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Louis XIV
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Récit par le nonce Gualterio de la mort de Jacques II à Saint-Germain-en-Laye

« Su l’avviso che giunse la notte de 12 del corrente dello stato pericolossimo in cui si trovava il Re britannico stimo il nunzio a proposito di traferirsi la matina seguente alla corte de San Germano. Vi trovo S. M.tà con febre, che gli ripligliava per fino a tre volte il giorno con una prostratione totale di forze, e con una sonnolenza gravissima, la quale lo faceva continuamente dormire senza pero impedirgli di riscuotersi ogni volta che volevano dirgli qualche cosa e di rispondere adattatamente con uso di ragione che ha conservato sempre intierissimo per fino all’ultimo. I medici lo facevano fino d’allora disperato, onde il nunzio predetto credette che per edificazione delle due corti e per dimostratione di riconoscenza ad un prencipe ch’era stato coisi fedele alla Chiesa gli corresse debito di assistergli per fino all’ ultimo respiro, si come ha fatto in effetti non abbandonandolo né giorno né notte dal martedi matina perfino al venerdi sera in cui rese l’anima a Dio. Continuo è stato altresi il concorso d’' prencipi della case reale e de gran signori che sono andati a sapere di mano in mano lo stato della sua salute, mà tra gli altri si è distinto con particolari marche d’affetto il sig. prencipe di Conti che per essere cugino germano della Regina ha voluto usare con essa particolari finezze restendo tutti que’ giorni dalla matina per fino alla sera in San Germano. Il Re ha mandato ogni giorno più signori della prima sfera ad informasi dello stato delle cose, et il mercordi dopo desinare vi venne egli stesso in persona. Il nunzio si ritrovava nella stanza della Regina quando fù portato l’avviso della sua venuta. S. M.tà gli disse che non haverebbe voluto che il Re Christianissimo passasse per la stanza dell’infermo, dubitando che si come s’erano sempre teneramente amati cosi potesse seguire una vicendevole commotione in vedersi, e lo incarico di procurare d’indure S. M.tà a passare per un picciolo balcone al di fuori. Il nunzio prego il sig. duca di Lauson [Lauzun] ad insinuarlo a S. M.tà, il quale non fece difficoltà di prendere quella strada mà trovato poi esso nunzio sul medesimo balcone gl’espresse un sommo desiderio di vedere onninamente il Re Britannico, in maniera che si concerto che cio sarebbe seguito appresso la visita della Regina. Entrata S. M.tà nella di lei stanza, fece instanza che si chiamasse il prencipe di Galles. Venuto questi rimasero tutti tre soli, mà si è poi saputo per bocca del Re medesimo che il picciolo prencipe si come era stato un tempo considerabile senza vedere la madre cosi subito che fù entrato nella camera senza riguardo del Re presente gli si getto al collo e ivi con molte lagrime s’abbracciarono cosi teneramente che il Re dice d’havere havuto della pena a distaccarli l’uno dell’alltra. La Regina a cui tratanto il. Re haveva communicato la propria intentione notifico al prencipe la risoluzione presa da S. M.tà di riconoscerlo e trattarlo da Re ogni volte che venisse a mancare il Re suo padre. Il fanciullo che non havea notizia alcuna dell’avvenimento e che non poteva havere ne tampoco sepranza nientedimeno riceve tal avviso come se vi fosse stato preparato, e gettandosi a i piedi del Re gli desse queste precise parole: Io non mi scodero mai che sete voi che mi fate Re, e qualsivolglia cosa che mi succeda impiergaro questa dignità a farvi conoscere la mia riconoscenza. Il Re gli disse che lo faceva volontieri mà sotto conditione che conservasse sempre immutabile le religione cattolica, in cui era stato educato, mentre se fosse stato mai possibile ch’egli l’abandonnasse o volesse anche solamente nasconderla non solo perderebbe affatto la sua amicitia mà sarebbe risguardato con horrore di tutti gl’huomini da bene che sono nel mondo e come l’ultimo e il più vile degl’huomini. A che il prencipe rispose con le proteste della maggiore costanza. Più altre cose furono dette vicendevolmente sopra lo stesso argomento; dopo di che il prencipe si ritirà et essendo uscito dalla camera dirottamente piangendo dette motivo a milord Perth suo governatore di dimandargli che cosa gl’havesse detto il Re di Francia: mà gli rispose che ne haveva promesso il segreto a S. M.tà e che non poteva violarlo. In effetti non vole dirle cosa alcuna. Bensi tornato al suo appartamente si rinchiuse nel gabinetto e si pose a scrivere e domandatogli dal governatore medesimo cio che notasse disse senz’ altro ch’era il discorso tenutogli dal Re Christianissimo, il quale voleva poter rileggere tutti i giorni della sua vita.
