straordinaria debolezza benche speri che le cose non siano per passare più oltre. »

Gualterio, Filippo Antonio

Récit de l’installation du roi et de la reine d’Angleterre à Saint-Germain-en-Laye

« [p. 280] Le 21 au matin, jour de S. Thomas, le bastiment qui portoit la reine d’Angleterre arriva à Calais, après [p. 281] avoir couru risque de faire naufrage au port, puisqu’il s’en fallut peu qu'il ne touchait un banc qui en estoit à dix pas ; mais le maistre du paquetbot qui se trouva là fort à propos luy servit de guide, et empefcha par là ce malheur. Après que la reine fut debarquée, le capitaine du yacht dit qu'il sçavoit bien qu'il menoit cette princesse et le pince de Galles, et qu'il l'avoit toujours reconnu. Elle ne voulut point que M. le duc de Charost luy fist rendre aucuns [p. 282] honneurs à Calais. […] [p. 283] Comme la reine [p. 284] devoit faire quelque sejour à Bouligne jusqu’à ce qu’on eust receu des nouvelles de la Cour, elle demanda d’estre logée au convent des Ursulines mais, M. le duc d‘Aumont ayant fait preparer l’appartement de madame la duchesse sa femme, elle ne put le refuser. […] [p. 284] Cependant, le Roi ayant sceu que cette princesse estoit arrivé en [p. 288] France, ce monarque qui a toujours esté l’appuy des malheureux et l’azil des opprimez en ressentit une joye proportionnée au triste etat ou il scavoit qu’elle se trouvoit. […] [p. 321] La nouvelle de l’arrivée du roy d’Angleterre à Ambleteuse ayant esté receue à Versailles, M. le marquis de Beringhen l’apprit à Beaumont par un courrier que le [p. 322] Roy lui depescha. […] [p. 328] M. le Premier, après s’etre acquité de sa commission auprès de la reyne d’Angleterre, qu’il auroit conduite jusqu’à Saint Germain sans les nouveaux ordres qu’il receut, ne songea plus qu’à partir la nuit mesme pour aller au devant de Sa Majesté britannique. […]
[p. 329] Le 6, cette princesse partit de Beaumont pour se rendre à Saint Germain en Laye, dont le Roy avoit fait meubler le chasteau pour la loger. Il avoit d’abord fait preparer celuy de Vincennes, [p. 330] mais Sa Majesté croyant l’air de Saint Germain meilleur pour la santé du jeune prince, et ce chasteau plus commode pour voir la reyne plus souvent, avoit changé de dessein.
Le Roy partit le mesme jour de Versailles pour aller au devant de cette princesse. Il estoit accompagné de monseigneur le Dauphin, de Monsieur et des princes et principaux seigneurs de la Cour. Il s’avança jusques auprès de Chatou, et les gardes du corps, les gendarmes, [p. 331] les chevaux legers et les deux compagnies de mousquetaires s’etendoient dans la plaine depuis le pont du Pec jusqu’à ce village. Quoyque leurs habits ordinaires soient assez riches et que le tout ensemble produise un effet fort éclatant, chacun s’estoit efforcé ce jour là de se mettre proprement et l’on peut dire que tous les officiers estoient magnifiquement vestus. Le carosse de Sa Majesté et celuy où estoit la reyne d’Angleterre ayant paru, chacun descendit du [p. 332] sien, dans le mesme temps, et le Roy et cette reyne se saluerent. Le Roy luy presenta monseigneur le Dauphin et Monsieur, et la remit ensuite dans le mesme carosse, où estant aussitost monté il se plaça à sa gauche, et monseigneur le Dauphin et Monsieur se mirent sur le devant. Lorsqu’on fut arrivé à Saint Germain, le Roy conduisit la reyne dans l’apartement qui luy avoit esté preparé. Il demeura quelque temps en public avec elle, et luy presenta monsieur le [p. 333] Prince, monsieur le Duc et monsieur le prince de Conty. Le Roy, en prenant congé de cette princesse, luy dit « qu’il alloit voir le prince de Galles pour apprendre s’il n’estoit point fatigué du voyage ». La reyne voulut l’y accompagner et lui dit « qu’elle avoit esté ravie qu’il ne fust pas en age de connoistre ses malheurs, mais qu’à present elle estoit bien fachée qu’il ne fust pas en etat de reconnoistre l’obligation qu’il luy avoit ». Le Roy revint ensuite à Versailles et laissa cette princesse dans [p. 334] l’admiration de ses manieres toutes engageantes et qui, avec le brillant de la majesté, laissent paroistre un air tout affable qu’il seroit difficile d’exprimer. Ce monarque de son costé trouva beaucoup d’esprit et de grandeur d’ame dans cette princesse. Elle a l’air noble ; toute penetrée qu’elle est de sa douleur, elle n’en paroist point embarassée. Elle sent bien ce qu’elle est et quoy qu’elle soit fort honneste, elle scait placer ses honnestez selon les gens et est tout à fait maitresse d’elle mesme.
[…]
[p. 359] Le roy d’Angleterre […] monta à Clermont dans le carosse du Roy que M. le Premier avoit [p. 360] au voyage en allant au devant de la reine et qu’on y avoit fait venir de Beauvais toute la nuit. M. le Premier et M. le duc de Bervick entrerent dans ce carosse avec Sa Majesté, qui alla ainsi jusqu’à Saint Germain en Laye, avec des attelages du Roy qu’on avoit mis en relais. Tout Saint Denis estoit remply du peuple de Paris, qui marqua sa joye par ses acclamations lorsqu’il vit arriver Sa Majesté britannique, ce qui acheva de faire connoiste qu’il n’y a point de peuple au monde si fidelle [p. 361] et si zelé que celuy de France, ny qui se plaise davantage à entrer dans tous les sentimens de son Roy. Tout se trouva remply de peuple, de carosses pleins de personnes de qualité et de cavaliers depuis Paris jusqu’à Saint Denis, et ce prince n’entendit que des acclamations, et ne vit que de la joye sur tous les visages.
Sa Majesté receut ce monarque au milieu de la salle des gardes de Saint Germain. La joye qu’ils eurent de se voir parut dans leurs embrassades, qui furent reiterées [p. 362] plusieurs fois. Leurs complimens estant finis, le Roy mena Sa Majesté britannique dans la chambre de la reine son epouse, qui estoit au lit, et apres y avoir demeuré quelque temps et l’avoir aussi mené chez le prince de Galles, il s’en retourna à Versailles.
Le 8, le roy d’Angleterre vint l’apres dinée à Versailles rendre visite à Sa Majesté, ayant dans son carosse M. le duc de Bervick, M. le Premier et M. de Lausun. Le Roy le receut à la porte de [p. 363] la salle des gardes et le conduisit dans son petit salon, puis dans son cabinet, où ils demeurerent seuls pendant plus d’une heure et demie. Sa Majesté le conduisit ensuite par la grande galerie à l’appartement de madame la Dauphine, qui l’attendoit dans sa chambre avec un fort grand nombre de dames. Cette princesse estant avertie qu’il venoit par la galerie, s’approcha environ à trois pas de la porte. Le roy d’Angleterre entra, accompagné du [p. 364] Roy, de monseigneur le Dauphin et d’une très grande quantité de seigneurs de la Cour. Il baisa madame la Dauphine des deux costez et ensuite Madame qui s’y trouva. Il baisa après monseigneur le duc de Bourgogne, monseigneur le duc d’Anjou et monseigneur le duc de Berry qui accompagnoient tous trois madame la Dauphine. On ne fut point assis. Madame la Dauphine estoit du costé de la balustrade et, le Roy donnant toujours la droite au roy d’Angleterre, [p. 365] estoit avec Monseigneur du costé des fenestres. La conversation dura un quart d’heure. Ce monarque prit congé pour aller chez Monseigneur, qui un moment auparavant estoit sorty de chez madame la Dauphine, pour l’aller attendre dans son appartement. Le Roy accompagna ce monarque en sortant jusqu’au haut du grand degré. Monseigneur le receut à la porte de la salle de ses gardes, et le roy fit tomber la conversation sur la campagne de ce jeune prince, [p. 366] à qui il donna les louanges qui luy sont dues, mais il luy dit ensuite « qu’il s’estoit trop exposé et qu’à l’avenir il devoit se menager davantage ». Monseigneur lui repondit, avec beaucoup de presence d’esprit, « qu’estant duc d’York il ne s’estoit pas moins exposé lorsqu’il combattoit dans les troupes de France ». Le roy repliqua « qu’il n’estoit alors qu’un malheureux aventurier mais que comme il seroit presentement le plus ancien lieutenant general s’il avoit continué, il croyoit que le Roy le [p. 367] feroit marechal de France ». Monseigneur le reconduisit jusqu’au mesme lieu où il avoit esté le recevoir. Il alla ensuite chez Monsieur, qui estant veritablement indisposé, gardoit le lit ce jour là. Comme il estoit assez naturel de parler du prince d’Orange, ce qu’on en dit fit tourner la conversation sur la bataille de Cassel et Monsieur fut loué d’avoir battu un pince si fier et qui ne manquoit ny de hardisse ny de courage. Ce prince repondit là dessus [p. 368] « qu’il voudroit qu’une semblable occasion se presentast encore et qu’il exposeroit volontiers sa vie pour le service du roy d’Angleterre ». Ce monarque alla après cela rendre visite à Madame et s’en retourna à Saint Germain. M. le Premier l’y accompagne et luy dit le soir en prenant congé de luy que la Maison du Roy qu’il avoit menée au devant de la reine avoit ordre de demeurer auprès de Leurs Majestez pour les servir.
Le 9, monseigneur le Dauphin se rendit à Saint [p. 369] Germain et visita Leurs Majestez britanniques.
Le 10, Madame et mademoiselle y allerent aussi, et le 12 les princesses du sang.
Le 13, Monsieur les visita pareillement et sur les deux heures les princes du sang firent les mesmes visites. Le mesme jour, sur les quatre heures du soir, la reine d’Angleterre vint à Versailles. Le Roy, monseigneur le Dauphin et Monsieur la receurent au plus haut du grand escalier. Elle parut se defendre la droite [p. 370] de Sa Majesté. On luy avoit preparé un fauteuil qui estoit à droite de celuy du Roy et elle s’y mit. La conservation dura un quart d’heure et l’esprit de cette princesse se montra aussi brillant qu’il avoit dejà fait. Le Roy luy dit « qu’il estoit surpris de l’entendre si bien parler françois et de de qu’on ne luy remarquoit aucun accent etranger ». Elle repondit « qu’elle s’estoit toujours senti de l’inclination pour la France et que c’estoit de là que venoit la facilité qu’elle avoit eue à apprendre le françois ». [p. 371] Leur conservation étant finie, le Roy la conduisit chez madame la Dauphine, qui l’attendoit dans sa chambre avec un tres grand nombre de dames, qui estoient fort parées. Quand cette princesse fut avertie que la reine venoit par la galerie, elle s’avança jusque dans la porte. La reine la baisa d’un costé et madame la Dauphine, luy donnant la droite, la mena dans son grand cabinet. On y avoit preparé six fauteuils, scavoir pour la reine, madame [p. 372] la Dauphine, les trois jeunes princes et Madame. Celuy de la reine estoit au milieud e la chambre et les autres estoient tournez un peu du costé du fauteuil de cette princesse. Toutes les duchesses furent assises. Madame la duchesse de Powis, gouvernante du prince de Galles, et madame la comtesse de Montecuculi, une des dames d’honneur de la reine, comme estoient icy les dames du Palais, puisqu’elles sont plusieurs et qu’elles servent par semaine, eurent [p. 373] les tabourets. On s’etonnera que je donne icy le nom de duchesse à madame de Powis apres l’avoir apellée plusieurs fois marquise ; la raison de ce changement est que le roy d’Angleterre, depuis son arrivée à Saint Germain, a recompensé le zele de M. de Powis, son marquis, en le faisant duc. La conversation dura une demy heure. On se leva et madame la Dauphine conduisit la reine jusqu’à la porte de son cabinet. Cette princesse alla ensuite chez Monseigneur, qui la receut [p. 375] à la porte de la salle de ses gardes et la reconduisit jusqu’au mesme endroit. Elle alla après chez Monsieur et chez Madame, qui luy firent tous les honneurs dus à une reine. »

Récit du décès de Jacques II à Saint-Germain-en-Laye

« [p. 369] Vous attendez, sans doute, un détail de la maladie, de la mort et du convoy de Jacques II, roy d’Angleterre ; il faut vous satisfaire sur tout cela.
Depuis un anthrax que ce prince eut il y a deux ans, qui suppura fort peu, et quelques légers mouvemens de goutte, sa santé parut fort ébranlée ; mais [p. 370] cela devint beaucoup plus sensible après une attaque d’apoplexie imparfaite, qui fut suivie de la foiblesse de tout un côté, et de la paralysie de quelques doigts, arrivée au Carême dernier. Ses forces estoient fort diminuées, il maigrissoit de jour en jour, et contre son ordinaire il paroissoit plus pesant et plus assoupi. A tous ces accidens, il estoit survenu, il y a quatre mois, un crachement de sang, fort léger dans son commencement et qui devient par la suite plus sensible.
S. M. B. estoit dans cet estat le vendredy 2 de septembre qu’il luy prit une grande foiblesse, dont Elle revint par le secours des cordiaux. Dans ce moment, la fièvre s’éveilla avec l’assoupissement [p. 371] qui a conduit ce prince jusqu’au tombeau.
Le dimanche, troisième jour de son mal, une seconde foiblesse le mit dans un estat si pressant que l’on eust d’abord recours aux derniers sacremens. Le pouls luy revint un peu après un vomissement d’un sang retenu depuis quelque temps dans l’estomac, comme il paroissoit à la couleur et à l’odorat. Le pouls néanmoins, qui estoit resté embarassé, se trouva dégagé par une pareille évacuation procurée par le moyen d’un remède que M. Fagon luy fit donner. Ce remède, posé à propos, le fit un peu reposer et donna quelque espérance.
Le lundy, quatrième jour de [p. 372] son mal, et cinquième du mois, un léger purgatif luy fit rendre beaucoup de sang retenu.
Le même jour après midy, le Roy alla le voir. Sa Majesté britannique le supplia de trouver bon qu’Elle fust enterrée dans l’église paroissiale de Saint Germain en Laye. Le Roy en parla à la reine d’Angleterre, et l’on ne jugea pas à propos de répondre à ce qu’une profonde humilité luy faisoit dire. Ce prince recommanda ce jour là au Roy les regimens irlandois qui sont à son service.
Il demeura assez tranquille le mardy.
Le mercredy, apres l’usage de quelques remedes propores à arrester l’hemorragie, cet accident [p. 373] cessa absolument, et la fievre diminua de beaucoup.
Le jeudy se passa dans redoublement. Il survint un flux d’urine, ce qui fit concevoir quelque esperance.
Le vendredy, huitieme jour du mal de ce prince, la fievre augmenta, sa langue devint seche, l’assoupissement ne diminua point, et l’on apperçut que le flux d’urine devenoit involontaire et que la paralysie gagnoit la vessie. Un purgatif qui luy fut donné alors fit connoistre que cet engourdissement se communiquoit aux entrailles. On perdit des ce moment toute esperance, les accidens allerent toujours en augmentant, et les remedes furent sans effet.
[p. 374] Ce prince se trouva si mal la nuit du 12 au 13 qu’on craignit qu’il ne mourust avant qu’elle fust passée. Sa Majesté demanda le viatique pour la seconde fois, et le reçut sur les cinq heures du matin avec une piété exemplaire. On luy avoit donné l’extrême onction trois heures après midy en même temps que le viatique. Le prieur curé de Saint Germain s’acquitta de toutes ces fonctions d’une manière très édifiante.
Le même jour 13, après midy, le Roy alla voir pour la dernière fois ce prince mourant, et déclara proche de son lit, et en présence de la reine et de plusieurs seigneurs des deux Cours, que si Dieu disposoit de Sa Majesté [p. 375] britannique, il reconnoistroit et traiteroit monsieur le prince de Galles comme roy d’Angleterre, d’Ecosse et d’Irlande. Sa Majesté britannique, qui estoit dans un grand assoupissement, n’en fut point tirée par les mouvemens que ces paroles causerent dans la chambre, ou peut estre qu’estant toujours en meditation, en attendant le moment de la mort, Elle ne voulut pas interompre, pour les choses de ce monde, le sacrifice qu’Elle faisoit alors de son âme à Dieu. Tous les milords, en fondant en larmes, se jetterent aux genoux du Roy pour le remercier. Ils reconduisirent Sa Majesté en cet état, avec des acclamations qui témoignoient [p. 376] leur reconnoissance et leur affliction, et le mélange de joye et de tristesse qui paroissoit sur leur visage, ayant quelque chose d’aussi vif pour la joye que pour la douleur, on ne scavoit si l’on devoit se réjouir ou s’affliger avec cette Cour, qui pour trop sentir, ne pouvoit bien démeller elle-même ce qu’elle sentoit. La nuit du 13 au 14, on crut que ce prince alloit expirer, les redoublemens estans devenus plus frequens et plus dangereux. On reïtera plusieurs fois la recommendation de l’âme, ce qui fut fait alternativement par les aumôniers de Sa Majesté britannique et par le curé de Saint Germain. Cependant, Sa Majesté conservoit une connoissance parfaite [p. 377] qui continua jusques aux derniers momens ;
Madame la duchesse de Bourgogne alla le voir le 14 à trois heures après midy. Ce prince la remercia avec beaucoup de présence d’esprit et la pria de passer chez la Reine, à cause de la mauvaise odeur qui estoit dans sa chambre.
Monseigneur le duc de Bourgogne l’alla voir le 15, sur les dix heures et demie du matin. Lorsque ce prince y arriva, on disoit pour la cinquième fois les prières des agonisans. Sa Majesté britannique, après l’avoir remercié de sa visite, le pria de trouver bon que l’on continuast les prières. Madame l’alla voir l’après dinée du même jour, à l’issue [p. 378] de son dîner. Il entroit souvent dans une espèce de létargie, et lorsqu’on le reveilloit de son assoupissement, il répondoit juste et reconnoissoit tout le monde. Il avoit commencé le jeudy au soir à prononcer avec peine.
Le même vendredy 16 que ce prince reçut tant de visites et qu’il avoit ouy la messe dans sa chambre, ainsi que les jours précédens, il tomba dans une douce agonie sur les deux heures et demie après midy, et à trois heures et un quart, il expira sans aucun effort, ayant la bouche riante, ce qui continua d’une manière sensible quelques momens après sa mort. On observa, comme une chose digne de remarque, et dont [p. 379] il y a peu d’exemples, qu’en quinze jours que ce prince avoit passez dans le lit de la mort, aussi tourmenté des remèdes qu’on luy donnoit que de sa maladie, il ne luy estoit pas échapé le moindre mouvement d’impatience, de répugnance ny même d’inquiétude, estant dans une méditation presque continuelle et ne parlant qu’autant qu’il estoit absolument nécessaire et que la charité le demandoit. Sa piété n’avoit rien ny d’austère ny de rude. Je n’entre point dans les choses touchantes et plus édifiantes encore qu’il a dites à la reine pendant les quinze jours qu’a duré sa maladie ; elles sont au dessus de toutes sortes d’expression. La manière dont il a parlé à monsieur le [p. 380] prince de Galles n’est pas moins digne d’admiration, et moins difficile à exprimer. Il luy a fait voir par des discours aussi touchans que chrétiens qu’il ne devoit point mettre la couronne en parallèle avec la religion et l’a conjuré de ne le faire jamais. Il a protesté tout haut qu’il pardonnoit sincérement et de tout son cœur à tous ceux qui luy avoient causé tant de mal, et qu’il prioit Dieu qu’il leur pardonnast, en ajoutant qu’il leur avoit de grandes obligations, puisqu’ils estoient peut estre la cause de son salut qu’il esperoit. Il a tenu ces discours plus d’une fois et les a renouvellez en recevant le viatique. Ce n’est point l’état où il se trouvoit, et [p. 381] l’assurance d’une mort certaine qui l’ont fait parler ainsi, puisque depuis le commencement de ses malheurs jusqu’au moment de sa mort les chagrins qu’il ressentoit, peut estre plus pour sa famille que pour luy, n’ont jamais esté cause qu’il luy soit rien échapé contre les auteurs de tous ses maux. Il s’estoit mis pendant tout le cours de sa vie par une fermeté héroïque au dessus de toutes les disgraces qui luy estoient arrivées, et toutes les fois qu’il s’estoit agy de la religion, il avoit fait voir une constance digne des anciens chrétiens. Il estoit d’une valeur intrépide et il en a donné des preuves en plusieurs batailles, tant sur terre que sur mer, mais ce [p. 382] n’est pas icy le lieu de s’étendre sur des choses qui regardent ceux qui travailleront à son histoire.
Lorsque ce prince fut expiré, M. Desgranges, maistre des cérémonies de France, fit exposer son corps à la vue du peuple. Le clergé de la paroisse de Saint Germain, les recolets qui sont dans le même lieu et les augustins des Loges, au nombre de douze qui se relevoient de temps en temps, formerent deux chœurs, qui psalmodierent toute la nuit, et le matin on commença à célébrer des messes sur deux autels dressez dans la même chambre où estoit le corps.
Le samedy 17, sur les quatre heures après midy, on l’ouvrit et on l’embauma. On luy trouva [p. 383] très peu de sang, et presque réduit en eau, tous les visceres, les entrailles et même le cœur fletris et extenuez. A l’ouverture du crane il sortit une tres grande quantité de serositez et les ventricules du cerveau étoient absolument plein d’eau.
Son corps fut porté le soir, avec peu de cérémonie, aux bénédictins anglois du fauxbourg Saint Jacques, où il doit rester en dépost jusqu’à ce qu’on résolve où il sera inhumé. Son cœur a esté porté au couvent de Sainte Marie de Chaliot, où est celuy de la feue reine sa mère. Son convoy n’étoit composé que de trois carosses. Dans le premier, précédé de quatre gardes du corps qui portoient des flambeaux, étoient [p. 384] un aumônier, qui portoit le cœur du Roy, le père Sandun, confesseur de Sa Majesté, son compagnon, un autre aumônier, deux chapelains et le prieur de Saint Germain. Dans le second estoit le corps de ce prince, et M. du Vinet, exempt des gardes du corps de Sa Majesté Très Chrétienne. Vingt six gards du corps marchoient devant et derrière, avec des flambeaux. Le convoy estoit terminé par un troisième carosse, dans lequel estoient M. le duc de Barwik, Mr Porter, vice chambellan de Sa Majesté britannique, milord Hamilton, Mr Desgranges, Mr Hamilton, maistre de la garde robe, et Mr Ploiden, controlleur de la Maison de [p. 284] Sa Majesté. Mr d’Ingleton, aumônier de la semaine, fit un discours en latin en remettant le corps du roy entre les mains du prieur des bénécitins, qui répondit en la même langue, et ces discours furent trouvez fort touchans. Le corps couvert d’un poele fut mis sous un dais dans une chapelle tenue de noir. Le même cortège qui avoit esté aux bénédictins accompagne le cœur jusqu’à Sainte Marie de Challiot. Le même Mr Ingleton fit aussi un très beau discours en remettant le cœur entre les mains de la supérieure, qui y répondit avec beaucoup d’esprit.
Je dois ajouter icy qu’aussitost que le Roy fut expiré, M. [p. 386] le prince de Conty, qui depuis quelques jours n’avoit point quitté Saint Germain, estant parent de la reine, eut l’honneur de saluer le jeune roy. M. le nonce dit à ce nouveau monarque qu’il avoit ordre de Sa Sainteté de le reconnoistre après la mort du roy son père, et M. l’abbé Rizzini, envoyé de Modène, luy fit le même compliment de la part du duc son maistre.
Le 20, le Roy alla à Saint Germain, et il monta d’abord chez le roy d’Angleterre, qui l’attendit au haut du grand escalier en long manteau et conduisit Sa Majesté dans son appartement en prenant la main gauche. Il se trouva deux fauteuils, et le Roy s’assit dans celuy qui estoit [p. 387] à la droite. La visite fut courte. Sa Majesté britannique conduisit le Roy, qui l’empescha d’aller aussi loin qu’il auroit souhaité. Le Roy alla ensuite chez la reine, qui estoit au lit, et demeura près d’une heure avec cette princesse. Madame la duchesse de Bourgogne arriva pendant ce temps là, accompagnée de madame la Princesse, de madame la Duchesse, de mademoiselle d'Angu’en et des dames du palais de madame la duchesse de Bourgogne. Elles estoient toutes sans mantes, parce que la visite n’estoit pas de cérémonie. Madame la duchesse de Bourgogne alla d’abord chez Sa Majesté britannique, qui la reçut à la porte de sa chambre. Elle y resta peu de temps, et ne [p. 388] s’assit point. Cette princesse alla ensuite chez la reine, où elle trouva le Roy, qu’elle y laissa. Après cette courte visite, cette princesse alla chez madame la princesse d’Angleterre, où elle resta debout. Monseigneur le Dauphin et madame la princesse de Conty douairière y arrivèrent de Meudon une demi heure après. Le Roy, avant que de partir, alla chez madame la princesse d’Angleterre, messeigneurs les ducs de Bourgogne et de Berry, monsieur le duc et madame la duchesse d’Orléans, monsieur le Prince, monsieur le Duc et madame la Duchesse, madame la princesse de Conty et généralement tout ce qu’il y a de personnes de distinction [p. 289] à la Cour ont esté faire des complimens au roy, à la reine et à madame la princesse d’Angleterre.
Le 21, Sa Majesté britannique rendit visite au Roy à Versailles et à madame la duchesse de Bourgogne. Cette princesse étant alors à la messe, Sa Majesté l’attendit dans son appartement. Monseigneur le Dauphin et messeigneurs les ducs de Bourgogne et de Berry estoient partis pour Fontainebleau.
Je ne dois pas finir cet article sans vous dire que tous ceux qui ont vu ce jeune roy en sont charmez. Son air, ses manières et son esprit frapent d’abord également tous ceux qui ont l’honneur de l’approcher. Tout est en [p. 390] ce jeune monarque infiniment au dessus de son âge, et quoy qu’il doive beaucoup au sang dont il est sorti, il ne doit pas moins à son éducation. »