S. M.tà fini tratanto la visita della Regina et accostandosi al letto del Re infermo gli fece i più cordiali complimenti. L’altro assopito nella sua sonnolenza habbe sul principio qualche difficoltà a riconoscerlo e l’andava ricercando quasi sospeso con gl’occhi, mà rivoltosi finalmente alla parte ove il Re era, tosto che l’hebbe veduto pose la bocca al riso e dimostro un estremo piacere. La ringratio poi di tutte le finezze le quali qu’usava e singolarmente d’havergli mandato il giorno antecedente il suo primo medico. Dopo varie espressioni d’affetto il Re Christianissimo disse che haverebbe voluto parlare di qualche negozio a S. M.tà Britannica. Ciascheduno volea ritirasi per rispetto mà il Re comando che tutti si fermassero et alzando la voce disse che volea assicurarlo che quando Dio havesse fatto altro di lui, haverebbe presa cura particolare del principe di Galles, e non minore di quella che potesse haverne esso stesso se fosse vivo; che dopo la sua morte lo riconoscerebbe per Re e lo trattarebbe nella medesima forma con cui haveva trattato lui medesimo. Cio che gli rispondesse il Re Britannico non pote udirsi perchè l’Inglesi, de’ quali era piena la camera e che non solamente non s’attendevano ad una tale dichiaratione mà per il contrario haveano probabilità tali da credere tutto l’opposto dettero tutti un’alto grido di Viva il Re di Franci, e gettandosi a i piedi di S.M.tà gli testimoniaronon la loro gratitudine d’une maniera che quanto era più viva et in un certo modo lontana dal rispetto ordinario tanto maggiormente mostrava i sentimenti de loro cuori. Il nunzio dopo haver dato luogo a tal transporto di gioia in quelle genti s’accosto ancor’egli a S. M.tà e gli disse che lo ringratiava a nom di tutta la Chiesa dell’atto eroïco il qual veniva di fare, pregando Dio a volerglielo ricompenzare con altretante fecilità. S. M.tà rispose allora con somma benignità e poi esso nunzio essendo andato servendolo per fino alla carrozza lo richiamo per strada e gli soggiunse ch’egli ben sapeva di quale importanza poteva essere tale risoluzione e conosceva le difficoltà che potevano esservi state mà che il rispetto della religione havea sorpoassato ogni cosa e ve lo haveva unicamente determinato. Si sa poi S. M.tà haver detto in appresso che ben conosceva tutti gli pregiuditii che poteva recargli una cosi fatta determinazione, la quale haverebbe dato pretesto al prencipe d’Oranges d fare de’ strepiti in Inghilterra di suscitargli contro il Parlemento e forse di caggionargli la guerra mà che havea voluto che gl’interessi della religione passassero innazi a tutte le altre cose, lasciando a Dio la cura del resto. In effetti si penetra che la maggior parte del Consiglio fosse di contraria opinione e che l’operato si debbia al solo arbitrio del Re. E’vero che i prencipi della casa reale erano stati di tal desiderio et hanno dimostrato una somma sodisfazione del successo; il duca di Borgogna particolarmente, che se n’espresse ne’ termini più forti che possino imaginarsi.
Ritornando al Re defonto è certo che questa è stata la maggiore consolazione che potesse havere morendo, mentre altro affare temporale non gl’occupava la mente. Ne ha dati altresi gli contrassegni maggiori mentre ordino subito che il prencipe si traferisse a Marli per ringraziarne S. M.tà se bene la Regina non giudico poi d’inviarvelo havendosi mandato in sua vece milord Midleton suo primo ministro. La matina seguente si fece chiamare di bel nuovo esso prencipe e parlandogli del medesimo affare gli ricordo la fedeltà a Dio, l’ubidienza alla madre e la riconoscenza al Re Christianissimo. Né poi ha parlato con alcun prencipe o signore della corte di Francia che non gl’habbia tenuto ragionmento sopra di cio et espressegli le grandi obligazioni che sentiva sù tale soggetto. Queste sono state le sole parole ch’egli habbia impiegate negl’affari del mondo. Tutto il rimanente non ha risguardolo che il Cielo, eccitando di tempo in tempo i preti e i religiosi che l’assistevano a dire delle orazioni, scegliendo esso stesso quelle che maggiormente desiderava e sopra tutto mostrando un sommo desiderio et una somma divozione della messa, recitandosi la quale egli che nel rimanente del tempo soleva essere addormentato si è sempre tenuto con gl’occhi aperti e facendo con la testa tutti que’ segni di venerazione che la sua positione e la sua debolezza potevano permettergli all’elevazione. Fino agl’ultimi respiri è stato udito recitare delle preghiere et allorché gli manco la voce fù veduto movere a tal ogetto le labra. Oltre di cio ha dimostrata una tranquilità d’animo infinita et una rassegnatione eroica al divino volere: consolandro egli stesso la Regina del dolore che dimostrava per la sua perdita. Ha finalmente dell’infermità et havendo sempre riposto che stava bene. Ha habuto una esatta ubidienza alle ordinationi de’ medici et ha preso senza replica tutto quello che hanno voluto dargli benche vi havesse per altro ripugnanza. Finalmente ha havuto sempre il giuditio sanissimo e la mente etiandio più pronta e più libera di quella che l’havesse per molti mesi antecedenti. Gli è durato de lunedi fino al venerdi sempre in una specie d’agonia patendo varii accidenti che di tanto in tanto facevano crederlo vicino a morire e risorgendo un momento appresso. Gl’ultimi singulti della morte furono brevi e non durarono lo spatio d’un hora e mezza ancor’essi assai miti e cher per quanto pote osservarsi non gl’erano un gran tormento. Spiro venerdi alle tre e mezza della sera pianto con caldissime lagrime da suoi tanto cattolici che protestanti, i quali l’hanno tutti per tanti giorni servito con un’amore et attenzione indicibile. La Regina non ha fatto un tutto questo tempo che piangere mà senza pero abandonare la cura degl’affari correnti. Morto il Re le più grandi angoscie mà persuasa alla fine di lasciarsi mettere in carrozza si è trasferta ad un convento delle monache della Visitatione posto in un villaggio vicino a Parigi per nome Challiot ove si tratterrà fino lunedi sera. Il Re s’era offerto di accompagnarvela in persona mà non ha voluto permetterglielo. Si ritroverà bene a S. Germano nel ritorno che S. M.tà vi farà per riporla nel suo appartamento, et allora si crede che visitarà la prima volta il successore in qualità di Re.
Il nunzio credette di non dover frapporre indulgio alcuno a far questa parte per dare un’esempio autentico agl’ altri ministri e per dimostrare tant maggiormente al nuovo Re la benevolenza della Sede Apolostica, onde passo subito a complimentarlo nel sup appartamento, dicendogli che nel gravissimo dolore che la Chiesa sentiva per la perdita d’un membro cosi principale qual era il Re defunto non poteva invenire maggiore consolazione di quella che gli proveniva dal riconoscerne S. M.tà per successore, non dubitendo che dovesse essere herede ugualmente delle virtù che delle corone del Padre e particolarmnte in cio che risguarda la costanza nella religionez per cui quel principe era stato cotanto glorioso. Rispose che S. S.tà poteva essere certa di haverlo sempre altretanto ubidiente quanto sia stato suo padre. Le disposizioni venture di quella corte non sono per ancora mote mà si avviseranno in appresso. In quanto alle ossequie S. M.tà Christianissima voleva fargliela fare reali a sue spese mà il Re defonto raccommando d’essere sepolto senze pompa e la Regina ha poi talmente insisito sopra la medesima istanza che si à rimasto di far transportare il cadavere senza pompa alle benedittine inglesi per tenervelo in deposito per fino a tanto che piaccia a Dio di disporre le cose in maniera da poterlo riportare nel sepolcro de suoi maggiori in Inghilterra. Ha bensi S. M.tà fatto fare un cuore d’argento dorato coronato alla reale per rinchiudervi quello del del defonto già trasferito segretamente a Challiot per essere risposto vicino a quello della Regina sua madre che si conserva nel medesimo luogo. Pensa inoltre a tutto cio che possa essere di sollievo, di conforto e di commodità alla Regina e procura d’usargli tutte le finezze possibili per consolarla. Il che si rende più necessario quanto l’afflittione dell’animo reca alla medesima pregiudizio anche nel corpo, trovandosi hoggi travagliata da mali di stomaco e da una straordinaria debolezza benche speri che le cose non siano per passare più oltre. »