Récit de la visite du roi d’Espagne au roi et à la reine d’Angleterre à Saint-Germain-en-Laye

« [p. 265] Sur les quatre heures du soir, le roy d’Espagne alla à Saint Germain en Laye rendre visite au roy et à la reine de la Grande Bretagne et à monsieur le prince de Galles. Sa Majesté britannique reçut Sa Majesté Catholique à la porte de la salle des gardes sur le grand escalier et la conduisit à son appartement, où il y avoit deux fauteuils ; le roy d’Espagne occupa celuy de la droite, et le roy de la Grande Bretagne reconduisit Sa Majesté Catholique à l’endroit où [p. 266] Elle l’avoit reçue. Ensuite le roy d’Espagne alla chez la reine de la Grande Bretagne ; elle le reçut à la porte de la salle de ses gardes, et estant entrez dans l’appartement, ils s’assirent sur deux fauteuils. Le roy d’Espagne ayant pris congé de la reine, rendit visite à monsieur le prince de Galles, qui le reçut à la salle des gardes et le conduisit dans sa chambre, où il y avoit un fauteuil. La visite se passa debout et Son Altesse royale reconduisit Sa Majesté Catholique jusqu’à son carosse et la vit partir. »

Réception du monument à Jacques II dans l’église de Saint-Germain-en-Laye

« Ville de Saint-Germain-en-Laye
Réception des travaux du monument du roi Jacques II
Nous soussignés architectes, nous sommes transportés à l’église de Saint-Germain-en-Laye pour procéder à la réception des travaux de maçonnerie et de marbrerie du monument du roi Jacques II qui avaient été adjugés à Versailles le 12 novembre 1828 aux sieurs Doguet frères ;
Vu la cession faite par ces entrepreneurs à Mrs Thomas, Duquesne et de Conchis, négocians en marbre, demeurans à Paris faubourg Saint-Martin n° 126, le 5 septembre 1830, par acte enregistré, duquel il résulte que lesdits sieurs Thomas, Duquesne et de Conchi s’obligent à achever ledit monument pour le prix porté à ce procès-verbal d’adjudication, nous avons procédé en leur présence à l’examen et à la réception de ces travaux.
Nous avons reconnu que ledit monument est construit avec soin, conformément aux dessins que nous avons donnés, suivant les règles de l’art, que les matériaux employés sont bien de la qualité indiquée dans le cahier des charges, que la sculpture est parfaitement exécutée et que les inscriptions n’ont été gravés qu’après l’approbation de l’autorité locale, que le dallage de la chapelle où est placé ce monument est achevé, et qu’il ne reste plus à poser que la barrière en bois, qui est exécutée, et à faire la peinture des murs de la chapelle, travaux accessoires interrompus par les solennités de la Semaine sainte. En foi de quoi nous avons dressé le présent procès-verbal avec messieurs Thomas, Duquesne et de Conchis, qui ont signé avec nous.
Fait à Saint-Germain-en-Laye le 20 avril 1835
A. Malpièce, A. S. Moutier
Approuvé l’écriture cy-dessus
Thomas, Duquesne et Deconchy »

Procès-verbal de découverte des restes de Jacques II dans l’église de Saint-Germain-en-Laye

« Aujourd’hui lundi douze juillet mil huit cent vingt-quatre, trois heures de relevée
Nous Pierre Danès de Montardat, ancien colonel de cavalerie, chevalier de l’ordre royal et militaire de Saint-Louis, maire de la ville de Saint-Germain-en-Laye, ayant été informé par MM. les architectes de la nouvelle église de cette ville que, ce matin, vers sept heures, en faisant la fouille de l’emplacement du nouveau clocher et dans l’ancienne chapelle des fonts, on avait découvert successivement trois boetes en plomb de différentes formes, placées très près les unes des autres et dont l’une desquelles portait une inscription gravée sur une table d’étain constatant qu’elle contient partie des restes du roi Jacques Stuard second, roi d’Angleterre, d’Ecosse et d’Irlande,
Nous sommes transportés sur le lieu sus-désigné, accompagné de M. le comte Bozon de Talleyrand, lieutenant général honoraire, grand-croix de l’ordre de Saint-Louis, gouverneur du château royal de Saint-Germain-en-Laye, de M. Jean-Jacques Collignon, curé de cette paroisse royale, de MM. Malpièce et Moutier, architectes de la nouvelle église, de M. Rigault, secrétaire de la mairie et de MM. Voisin, Perrin, Baudin, de Beaurepaire (le comte), Dusouchet, Galot, Decaen, Dupuis, Jeulin, Journet, Griveau, Dufous, Delaval, Casse, Barbé, membres du conseil municipal, et de M. Morin, commissaire de police,
Où étant, nous avons reconnu et constaté :
1° que la première des trois boetes susdites (figure A) était en plomb de 0 m. 35 et 0 m. 18 de hauteur, recouverte d’une plaque en même métal de 0 m. 22 carrés, sous laquelle plaque on a trouvé une table en étain de 0 m. 20 de haut, 0 m. 15 de large, portant cette inscription :
Ici est une portion de la chair et des parties nobles du corps de très haut, très puissant, très excellent prince Jacques Stuard, second du nom, roi de la Grande Bretagne, nacquit le XXIII octobre MDCXXXIII, décédé en France, à Saint-Germain-enLaye, le XVI septembre MDCCI.
Au bas de la plaque sont empreintes ses armes.
Cette boite est en partie mutilée. Elle contient plusieurs portions d’ossemens et des restes non encore consommés.
La deuxième boete (figure B), circulaire, est aussi en plomb, de 0 m. 35 centimètres de diamètre et 0 m. 30 de hauteur, et découverte.
La troisième boete (figure C), de 0 m. 30 carrés et 0 m. 25 de hauteur, est aussi en plomb et fermée de toutes parts, à l’exception d’un trou oxidé.
Ces deux dernières boetes ne paraissent contenir que des restes consommés.
Ces trois boetes ont été enlevées en présence de toutes les personnes dénommées au présent, avec le plus grand soin, et transportées dans le Trésor de la sacristie.
Ensuite, nous avons fait faire aux archives de la mairie les recherches nécessaires, et nous avons trouvé, sur le registre de l’année 1701, à la date du 16 septembre, les actes dont copie seront jointes au présent procès-verbal, ainsi que la copie de l’épitaphe du roi Jacques, et qui constatent que partie de ses entrailles, de son cerveau avec ses poumons et un peu de la chair sont restés en dépôt dans cette église pour la consolation des peuples, tant français qu’anglais, et pour conserver en ce lieu la mémoire d’un si grand et si religieux prince.
Les autres boetes sont sans doute les restes de la princesse Louise Marie d’Angleterre et fille du roi Jacques second, décédée à Saint-Germain le 17 avril 1712 ainsi que le constate le registre de cette année, qui indique qu’une partie des entrailles de cette princesse a été déposée près des restes de son père.
De tout ce que dessus, le présent a été rédigé les susdits jour, mois et an, et signé de toutes les personnes y dénommées.
Danes de Montardat
De Bozon de Talleyrand
A. S. Moutier, Voisin, A. Malpièce, Collignon curé
Le comte de Beaurepaire, Perrin, Baudin,
Dusouchet, Galot, Decaen
Dupuis, Jeulin, Journet
Griveau, Dufous, Morin commissaire de police
Casse, Delaval, Barbémorel
Rigault secrétaire »

Mentions de Saint-Germain-en-Laye dans les mémoires du maréchal de Berwick

« [p. 347] Au commencement de septembre, le roi d’Angleterre eut encore une attaque, et je retournai au plus tôt à Saint Germain, où je le [p. 348] trouvai dans un état désespéré. Les remèdes le tirèrent de la léthargie, mais sans donner plus d’Esperance : il s’affoiblissoit à vue d’œil ; son bon sens et la connoissance lui restèrent presque jusqu’au dernier soupir. Il employa tout ce temps en prières et en méditations. Jamais on ne vit plus de patience, plus de tranquillité, plus de joie même lorsqu’il songeoit à la mort, ou qu’il en parloit. Il prit congé de la reine avec une fermeté extraordinaire, et les pleurs de cette princesse désolée ne firent sur lui aucune impression, quoiqu’il l’aimât tendrement. Tout ce qu’il lui dit pour retenir ses larmes fut : « Songez, Madame, que je vais être heureux à jamais ». Le Roi Très Chrétien étant venu le voir, l’assura qu’il auroit pour son fils les mêmes égards que pour lui, et qu’il lui rendroit les mêmes honneurs. Le roi d’Angleterre le remercia en peu de mots des marques passées de son amitié, et de ce qu’il venoit de lui promettre. Puis, l’ayant embrassé, le pria de ne pas rester plus longtemps dans un endroit aussi triste. Toute la Cour de France vint aussi à Saint Germain, et fut témoin de la piété et de la sainteté de ce héros chrétien. Le prince de Conti voulut y rester tout le temps et m’avoua que cette mort le suprenoit et le touchoit infiniment. Il sembloit que Dieu vouloit qu’on n’en pût ignorer toutes les circonstances, car pendant tout le temps de sa maladie les portes de sa chambre ne furent plus gardées, de manière que tout le monde y entroit ; et comme ses rideaux furent toujours ouverts, on le voyoit dans son lit, où d’ordinaire il tenoit les yeux fermés, pour être plus recueilli. Enfin le 16 septembre, à trois heures après midi, il expira ; et dans l’instant nous allâmes chez le prince de Galles le saluer roi. Les rois de France et d’Espagne le reconnurent comme tel, et ce fut un des motifs dont le prince d’Orange se servit pour engager le parlement d’Angleterre dans la guerre contre les deux couronnes.
[…]
[p. 442] [1716] Le roi [Jacques III] vint secrètement à Saint Germain, où il demeura quelques jours. De là, il en alla passer huit auprès de Neuilly, et fut ensuite à Chalons en Champagne, pour y attendre la réponse du duc de Lorraine. […] Pendant le séjour que le roi Jacques avoit fait auprès de Paris, il avoit congédié milord Bolingbrocke de la manière du monde la plus offensante. Il lui avoit fait, à son retour d’Ecosse, une réception très gracieuse, et lui avoit témoigné une confiance entière. Enfin, après lui avoir donné ses ordres sur plusieurs choses dont il le chargeoit, et lui avoir surtout recommandé de se dépêcher de le suivre, il fit semblant de partir de la Malmaison pour Chalons ; mais au lieu de cela, il s’en alla chez mademoiselle de La Chausseraye, auprès de Neuilly. Au bout de deux jours, il envoya le duc d’Ormond redemander les sceaux à milord Bolingbrocke, qui fut très surpris d’un pareil message et les rendit sur le champ. Ce prince publia, pour raison de ce qu’il venoit de faire, que milord Bolingbrocke avoit totalement négligé d’envoyer en Ecosse aucun secours d’armes, d’argent, etc., et que cela étoit cause du mauvais succès de ses affaires. Les brouillons de Saint Germain ajoutoient qu’il n’avoit tenu qu’à lui d’avoir du Régent toutes sortes de secours, mais qu’il ne l’avoit pas voulu afin de ruiner le Prétendant, qu’il trahissoit sous main. »

Fitz-James, Jacques

Mentions de Saint-Germain-en-Laye dans les souvenirs de la comtesse de Caylus

« [p. 479] Nous arrivames ensemble à Paris, où madame de Maintenon vint aussitôt me chercher et m’emmena seule à Saint Germain. Je pleurai d’abord beaucoup, mais je trouvai le lendemain la messe du Roi si belle que je consentis à me faire catholique, à condition que je l’entendrois tous les jours, et qu’on me garantiroit du fouet. C’est là toute la controverse qu’on employa et la seule abjuration que je fis.
M. de Cheteau Regnault eut ordre d’envoyer mon frere à la Cour. Il y arriva presque aussitôt que moi et fit une plus longue resistance. Mais enfin il se rendit, on le mit à l’academie et il quitta la marine.
[…]
[p. 481] J’arriva à Saint Germain au mois de janvier 1681. La Reine vivoit, monseigneur le Dauphin etoit marié depuis un an, et madame de Maintenon, dans une faveur eclatante, paroissoit aussi bien avec la Reine qu’avec le Roi. Cette princesse attribuoit à la nouvelle favorite les bons procedés que le Roi avoit pour elle depuis quelque temps, et elle la regardoit avec raison sur un pied bien different des autres.
Mais, avant de parler des choses que j’ai vues, il est bon de raconter celles que j’ai entendu dire.
J’ai pu voir madame de Fontanges mais, ou je ne l’ai pas vue, ou il ne m’en souvient pas. Je me souviens seulement d’avoir vu pendant quelque temps, à Saint Germain, le Roi passer du chateau vieux au neuf pour l’aller voir tous les soirs : on disoit qu’elle etoit malade, et en effet elle partit quelques mois apres pour aller mourir à Port Royal de Paris. Il courut beaucoup de bruits sur cette mort, au desavantage de madame de Montespan, mais je suis convaincue qu’ils etoient sans fondement. […]
Je me souviens aussi d’avoir souvent entendu parler de madame de La Vallière. On sait qu’elle a precedé madame de Montespan, et ce n’est pas l’histoire de chaque maitresse que je pretends faire, je veux seulement ecrire les faits qui me sont demeurés plus particulierement dans l’esprit, soit que j’aie eté temoin, ou que je les aie entendu raconter par madame de Maintenon.
Le Roi prit donc de l’amour pour madame de Montespan dans le temps qu’il vivoit avec madame de La Valliere en maitresse declarée ; et madame de Montespan, en maitresse peu delicate, vivoit avec elle : meme table et presque meme maison. Elle aima mieux d’abord qu’il en usat ainsi, soit qu’elle esperat par là abuser le public et son mari, soit qu’elle ne s’en souciat pas, ou que son orgueil lui fit plus gouter le plaisir de voir à tous les instans humilier sa rivale, que la delicatesse de sa passion ne la portoit à la crainte de ses charmes. Quoi qu’il en soit, c’est un fait certain. Mais un jour, fâchée contre le Roi pour quelque autre sujet (ce qui lui arrivoit souvent), elle se plaignit de cette communauté avec une amertume qu’elle ne sentoit pas : elle y trouvoit, disoit elle, peu de delicatesse de la part du Roi. Ce prince, pour l’apaiser, repondit avec beaucoup de douceur et de tendresse, et finit par lui dire que cet etablissement s’etoit fait insensiblement. « Insensiblement pour vous, reprit madame de Montespan, mais tres sensiblement pour moi. »
[…]
[p. 489] Un jour que le carrosse de madame de Montespan passa sur le corps d’un pauvre homme sur le pont de Saint Germain, madame de Montausier, madame de Richelieu, madame de Maintenon et quelques autres qui etoient avec elle en furent effrayées et saisies comme on l’est d’ordinaire en pareille occasion : la seule madame de Montespan ne s’en emut pas et elle reprocha meme à ces dames leur foiblesse. « Si c’etoit, leur disoit elle, un effet de la bonté de votre cœur et une veritable compassion, vous auriez le meme sentiment en apprenant que cette aventure est arrivée loin comme pres de vous. »
[…]
[p. 508] La guerre commença en 1688 par le siege de Philisbourg et le roi d’Angleterre fut chassé de son trone l’hiver d’apres. La reine d’Angleterre se sauva la premiere avec le prince de Galles son fils, et la fortune singuliere de Lauzun fit qu’il se trouva precisement en Angleterre dans ce temps là. On lui sut gré ici d’avoir contribué à une fuite à laquelle le prince d’Orange n’auroit eu garde de s’opposer. Le Roi cependant l’en recompensa comme d’un grand service rendu aux deux couronnes. A la priere du roi et de la reine d’Angleterre, il le fit duc et lui permit de revenir à la Cour où il n’avoit paru qu’une fois apres sa prison. M. le Prince, en le voyant revenir, dit que c’etoit une bombe qui tomboit sur tous les courtisans.
Si le prince d’Orange n’avoit pas eté faché de voir partir d’Angleterre la reine et le prince de Galles, il fut encore plus soulagé d’etre defait de son beau pere.
Le Roi les vint recevoir avec toute la politesse d’un seigneur particulier qui sait bien vivre, et il a eu la meme conduite avec eux jusqu’au dernier moment de sa vie.
M. de Montchevreuil etoit gouverneur de Saint Germain, et comme je quittois peu madame de Montchevreuil, je voyois avec elle cette Cour de pres. Il ne faut donc pas s’etonner si, ayant vu croitre le prince de Galles, naitre la princesse sa sœur et reçut beaucoup d’honnetetés du roi et de la reine d’Angleterre, je suis demeurée jacobite, malgré les grands changemens qui sont arrivés en ce pays ci par rapport à cette cause.
La reine d’Angleterre s’etoit fait hair, disoit on, par sa hauteur, autant que par la religion qu’elle professoit en Italienne, c’est à dire qu’elle y ajoutoit une infinité de petites pratiques inutiles partout et beaucoup mal placées en Angleterre. Cette princesse avoir pourtant de l’esprit et de bonnes qualités, qui lui attirerent de la part de madame de Maintenon une estime et un attachement qui n’ont fini qu’avec leurs vies
Il est vrai que madame de Maintenon souffroit impatiemment le peu de secret qu’ils gardoient dans leurs affaires, car on n’a jamais fait de projet pour leur retablissement qu’il n’ait eté aussitôt su en Angleterre qu’imaginé à Versailles. Mais ce n’etoit pas la faute de ces malheureuses Majestés : ils etoient environnés à Saint Germain de gens qui les trahissoient, jusqu’à une femme de la Reine et pour laquelle elle avoit une bonté particuliere, qui prenoit dans ses proches les lettres que le Roi ou madame de Maintenon lui ecrivoient, les copioit pendant que la reine dormoit et les envoyoit en Angleterre. Cette femme s’appeloit madame Strickland, mere d’un petit abbé Strickland qui, dans ces derniers temps, digne heritier de madame sa mere, a pretendu au cardinalat par son manege. »