Gualterio, Filippo Antonio

Lettre de Carlo Vigarani à la duchesse de Modène concernant la réception du grand-duc de Toscane et le petit appartement du roi à Saint-Germain-en-Laye

« Serenissima Altezza,
Dal letto, ove m’ha confinato alucni giorni sono l’excessiva occupatione havuta per le feste fattesi all’arrivo e dimora qui del Serenissimo Gran Principe di Toscana, subito ricevuti i pregiatissimi commandi de L. A. V. Serenissima, ho’ avisato il signore Pouch, acio con la sua destrezza, e in conformita d’essi commandi, dia qualche lume dell’intentione che hanno cuca il partito le persone, che pensano a la compra de le rendite dell’A. V. Serenissima, siche col prossimo ordinario spero potergliene render conto.
Con l’ultima mia avisai l’arrivo a la corte del Serenissimo Gran Principe, e come S. M. lo havesse ricevuto a la prima visita, come per sorpresa, cise ch’essendo S. M. ne la sua camera con il solo duca di Saint Agnan, ora primo gentilhuoma, e con tre o quattr’altri servitori all’entrar di S. A. mostra d’esser sorpreso, e lasciato il capello su la tavola s’avanzo alcuni passi a riceverlo. E di la lo condusse egli stesse da la Regina. Qualche giorno dopo, il Re havendolo contotto a Versaglia ivi lo regalo di musiche, balli, comedie, collationi, giardini illuminati, e fuochi d’artifizio ; tornando il Re a San Germano, e S. A a Parigi ove sta alloggiato in casa del suo residente benche sia sevito da tutti gli ufficiali, carozze e staffieri del Signore duca di Guisa, il che m’haveva da prima fatto credere che fosse anche allogiato in sua casa.
A San Germano dopoi sele e fatta redere una comedia galante framezzata con balletti, e musciha, e con qualche scena : cosa pero di poca importanza, dopo la quale ogni volta sene ritorna a dormir a Parigi, anzi a cena, essendo ben presso a meza notte quando fnisse l’opera, non essendovi stato convito alcuno per anche, ecredo non vene sara. Tutta la casa di Conde e ritirata credo per la discrepannza de titoli e delle precedenze. Li duchi e Pari non l’honna visitato perche non le ha voluto dar la mano. […]
Ha S. M. fatto fare qui due cabinetti nel suo appartamento tutti ricoperti per tutto di specchi incastrati in cornici di legno indorate e sopradipinte, opera richissima del signore Brun, pittore eccelente : sopra gli spechi son dipinti bellissimi comparti d’ornamenti, che fanno un ammirabil vaghezza, ma la pittura e dietro al cristallo tra esso e l’argento vivo ; maniere e studi nuovi a quale vado applicando con la speranza di ripatriare un giorno per godere l’istessa fortuna del Principe nella sua gloriosa servitu alla serenissima casa, e sotto i clementissimi auspizy de L. A. V. Serenissima, a la quale profadamente inchinandom, mi dedico, de L. A. V. Serenissima,
Umilissimo, devotissimo et obligatissimo servitore.
C. Vigarani
Di S. Germano, li 30 Augusto 1669 »

Rapport du marquis d’Antin concernant l’état des châteaux de Saint-Germain-en-Laye