Le Valois de Villette de Murçay, Marthe-Marguerite

Mentions de Saint-Germain-en-Laye dans les mémoires en partie apocryphes de Jacques II

« [t. 1, p. 64] [1649] Le duc demeura environ huit mois en Hollande, à compter de son arrivée, passa les fêtes de Noël à La Haye avec son frère et sa sœur le prince et la princesse d’Orange, et le lendemain de l’Epiphanie partit pour se rendre en France, selon les ordres qu’il avait reçus de la reine sa mère. Il prit sa route par Bruxelles et arriva à Cambrai ; il y reçut une lettre de la reine, qui l’informait des événements survenus à Paris dans la nuit de l’Epiphanie. Elle lui disait en somme que les désordres de cette ville avaient contraint le Roi, pour sa propre sûreté, de la quitter, que lui et sa Cour s’étaient rendus à Saint-Germain, que cela s’était fait avec tant de précipitation qu’il avait été forcé de de partir la nuit, mais qu’après avoir mis sa personne en sûreté, il avait rassemblé ses troupes et assiégeait Paris, avec la résolution de le faire rentrer dans le devoir. Sa Majesté terminait en ordonnant au duc de demeurer, jusqu’à nouvel ordre, au lieu où le trouverait cette lettre.
L’archiduc Léopold, alors gouverneur des Pays-Bas, instruit du séjour de Son Altesse royale en Flandre, lui envoya un de ses principaux officiers chargé d’un message plein de civilité, et de [p. 65] l’offre d’un séjour plus commode que celui de la ville frontière, où elle se trouvait alors. Il lui proposa l’abbaye de Saint-Amand, qui n’était éloignée que d’une journée en arrière. Le duc l’accepta, y fut magnifiquement traitée par les moines, qui étaient de l’ordre de Saint-Benoît, et y demeura jusqu’au 8 février. Alors il reçut des lettres de la Reine qui lui ordonnait de venir à Paris. En conséquence, il retourna à Cambrai, se rendit de là à Péronne, puis à Paris, où il arriva le 13 février ; car, bien que la ville continuât à être bloquée par l’armée du Roi, il avait obtenu la permission d’y entrer et d’y habiter avec la reine sa mère.
Un jour ou deux après l’arrivée du duc à Paris, il apprit l’horrible meurtre du roi son père ; il est plus aisé d’imaginer que d’exprimer l’impression que fit sur la reine et le duc une semblable nouvelle.
Vers ce temps, les Parisiens commençaient à se repentir de leur rébellion, et, sentant qu’ils ne pouvaient avoir de secours de nulle part, entrèrent en accommodement et se soumirent au Roi. La paix faite, le duc se rendit à Saint-Germain pour voir le Roi et la Reine de France. Il y fut reçu avec toute la bienveillance qu’il pouvait espérer, et traité avec la magnificence due à son rang, et de la même manière que si la famille royale eût été encore dans sa première situation.
[p. 66] Ensuite Son Altesse royale revint à Paris, et y demeura avec la reine sa mère, jusqu’à ce que le roi son frère revint de Hollande en France. De là, ils allèrent à Saint-Germain, que la cour de France avait quitté pour revenir à Paris.
On disait que l’intention du roi, en venant en France, n’était que d’y passer pour se rendre en Irlande, qui s’était déclarée pour lui, et était alors presque entièrement sous son obéissance, les rebelles ne possédant plus guère que Dublin et Londonderry ; mais, au lieu de traverser seulement la France, Sa Majesté passa tout l’hiver à Saint-Germain, et se laissa enfin persuader de renoncer à son projet d’aller immédiatement en Irlande ; elle se rendit ensuite à Jersey avec le duc. Ils partirent le 19 septembre.
[…]
[p. 76] Au commencement du printemps de l’année 1652, la situation des affaires de France était telle que le retour du cardinal Mazarin ôtait toute espérance d’accommodement entre le Roi et les princes, et que l’on avait au contraire la probabilité d’une campagne très active. Le duc, qui désirait fort se rendre propre un jour à la guerre, résolut de servir comme volontaire dans l’armée du roi de France. […] Il restait encore une plus grande difficulté à vaincre, celle d’avoir de l’argent pour s’équiper et s’entretenir à l’armée. L’argent était chose rare à la cour anglaise. Le duc s’en procura à la fin. Un Gascon nommé Gautier, qui avait servi en Angleterre, lui prêta trois cents pistoles. […] Sans ce secours, il [p. 77] lui aurait été impossible de partir, car en ce temps l’argent était aussi peu commun à la cour de France qu’en Angleterre. […] On ne jugea pas convenable que Son Altesse allât prendre congé de son oncle le duc d’Orléans, contre le parti duquel il était près de se déclarer.
Pour éviter tous ces inconvénients, le roi accompagna son frère à Saint-Germain, sous prétexte d’une partie de chasse ; et, après y être demeuré trois ou quatre jours, il partit pour l’armée le 21 avril, passa par le faubourg Saint-Antoine, sous les murs de Paris, et ne put aller ce soir-là plus loin que Charenton.
[…]
[t. 3, p. 355] [1688] Le voyage et la séparation résolue, la reine [Marie de Modène], déguisée, traversa la rivière le 9 décembre, n’ayant avec elle, pour éviter tout soupçon, que le prince, sa nourrice et deux ou trois autres personnes. On avait fait préparer une voiture sur [p. 356] l’autre rive ; elle la conduisit sans accident jusqu’à Gravesend où elle s’embarqua sur le yacht. […] [p. 357] Aussitôt que la reine et le prince furent à bord du yacht, le vent se trouvant favorable, ils partirent pour Calais, où ils arrivèrent très promptement et débarquèrent le lendemain. […]
[p. 358] Sa Majesté Très Chrétienne ne fut pas plutôt instruite de l’arrivée de la reine et du prince dans son royaume qu’Elle leur envoya ses officiers, ses voitures, et tout ce qui était nécessaire pour leur voyage. Il se passa avec un ordre, une magnificence et des marques de respect beaucoup plus d‘accord avec la magnificence du roi de France et la dignité de ses hôtes qu’à la triste condition de la reine désolée. Comme les chemins étaient mauvais et couverts de neiges, on traça une route directe à travers champs ; des pionniers, marchant en avant, aplanissaient le terrain et écartaient tout ce qui pouvait faire obstacle au passage. Sa Majesté trouva partout sur la route ses logemens et ses repas préparés de la même manière que si elle eût été dans un palais [p. 359] de rois. Le Roi vint à sa rencontre à une lieue de Saint-Germain, et aussitôt qu’il s’approcha du prince de Galles, il le prit dans ses bras, et lui adressant la parole, lui promit en peu de mots protection et secours, puis s’avança vers la Reine et ne négligea rien de ce qui pouvait adoucir ses souffrances présentes et l’encourager à espérer un terme prochain à ses malheurs. Il les conduisit à Saint-Germain qu’il avait quitté peu de temps auparavant pour établir sa résidence à Versailles. Il y établit Sa Majesté et le prince de Galles, leur y donna des gardes et tous les autres officiers nécessaires pour les servir en attendant l’arrivée du roi.
[…]
[t. 4, p. 1] Aussitôt que le roi fut débarqué, il se rendit à Abbeville, où il se fit connaître publiquement, puis il se rendit promptement à Saint-Germain, où il eut la consolation de retrouver du moins en lieu de sûreté la reine et le prince son fils. Cette satisfaction, et l’accueil généreux et cordial qu’il reçut de Sa Majesté Très Chrétienne, ne furent pas un médiocre soulagement à ses peines. Il eut aussi la joie de voir arriver journellement d’Angleterre un grand nombre de gens de qualité, protestans et catholiques, qui venaient le rejoindre, tant par inclination et par empressement à partager la fortune de leur prince que pour se mettre à l’abri de l’orage qui l’avait renversé du trône et menaçait tous ceux qui l’avaient servi avec fidélité et affection, et ceux même qui, dans des intentions ennemies, avaient poussé aux mesures désagréables à la nation.
[…]
[p. 56] [mars 1689] Aussitôt que le roi eut reçu le message de lord Tirconnel, il se résolut à passer sur le champ en Irlande.
[…]
[p. 179] [juillet 1690] Le roi, avant de s’embarquer, écrivit à lord Tirconnel que, d’après son avis, celui de M. de Lauzun et du reste de ses amis, il partait pour la France, d’où il espérait leur envoyer des secours plus considérables.
[…]
[p. 186] Le lendemain de l’arrivée du roi à Saint-Germain, Sa Majesté Très Chrétienne vint lui rendre visite, et lui promit, en termes généraux, tous les services possibles ; mais lorsque le Roi lui exposa son projet, il le reçut froidement, et lui dit qu’il ne pouvait rien faire jusqu’à ce qu’il eût reçu des nouvelles d’Irlande. Le Roi, peu satisfait de cette réponse, demanda au roi de France un nouvel entretien ; car, au fait, on n’avait nul besoin de savoir ce qui se passait en Irlande pour convaincre le monde que l’Angleterre était en ce moment dégarnie de troupes, et que les Français, qui avaient alors la supériorité sur mer, pouvaient y transporter le Roi, faire de ce pays le siège de la guerre, et détruire ainsi le véritable nerf de l’alliance ; mais, soit par Elle-même ou par les insinuations des ministres, Sa Majesté Très Chrétienne était probablement alors mécontente de la conduite du roi et de sa trop grande précipitation à quitter l’Irlande, et voyant qu’il n’était pas de caractère à s’obstiner longtemps à une même entreprise, répugnait à hasarder une nouvelle expédition qu’elle craignait de voir abandonner aussi promptement que la première. Mais comme la proposition du roi était si raisonnable qu’il n’y avait pas d’objection à y faire, si ce n’est [p. 187] celle qui pouvait permettre la civilité, Sa Majesté Très Chrétienne remit, sous prétexte d’indisposition, de voir le Roi jusqu’à ce qu’effectivement il n’y eut plus rien à faire ; car la promptitude aurait dû être l’âme d’une pareille entreprise, et la surprise eût fait plus de la moitié de l’ouvrage. Le roi démêla le vrai motif de ce délai ; et il est certain que, comme il l’a ensuite avoué à une personne qui était dans le secret, jamais sa patience n’avait été mise à une si rude épreuve.
[…]
[p. 275] Après la malheureuse fin de la guerre, soit en Irlande, soit en Ecosse, le Roi, se soumettant patiemment à son sort, songea à s’établir à Saint-Germain et à régler sa maison et son genre de vie ainsi que le permettait la pension de 600 mille livres par an qu’il recevait de la cour de France. Il ménagea ce revenu avec tant de prudence et d’économie, que non seulement il conserva autour de lui les apparences d’une cour, en entretenant à son service la plus grande partie des officiers qui environnent un roi d’Angleterre, mais secourut aussi un nombre infini de personnes dans la détresse, comme des officiers vieux ou blessés, les veuves et les enfans de ceux qui avaient perdu la vie à son service. Les salaires et les pensions qu’il accordait étaient à la vérité peu considérables ; mais il ne laissait guère le mérite sans récompense, et ses serviteurs avaient de quoi vivre décemment : si bien qu’à l’aide des gardes que Sa Majesté Très Chrétienne lui donnait pour l’accompagner ainsi que la reine et le prince son fils, sa Cour, malgré son exil, conservait un air [p. 276] de dignité convenable à un prince. Outre les gens de sa maison et plusieurs autres de ses loyaux sujets, tant catholiques que protestans, qui avaient voulu suivre sa fortune, il avait ordinairement autour de lui, surtout en hiver, tant d’officiers de l’armée qu’un étranger aurait pu oublier la situation où il se trouvait et se croire toujours à Whitehall. Ce n’était pas la seule chose qui rappelât le passé : sa conduite envers ceux qui l’environnaient était ce qu’elle avait été en Angleterre. On n’y voyait aucune distinction entre les personnes de différentes croyances ; les protestans étaient soutenus, protégés et employés tout aussi bien que les autres. A la vérité, les lois de France ne leur accordaient pas les mêmes privilèges relativement aux prières publiques, enterremens, etc. ; mais le roi trouvait moyen d’obtenir pour eux des adoucissemens à ce qu’il ne pouvait totalement empêcher. Sa conversation était aussi tellement semblable à ce qu’elle avait toujours été, que sous ce rapport on l’aurait cru encore au milieu de ceux qui l’avaient abandonné ou trahi. Jamais une réflexion d’amertume et de blâme sur le peuple ou le pays qui l’avait si indignement traité. On ne pouvait lui faire plus mal sa cour que de déclamer contre l’ingratitude de ceux qui s’étaient montrés les plus criminels en ce point. Si l’on pouvait leur trouver quelque apparence d’excuse, il ne manquait pas de la faire valoir [p. 277] et se rendait la plupart du temps l’avocat déclaré de ses plus grands ennemis. Il raisonnait sur les mesures du gouvernement d’Angleterre, les votes et la marche de son parlement, la valeur et la conduite de ses troupes, avec autant de clame et de modération que s’il eût encore été à leur tête, et ne paraissait pas prendre moins d’intérêt la réputation des soldats et des marins anglais que dans le temps qu’il était témoin de leurs efforts et partageait leur gloire. Il ne pouvait renoncer aussi aisément à sa tendresse pour son peuple que ce peuple à sa loyauté et à ses devoirs envers lui ; et lorsque dans quelque acte ou déclaration publics il se voyait obligé d’exposer les torts de ses sujets, il ne le faisait que par la nécessité où il était de se justifier, et non par l’effet d’aucune aigreur ou amertume que lui eût laissé le souvenir des troubles. Ainsi, quoiqu’il sût, en certaines occasions, convaincre le monde qu’il n’était pas insensible aux injures qu’il en avait reçues, il montrait bien par la conduite de toute sa vie qu’il désirait leur repentir, non leur perte ou sa propre vengeance.
La reine étant devenue grosse, peu après que le roi fut revenu d’Irlande, il saisit cette occasion de convaincre ses sujets de la fausseté de cette calomnie qui avait si fort contribué à les entraîner dans les vues du prince d’Orange. Il pensa qu’une invitation aux membres de son conseil privé, [p. 278] et à plusieurs autres personnes de qualité, de venir assister aux couches de la reine serait le moyen le plus efficace de prouver que, quatre années auparavant, Sa Majesté n’avait pas encore passé l’âge d’avoir des enfans. Il écrivit donc aux lords et autres personnes de son conseil privé la lettre suivante :
« Très fidèles etc. Les rois nos prédécesseurs ayant été dans l’usage d’appeler tous ceux de leur conseil privé qui se trouvaient à leur portée pour être présens aux couches de la reine et à la naissance de leurs enfans, et comme nous avons suivi leur exemple à la naissance de notre très cher fils le prince de Galles, quoique cette précaution n’ait pas suffi pour nous préserver des malicieuses calomnies de ceux qui avaient résolu de nous dépouiller de nos droits de roi, pour ne pas manquer à ce que nous devons à nous-même, dans cette occasion où il a plu au Tout-Puissant, défenseur de la vérité, de nous donner l’espérance d’un autre enfant, la reine notre très chère épouse se trouvant grosse et près de son terme, nous avons cru devoir requérir tous ceux de notre conseil privé qui en auront la possibilité de se rendre auprès de nous à Saint-Germain pour être témoins des couches de la reine, notre très chère épouse.
Nous vous signifions donc par ces présentes [p. 279] notre royale volonté, afin que vous employiez tous les moyens possibles pour venir aussi promptement que vous pourrez, la reine devant accoucher vers le milieu de mai prochain (style anglais). Et afin qu’il ne vous reste aucune crainte de notre part, notre très cher frère, le Roi Très Chrétien, a consenti à ce que nous vous promissions, comme nous le faisons ici, toute sûreté pour venir, ainsi que pour vous en retourner après les couches de la reine, notre très chère épouse. Quoique l’iniquité des temps, la tyrannie des étrangers, et l’égarement d’une partie de nos sujets, nous aient mis dans la nécessité d’employer ces moyens inusités, nous espérons que cette démarche convaincra le monde, à la confusion de nos ennemis, de la sincérité et de la candeur de notre conduite. Ne doutant pas que vous ne vous rendiez à cette invitation, nous vous saluons sincèrement. Donné en notre Cour de Saint-Germain, le 8 avril 1692, la huitième année de notre règne. »
Ces lettres furent adressées aux duchesses de Sommerset et de Beaufort, à ladys Derby, Mulgrave, Rutland, Danby, Nottingham, Brooks, [p. 280] Lumley, Fitzharding et Fretzwell, à sir John Trevor, orateur de la chambre des communes, et à sa femme, à ladys Seymour, Musgrave, Blunt, Guise et Foly, à la femme du maire de Londres, aux femmes des deux shériffs, et au docteur Hugh ; mais le prince d’Orange, qui avait obtenu tout ce qu’il attendait de cette infâme calomnie, s’embarrassait alors assez peu qu’on jugeât la chose vraie ou fausse. Au lieu donc de faire ce qu’il fallait pour éclairer le monde sur un point d’une si haute importance, il prit tous les soins possibles pour empêcher ces lettres d’arriver à leur adresse, et consentit si peu à donner les sauf-conduits qu’on offrait de l’autre côté, que soit qu’on en eût ou non le désir, il est certain que personne n’osa entreprendre ce voyage qui déplaisait si évidemment au prince et à la princesse d’Orange. Cela fournit, à la vérité, aux amis de Sa Majesté, l’occasion de publier les criantes injustices qu’il avait souffertes sur ce point, et sur plusieurs autres ; mais ce n’était point par des argumens et des raisonnemens que le roi pouvait espérer d’arracher son sceptre des mains de l’usurpateur ; la force seule pouvait y réussir, et Sa Majesté n’était pas encore sans espérance de se procurer celles dont il avait besoin.
[…]
[p. 306] [1692] Comme le prince de Galles avait alors près de quatre ans, le roi jugea à propos, avant de partir pour cette expédition, de le revêtir de l’ordre de la Jarretière ; il le donna en même temps au duc de Powis et au comte de Melfort. Il avait fait quelque temps auparavant le même honneur au comte de Lauzun, en récompense des services qu’il lui avait rendus en Irlande, et des secours qu’il avait prêtés à la reine pour s’échapper d’Angleterre. Après cette cérémonie, le roi partit pour Cannes en Normandie, où il arriva le 24 avril (nouveau style), accompagné du maréchal de Bellefond et suivi du duc de Berwick et de plusieurs autres officiers de distinction.
[…]
[p. 312] Après le malheureux succès de cette expédition, les troupes furent renvoyées à leurs différents postes, et le roi retourna à Saint-Germain, où Sa Majesté Très Chrétienne, avec sa générosité habituelle, lui renouvela les assurances de sa protection et de son secours malgré ce malheur et tous les autres. Pour montrer d’ailleurs qu’il n’était ni découragé ni ruiné par cette perte, le roi de France ordonna, malgré les dépenses de la guerre, qu’on reconstruisît autant de vaisseaux qu’il lui en avait été brûlé. En effet, dans le cours d’une année, on les eut reconstruits de la même grandeur et du même chargement : ce qui fit hautement admirer la richesse, la puissance et l’administration financière de son royaume.
Un mois après que le roi fut revenu de La Hogue, la reine mit en monde une princesse : ce qui leur fit éprouver au moins les consolations domestiques. Elle fut baptisée sous le nom de Louise Marie et tenue sur les fonts par le roi Très Chrétien ; la cérémonie fut faite avec beaucoup de magnificence et de solennité. Personne n’était venu d’Angleterre pour se rendre à l’invitation du roi ; mais la reine eut à ses couches, outre les princesses et les principales dames de la cour de France, le chancelier, le premier président [p. 313] du parlement de Paris, l’archevêque, etc. ; on y appela aussi la femme de l’ambassadeur du Danemarck, madame Meereroon, comme une personne dont le témoignage devait avoir du poids auprès de la nation anglaise ; et, bien que contraire au parti du roi, elle ne put refuser, d’après le témoignage de ses propres yeux, d’avouer le ridicule de ces fausses et malveillantes insinuations qui lui avaient causé tant de mal.
Les continuelle contrariétés qu’avait subies le roi l’avaient tellement dépouillé de toute pensée de bonheur en ce monde qu’il ne s’occupait guères plus que d’assurer sa félicité dans l’autre, auquel il voyait bien que la Providence voulait le conduire par la voie de l’affliction et des souffrances, la plus sûre de toutes, surtout pour ceux que pénètrent de douleur et d’aversion le souvenir de leurs fautes passées. Le roi était trop humble pour ne pas reconnaître les siennes, et trop juste pour ne pas penser qu’il dût en être puni. Il accepta donc de bon cœur et avec joie les châtimens qu’il plut à Dieu de lui envoyer, et en ajouta même de son choix, qu’il eût poussés à l’excès si la prudence de son directeur n’eût pris soin de modérer son zèle. Cela ne l’empêcha pourtant pas de profiter, comme il le devait, de toutes les occasions que pouvait lui offrir la Providence de rentrer dans ses droits. Il avait comment appliquer aux peines la patience, aux mauvais [p. 314] succès la persévérance. Le dernier échec qu’il avait éprouvé ne l’empêcha donc pas de continuer sa correspondance avec ses partisans d’Angleterre qui, surtout avant l’affaire de La Hogue, étaient ou se disaient fort nombreux, non seulement parmi les personnes du premier rang, mais même parmi les employés du gouvernement : peut-être étaient-ils moins animés par un pur zèle pour le rétablissement du roi, qu’effrayés de la perspective d’une guerre interminable et d’un gouvernement sans stabilité, tel qu’ils devaient l’attendre jusqu’à ce que les choses eussent repris leur cours naturel. Ils voyaient le roi Très Chrétien épouser sincèrement les intérêts de Sa Majesté, et ses derniers succès contre les forces unies de toute l’Europe, interrompus seulement par sa dernière défaite, montraient ce qu’il était capable de faire, même lorsqu’il avait à lutter contre un si grand nombre d’ennemis ; et à plus forte raison ce qu’on en devait attendre, si quelque accident venait à rompre l’alliance qui, formée de tant de pièces différentes, ne pouvait, selon toute apparence, durer longtemps. Voyant donc quelque apparence qu’ils seraient un jour forcés de retourner à leur devoir, plusieurs d’entre eux pensaient qu’il valait beaucoup mieux y revenir volontairement, et en offrant au roi de certaines conditions, s’assurer des garanties contre ce qu’ils croyaient avoir à craindre pour la religion, les lois et la liberté, mais [p. 315] même obtenir du roi sur ces divers points de nouvelles concessions que l’état fâcheux de ses affaires pouvait le disposer à leur accorder.
[…]
[p. 426] [1697] Aussitôt après la paix, le prince d’Orange ayant envoyé en France son favori Bentinck en qualité d’ambassadeur, celui-ci saisit cette occasion de pousser à de nouvelles rigueurs contre Sa Majesté. Il paraît que, dans la première conférence qui avait eu lieu avant les négociations entre ce ministre et le maréchal de Boufflers, il avait insisté pour que le roi fut éloigné de France, mais Sa Majesté Très Chrétienne avait coupé court à cette demande, en disant que si le prince insistait sur cet article, il renoncerait à toute pensé de négocier avec lui. Il n’en fut donc pas question à Riswick ; mais le prince d’Orange, [p. 427] après le succès de ces négociations, crut ne devoir désespérer de rien et ordonna à Bentinck de renouveler ses sollicitations sur ce point. La mauvaise conscience du prince et de son parti ne pouvait supporter de voir de si près celui dont la présence leur reprochait leur injustice et leur infidélité et demeurait suspendue sur leur tête comme un nuage annonçant la tempête. Mais Sa Majesté Très Chrétienne fut inébranlable sur ce point : Elle regardait son honneur comme trop engagé pour le laisser ainsi fouler aux pieds par l’usurpateur ; elle ne s’était déjà que trop abaissée [p. 428] devant lui, et l’on s’était étonné qu’il lui inspirât tant de crainte. Ce ne pouvait être que par ce motif qu’Elle s’abstint de demander le douaire de la reine ; car, puisque le peuple d’Angleterre avait traité son roi avec si peu d’égards que de la regarder comme mort pour le paix, la conséquence était que la reine avait droit au moins à son douaire, dont, par les lois d’Angleterre, elle avait le privilège de jouir même pendant la vie du roi. Il n’y avait pas de réponse à faire à cela : ainsi par un article secret on convint de le lui payer. La chose fut confirmée dans le suivant parlement, tellement qu’une somme d’argent fut en secret affectée à cet emploi ; mais lorsqu’on en vint à toucher cette somme, le prince d’Orange éleva de nouvelles difficultés et de nouvelles demandes, et particulièrement celle d’éloigner le roi de Saint-Germain. Bentinck prétendait que le maréchal de Boufflers y avait secrètement consenti : le maréchal le niait positivement. Quoi qu’il en soit, Sa Majesté Très Chrétienne était si peu disposée à discuter ce point avec le prince, qu’Elle aima lieux lui laisser cet argent entre les mains comme un prix de sa complaisance que de risquer de l’exaspérer en le pressant trop vivement sur un point qu’il n’avait pas l’intention d’accomplir. Le roi et la reine eurent donc la mortification de vivre entièrement des bienfaits d’un prince étranger, et dans la même [p. 429] dépendance sur tous les points que s’ils eussent fait vœu de pauvreté et d’obéissance.
Le bill de bannissement, qui suivit immédiatement la paix, fut pour le roi un nouveau sujet de chagrin qui augmenta de beaucoup ses charges. Le parlement d’Angleterre passa un acte qui non seulement déclarait crime de haute trahison toute correspondance avec le roi, mais contraignait même tous ceux qui avaient été à son service ou étaient seulement venus en France depuis la révolution, si ce n’est avec un passeport du gouvernement à quitter à jour fixe tous les Etats de la Grande Bretagne, sous peine d’être accusés de haute trahison, ex post facto, et sans aucun moyen d’y échapper. Jamais aucun gouvernement n’avait rien fait d’aussi cruel ni d’aussi injuste. Le roi avoua que ce chagrin passait pour lui tous les autres. Il sentait que les souffrances qui lui étaient personnelles n’approchaient pas du châtiment qu’avaient pu à juste titre lui mériter ses désordres passés ; mais voir ses loyaux sujets traités de la sorte en raison de la fidélité qu’ils lui avaient témoignée, c’était pour lui une peine qu’un secours extraordinaire de la grâce pouvait seul le mettre en état de supporter. Les nouvelles d’Irlande lui étaient également douloureuses : le prince d’Orange, malgré toutes ses belles protestations aux princes confédérés, avait, même durant le cours des conférences [p. 430] de Riswick, fait rendre en Irlande une nouvelle loi pour l’extinction totale du papisme, ordonnant entre autres articles le bannissement de tous les ecclésiastiques réguliers. M. de Ruvigny, qui commandait dans le pays, ne manqua pas de mettre l’ordre à exécution. Ils arrivèrent donc bientôt en France en foule ; il en vint plus de quatre cents dans l’espace de quelques mois. La nécessité de secourir leur détresse et celle de tous les autres catholiques, que les bills de bannissement faisaient sortir du royaume, augmenta, comme on l’a dit, de beaucoup les charges du roi. Il eut le chagrin, après leur avoir distribué jusqu’à son nécessaire, d’en voir un grand nombre prêts à périr de besoin sans qu’il fut en son pouvoir de les secourir.
[…]
[p. 440] Mais quoiqu’il ne craignit pas de publier ses désordres passés, il faisait tout ce qu’il pouvait pour cacher sa pénitence. La reine disait ne l’avoir jamais vu si confus qu’une fois qu’elle avait, par hasard, aperçu sa discipline. Il avait [p. 441] donc soin que sa conduite, aux yeux du monde, parût autant que possible telle qu’elle avait toujours été. Il entretenait ses sujets et les personnes de la cour de France avec la même affabilité et le même enjouement qu’à l’ordinaire, continuait d’aller à la chasse, et, de peur de singularité ou d’affection, n’évitait point les divertissemens de la Cour, tels que bals et autres, lorsqu’il y était invité ; mais il était loin de les chercher, non plus qu’aucun de ceux qu’il pouvait éviter sans inconvénient, car, bien que cela passe par des amusemens nécessaires, il pensait autrement et aurait voulu que l’autorité publique retranchât tous ces dangereux divertissemens, comme le jeu, l’opéra, la comédie et autres semblables, et ceux qui n’auront pas lu ce qu’il a écrit sur ce sujet, ne sauraient s’imaginer à quel point il s’élève judicieusement contre de tels plaisirs.
[…]
[p. 447] Ainsi ce pieux prince sanctifiait-il ses souffrances et en faisait les germes féconds d’une immortalité bienheureuse. Elle commençait à s’approcher de lui ; car, le 4 mars 1701, il se trouva mal [p. 448] dans la chapelle ; cependant, revenant à lui peu de temps après, il parut, au bout de huit jours, parfaitement rétabli ; mais huit jours après il fut frappé d’une attaque de paralysie comme il s’habillait. Il eut un côté tellement frappé qu’il avait de la peine à marcher, et perdit, pour quelques temps, l’usage de la main droite ; mais les ventouses, l’émétique, etc., el lui rendirent, et il put recommencer à marcher assez bien. Les médecins jugeant que les eaux de Bourbon le rétabliraient parfaitement, il y alla environ trois semaines après. A son retour il ne boitait presque plus, mais il se plaignait d’une douleur dans la poitrine et crachait de temps en temps le sang. Cela avait commencé même avant son départ pour Bourbon, et donna lieu de craindre que l’émétique, qui pouvait lui avoir été bon pour sa paralysie, n’eût occasionné une lésion au poumon. [p. 449] Cependant il parut recouvrer des forces ; il prit l’air comme à l’ordinaire, et monta quelquefois à cheval ; mais le vendredi, 2 septembre, il fut pris dans la chapelle d’un évanouissement semblable au premier. Il revint à lui lorsqu’on l’eut transporté dans sa chambre. Ce fut une cruelle vue pour la reine désolée, d’autant qu’il retomba évanoui dans ses bras une seconde fois. Il fut cependant assez bien le lendemain ; mais le dimanche il tomba dans un nouvel évanouissement et fut quelque temps sans mouvement. Enfin on lui ouvrit la bouche de force et il vomit une grande quantité de sang, ce qui jeta dans le dernier effroi la reine et tous ceux qui étaient là, excepté lui. Ses longs désirs de la mort lui en avaient rendu la pensée si familière, qui ni les terreurs, ni les tourmens qui accompagnent son approche, ne lui donnèrent la moindre anxiété ni le moindre trouble. Il n’eut pas besoin de l’exhorter à se résigner ni à se préparer comme il le devait ; ce fut la première et l’unique chose dont il s’occupa. La veille précisément du jour de son attaque, il avait fait une confession générale. Aussitôt que son vomissement eut cessé, il pria son confesseur d’envoyer chercher le Saint-Sacrement, et, pensant qu’il n’avait pas longtemps à vivre, l’engagea à se presser, lui recommandant d’avoir soin de ne manquer à aucun des rites de l’Eglise. En même temps, il envoya chercher le prince son [p. 450] fils, qui, au moment où il entra, voyant le roi pâle et l’air mourant, et le lit couvert de sang, laissa éclater, ainsi que tout ce qui l’entourait, la plus violente douleur. Le roi, lorsqu’il arriva au chevet de son lit, étendit, avec un air de satisfaction, ses bras pour l’embrasser, et lui parlant avec une force et une véhémence proportionnée à son zèle et à l’état de faiblesse où il se trouvait, le conjura d’adhérer fermement à la religion catholique, quoi qu’il pût en arriver, d’être fidèle au service de Dieu, respectueux et obéissant envers la reine, la meilleure des mères, et à jamais reconnaissant envers le roi de France, à qui il avait les plus grandes obligations. Ceux qui se trouvaient là, craignant que la vivacité et la ferveur avec lesquelles il parlait ne lui fissent mal, engagèrent le prince à se retirer. Le roi en fut chagriné, et dit : « Ne m’ôtez pas mon fils jusqu’à ce que je lui aie donné ma dernière bénédiction ». Lorsqu’il la lui eut donnée, le prince retourna à son appartement, et on amena près de son lit la petite princesse, à qui il parla dans le même sens. Elle, en même temps, par l’abondance de ses innocentes larmes, montrait combien elle était sensiblement touchée de l’état de faiblesse où elle voyait le roi son père. Non content d’avoir parlé à ses enfans, il fit, avec la plus grande ferveur et toute la piété imaginable, une sorte de courte exhortation à tous ceux qui [p. 451] l’entouraient, et surtout à lors Middleton et à ses autres serviteurs protestans, qu’il exhorta à embrasser la religion catholique. Il apporta dans cette exhortation tant de force et d’énergie qu’il leur fit beaucoup d’impression ; et il leur dit qu’ils pouvaient croire sur l’assurance d’un mourant, que lorsqu’ils se trouveraient dans le même état que lui, ils éprouveraient une grande consolation d’avoir suivi son exemple et ses avis.
Lorsqu’il vit arriver le Saint-Sacrement, il s’écria : « L’heureux jour est enfin venu ! » puis il se recueillit pour recevoir le saint viatique. Le curé s’approcha de son lit, et, selon la coutume en pareille occasion, lui demanda s’il croyait en la présence réelle et substantielle du corps de Notre Seigneur dans le Saint-Sacrement ? A quoi il répondit : « Oui, j’y crois de tout mon cœur » ; puis, ayant passé quelques momens dans un recueillement spirituel, il désira recevoir le sacrement de l’extrême-onction, et porta dans toutes ces cérémonies une piété exemplaire, et une singulière présence d’esprit.
Il ne pouvait y avoir de meilleures occasions de déclarer publiquement qu’il mourrait en parfaite charité avec tout le monde, et qu’il pardonnait du fond de son cœur à tous ses ennemis ; et, de peur qu’on ne pût douter de sa sincérité à l’égard de ceux dont il avait plus à se plaindre que des autres, il nomma spécialement le prince d’Orange, [p. 452] la princesse Anne de Danemarck sa fille, et, s’adressant à son confesseur d’une manière encore plus particulière, lui dit : « Je pardonne aussi de tout mon cœur à l’Empereur ». Mais, dans la vérité, il n’avait pas attendu ce moment pour accomplir le devoir chrétien du pardon des injures. Son cœur avait été si éloigné de tout ressentiment qu’il regardait ceux qui les lui avaient fait subir comme ses plus grands bienfaiteurs, et déclarait souvent qu’il avait plus d’obligations au prince d’Orange qu’à qui que ce fût au monde. Pendant tout ce temps, la pauvre reine, hors d’état de se soutenir, était tombée à terre auprès du lit, en bien plus grande angoisse que lui, et autant que lui privée de toute apparence de vie. Le roi fut sensiblement touché de l’excès de sa douleur, et parut en souffrir plus que de toute autre chose. Il lui dit tout ce qu’il put pour la consoler et l’engager à se résigner en ceci, comme elle le faisait en toute autre chose, à la volonté de Dieu ; mais elle demeura inconsolable jusqu’à ce que, voyant un mieux sensible, et le roi ayant bien passé la nuit, il lui parut que son état n’était pas désespéré, et qu’on pouvait concevoir quelque espoir de guérison.