« [f. 17] Sire,
Je fus visiter mercredy dernier une partie des pépinières de Morlet […]
[f. 17v] J’ay été à Saint Germain, lequel est en bon état en tout ce qui dépent du sieur de Ruzé et autres officiers. J’ai veu une chose qui m’a fort scandalizé : c’est la chambre dans laquelle est née Votre Majesté. Il n’est pas permis qu’elle soit abandonnée comme elle est. J’ay osé, Sire, pour la seule fois de ma vie, ordonner sans votre participation qu’elle fût rétablie incessamment et décorée comme il convient. Tous vos sujets, Sire, doivent respecter un lieu comme celuy là ; jugez de ce que je panse à mon particulier.
[Annotation du roi :] Bon
M. de Ruzé a vendu à Ober, charpentier, le vieux manège du roy d’Angleterre la somme de 3000 l. [f. 18] C’est en vérité moitié plus qu’il ne vaut, mais il m’a assuré qu’il avoit ancore été paié plus grassement quand il avoit été construit.
[Annotation du roi :] Bon
J’ay été au Val, que j’ai trouvé très bien soigné, les espalliers et les vergers en très bon état. Il n’y a quasi point de fruit cette année. Il y a quelque petite réparations à faire aux parquets, qui ne méritent pas de vous en importuner.
[Annotation du roi :] Bon
[…]
[f. 19] A Versailles, le 6 de juillet 1708 »

Maison du Roi (Ancien Régime)