Le lendemain, Sa Majesté Très Chrétienne vint voir, et descendit comme tout le monde à la porte du château, pour éviter à Sa Majesté le bruit de la voiture. Le roi la reçut avec autant [p. 453] d’aisance et d’affabilité qu’à l’ordinaire. Il était mieux ce soir-là, et quoique dans la nuit suivante il se trouvât de nouveau assez mal, le mercredi ayant rendu beaucoup de sang par en bas, il fut soulagé, la fièvre tomba et l’on eut de grandes espérances de voir son état s’améliorer. Le dimanche Sa Majesté Très Chrétienne lui fit une seconde visite. Il la reçut, ainsi que les princes et les personnes de distinction qui venaient sans cesse le voir, avec autant de présence d’esprit et de civilité, que s’il n’eût senti aucun mal. Mais le lundi, il tomba dans l’assoupissement, et tout espoir de rétablissement s’évanouit. La reine était près de lui quand la maladie commença à tourner ainsi ; ce fut pour elle une sorte d’agonie. Le roi le vit et en fut touché, et, malgré l’état d’affaiblissement où il se trouvait, il lui dit : « Madame, ne vous affligez pas, je vais, j’espère, à la félicité ». A quoi la reine répondit : « Sire, je n’en doute pas. Aussi n’est-ce pas votre situation que je déplore, c’est la mienne ». Alors, surmontée par la douleur, elle fut au moment de s’évanouir. Le roi, s’en apercevant, la pria de se retire, et ordonna à ceux qui se trouvaient présens de la conduire à sa chambre. Après quoi l’on commença les prières des agonisans. Le roi demeura cependant à peu près dans le même état toute la nuit, durant laquelle il reçut de nouveau le Saint-Sacrement, avec la piété la [p.454] plus exemplaire. Il renouvela sa déclaration de pardon, nommant à haute voix le prince d’Orange, la princesse Anne sa fille, et l’Empereur ; il dit qu’il désirait qu’ils sussent qu’il leur pardonnait. Les médecins lui avaient pendant tout ce temps fait prendre du quinquina, et, quoique ce fût la chose au monde qu’il eût le plus en aversion, il ne refusa jamais de le prendre. Ils jugèrent à propos de lui mettre les ventouses en plusieurs endroits, ce qui le tourmenta beaucoup ; cependant il le souffrit sans jamais se plaindre, et sans en montrer la moindre déplaisance, non plus que de rien de ce qu’ils lui ordonnaient. Ce n’était ni l’espoir de guérir, ni la crainte de la mort qui l’engageaient ainsi à se soumettre. Il désespérait de sa guérison et souhaitait de mourir ; mais il croyait que la perfection était dans l’obéissance, et que sa patience à souffrir ces remèdes inutiles à son corps tournerait au profit de son âme.
Il passa toute la journée du lendemain dans le même assoupissement. Il ne parut prendre garde à rien, excepté lorsqu’on disait les prières ; il y était toujours attentif, et par le mouvement de ses lèvres semblait lui-même prier continuellement. Le mardi 13, vers trois heures, Sa Majesté Très Chrétienne vint une troisième fois, et lui déclara ses résolutions à l’égard du prince : elle ne lui en avait rien dit dans sa première visite, et n’avait même encore rien déterminé à cet égard. [p. 455] Mais, voyant le roi à l’extrémité, elle avait jugé devoir prendre un parti, et avait assemblé son conseil. La plupart de ceux qui le composaient craignaient que si, après la mort de Sa Majesté, le roi de France reconnaissait le prince pour roi d’Angleterre, cela ne plongeât la nation dans une nouvelle guerre, dont elle avait la plus grande terreur. On chercha donc des expédiens pour éloigner au moins la chose ; mais le Dauphin, le duc de Bourgogne et tous les princes trouvèrent si injuste et si contraire à la dignité de la couronne de France d’abandonner un prince de leur sang qui demandait et méritait à si juste titre leur protection, qu’ils furent tous d’avis contraire ; et comme le Roi Très Chrétien en jugeait de même, il était venu pour le déclarer à Sa Majesté. Il alla d’abord trouver la reine, et l’informa de sa résolution, ce qui lui donna quelques consolations dans la profonde affliction où elle était plongée. Il envoya ensuite chercher le prince, et lui promit que s’il plaisait à Dieu d’appeler à lui le roi son père, il lui en servirait. Le prince exprima sa reconnaissance d’une faveur si signalée, et lui dit qu’il le trouverait aussi soumis et aussi respectueux que s’il était son fils. Après quoi il retourna dans [p. 456] son appartement. Sa Majesté Très Chrétienne entra alors chez le roi, et, s’approchant de son lit, lui dit : « Sire, je suis venu savoir comment se trouve aujourd’hui Votre Majesté » ; mais le roi, qui n’entendit pas, ne fit pas de réponse. Un de ceux qui étaient auprès de lui lui dit que le roi de France était là ; alors il se souleva en disant : « Où est-il ? » et commença à le remercier de toutes ses bontés, et particulièrement du soin et de l’attachement qu’il lui avait témoignés durant sa maladie ; à quoi Sa Majesté Très Chrétienne répondit : « Sire, cela ne vaut pas la peine d’en parler, j’ai à vous dire quelque chose de plus important ». Alors ceux qui entouraient le roi, supposant que le roi de France voulait lui parler en secret, parurent vouloir se retirer, car la chambre était pleine de monde. Sa Majesté Très Chrétienne s’en apercevant dit fort haut : « Que personne ne s’en aille », puis continua ainsi : « Je suis venu, Sire, pour vous faire connaître que lorsqu’il plaira à Dieu d’appeler à lui Votre Majesté, je prendrai votre famille sous ma protection, et traiterai votre fils, le prince de Galles, comme je vous ai traité, le reconnaissant pour roi d’Angleterre comme il le sera alors ». A ces paroles, tous ceux qui étaient là, tant Français qu’Anglais, fondirent en larmes, ne pouvant autrement exprimer le mélange de joie et de douleur qui s’était si singulièrement [p. 457] emparé d’eux. Quelques uns cependant se jetèrent aux pieds de Sa Majesté Très Chrétienne ; d’autres par leurs gestes et leur maintien, beaucoup plus expressifs en certains cas que ne pourraient l’être des discours, exprimèrent leur reconnaissance pour une action si généreuse. Sa Majesté Très Chrétienne en fut si touchée qu’Elle ne put elle-même s’empêcher de pleurer. Le roi s’efforçait, pendant ce temps, de dire quelque-chose ; mais le bruit était trop grand dans sa chambre, et il était trop faible pour se faire entendre. Sa Majesté Très Chrétienne prit alors congé et s’en alla. En retournant à sa voiture, elle appela l’officier de garde chez le roi et lui ordonna, aussitôt que le roi serait mort, de faire auprès du prince de Galles le même service, et de lui rendre les mêmes honneurs qu’au roi son père.
Le lendemain, le roi se trouvant un peu mieux, on permit au prince de venir le voir, ce qu’on ne lui permettait pas souvent, parce qu’on avait remarqué que lorsque le roi voyait son fils, cela lui donnait une émotion capable, à ce qu’on [p. 458] craignait, de lui faire mal. Aussitôt que le prince entra dans la chambre, le roi, étendant les bras vers lui pour l’embrasser, lui dit : « Je ne vous ai pas vu depuis la visite de Sa Majesté Très Chrétienne, et la promesse qu’Elle m’a faite de vous reconnaître après ma mort. J’ai envoyé lord Middleton à Marly pour l’en remercier ». C’était ainsi que ce saint roi parlait de l’approche de sa mort, non seulement avec indifférence mais avec satisfaction, depuis qu’il savait que son fils et sa famille n’en souffriraient pas, et se préparait à la recevoir, s’il était possible, avec plus de joie encore qu’auparavant. Cette heure bienheureuse était peu éloignée, car le jour suivant il s’affaiblit beaucoup, fut pris de continuelles convulsions ou tremblement dans les mains, et le lendemain vendredi 16 septembre, vers trois heures de l’après-midi, rendit son âme pieuse entre les mains de son Rédempteur, à l’heure même de la mort de notre Sauveur, à laquelle il avait toujours eu une dévotion particulière pour obtenir une heureuse mort.
Il serait sans fin de rapporter tous les exemples qu’il donna, durant sa maladie, d’une dévotion et d’une piété exemplaire. Il ne cessa pas de prier aussi longtemps qu’il en eut la force, et lorsque tombé dans l’assoupissement il semblait d’ailleurs ne prendre gade à rien, il parut par ses réponses et par la manière dont il suivant les [p. 459] prières, que son assoupissement ne s’étendait pas jusque-là ; et quoiqu’à la fin il eût presque toujours les yeux fermés pendant la messe qu’on disait tous les jours dans sa chambre, il se montra aussi vigilant et aussi attentif que s’il eût été en parfaite santé, et cela jusqu’au jour même de sa mort. Il ne se plaignit jamais d’aucun remède ni d’aucune opération, quoiqu’il eût un extrême dégout pour le quinquina, et que les ventouses le fissent beaucoup souffrir. Il se soumit entièrement aux volontés des médecins ; seulement il disait quelquefois que si ce n’avait pas été pour l’amour de la reine et de son fils, il n’eût pas consenti à tant souffrir pour une chose dont il se souciait si peu.
Il demeura ainsi quinze jours entre la vie et la mort. Le triste maintien de ceux qui entouraient continuellement son lit eût élevé dans l’âme d’un homme de moindre foi de terribles craintes sur le coup fatal qui s’approchait ; mais il parut, durant tout ce temps, indifférent à ce qui se passait, si ce n’est qu’il s’efforçait d’employer avec plus de ferveur que de coutume les précieux momens qui lui demeuraient encore pour travailler à son bonheur éternel. Ainsi, tandis que ses forces déclinaient, la foi et la piété semblaient l’animer au-dessus des forces de la nature. Jusqu’au dernier moment, le nom de Jésus l’avait éveillé de sa mortelle léthargie ; sourd [p. 460] en apparence à tout le reste, il entendait toutes les prières, en même temps qu’il supportait les souffrances qi précèdent la mort comme si son corps avait perdu toute sensation ; car, lorsqu’on lui demandait comment il se trouvait, il répondait toujours qu’il était bien, et à la civilité, à l’aisance avec lesquelles il recevait les princes et gens de qualité qui venaient sans cesse lui rendre visite, on eût cru effectivement qu’il en était ainsi. L’avant-veille de sa mort, la duchesse de Bourgogne étant chez lui, il ne voulut pas qu’elle s’approche de son lit à cause de la mauvaise odeur. Le jour suivant, paraissant déjà à l’agonie, il souleva encore sa tête pour saluer le duc de Bourgogne, et en fit autant à quelques autres personnes. Enfin, tant qu’il eut l’usage de la parole, il l’employa à prier Dieu, à pardonner à ses ennemis et à proférer sa profession de foi, comme il le fit trois jours avant sa mort, avec toute la fermeté et la ferveur imaginables, en présence du nonce du pape, qui l’était venu voir. Il exhorta continuellement ses sujets, ses serviteurs, mais surtout ses enfans, à servir Dieu, et à ne se laisser entraîner par aucune considération terrestre à abandonner la vraie religion et les voies de la vertu. Quand il lui devint pénible de parler, on continua de voir par ses gestes et même son silence, que son esprit était fixé sur Dieu, et qu’il conservait sa connaissance en [p. 461] quelque sorte jusqu’au dernier moment ; il parut, au mouvement de ses lèvres, qu’il pria jusqu’au moment où son âme se sépara de son corps. La reine, qui durant sa maladie avait été elle-même dans une continuelle agonie, lorsqu’elle apprit qu’il venait de rendre le dernier soupir, fut également prête à expirer ; car jamais on n’avait vu un plus parfait exemple d’affection conjugale que dans cette vertueuse princesse : aussi le tourment que lui causa la séparation fut-il inexprimable ; elle ne semblait vivre que lorsqu’il y avait quelque espérance de guérison, et lorsque cette espérance fut perdue, elle s’abandonna à un tel excès de douleur qu’elle méritait réellement plus de compassion que le roi qui, par une vie sainte et sanctifiée, avait heureusement terminé une vie de mortification et de dévotion chrétienne. Elle se rendit sur le champ à Chaillot, couvent de religieuses, où elle avait coutume de faire de fréquentes retraits, pour y pleurer dans l’amertume de son âme la perte qu’elle venait de faire et demander des consolations à celui qui lui avait envoyé l’affliction, et pouvait seul lui donner les moyens de les supporter. Dès que la première angoisse de sa douleur fut apaisée, elle ne manqua pas d’obéir au dernier commandement du feu roi, et écrivit à la princesse de Danemarck la lettre suivante :
« Je regarde comme un devoir indispensable [p. 462] de m’acquitter, sans plus tarder, de la commission que m’a laissée pour vous le meilleur des hommes et le meilleur des pères. Peu de jour avant sa mort, il me chargea de trouver les moyens de vous faire connaître qu’il vous pardonnait du fond du cœur tout ce qui s’était passé, et priait Dieu de vous le pardonner également ; qu’il vous donnait sa dernière ; et priait Dieu de convertir votre cœur et de vous confirmer dans la résolution de réparer envers son fils le tort qui lui a été fait à lui-même. J’ajouterai seulement que je joins de tout mon cœur mes prières aux siennes, et que je mettrai toute mon application à inspirer au jeune homme laissé à mes soins les sentimens de son père, car personne n’en saurait avoir de meilleurs. 27 septembre 1701. »
On ne saurait douter que la princesse de Danemarck ne fut touchée cette lettre ; elle était ou prétendait être depuis longtemps disposée à réparer, jusqu’à un certain point, les torts qu’on avait eus envers son père ; mais le prince d’Orange étant mort peu de temps après, l’ambition étouffa les bonnes semences qu’eussent peut-être pu faire germer en son sein les charitables et pieuses exhortations de son père mourant, et effaça le souvenir de toutes les protestations qu’elle avait faites de réparer des injustices reconnues par elle-même au moment où elle se trouvait dans l’affliction, [p. 463] mais qu’elle oublia lorsque son tour vint de recueillir les fruits de la commune désobéissance.
Le corps du roi demeura exposé vingt-quatre heures dans la chambre où il était mort. On chanta toute la nuit près de lui l’office des morts, et toute la matinée on dit des messes à deux autels élevés des deux côtés de la chambre. Telle avait été pendant sa vie son humilité, qu’il avait résolu qu’elle le suivrait au tombeau, et avait ordonné, par son testament, qu’on enterrât son corps dans la paroisse sur laquelle il mourrait, sans plus de dépenses qu’on n’avait coutume d’en faire pour un simple particulier. Il ne voulait, pour tout monument et pour toute inscription, qu’une simple pierre avec ces paroles : Ci-git le roi Jacques. Il avait informé le curé de ses intentions, et lui avait ordonné d’insister pour qu’elles fussent accomplies ; mais Sa Majesté Très Chrétienne dit que c’était la seule chose qu’il ne pût lui accorder. Il fut donc embaumé dans la soirée : une partie de ses entrailles fut portée à l’église de la paroisse, et le reste au collège anglais à Saint-Omer. La cervelle et la partie charnue de tête furent placées au collège écossais de Paris, où le duc de Perth fit élever, à ses frais, un beau monument, témoignant combien le collège se sentait heureux de posséder ces précieuses
[p. 464] Sitôt que la distribution en eût été faite, et que tout fut prêt pour emporter son corps, on partit vers sept heures du soir pour l’église des Bénédictins anglais de Paris. Le cortège était composé du duc de Berwick, du comte de Middleton, des chapelains de Sa Majesté, et de quelques autres de ses domestiques. Partout sur son passage il était accompagné des pleurs et des lamentations non seulement des sujets du roi, mais des habitans des lieux qu’il traversait. On laissa son cœur à Chaillot, comme il l’avait ordonné, et on s’arrangea pour n’y être que vers minuit, afin que la reine n’entendit pas le bruit et ne sut pas l’heure de l’arrivée, et de lui épargner un surcroît de douleur qui aurait fait saigner de nouveau ses blessures si récentes ; mais ni silence de la nuit, ni la précaution qu’on avait prise de cacher l’heure à la reine ne l’empêchèrent d’éprouver une sorte de pressentiment de ce qui allait se passer, et, quoiqu’elle ne le sût pas certainement, elle demeura tout le temps de la cérémonie dans l’angoisse et la douleur. Le secret qu’on avait gardé n’empêcha pas le peuple de se porter en foule à sa rencontre dans les rues de Paris, montrant, par des expressions à la fois de joie et de douleur, l’affliction que causait sa mort et la satisfaction de conserver ces précieuses reliques. Lorsqu’on fut arrivé au couvent, le docteur Ingleton, aumônier de la reine, remit son corps au [p. 465] prieur, et prononça un discours latin élégamment écrit, ainsi qu’il l’avait fait en déposant son cœur à Chaillot. Le corps fut placé dans une des chapelles latérales de l’église pour y demeurer jusqu’à ce qu’il plaise à Dieu de disposer les Anglais à réparer en quelque sorte leurs torts envers lui durant sa vie par les honneurs qu’ils jugeront à propos de lui rendre après sa mort. »

Jacques II

Mentions de Saint-Germain-en-Laye dans les mémoires du marquis de Sourches

« [tome 1, p. 48] 12 novembre 1681. Voilà dans quel état se trouvoient les affaires de France quand le Roi, songeant à venir se délasser à Saint Germain en Laye des fatigues de son voyage, partit de Soissons et, ayant diné à Verte Feuillée, vint coucher à Villers Cotterets […].
[p. 50] [13-14 novembre 1681] De Villers Cotterets, le Roi vint diner à Nanteuil, gros château qui appartient à la maison d’Estrées, et de là coucher à Dammartin, d’où il partit le lendemain de bonne heure pour venir diner au Bourget et se rendre à Saint Germain sans passer dans Paris, ce qu’il executa heureusement.
La premiere scene qui parut apres son retour à Saint Germain fut la reconnaissance des deux enfants qu’il avoit de madame de Montespan qui n’etoient pas encore connus. Le garçon se nomma M. le comte de Toulouse, la fille porta le nom de mademoiselle de Blois. […]
[p. 55] [novembre-décembre 1681] La cour étant à Saint Germain, où elle devoit passer l’hiver, commençoit à voir des comedies et des divertissements melés de musique. Mais l’inquietude qu’on eut d’une indisposition de madame la Dauphine, qui faisoit appréhender pour sa grossesse, suspendit les plaisirs des courtisans pour quelques jours, au bout desquels, la grosses de madame la Dauphine se confirmant, ils recommencerent à nouveau, et monseigneur le Dauphin, pour complaire à madame la princesse de Conti, qui aimoit la danse [p. 56] passionnément et qui y reussissoit au dessus de toutes les personnes de son siecle, dansa plusieurs entrees avec elle, et d’autres hommes et dames de la cour, dans les entr’actes des comédies de Pourceaugnac et de Jourdain.
[…]
[p. 65] 1er janvier 1682. Le premier jour de l’année 1682, le Roi fit monseigneur le Dauphin chevalier de l’ordre du Saint Esprit, avec les ceremonies accoutumées. Sa Majesté, comme grand maitre de l’ordre, assembla, selon les statuts, le chapitre dans [p. 66] son cabinet, et proposa le nouveau chevalier, qu’on n’eut point de peine à recevoir. Le Roi, ni les chevaliers, n’etoient point dans leur grand habit de ceremonie, mais seulement en habit de ville, c’est à dire en manteau noir, et les prelats en rochet et camail ; pour Monseigneur, comme c’étoit pour lui que la cérémonie se faisoit, il avoit son habit de novice. Son capot de velours noir étoit chamarré de toutes les pierreries de la Couronne, hormis d’un diamant qui se nommoit le grand Sancy ; il en avoit aussi une magnifique enseigne au retroussis de sa toque de velours. La messe fut chantée par M. l’archevêque d’Auch, commandeur de l’ordre, en présence de tous les commandeurs et chevaliers qui se trouvoient à la cour et qui purent marcher, et des grands et petits officiers de l’ordre. Les grands étoient : M. le cardinal de Bouillon, grand aumonier de l’ordre ; M. de Louvois, chancelier ; M. le president de Mesmes, prevot ou maitre des ceremonies de l’ordre ; M. de Seignelay, tresorier ; et M. de Chateauneuf, greffier ou secretaire.
Après que Monseigneur eut eté fait chevalier et qu’il en eut [p. 67] preté le serment entre les mains du Roi à la fin de la messe, il revint avec Sa Majesté, en ceremonie, comme il etoit venu, jusques à la chambre du Roi, hormis que, au lieu de son capot de velours noir chamarré de pierreries, il etoit revetu de son grand manteau de l’ordre, qu’il avoit bien de la peine à porter.
[…]
[p. 67] Janvier 1682. Cependant la cour commençait à voir les representations de [p. 68] l’opera d’Atys, dont les vers etoient de la composition de Quinault et la musique de celle de Lulli. Monseigneur le Dauphin y dansoit deux entrées avec madame la princesse de Conti ; mais cette princesse, qui en faisoit tout l’ornement, tomba malade d’une fievre continue, avec des redoublements, qui lui dura trois semaines, ce qui n’empecha pas qu’on continuat à representer l’opera, quoiqu’avec de moindres acclamations.
Peu de jours apres arriverent les ambassadeurs du roi du Maroc : ils etoient deux ambassadeurs, suivis seulement de six ou sept autres personnes. Le premier ambassadeur, qui etoit gouverneur de la province de Tetonan, etoit un homme de quarante cinq ans ; il avoit une belle physionomie et une grande barbe grise, un peu plus arrondie que n’est celle d’un capuçin. Il etoit de la race de ces Morisques qui furent chassés d’Espagne sous le regne de Philippe II, et se vantoit d’etre de la maison des fameux Abencerages. L’autre etoit gouverneur de Salé : il avoit une mine sombre et desagreable, et passoit pour un saint parmi les siens, qui disoient meme qu’il faisoit des miracles. Leurs habits n’etoient point magnifiques, n’y ayant ni or ni soir, parce que les peuples de Maroc sont les plus reformés de tous les mahometans et qu’il ne leur est permis de porter aucune etoffe de soie ni aucune chose qui soit d’or. Quand ces ambassadeurs vinrent à l’audience, les compagnies des regiments des gardes suisses et françoises n’etoient pas sous les armes, mais les armes etoient arrangées dans la cour, et les soldats se promenoient [p. 69] derriere ; les gardes de la porte etoient en haie, sans armes ; les gardes de la prevoté etoient en haie dans la cour, sans mettre leurs mousquetons à l’epaule ; les Cent Suisses etoient rangés le long du degré, sans hallebardes ; et les gardes du corps etoient sans armes en haie dans leur salle.
Le Roi reçut les ambassadeurs assis et couvert dans sa chambre, où la Reine, madame la Dauphine et Madame, suivies de toutes les dames de la cour, etoient incognito. Le premier des ambassadeurs fit en sa langue une tres courte harangue au Roi, à laquelle Sa Majesté ne repondit que par des demonstrations d’honneteté, ensuite desquelles l’ambassadeur lui presenta une lettre de la part du roi, son maitre. Ensuite les ambassadeurs s’en retournerent de la meme manière qu’ils etoient venus.
Le lendemain, on leur fit voir l’opera, dont le spectacle les surprit agreablement.
Ils proposoient une ligue offensive et defensive avec la France et ne parloient que d’entrer avec deux cent mille hommes en Espagne. On leur fit dire de traiter avec M. de Seignelay à son retour de Dunkerque, où il etoit allé voir en quel etat etoit le port, qu’on avoit extremement accomodé depuis peu. Ils avoient amené avec eux des animaux de leur pays pour en faire present au Roi, qui etoient des lions, des autruches, et entre autres une tigresse privée que tout le monde alloit voir par rareté. […]
[p. 71] Ce fut à peu près dans les mêmes jours que, monseigneur le Dauphin etant allé chasser un loup sur l’Otie, cet animal se fit chasser si longtemps et s’en alla si loin, quoiqu’on eut tiré plusieurs coups sur lui dont il etoit blessé, qu’une heure avant la nuit Monseigneur se trouva à Gisors, qui est à douze lieues de Saint Germain. Il prit donc la resolution de quitter la chasse et de s’en revenir ; mais comme son cheval etoit rendu, il prit un cheval de poste à Magny, sur lequel il arriva à Saint Germain à dix heures du soir, suivi seulement du comte de Brionne, du comte de Marsan, de Chamarande, de deux officiers de ses gardes et d’un de ses ecuyers, lesquels portoient tour à tour un flambeau devant lui ; mais comme il s’eteignit, parce qu’il pleuvoit et qu’il faisoit un vent epouvantable, ils furent obligés de se servir d’une lanterne pendant quatre lieues. M. le prince de La Roche sur Yon et M. le duc de Vendome, qui s’opiniatrerent à suivre la chasse, furent contraints [p. 72] de faire rompre les chiens à la nuit sans avoir pris le loup, se coucherent dans un village, sans avoir un seul valet avec eux, et ne revinrent à Saint Germain que le jour suivant, sur les dix heures du matin.
[…]
[p. 77] [février 1682] Les ambassadeurs du roi du Maroc ayant traité avec M. de Seignelay et ayant signé une paix pour six années, vinrent prendre leur audience de congé au Roi, en la meme manière qu’ils avoient eu leur premiere audience, et ce fut alors qu’ils amenerent leurs presents et qu’on vit leur tigresse privee dans [p. 78] la chambre de la Reine au milieu de toutes les dames de la cour.
Peu de jours apres, les deputés du clergé en corps vinrent remercier le Roi de la bonté qu’il avoit eue d’accorder à l’Eglise de France, au sujet de la regale, plus qu’elle n’avoit osé esperer. Ce fut M. l’archeveque de Paris, president de l’assemblée, qui se tenoit dans cette capitale du royaume, lequel porta la parole et fit au roi une harangue digne de son savoir et de sa reputation.
La grossesse de madame la Dauphine continuoit toujours, au grand contentement de toute la France, et le Roi, qui devoit quitter Saint Germain au deuxieme de mars pour s’aller etablir à son chateau de Versailles, avoit changé de resolution et pris le parti de n’aller à Versailles qu’apres Pâques. On croyoit meme qu’il iroit auparavant passer un mois à Saint Cloud dans la maison de Monsieur, son frere unique, comme il l’avoit fait l’année derniere.
[…]
[p. 99] 20 avril 1682. Le 20e d’avril, le Roi quitta Saint Germain, dont les batiments qu’il y faisoit [1 : Il y faisoit faire cinq pavillons en saillie, au vieux chateau bati par François Ier, pour agrandir les appartements.] commençoient de rendre le sejour incommode, et vint s’etablir à Saint Cloud, dans la belle maison de Monsieur, son frere unique, avec dessein d’y rester jusqu’à ce que tous les appartements de Versailles fussent en etat d’etre habités. Madame la Dauphine se fit apporter en chaise à Saint Cloud, de peur que le mouvement du carrosse ne fit tort à sa grossesse.
[…]
[p. 172] 21 janvier 1685. Le bruit couroit en ce temps là que le Roi iroit passer le careme à Saint Germain, au lieu de faire le voyage de Compiegne, parce qu’il avoit eu dessein d’aller de Compiegne à Luxembourg et que Vauban lui avoit assuré depuis peu que cette place ne pouvoit pas etre de longtemps en etat de lui donner du plaisir à la voir ; mais cette nouvelle paroissoit encore peu certaine.
[…]
[p. 249] 6 juin 1685. M. l’archeveque de Paris vint, à la tete du clergé de France, dont les deputés etoient assemblés depuis trois jours à Saint Germain en Laye, selon la coutume, et il fit au Roi une tres belle harangue, apres laquelle il alla en faire autant chez Monseigneur et chez madame la Dauphine.
[…]
[p. 300] 29 août 1685. Cette mort fut suivie, de bien près, de celle de M. le duc du Lude, grand maître de l’artillerie de France, chevalier des ordres du Roi et capitaine de Saint Germain en Laye. Il laissoit une grosse depouille à la nomination du Roi. Mais elle servit, des le [p. 301] meme jour, à faire voir combien il etoit avantageux d’avoir la protection de madame de Maintenon, car le Roi donna au marquis de Montchevreuil la capitainerie de Saint Germain, et comme il y avoit un brevet de cent mille livres affecté dessus, il le transferra sur la charge de grand maitre. Il lui donna aussi les coches du Pecq, que le feu duc du Lude avoit obtenus pour en jouir pendant sa vie, et qui pouvoient valoir quatre mille livres de rente. Il paya toutes ses dettes, qui pouvoient monter à cinquante mille ecus. Il donna douze mille livres de pension à son fils, avec la survivance de la capitainerie de Saint Germain ; et deux jours apres, il lui fit epouser mademoiselle de La Marseliere, fille du feu marquis de Combourg de Coetquin, laquelle devoit avoir plus de sept cent mille livres de bien.
[…]
[p. 349] 2 janvier 1686. Le deuxième de janvier, il arriva une affaire qui fut pendant quelques jours l’entretien des courtisans.
Il y avoit à Saint Germain en Laye un curé nommé Cagnyé, natif du lieu meme, et frere d’un controleur de la maison du Roi. Cet homme avoit de tres bonnes qualités, et entre autres il faisoit de grandes aumones dans sa paroisse. Cela lui avoit attiré l’amitié de la defunte reine Marie Therese d’Autriche, à la priere de laquelle le Roi lui avoit nommé une petite abbaye nommée Royalpré ; mais comme il n’en put obtenir les bulles du Pape, parce qu’elle devoit etre possedée par un religieux, il la remit entre les mains du Roi, qui tira des mains d’un nommé Sauleus [p. 350] Sibourg (Silbour de Soleux) le prieuré de Saint Germain en Laye, qui valoit quatre à cinq mille livres de rente, moyennant des pensions qu’il lui donna sur d’autres benefices, et le donna au curé.
Quand il fut en possession, comme ce benefice avoit de fort beaux droits, il les soutint peut etre avec un peu trop de vigueur, et meme il plaida contre le Roi pour la seigneurie de la meilleure partie de Saint Germain en Laye, et contre les marguilliers de la paroisse, pretendant etre seigneur spirituel et temporel de l’eglise.
Les plaintes, qui en furent portées au Roi par un d’entre eux, nommé Antoine, qui avoit eté garçon de sa chambre et etoit alors son porte arquebuse, et les autres qui lui furent faites par plusieurs de ses officiers, obligerent Sa Majesté de renvoyer tous ces differends au jugement de M. l’archeveque de Paris. Mais comme il trouva beaucoup de difficultés à les terminer, le Roi trouva un expedient, pour n’en entendre plus parler de sa vie, qui fut de tirer du curé la demission de sa cure et de son prieuré, moyennant deux abbayes qu’il lui donna, lesquelles valoient douze mille livres de rente.
Le Roi, en faisant cela, avoit le dessein de dedommager l’abbé de Coulombs, qui etoit presentateur du prieuré et de la cure de Saint Germain, et s’attribuer la presentation à la cure et du prieuré avec tels droits qu’il jugeroit à propos ; ce qu’il pouvoit aisement faire dans toutes les regles prescrites par les canons.
La chose etant en cet etat, les habitans de Saint Germain apprirent que leur curé les alloit quitter, et comme ils lui etoient fort affectionnés, ils en furent touchés sensiblement.
Le vicaire, qui se nommoit de La Vertu, voyant, le premier jour de l’an, la plupart des habitants assemblés dans l’eglise pour entendre le sermon, monta en chaire un moment avant le predicateur ; et, leur ayant exposé la grandeur de la perte qu’ils alloient faire en perdant leur curé, il leur assura que le Roi n’avoit pris la resolution de le leur oter que par les mauvais offices que des gens malintentionnés lui avoient rendus aupres de Sa Majesté, les conviant d’aller à Versailles les supplier de vouloir leur rendre leur pasteur.
[p. 351] Apres cette harangue, il s’emut un assez grand bruit dans l’assemblée, lequel ayant fait croire à la femme et aux enfants d’Antoine qu’ils n’y etoient pas en securité, ils se retirerent precipitamment de l’eglise.
Cependant, le bruit s’apaisa ; le predicateur monta en chaire, et tout le monde l’ecouta paisiblement. Mais, apres le sermon, le vicaire de La Vertu y remonta et dit au peuple que, quelque chose qui lui en put arriver, il ne l’abandonneroit point ; qu’il iroit, à sa tete, parler au Roi à Versailles et lui redemander son curé, et qu’au reste il protestoit qu’il faistoit tout cela de son propre mouvement et sans que le curé en eut parlé.
Dès le soir meme, M. de Montchevreuil, capitaine de Saint Germain, en fut averti et en rendit compte au Roi, lui assurant meme qu’il avoit des avis certains que ces habitants, mal conseillés, devoient venir en foule le lendemain l’importuner. Mais, comme il etoit tard, le Roi ne lui ordonna que d’y aller le lendemain pour y mettre ordre.
Il le fit effectivement et, y etant arrivé devant le jour, à peine y eut il eté quelques moments qu’il entendit sonner le tocsin pour l’assemblée des paroissiens. Il courut en meme temps à l’eglise et, etant venu au pied du clocher, il y trouva un pretre qui lui nia fortement que l’on sonnat par son ordre ; mais, ayant frappé inutilement à la porte du clocher, qui etoit fermée, il la fit enfoncer et monta en haut, où il arreta deux hommes qui sonnoient. Ces miserables lui dirent qu’ils le faisoient par l’ordre du pretre qu’il avoit trouvé au pied du clocher. C’est pourquoi, etant descendu et l’y ayant encore trouvé, il l’arreta et le fit conduire avec les deux sonneurs à la prison.
Cela n’empecha pas les habitants de s’assembler, et ils vinrent le meme jour à Versailles, au nombre de six à sept cents, ayant à leur tete leur vicaire et huit autres pretres. Le Roi, les ayant vus dans sa cour, envoya querir le grand prevot pour les faire arreter ; mais, s’etant trouvé incommodé et ayant envoyé un de ses lieutenants prendre l’ordre du Roi, Sa Majesté lui commanda d’en faire arreter une trentaine des plus considerables, ce qu’il executa facilement, sur le pretexte que le Roi lui avoit ordonné d’entendre leurs raisons ; et ils se battoient à qui entreroit chez lui, par preference, pour se faire arreter.
Les huit pretres furent arretés comme les autres ; mais le [p. 352] vicaire de La Vertu ne s’y trouva pas. Cependant, étant allé le lendemain à Paris chez M. l’archeveque pour se justifier, il le fit mettre à l’officialité, où le Roi envoya aussi, deux jours apres, les autres neuf pretres qui etoient arretés. En meme temps, le Roi ordonna au prevot de Saint Germain d’informer contre ceux qui avoient formenté cette sedition, resolu de les chatier, et particulierement ceux qui se trouveroient etre officiers de sa maison ; et il decreta contre deux seulement, le Roi ayant bien voulu faire mettre les autres en liberté apres deux jours de prison.
[…]
[tome 3, p. 4] 3 janvier 1689. On sut, en ce temps là, que le Roi avoit trouvé à propos de choisir son chateau de Saint Germain en Laye pour le sejour de la reine d’Angleterre, au lieu de celui de Vincennes, qu’il lui avoit destiné d’abord, quand il sut son arrivée en France.
[…]
[p. 6] 6 janvier 1689. Le 6, la reine d’Angleterre arriva à Saint Germain avec le prince de Galles, son fils ; le Roi alla au devant d’elle jusqu’aupres de Chatou, suivi d’un grand cortege de carrosses pleins de courtisans. Quand les carrosses de la reine commencerent à paraitre, le Roi descendit du sien avec Monseigneur et Monsieur, qui l’accompagnoient, et, ayant fait arrêter le premier carrosse, dans lequel etoit le prince de Galles, il embrassa plusieurs fois ce jeune prince avec beaucoup de temoignages de tendresse. Cependant, la reine d’Angleterre, ayant eté avertie que le Roi avoit mis pied à terre, descendit aussi de son carrosse, et ils marcherent au devant l’un de l’autre avec empressement.
Le Roi la salua, aussi bien que Monseigneur et Monsieur, que le Roi lui presenta, et, apres beaucoup de marques d’amitié de part et d’autre, le Roi remit la reine dans son carrosse, dans lequel il se plaça à sa gauche, malgré toute la resistance qu’elle y fit ; Monseigneur et Monsieur se mirent dans le devant du [p. 7] carrosse, et madame de Montecuculli, dame d’honneur de la reine, avec madame Powits, gouvernante du prince de Galles, dans les deux portieres. Les carrosses arriverent en cet ordre à Saint Germain, où le Roi conduisit la reine dans l’appartement qu’il lui avoit destiné, qui etoit l’appartement de la defunte Reine, sa femme, mais augmenté de beaucoup par les batiments neufs qu’il y avoit faits. Apres quelques moments de conversation, le Roi dit à la reine qu’il vouloit aller voir le prince de Galles, et, cette princesse lui ayant offert de l’y suivre, il lui donna la main et la conduisit à l’appartement du jeune prince, où, entre autres choses, elle lui dit qu’en passant la mer elle se disoit en elle-même qu’il etoit bien heureux d’etre trop jeune pour connoitre son malheur ; mais que presentement elle le trouvoit bien malheureux de n’etre pas en etat de connoitre tutes les bontés qu’il lui temoignoit. Le Roi, n’ayant oublié aucune des honnetetés qu’il pouvoit temoigner à la reine d’Angleterre, et ne doutant pas qu’elle n’eut besoin de se reposer des fatigues du voyage, prit congé d’elle et s’en revint à Versailles, d’où il luy envoya une magnifique toilette, accompagnée de six mille louis d’or qui lui etoient bien necessaires, vu le denument où elle se trouvoit de toutes choses.