Récit d’événements survenus au château de Saint-Germain-en-Laye

« De Saint Germain en Laye, le 5 janvier 1680
Le premier de ce mois
Feste de la Circoncision. Le Roy, accompagné des chevaliers de l’ordre du Saint Esprit, entendit dans la chapelle du vieux chateau la messe celebrée par l’archevesque d’Ambrun, evesque de Metz, commandeur des Ordres.
Le deuxiesme
Le baron Bielke, ambassadeur extraordinaire de Suede, eut audiance du Roy et le remercia de ce qu’il a obligé l’Electeur de Brandebourg à rendre au roy de Suede toutes les places qu’il avoit prises en Pomeranie.
De Paris, le 13 janvier 1680
Le duc de Crequi, premier gentilhomme de la chambre et gouverneur de cette ville, a eté choisy par le Roy pour aller en Baviere porter les presens de noces à madame la Dauphine et pour la conduire jusqu’à ce que elle soit arrivée en France.
Il partira aujourd’huy.
De Saint Germain en Laye, le 19 janvier 1680
Le quinziesme de ce mois
Le contrat de mariage du prince de Conty avec mademoiselle de Blois fut signé dans la chambre du Roy. Le Roy alla à 7 heures du soir dans la chambre de la Reine et passa ensuite dans la sienne avec toute la maison royale, qui s’etoit rendue chez la Reine. Le prince de Conty donna la main à mademoiselle de Blois. Elle avoit une mante dont la queue de cinq aunes de long etoit portée par mademoiselle de Nantes. Le Roy s’approcha d’une table qui etoit contre la muraille. A sa gauche etoit la Reine, et ensuite monseigneur le Dauphin, Monsieur, Madame, Mademoiselle, mademoiselle d’Orléans, madame la grande duchesse de Toscane, madame de Guise, le prince de Condé, le duc d’Anguyen, la duchesse d’Anguyen, le prince de la Roche sur Yon, mademoiselle de Bourbon, la princesse de Carignan, le comte de Vermandois, le duc du Maine, mademoiselle de Nantes et mademoiselle de Tours, tous rangés en demy cercle autour de la table. Le prince de Conty et mademoiselle de Blois se mirent l’un aupres de l’autre en dedans du demy cercle, vis à vis de la table. Le marquis de Seignelay, secretaire d’Etat, s’approcha du bout de la table vis à vis du Roy fit lut tout haut le commancement du contrat. Mais, à peine eut il lu une partie des qualités que le Roy lui dit que cela suffisoit et signa le contrat. Le prince de Conty se mit à sa place, entre la duchesse d’Anguyen et le prince de la Roche sur Yon, et mademoiselle de Blois à la sienne, entre le duc du Maine et mademoiselle de Nantes. La Reine, monseigneur le Dauphin, Monsieur, Madame et les princes et princesses de la maison royale signerent apres le Roy. Lorsque le contrat fut signé, le cardinal de Buillon, grand aumonier de France, entra en grand rochet et camail, suivy de l’abbé de Saint Luc, aumonier du Roi, et de quelques ecclesiastiques de la chapelle du Roy, et s’avança jusqu’au milieu de la chambre. Le prince de Conty et mademoiselle de Blois s’approcherent de luy et il fit ensuite les ceremonies ordinaires des fiançailles. Quand il demanda au prince de Conty s’il consentoit à prendre Anne Marie de Bourbon, là presente, pour sa femme, le prince de Conty, avant que de repondre, fit une reverence au Roy, une à la Reine, et une au prince de Condé comme à son tuteur, pour leur demander la permission. Et lorsqu’il demanda à mademoiselle de Blois s elle promettoit de prendre Louis Armand de Bourbon, prince de Conty, là present, pour son maris, avant que de repondre, elle se tourna vers le Roy et vers la Reine pour leur en demander la permission. Les fiançailles achevées, le cardinal de Buillon se retira et le Roy et toute la cour allerent à l’opera. Le lendemain, le cardinal de Buillon fit la ceremonie du mariage dans la chapelle du vieux chateau, en presence du Roy, de la Reine et de toute la maison royale, et, apres la messe, il baptisa le duc de Bourbon. Le Roy fut son parrain et Madame fut sa maraine. Le Roi le nomma Louis. Ensuite, le Roi alla disner avec la Reine, monseigneur le Dauphin, Monsieur, Madame, monsieur le duc de Chartres, Mademoiselle, mademoiselle d’Orleans, madame la grande duchesse, madame de Guise, et la princesse de Conty.
Le soir, il y eut comedie, et, apres la comedie, un grand souper, où le Roy, la Reine, monseigneur le Dauphin, Monsieur, Madame, monsieur le duc de Chartres, toutes les princesses de la maison royale et cinquante femme de qualité mangerent à une table qui fut servie à trois services de pres de 200 plats chacun. Le cardinal de Builon fit la benediction du lit. Le Roy donna la chemise au prince de Conty. Le lendemain, le Roy et la Reine allerent la voir dans son appartement au chateau neuf. Le Roy a donné à la princesse de Conty le duché de Vaujours, un million d’argent comptant, 100000 l. de pension et beaucoup de pierreries, au prince de Conty cinquante mil écus d’argent comptant et une pension de 25000 ecus, et une de 20000 au prince de la Roche sur Yon.
Le Roy a donné au sieur Fagon, medecin de la Reine, la charge de premier medecin de madame la Dauphine.
Le huit de ce mois
Les deputés des Etats de Bourgogne, conduis par le marquis de Rhodes, grand maistre des ceremonies, et presenté par le duc d’Anguyen, gouverneur de la province, et par le marquis de Chateauneuf, secretaire d’Etat, eurent audiance du Roy. L’evesque d’Auxerre etoit deputé du clergé et porta la parole, et le comte de Briord etoit deputé de la noblesse.
Le douziesme, ils eurent aussi audiance de Monsieur et de Madame, et y furent conduis par le sieur de Saintot, maistre des ceremonies.
Le Roy a donné l’eveché de Carcassone a Louis de Bourlemont, eveque de Frejus, celui de Frejus à Jacques Potier de Novion, eveque de Cisteron, et l’abbaye de Ligues, dans le Boulonnois, au frere du sieur de Megrigny, gouverneur de la citadelle de Tournay.
Le quinziesme
Les sieurs Boreel et Dyckfeld, ambassadeurs extraordinaires de Hollande, eurent audiance particuliere du Roy, et y furent conduis par le sieur de Bonneuil, introducteur des ambassadeurs.
De paris, le 20 janvier 1680
Le treiziesme de ce mois, Marie Françoise de Lorraine, fille de Charles de Lorraine, duc d’Elbeuf, chef de la maison de Lorraine en France, fit profession dans le couvent des flles de Sainte Marie du fauxbourg Saint Germain. La Reine lui donna le voile noir. Le cardinal de Buillon, son oncle, fit la ceremonie et l’abbé des Alleurs prescha.
On a fait aujourd’huy dans l’eglise du Val de Grace l’anniversaire de la reine mere. Monsieur et Madame y ont assisté. »