Le 7, le Roi, sachant que le roi d’Angleterre devoit arriver ce jour là à Saint Germain, parce qu’il avoit pris la poste en chaise roulante, il partit aussitot apres son diner pour l’aller attendre chez la reine d’Angleterre ; il la trouva dans son lit, qui se reposoit de la fatigue du voyage, et il s’assit à sa ruelle dans un fauteuil unique qu’on y avoit mis ; pour Monseigneur et Monsieur, qu’il avoit menés avec lui, ils se tinrent debout. Ensuite, le Roi ordonna à M. le duc de Beauvilliers d’aller se mettre en quelque endroit où il put voir arriver le roi d’Angleterre, afin de le venir avertir aussitot qu’il paroitroit. Quelques temps apres, M. de Beauvilliers vint l’avertit que le roi d’Angleterre venoit d’entrer dans la cour ; en meme temps, il se leva et, faisant une reverence à la reine d’Angleterre, il marcha au devant [p. 8] du roi, son epoux, jusqu’à la porte de la salle des gardes, qui donne sur le degré, où il l’attendit environné de toute sa cour. Le roi d’Angleterre ayant monté le degré et ayant aperçu le Roi, ils coururent tous deux d’un meme temps s’embrasser, ce qu’ils firent tres longuement et avec de grandes marques de tendresse. Le Roi dit au roi d’Angleterre : « Monsieur mon frere, que j’ai de joie de vous voir ici ! Je ne me sens pas de joie de vous voir en sureté. » Le roi d’Angleterre lui repondit par un discours moins suivi et plus entrecoupé. Apres cela, le Roi lui dit qu’il vouloit le conduire chez la reine, son epouse, et, passant à toutes les portes devant lui, il le mena effectivement chez la reine et voulut absolument qu’il la saluat dans son lit en sa presence. Les deux rois demeurerent quelque temps debout dans la ruelle de son lit ; ensuite de quoi le Roi proposa d’envoyer querir le prince de Galles ; mais comme il étoit longtemps à venir, le Roi prit le roi d’Angleterre par la main et le conduisit à l’appartement du prince, son fils, lui donnant alors la main partout. Apres qu’ils eurent eté quelque temps chez le prince de Galles, le Roi prit congé du roi d’Angleterre, lequel le voulant reconduire, il ne voulut pas le souffrir et se separa de lui en lui disant : « Je suis aujourd’hui chez moi ; demain, vous serez chez vous, et vous ferez ce que vous voudrez ». Quelques heures apres, le Roi envoya aussi une toilette au roi d’Angleterre et dix mille louis d’or pour ses necessités, jusqu’à temps qu’il lui eut fait un fonds reglé, qu’on disoit devoir aller à deux millions quatre cent mille livres par ans.
Le 8 de janvier […] [p. 9] le roi d’Angleterre vint pour la premiere fois voir le Roi à Versailles, où il reçut tous les honneurs qui etoient dus à son rang. Les regiments des gardes battirent au champ ; les gardes de la porte et de la prevoté se tinrent sous les armes dans leurs postes ; les Cent Suisses borderent le degré ; les gardes du corps se posterent sous les armes, comme quand le Roi arrive. Le Roi alla au devant de lui jusqu’au delà de la salle des gardes, où il le reçut avec toute sa cour, et le conduisit jusque dans son cabinet, dans lequel il fut assez longtemps enfermé avec lui. Après cela, il le conduisit chez madame la Dauphine, où il le laissa. Le roi d’Angleterre, y ayant eté quelque temps, alla aussi voir Monseigneur, Monsieur et madame, chez tous lesquels il ne s’assit point, parce qu’on ne savoit encore comment il les voudroit traiter ; cependant, comme la chose avoit dejà eté agitée, le Roi lui en avoit fait entendre quelques mots, et il lui avoit repondu fort honnetement qu’il l’en faisoit absolument le maitre, sur quoi le Roi lui avoit reparti que, puisuq’il en usoit de cette manière avec lui, il se declaroit en sa faveur, meme contre les princes de sa maison ; et, en effet, il regla deux jours apres que le roi et la reine d’Angleterre donneroient des fauteuils à Monseigneur, à madame la Dauphine, à Monsieur et à Madame seulement, et qu’ils ne donneroient aux autres princes et princesses de la maison royale que des sieges pliants ; en quoi il sembloit que M. le duc de Chartres et les trois filles de feu M. le duc d’Orleans se trouvoient un peu lesés car, comme ils avoient partout ailleurs de grandes prerogatives au dessus des princes et princesses du sang, comme etant petit fils et petites filles de roi, on [p. 10] auroit cru qu’ils auroient aussi du avoir en cette occasion quelque marque de distinction au dessus d’eux ; mais on ne put pas trouver moyen de leur en donner, parce que les rois ne donnent en France que des fauteuils ou des sieges pliants, et qu’ils n’admettent point les chaises à dos qui n’ont point de bras, lesquelles on avoit proposées comme un temperament en cette occasion. […]
Le 9, […] les carrosses de Madame et des princesses demeurerent pendant toute l’apres dinée dans la cour du chateau de Versailles, et l’on attendoit à tout moment qu’elles partissent pour aller à Saint Germain voir la reine d’Angleterre ; mais enfin elles ne partirent point, parce qu’on ne savoit pas encore quel traitement elle voudroit leur faire. […]
[p. 11] Le 10, Madame, madame la grande duchesse, madame de Guise et toutes les princesses du sang, tant legitimes que du coté gauche, allerent à Saint Germain voir le roi et la reine d’Angleterre ; elles ne s’assirent point chez le roi, qui les reçut debout ; mais elles s’assirent chez la reine. On mit deux fauteuils aux pieds du lit, comme dans une place indifferente ; celui [p. 12] de la droite fut occupé par Madame, celui de la gauche par la reine, et toutes les princesses s’assirent à droit et à gauche sur des sieges pliants. La visite etant faite, la reine d’Angleterre reconduisit Madame jusqu’à la porte de sa chambre, comme elle etoit venue au devant d’elle jusqu’au meme endroit ; mais il y eut une chose qui scandalisa un peu les princesses, qui fut que la reine d’Angleterre fit asseoir aupres d’elle madame de Montecuculli, sa dame d’honneur. On sut, le meme jour, que le Roi avoit decidé le traitement que la reine d’Angleterre feroit aux duchesses, qui pretendoient qu’elle les baiseroit, parce qu’elle baisoit les duchesses d’Angleterre, et qu’elles seroient assises, comme elles ont le droit de l’etre en France ; mais la reine d’Angleterre leur avoit donné le choix d’etre traitées à l’angloise ou à la françoise, c’est à dire qu’elle les baiseroit et qu’elles se tiendroient debout, comme faisoient les duchesses d’Angleterre devant elle, ou bien qu’elle ne les baiseroit point et qu’elles seroient assises, comme elles l’etoient en France. Elles s’assemblerent pour deliberer sur ce choix, et, comme elles opterent d’etre traitées à la françoise, le Roi regla qu’elles ne baiseroient pas la reine d’Angleterre et qu’elles seroient assises devant elle. […]
[p. 14] [11 janvier] On disoit aussi que le roi d’Angleterre pourroit venir demeurer au chateau de Clagny, proche de Versailles, afin d’etre plus à portée de conferer tous les jours avec le Roi ; mais il n’y avoit guere d’apparence à cette nouvelle, parce que ce chateau etoit trop petit pour loger le roi avec tous ses gens, que Versailles en etoit assez eloigné pour que le roi et la reine d’Angleterre fussent incommodés si on y avoit logé leurs domestiques, outre ce qu’il en auroit couté au Roi pour les loyers, et qu’il auroit fallu deloger tous les domestiques de M. le duc du Maine et de M. le comte de Toulouse, dont le logement auroit encore couté de grandes sommes dans Versailles. […]
[p. 15] Ce fut encore le meme jour que M. l’archeveque de Paris, etant allé à Saint Germain pour faire sa cour au roi d’Angleterre, se trouva extremement mal dans sa chambre, d’où etant sorti il tomba une seconde fois en faiblesse dans la salle des gardes, mais de telle manière qu’il perdit entierement connaissance et meme qu’il eut peur de mourir. Cependant on le transporta dans un appartement, où il revint peu à peu, et le meme jour il s’en retourna à Paris. […]
Le 12, le roi d’Angleterre fit milord Powis duc, afin que sa femme, qui etoit gouvernante du prince de Galles, put etre assise devant madame la Dauphine, car pour devant la reine d’Angleterre, les duchesses angloises ne s’y asseyoient jamais ; et ceci etoit une nouveauté, parce que les duchesses [p. 16] françoises s’asseyant devant la reine d’Angleterre, elle voulut que madame Powis eut aussi le droit de s’y asseoir, seulement quand les princesses et duchesses françoises s’y trouveroient ; et à la verité milord Powis et sa femme meritoient bien ce degré d’honneyr, puisqu’ils avoient quitté, pour la religion catholique et pour suivre le roi, leur maitre, cinquante mille ecus de rente et cinq enfants qu’ils avoient laissés dans un extreme danger. […]
[p. 17] Le 13, […] Monsieur, frère, du Roi, et MM. les princes du sang allerent voir le roi et la reine d’Angleterre ; Monsieur y alla le matin, et ils lui donnerent un fauteuil, comme ils avoient fait à Monseigneur. MM. les princes y allerent l’apres dinée, et ils n’eurent que des sieges pliants.
Le meme jour encore, la reine d’Angleterre vint à Versailles voir le Roi. Il alla au devant d’elle jusqu’au haut de son grand degré, où, l’ayant reçue, il la prit par la main et la conduisit au travers de son appartement jusqu’au salon, dans lequel, s’étant chauffés quelques moments, il s’allerent asseoir dans deux fauteuils preparés à cet effet, le Roi donnant la droite à la reine d’Angleterre. Ensuite, il ordonna qu’on apportat des sieges pliants pour Monseigneur et pour Monsieur, et en fit aussi apporter pour madame de Montecuculli et pour madame la duchesse de Powis. La conversation ayant duré un gros quart d’heure de cette manière, la reine se leva, et le Roi lui donna la main pour la mener chez madame la Dauphine par la grande galerie, et quand elle fut entrée dans la chambre de madame la Dauphine, il prit congé d’elle et se retira à son appartement. La reine fit sa visite, de meme qu’elle l’avoit faite au Roi, c’est à dire qu’elles s’assirent chacune dans un fauteuil et que les princesses et duchesses qui s’y trouverent furent assises sur des sieges pliants. Apres cela, la reine d’Angleterre alla aussi faire sa visite à Monseigneur, à Monsieur et à Madame, chez lesquels les memes ceremonies furent observées. […]
[p. 20] Le 15, […] [p. 21] le Roi alla voir le roi d’Angleterre, qui vint au devant de lui jusqu’à la porte de la salle des gardes, et lui donna de grandes marques d’empressement et même de deference. Apres un moment de conversation publique, les deux rois entrerent dans un cabinet, où ils furent enfermés pres d’une heure et demie, pendant laquelle Monseigneur alla rendre visite à la reine, que les courtisans commencerent à connoitre plus que jamais pour une princesse d’un grand cœur et d’un bon esprit, qualités qui ne lui servoient alors qu’à lui faire sentir plus vivement ses malheurs. Le Roi ayant achevé sa visite, le roi d’Angleterre voulut absolument le reconduire ; mais, sur ce que le Roi ne le vouloit pas souffrir, ils convinrent que ce jour là termineroit pour toujours entre eux toutes les ceremonies.
[…]
[p. 24] Le 21, [le roi d’Angleterre] courut le cerf avec Monseigneur dans la forêt de Saint Germain, avec l’équipage de M. le duc du Maine ; mais il n’y eut pas beaucoup de plaisir, tant à cause d’un vent de nord très froid et très violent, qui dura tout le jour, que parce qu’on ne prit point le cerf.
Le 22, le Roi alla rendre visite au roi d’Angleterre, aussi bien qu’à la reine et au prince de Galles, et puis il revint à Versailles.
[…]
[p. 30] [1er février] La première nouvelle du mois de février fut que les presbytériens d’Angleterre, c’est à dire ceux qui font profession de la religion du royaume, armoient de tous les côtés, et qu’on espéroit voir former assez de partis différents dans cet [p. 31] Etat pour n’appréhender pas qu’ils pussent faire grand tort à la France. […] On apprit aussi que deux cents hommes de troupes réglées avec leurs officiers étoient venus d’Angleterre débarquer à Dunkerque.
Ce fut alors qu’arriva aussi à Saint Germain milord Dumbarton, qu’on avoit connu en France sous le nom de milord Douglas, et qui y avoit même été lieutenant général.
Le même jour, le roi d’Angleterre cessa d’être servi par les officiers de la Bouche et du Gobelet du Roi, et commença d’être servi par les siens ; cependant le Roi lui laissa encore ses gardes du corps, de la prévôté de l’Hôtel et de la Porte, et le détachement des Cent Suisses, parce qu’il n’avoit pas encore de gens pour le garder.
[…]
[p. 32] Le 4, le roi et la reine d’Angleterre allèrent à l’abbaye royale de Saint Cyr voir la représentation de la tragédie d’Esther, composée par Racine ; elle étoit représentée par les petites pensionnaires, qui chantoient même des entractes de musique de la composition d’un nommé Moreau ; c’étoit in spectacle fort agréable, et aussi bien exécuté qu’il le pouvoit être par de jeunes enfants ; mais, le jour que le roi d’Angleterre y alla, madame la comtesse de Caylus joua le rôle d’Esther et s’attira l’admiration de tout le monde.
[…]
[p. 35] Le 10 de février, le roi d’Angleterre fit arrêter à Saint Germain par M. de Saint Viance, lieutenant des gardes du corps qui servoit auprès de lui, un Anglois nommé Barnoel, qui s’étoit venu rendre auprès de lui depuis peu de jours ; cet homme, à ce qu’on disoit, avoit changé trois ou quatre fois de religion suivant les différentes occurrences, et l’on assuroit qu’il s’étoit déchainé en invectives contre le roi, depuis son départ d’Angleterre, en présence de plusieurs personnes, dont quelques unes étoient arrivées devant lui à Saint Germain ; ensuite, n’ayant pas trouvé auprès du prince d’Orange le traitement qu’il en avoit espéré, il avoit passé en France pour se rendre auprès du roi d’Angleterre, et ce prince fit très sagement de faire arrêter un homme d’un caractère si dangereux.
[…]
[p. 37] [11 février] Ce fut en ce temps là que mourut à Saint Germain M. de Treamigny, gentilhomme des environs de Beauvais, chef du vol de la chambre pour pie, mais qui, par son assiduité et son savoir faire, avoit trouvé moyen de se faire donner par le Roi un vol pour les champs pour lièvre, pour corneille et pou milan, tous lesquels le Roi lui payoit par extraordinaire. Il avoit été longtemps forte à la mode ; mais, quoiqu’il fut un peu déchu, le Roi ne laissa pas de traiter sa famille favorablement, donnant à son fils la charge du vol de la chambre pour pie avec deux mille livres de pension, quoiqu’il n’eût que dix ou douze ans ; à l’égard [p. 38] des autres vols par commission, le Roi le révoqua, et c’étoit autant de dépense épargnée, considération fort pressante en ce temps là.
[…]
[p. 40] Le 22, le roi d’Angleterre fit arrêter et conduire [p. 41] à la Bastille milord Miljoy, grand maître de l’artillerie d’Irlande, qui avoit passé en France avec Pointis. Milord Tyrconnel, croyant avoir de grands sujets de se défier de sa fidélité, et même l’accusant d’avoir dégarni tout exprès les arsenaux d’Irlande, lui avoit dit que, comme il étoit parfaitement instruit de l’état de toutes choses, il étoit à propos qu’il vint en France en rendre compte au roi, et lui avoit donné pour cet effet une lettre de créance ; amis il en donna en même temps une toute contraire à Pointis, pour la rendre au roi secrètement, par laquelle il lui mandoit la vérité de la chose, et ce fut sur cet avis que ce prince fit arrêter milord Miljoy. Comme Pointis étoit homme d’esprit et fort intelligent dans ce qui regardoit l’artillerie, ayant même inventé la manière de jeter les bombes de dessus les barques, ce qui avoit si bien réussi à Gênes et à Alger, le Roi le donna au roi d’Angleterre pour commander son artillerie.
[…]
[p. 43] Le 25, le roi d’Angleterre alla communier publiquement dans l’église de Notre Dame de Paris, où il donna l’ordre de la Jarretière à M. de Lauzun, pour récompense des importants services qu’il lui avoit rendus, et l’après dînée il vint à Versailles prendre congé du Roi, car il devoit partir le 27, et le Roi devoit aussi le lendemain lui aller dire adieu à Saint Germain ; mais, comme il différa son départ d’un jour, le Roi différa de même ses adieux.
[…]
[p. 46] [28 février] Ce fut encore le même jour que le roi d’Angleterre partit de Saint Germain en poste pour aller s’embarquer à Brest, n’ayant pas en tout plus de vingt personnes avec lui, car M. d’Avaux avait pris les devants, aussi bien que les officiers anglois qui n’étoient pas nécessaires au roi le long de la route.
[…]
[p. 56] Le 18 [mars], la reine d’Angleterre fut attaquée d’une fièvre continue, qui ne lui dura que trois ou quatre jours, et l’on peut dire qu’elle en fut quitte à bon marché, après toutes les agitations du corps et d’esprit qu’elle supportoit depuis quelque temps.
[…]
[p. 63] [30 mars] On sut que la reine d’Angleterre venoit passer quelques jours de retraite au monastère des religieuses de la Visitation qui est à Chaillot, dans lequel la défunte reine, sa belle mère, avoit aussi accoutumé de se retirer pendant ses malheurs.
[…]
[p. 79] Le 25 [avril], le Roi cassa le comte d’Hautefort et ordonna à M. de Luxembourg de lui proposer des gens pour remplir sa place. La reine d’Angleterre, à laquelle le Roi alla ce jour là rendre visite, lui demanda sa grâce, parce qu’il avoit été le premier exempt qui eût servi auprès d’elle ; mais le Roi s’en excusa et lui fit entendre que c’étoit un homme perdu.
[…]
[p. 81] Le 29, Monseigneur, duc de Bourgogne, fit le premier voyage de sa vie, car il alla entendre la messe et dîner à Nanterre, pour y accomplir quelque vœu qu’on avoit fait pour sa santé, et de là il alla à Saint Germain rendre visite à la reine d’Angleterre.
[…]
[p. 244] Le 4 [juin], M. l’archevêque de Paris, qui présidoit l’assemblée générale du clergé de France, laquelle se tenoit alors à Saint Germain en Laye, vint, selon la coutume, avec tous les députés haranguer le Roi à Versailles, et il lui fit un magnifique discours qui ne lui coûta guère, étant un des plus éloquents et des plus savants hommes de son temps.
[…]
[p. 245] Le 8, M. de Torcy, secrétaire d’Etat en survivance de M. de Croissy, son père, accompagné de M. de Pontchartrain, contrôleur général, de M. de Pussort et de M. d’Argouges, conseillers d’Etat, et du conseil royal des Finances, allèrent, suivant la coutume, à Saint Germain faire de la part du Roi à MM. de l’assemblée du clergé la demande du don gratuit, qu’ils fixèrent à douze millions ; quoique cette somme fût beaucoup au dessus de celles que le clergé avoit accoutumé d’accorder, les nécessités de l’Etat étoient si bien connues, et l’affection du clergé pour le Roi si sincère, que tous les députés voulurent accorder ce que le Roi demandoit sans opiner ; mais M. l’archevêque de Paris, qui présidoit, leur représenta qu’il falloit opiner pour que la [p. 246] chose fût dans les formes, et ainsi chacun opina d’accorder les douze millions, et même davantage, si le Roi le souhaitoit. En même temps, l’assemblée députa au roi M. l’abbé de Phélypeaux, l’un des deux anciens agents qui faisoit la fonction de secrétaire de l’assemblée, pour venir apprendre à Sa Majesté qu’elle avoit fait tout ce qu’elle avoit souhaité de son service, et certainement il fut très bien reçu du Roi, qui étoit alors en son château de Marly.
Le même jour, l’assemblée du clergé envoya douze de ses députés saluer en corps la reine d’Angleterre, et ce fut M. l’archevêque d’Arles qui porta la parole, et qui fit un discours si pathétique sur l’état présent des affaires, qu’il tira les larmes des yeux de tous les Anglois qui étoient présents.
[…]
[p. 271] [22 juillet] La nouvelle qui arriva le 22 au soir déconcertoit bien tous ces beaux projets : ce fut celle de la défaite du roi d’Angleterre, n’ayant pas voulu étendre son armée pour occuper un pont qui étoit sur une rivière, laquelle séparoit son armée de celle des ennemis, et ayant oublié de le faire rompre, le prince d’Orange avoit fait défiler toute la nuit son armée sur ce pont, avoit attaqué l’armée du roi à la pointe du jour et l’avoit battue facilement, parce que tous les Irlandois avoient mis les armes bas ; que M. de Lauzun, voyant la bataille perdue, avoit envoyé M. de Léry dire au roi d’Angleterre qu’il se sauvât au plus tôt, et que pour lui il alloit faire de son mieux avec le reste de ses troupes ; et qu’effectivement le roi s’étoit retiré avec Lery, L’Estrade et quelques autres, et qu’il étoit arrivé à Brest […].
[p. 273] Aussitôt que le Roi sut ces mauvaises nouvelles, il fit partir M. de Bouillon avec trois de ses carrosses pour aller au devant du roi d’Angleterre jusqu’où il pourroit le rencontrer.
[…]
Le 25 au soir, le roi d’Angleterre arriva à Saint Germain en Laye, et le lendemain le Roi alla lui rendre visite.
[…]
[p. 332] Le [26 novembre], le roi d’Angleterre partit de Saint Germain avec M. le maréchal de Bellefonds pour aller à la célèbre abbaye de la Trappe, dont l’abbé et les religieux vivoient avec une si grande austérité qu’elle retraçoit vivement la vie de saint Bernard, leur fondateur.
[…]
[p. 343] Le 6 [janvier 1691], le roi et la reine d’Angleterre arrivèrent avec toute leur cour à Versailles, sur les six heures du roi.
[…]
[p. 359] [25 février] Il arriva ce jour-là une chose bien étrange à Saint Germain, entre deux milords anglois, frères cadres du milord Salisbury ; ils prirent querelle sur un sujet de rien, étant le soir dans leur chambre, tous deux en robe de chambre, et prêts à se mettre au lit, et la colère s’empara si fort de leurs esprits qu’ils se jetèrent à leurs épées, se battirent, et, n’ayant pas voulu ouvrir à leurs gens qui frappoient à la porte pour les séparer, ils se donnèrent l’un à l’autre plusieurs coups d’épée, dont il y en eut un qui mourut peu de jours après ; et quand on eut enfoncé la porte, on les trouva tous deux qui demandoient pardon l’un à l’autre ; et depuis, l’aîné étant mort, le cadet en eut un tel désespoir qu’il arracha tous les bandages et les emplâtres qu’on avoit mis sur ses blessures.
[…]
[p. 420] Le 15 [mai], on sut qu’il étoit arrivé à Saint Germain en Laye un envoyé d’Ecosse qui assuroit qu’il y avoit dans les montagnes quatre mille cinq cents hommes sous les armes, et qui venoit demander pour eux un secours de blé et d’argent.
[…]
[p. 443] Le même jour encore [27 juillet], le Roi ayant appris que, la nuit précédente, [le roi d’Angleterre] avoit été fort mal d’une très grande colique, il alla à Saint Germain lui rendre visite.
[…]
[tome 4, p. 4] Le [17 janvier 1692], le roi d’Angleterre, qui étoit arrivé la veille à Saint Germain, vint rendre visite au Roi à Versailles, et fut pendant quelque temps enfermé avec lui.
[…]
Le 21 [février], on sut que la reine douairière d’Angleterre devoit passer bientôt en Portugal, soit qu’elle fût devenue suspecte au prince d’Orange, soit qu’elle ne pût se résoudre à souffrir plus longtemps la domination d’un usurpateur, soit qu’elle n’eût plus l’exercice de sa religion ; et depuis elle changea de dessein, et l’on sut qu’elle devoit venir débarquer à Calais, passer à Saint Germain et y faire quelque séjour incognito, et ensuite prendre son chemin pour aller à Rome.
[…]
Le 22 [mars], milord Dumbarton, ci devant le marquis de Douglas, lieutenant général des armées du Roi et premier gentilhomme de la chambre du roi d’Angleterre, mourut d’apoplexie à Saint Germain en Laye, universellement regretté de tous les honnêtes gens, qui connoissoient sa valeur et son inviolable fidélité pour son maître.
[…]
Le 14 [avril], on sut de certitude que le roi d’Angleterre s’en alloit au premier jour en Normandie, et tout le monde crut deviner juste en disant qu’il n’y alloit que pour visiter les troupes irlandises.
Le 15, le Roi fut, au bout du pont du Pecq, la revue de ses deux compagnies de gendarmes et des chevau légers de sa garde ; le roi d’Angleterre y vint, et Leurs Majestés trouvèrent ces deux célèbres troupes parfaitement belles.
[…]
[p. 27] Le 19, on sut que le roi d’Angleterre avoit fait trois nouveaux chevaliers de la Jarretière, qui étoient le prince de Galles, son fils, milord Melfort et le duc de Powitz.
Le 20, le Roi alla dire adieu au roi d’Angleterre, et rien ne pouvoit égaler la joie de tous les Anglois qui étoient auprès de lui, car ils croyoient indubitablement qu’avec les troupes que le Roi donnoit au roi, leur maître, il alloit dans peu de jours reconquérir l’Angleterre.
Le lendemain, ce prince partir pour aller à la Trappe et de là passer en Normandie.
[…]
[p. 84] [27 juin] On eut nouvelle, ce jour là, que le roi d’Angleterre etait arrivé le 24 à Saint Germain en Laye.
[…]
[p. 90] Le premier jour de juillet, au matin, le Roi eut nouvelle que la reine d’Angleterre etoit accouchée d’une fille, et qu’elle avoit eté si peu de temps en travail que les princesses ni les ministres n’avoient pu y arriver assez tot.
[…]
[p. 99] Le 18, le Roi alla voir le roi et la reine d’Angleterre à Saint Germain et, le lendemain, il alla à Paris voir Monsieur.
[…]
[p. 114] Le 23 [août], le Roi alla à Saint Germain en Laye, où il tint avec Madame sur les fonds de bapteme la fille du roi d’Angleterre.
[…]
[p. 137] Le 11 [novembre], le grand prieur de France et le comte de Brionne tirent une course de chevaux aupres de Saint Germain ; le roi et la reine d’Angleterre, Monseigneur et tous les princes allerent la voir, et le grand prieur gagna le prix.
[…]
[p. 166] Le 3 [mars 1693], le Roi alla à Saint Germain dire adieu au roi et à la reine d’Angleterre.
[…]
[p. 190] Le 23 [avril], […] [p. 191] le Roi, qui etoit à Marly, alla à Saint Germain rendre visite au roi et à la reine d’Angleterre.
[…]
[p. 322] Le 11 [avril 1694], on apprit que quelqu’un ayant mis le feu dans la forêt de Saint Germain en Laye, on avoit eu assez de peine à l’eteindre.
[…]
[p. 420] Le 16 [janvier 1695], le Roi alla voir le roi et la reine d’Angleterre au sujet de la mort de la princesse d’Orange, et, à son retour, on sut que le roi d’Angleterre avait demandé qu’on ne lui fit point de compliments sur la mort de sa fille et qu’on n’en prit point le deuil.
[…]
[p. 453] Le 12 [mai], jour de l’Ascension […] [p. 454] on sut ce jour là que le roi d’Angleterre avoit eu deux accès de fievre.
[…]
[p. 460] Le 29, on fit à Saint Germain en Laye l’ouverture de l’assemblée ordinaire du clergé de France.
[…]
[p. 464] Le 12 [juin], l’archeveque de Paris vint de Saint Germain en Laye faire sa cour au Roi, et travailla longtemps avec Sa Majesté.
[…]
[p. 470] Le 23, le roi d’Angleterre ayant couru le cerf sans avoir mangé, parce qu’il etoit jour de jeune, et s’etant trouvé au salut avec la reine dans les eglises de Saint Germain, il y eut deux faiblesses consecutives, dont la derniere alla presque jusqu’à l’evanouissement.
[…]
[p. 472] [28 juin] On sut encore que le marquis de Montchevreuil etoit assez malade à Saint Germain, d’un rhumatisme accompagné de fievre.
[…]
[tome 5, p. 94] Le 4 [janvier 1696], on sut que […] Sa Majesté avoit donné la dignité de chef d’escadre de ses armées navales au milord grand prieur, fils naturel du roi d’Angleterre, sous le nom de duc d’Albermarle, qui lui convenoit mieux que celui de grand prieur dans la conjoncture des affaires.
[…]
[p. 102] Le 27, on sut que la reine d’Angleterre avoit la fièvre assez violente.
[….]
[p. 112] Le 27 [février], le Roi alla à Saint Germain voir le roi d’Angleterre et lui faire ses adieux, et ce fut alors qu’on apprit que le maréchal de Boufflers travailloit en diligence à Dunkerque à faire un embarquement de douze mille hommes pour passer en Angleterre, où on assuroit qu’il y avoit des apparences considérables de révolte contre le prince d’Orange, aussi bien qu’en Ecosse ; que le duc de Berwick étoit à Londres et qu’il mandoit qu’il y avoit un parti considérable formé pour recevoir le roi Jacques ; que ce seroit le marquis d’Harcourt qui commanderoit les troupes de l’embarquement et qu’il étoit parti le même jour à cet effet ; que le duc de Berwick serviroit sous lui en qualité de lieutenant général, le comte de Pracomtal et Albergotti, en qualité de maréchaux de camp, Barzun, en qualité de commandant de la cavalerie, le marquis de Mornay, le duc d’Humières et le marquis de Biron en qualité de brigadiers d’infanterie ; que Lanson, enseigne des gardes du corps, serviroit auprès du roi d’Angleterre et qu’enfin on croyoit avoir trouvé la conjoncture fatale au prince d’Orange, parce qu’il n’avoit point de flotte ni de troupes et que l’affaire du changement des monnoies faisoit beaucoup de mécontents en Angleterre.
[…]
[p. 113] Le 29, on sut que le roi d’Angleterre étoit parti le soir précédent, qu’il s’est arrêté à Saint Denis pour y faire une protestation par devant notaires comme il partoit dans le dessein d’aller rentrera dans son royaume, où il étoit rappelé par les prieres de ses peuples. On ajoutoit qu’on avoit fait partir cent mille louis d’or pour Calais, où ce prince devoit s’embarquer.
On apprit aussi le détail des troupes qui s’embarquoient, qui étoit dix huit bataillons : les deux régiments de Poitou, celui de Crussol, les deux de Languedoc, les deux d’Humières, celui du Vexin, celui de la Marche, celui de Santerre, celui [p. 114] d’Orléanois, les deux d’Artois, les deux de Vermandois, celui d’Agenois, celui de Montferrat et celui de Saint Second ; trois régiments de cavalerie qui étoient le régiment du Roi, celui d’Anjou et celui de Berry ; et deux régiments de dragons, le Colonel général et celui de Frontenay. On disoit encore que Gabaret commanderoit cet embarquement et que sa flotte seroit composée de neuf gros vaisseaux et de vingt frégates. Il y avoit beaucoup de gens qui croyoient que cet armement alloit descendre en Ecosse ; cependant Monsieur, frère du Roi, assura ce jou là qu’il alloit droit en Angleterre ; et la chose auroit été facile, s’il avoit été vrai, comme on le disoit, que la flotte angloise commandée par Spithal, qui portoit à Cadix des matelots et des provisions, fût sortie de la Manche.
[…]
[p. 116] Le 6 [mars], on assuroit que la flotte de Spithal avoit eté repoussé par les vents dans les ports d’Angleterre, ce qui etoit fort contraire aux desseins du roi Jacques. On assuroit cependant que le Roi lui avoit encore envoyé deux cent mille livres, et que la reine, son epouse, engageoit toutes ses pierreries pour lui envoyer de l’argent.
[…]
[p. 120] Le 20, […] on apprit aussi que le roi d’Angleterre etoit encore à Calais et que l’on avoit fait partir sa chambre et sa vaisselle d’argent pour qu’il eut toutes ses commodités au lieu où il sejourneroit.
[…]
[p. 137] Le 5 [mai], le roi d’Angleterre arriva à Saint Germain, et, selon les apparences, ce n’etoit pas pour en partir sitot. […]
Le 6, […] l’après dinée, le Roi alla visite le roi d’Angleterre à Saint Germain.
[…]
[p. 145] Le 2 [juin], le roi et la reine d’Angleterre partirent de Saint Germain en Laye pour aller à Chartres, où ils devoient sejourner un jour pour y faire leurs devotions, et de là passer à la celebre abbaye de la Trappe, où ils devoient faire un pareil sejour, et de là venir coucher à Anet, d’où ils devoient revenir à Saint Germain.
[…]
[p. 146] Le 5, on sut que le prince de Galles avoit la rougeole, ce qui etoit capable de donner de grandes inquietudes au roi et à la reine d’Angleterre pendant leur voyage de devotion à Chartres et à la Trappe, mais cette maladie n’eut pas de suites facheuses.
[…]
[p. 159] Le 27, […] l’on sut que la reine d’Angleterre avoit depuis deux jours une grosse fievre. Mais le lendemain, on apprit qu’elle l’avoit quittée par l’habileté de son premier medecin, qui l’avoit purgée au fort de son mal.
[…]
[p. 163] Le 12 [juillet], l’on sut que le milord duc de Powits, chevalier de l’ordre de la Jarretière et sans contredit un des plus fideles serviteurs du roi d’Angleterre, etoit mort à Saint Germain en Laye, n’ayant point eu de santé depuis un vomissement de sang qui lui avoit pris à Bologne pendant qu’il y etoit avec le roi, son maitre.
[…]
[p. 234] Le 19 [janvier 1697], on sut que le roi et la reine d’Angleterre, le prince de Galles et la princesse, sa sœur, etoient tombés malades tous à la fois.
[…]
[p. 235] Le 21, on sut que toute la maison royale d’Angleterre etoit guerie, et que le roi d’Angleterre avoit dit qu’il n’etoit pas vrai, comme le prince d’Orange l’avoit publié, que le Roi fut convenu de le reconnoitre pour roi d’Angleterre.
[…]
[p. 343] [26 septembre] On sut certainement ce jour là que le Roi avaoit accordé au roi et à la reine d’Angleterre son château de Saint Germain pour [p. 344] demeure fixe et qu’ils n’iroient point demeurer à Blois comme le bruit en avoit couru.
[…]
[tome 6, p. 31] Le 8 [mai 1698], […] on sut que le roi et la reine d’Angleterre se portoient mieux, car ils avoient eu l’un et l’autre dans le même temps quelque attaque de fièvre.
[…]
Le 11, […] [p. 32] le soir, le Roi, qui etoit à Marly pour quelques jours, alla rendre visite au roi et à la reine d’Angleterre.
[…]
[p. 42] Le 26 [juin], on disoit que la reine d’Angleterre avoit eu un violent accès de fievre qui avoit empeché le roi, son epoux, de partir pour aller à la Trappe, comme il l’avoit resolu.
[…]
[p. 147] [Le 18 avril 1699], on sut encore, le meme jour, que le chevalier de Gassion, lieutenant general et lieutenant des gardes du corps de quartier, etoit tombé malade assez considerablement à Saint Germain, où il servoit aupres du roi d’Angleterre, avoit eté obligé de se faire transporter à Paris.
Le 19, on disoit que, la reine d’Angleterre ayant reçu des avis qu’on vouloit attenter à la vie du prince de Galles, on lui avoit donné des gardes du corps pour le suivre en plus grand nombre qu’à l’ordinaire.
[…]
[p. 168] Le 28 [juin], [le Roi] alla dire adieu au roi d’Angleterre, qui alloit faire un voyage à la Trappe, pendant lequel la reine devoit se mettre dans le couvent de Sainte Marie de Chaillot.
[…]
[p. 192] Le 10 [octobre], on apprit que Ruzé, contrôleur des Bâtiments, qui faisoit cette charge à Marly et à Saint Germain depuis dix sept ans, avec l’approbation de la Cour, avoit été renvoyé à Saint Germain, avec les appointements qu’il avoit à Marly, et que le Roi avoit mis à sa place un nommé Dujardin, parent de Mansard.
[…]
[p. 206] Le 26 [novembre], le Roi envoya le marquis de Beringhen, son premier écuyer, à Saint-Germain-en-Laye, complimenter le roi d’Angleterre et s’informer de sa santé, parce qu’il avoit au croupion un anthrax, qui lui dura très longtemps.
[…]
[p. 265] Le 14 [juin 1700], Pomereu, comme l’ancien du conseil royal de finance, alla à Saint Germain, escorté de trois autres conseillers d’Etat, faire le compliment au clergé, et son discours ne fut si bien suivi ni si bien raisonné que la réponse que lui fit l’archevêque de Reims, avec beaucoup d’esprit et beaucoup d’art.
[…]
[p. 302] Le 10 [novembre], […] le Roi dépêcha Saint Olon, gentilhomme ordinaire, pour aller à Saint Germain apprendre au roi et à la reine d’Angleterre la mort du roi d’Espagne et le reste des nouvelles.
[…]
[p. 325] Le 4 [décembre], […] [p. 327] le roi Jacques vint prier le Roi de lui donner une garde plus forte, parce qu’il avoit eu avis que les Anglois vouloient enlever le prince de Galles et le faire élever dans la religion anglicane.
[…]
[p. 337] Le 18 [décembre], on disoit que le roi d’Angleterre étoit plus incommodé que jamais, et cette maladie, si elle avoit été véritable, étoit une nouvelle bien importante.
[…]
[tome 7, p. 29] Le 4 [mars 1701], […] on apprit encore que le roi Jacques d’Angleterre avoit eu une grande foiblesse pendant la messe, qu’on avoit été obligé de le remener dans son appartement, et qu’on attribuoit cet accident à ses jeunes et à ses autres austérités.
[…]
[p. 31] [Le 11 mars], le roi d’Angleterre eut une seconde attaque d’apoplexie, bien plus forte que la première, de laquelle il resta paralytique de tout le côté droit.
[…]
[p. 33] [Le 16 mars], le Roi alla visiter le roi d’Angleterre, qui vint au-devant de lui avec la reine jusqu’à la porte de sa grande chambre, s’appuyant assez bien sur la jambe droite et commençant à porter le bras droit jusqu’à sa tête et à s’aider de ses deux doigts ; mais cela n’empêchoit pas qu’il n’eût pris la résolution de partir la semaine de Pâques pour aller à Bourbon.
[…]
Le 18 [mars], le Roi fit dans la plaine d’Houilles la revue de ses deux régiments des gardes, qu’il trouva plus beaux que jamais. Le prince de Galles y vint, et apprit à Sa Majesté que le roi son père avoit encore pris, le soir précédent, de l’émétique, qui lui avoit fait un très bon effet.
[…]
[p. 36] Le 24 [mars], qui étoit le jour du jeudi saint, […] [p. 37] le Roi dit au marquis d’Urfé qu’il l’avoit choisi pour aller conduire le roi d’Angleterre à Bourbon et lui faire rendre, en allant et en revenant, les honneurs qui lui étoeint dus, et pour les frais de son voyage, il lui fit donc de dix mille francs.
[…]
[p. 39] Le 28 [mars], […] la reine d’Angleterre vint prendre congé du Roi, de Monseigneur et de la duchesse de Bourgogne, devant partie deux jours après pour suivre le roi son époux à Bourbon.
[…]
[p. 49] Le 17 [avril], […] [p. 50] on sut aussi ce jour là que le roi Jacques d’Angleterre avoit été retenu par la goutte à la Charité sur Loire, et que Le Pelletier, ci devant ministre d’Etat, étoit fort malade à Paris d’une fièvre continue, pour laquelle on l’avoit fait saigner quatre fois, quoiqu’il eut soixante et onze ans.
[…]
[p. 73] Le 7 [juin], le roi et la reine d’Angleterre arrivèrent à [p. 74] Saint Germain en Laye, revenant de Bourbon, et l’on vit à Marly le marquis d’Urfé, qui les y avoit escortés.
Le 8 [juin], Monsieur étant venu dîner avec le Roi à Marly, il saigna du nez à table. […] L’après dînée, il alla avec beaucoup de dames faire sa visite à Leurs Majestés de la Grande Bretagne, et il saigna encore du nez chez la reine. Un moment après, le Roi et tous les princes et princesses arrivèrent à Saint Germain, et, après avoir fait sa visite, chacun s’en retourna dans son carrosse à Marly. […]
[…]
[p. 97] Le premier d’août, […] la duchesse de Bourgogne alla se baigner dans la rivière de Seine au dessus de Saint Germain en Laye, le Roi ayant fait tendre exprès en cet endroit les tentes du duc de Bourgogne.
[…]
[p. 111] Le 26 [août], on sut […] qu’il s’étoit fait un dépôt d’humeur sur les jambes et sur le col du pied du roi Jacques d’Angleterre.
[…]
[p. 113] Le 2 [septembre], le roi Jacques d’Angleterre eut une grande foiblesse en sortant de la messe, et il fut longtemps sans connoissance. Cette attaque redoubla, et on commença à appréhender qu’il ne passât pas la journée.
[...]
[p. 114] Le 4 [septembre], […] Fagon, premier médecin du Roi, alla en diligence à Saint Germain en Laye pour essayer de secourir le roi Jacques d’Angleterre, qui étoit à l’extrémité. On apprit, à son retour, que le prince avoit reçu tous les sacrements à deux heures et demie après midi, que les remèdes qu’on lui avoit fait prendre lui avoient fait jeter une grande quantité de sang caillé et puant qui étoit extravasé dans sa poitrine, et qu’une saignée qu’on lui avoit faite l’avoit soulagé.
[…]
[p. 115] Le 6 [septembre], l’envoyé de Hesse Cassel, dans une audience publique, assura le Roi que son maître n’embrassoit point le parti de l’Empereur. […] Cependant, le roi Jacques d’Angleterre avoit de fréquentes foiblesses ; il avoit la fièvre avec des redoublements, mais il ne vomissoit plus le sang avec tant d’abondance.
Le 7 [septembre], on lui donna le quinquina, qui fit son effet : sa fièvre parut moins forte, mais on n’en espéroit rien de bon. […]
Le 8 [septembre], le Roi alla s’établir à Marly pour dix jours. En arrivant, on sut que le roi Jacques d’Angleterre avoit encore eu son redoublement, mais que son sang s’étoit arrêté et qu’il restoit encore quelque légère espérance.
[…]
[p. 116] Le 11 [septembre], le Roi alla à Saint Germain voir le roi d’Angleterre, qui étoit au plus mal. Il le trouva dans un grand assoupissement, et demeura une heure auprès de lui, pendant laquelle la duchesse de Bourgogne y vint aussi et n’y demeura qu’un quart d’heure ; mais on ne croyoit pas que ce pauvre prince pût encore passer la semaine.
[…]
[p. 117] Le 13 [septembre], on apprit que le roi d’Angleterre étoit fort mal, qu’il ne pouvoit pas passer la journée, et qu’il avoit déclaré publiquement qu’il pardonnoit au prince d’Orange et à ses filles et à l’Empereur. En même temps, le Roi envoya Fagon, lequel rapporta qu’il n’y avoit plus d’espérance. L’après dînée, le Roi y alla et le laissa à l’extrémité ; mais, auparavant que de partir de Saint Germain, il fit appeler le prince de Galles et lui déclara, en présence de tous les Anglois, qu’après la mort du roi son père il le reconnoitroit pour roi d’Angleterre, et comme le nonce du Pape étoit présent, n’ayant pas abandonné le roi d’Angleterre depuis son mal, le Roi lui dit qu’il voyoit de quelle manière il en usoit avec le roi d’Angleterre et qu’il le prioit de le mander au Pape.
Le 14 [septembre], on eut nouvelle que le jeune Mathan, colonel de Bugey, étoit mort. […] [p. 118] Le soir, on sut que le roi d’Angleterre avoit entièrement perdu la vue ; le duc de Bourgogne alla le voir et, quand il entra dans sa chambre, on disoit pour la cinquième fois les prières des agonisants, et comme on les suspendit à cause de la présence du duc, le roi le pria de trouver bon qu’on les continuât. Enfin, on pouvoit dire que ce prince mouroit de la mort des justes, et les Anglois se flattoient que sa mort changeroit en bien le sort du prince de Galles.
Le 16 [septembre], le roi d’Angleterre mourut à trois heures et demie du matin, et la reine partie en même temps pour s’aller enfermer au monastère de Chaillot. Pour le jeune roi et la princesse, ils restèrent à Saint Germain.
[…]
[p. 119] Le 18 [septembre], […] les princes et les princesses allèrent donner de l’eau bénite au corps du roi d’Angleterre, et, le soir, on l’emporta à Paris à l’église des Bénédictins anglois du faubourg Saint Jacques, où il devoit rester en dépôt jusqu’à ce qu’on pût le porter au tombeau de ses ancêtres, le roi n’ayant pas jugé à propos qu’on l’enterrât dans l’église paroissiale de Saint Germain en Laye, comme il l’avoit souhaité par humilité et même proposé au Roi peu de jours avant sa mort.
Le 19 au soir, la reine d’Angleterre revint à Saint Germain, et, le lendemain, le Roi et toute la Cour allèrent la voir sans cérémonie, parce qu’elle l’avoit souhaité, et elle les reçut dans son lit.
[…]
[p. 123] Le 2 [octobre], on disoit que la flotte angloise étoit rentrée dans ses ports, et qu’elle y avoit été rappelée sur la nouvelle de la mort du roi Jacques ; mais il n’y avoit guère d’apparence que cela pût être, et que, depuis la mort de ce prince, on eût pu envoyer cet ordre à la flotte, qui étoit trop éloignée. On ajoutoit que la reconnoissance du prince de Galles faisoit grand bruit en Angleterre, qu’on y avoit depuis longtemps son portrait presque dans toutes les maisons, qu’on y avoit publié la relation de la mort du roi Jacques, laquelle s’étoit débitée par merveilles, que les régents en avoient fait saisir les exemplaires et fait mettre en prison les colporteurs, mais qu’ils les avoient ensuite fait relâcher. […]
Le 3 [octobre], le bruit couroit que quelques milords étoient venus à Saint Germain trouver le

Bouchet, Louis-François (du)

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