Lettre concernant le passage du roi par le pont de Neuilly

« Monsieur,
Monsieur Berryer a parlé à messieurs les interessez des gabelles, qui sont tous prestz à signer l’oblugation pour l’hostel d’Espernon en la forme qu’on la désirera. Madame la comtesse de Fleix, qui estoit venue icy cette apres disnée avec la Reyne mere, y est demeurée pour signer demain le contract, si bien, Monsieur, qu’il ne reste plus qu’à reformer l’ordonnance de fonds et y comprendre les interestz des IIIc IIIIxx IIIIm Vc XVI l. par proportions de temps, et les taxations du trésorier, comme vous l’avés trouvé bon. Je vous la renvoye, Monsieur, avec le calcul de ce à quoy montent les interests et taxations. Je vous supplie tres humblement d’avoir agreable de commander qu’on me l’a renvoie au plus tos, afin de mettre la derniere main à cette affaire.
Le Roy en passant hier à Neuilly trouva que le pont trembloit. Et la reyne d’Angleterre tesmoingna ensuitte à Sa Majesté qu’il estoit en tres mauvais estat. Elle m’envoya commander par un de ses gardes du corps d’y aller ce matin avec beaucoup de charpentiers pour reconoistre le mal et y faire travailler sur le champs. M. Le Vau, M. Warin, M. Petit, le bonhomme Dublet, Bruand, maitre des œuvres de charpenterie, Bergeron, entrepreneur du Louvre, y sont venus avec moy, et j’y aurai mené Villedot s’il eust esté en cette ville. Nous avons trouvé que tout le pont en general ne vault pas grand argent, qu’il est absolument necessaire de travailler, et promptement, à quelques reparations qui sont indispensables, et particulierement à mettre trois poutres au lieu de pareil nombre qui sont cassées, sept ou huit grand poteaux et contrefiches, remoiser et mettre des liens à touttes les travées, et rechercher le couchy de celles qui sont les plsu ruinées, moyenant quoy il n’y aura rien à craindre de quelque temps. Mais sans cella, tous demeurent d’accord, mesmes le maitre du pont et un charpentier assez entendu qui s’est trouvé sur le lieu, qu’il n’est pas en estat de pouvoir subsister. J’ay esté puis voir madame de Schomberg et luy dire l’estat des choses, mais ne l’ayant pas trouvée chez elle, elle m’a envoié deux heures apres un gentilhomme de ses parens en qui elle se confie de touttes ses affaires, pour m’asseurer qu’elle fera executer ponctuellement et le plus diligemment qu’il sera possible tout ce que l’on ordonnera. Sur quoy jay vu qu’il suffisoit d’ordonner au maitre des œuvres, en la presence dud. gentilhomme, et au charpentier des lieux de mettre demain douse charpentiers en besongne avec dix manœuvres, et lundy vingt et autant de manœuvres, pour faire tout ce qui est prescrit dans un mémoire qui leur a esté donné, ce qui leur sera d’autant plus aisé que la pluspart du bois necessaire se trouve tout amassé depuis longtemps sur les lieux. Le maistre des œuvres m’a donné sa parolle precise de n’y pas manquer. Je vous importune de tout ce detail, Monsieur, afin que si vous este d’avis d’en informer le Roy (qui en peut estre en peine), vous le puissiez faire. Les tresoriers de France avoient donné une ordonnance dattée du jour d’hier portant ordre aud. maitre des œuvres de travailler au pont dans trois jours à peine de cent livres d’amande, et trois jours apres de constraincte par corps. Voilà les propres termes.
Je suis avec plus de respect et de passion que personne au monde, Monsieur, vostre tres humble et tres obeissant serviteur.
Ratabon
A Paris, ce 22 juillet 1662 »

Ratabon, Antoine (de)

Quittance pour des sommes payées pour l’usage du dauphin

« Nous soubzsignez conseiller du Roy en son conseil d’Estat, chevallier des ordres et premier gentilhomme de la chambre de Sa Majesté, confessons avoir receu comptant de monsieur Ferras, aussy conseiller du Roy et tresorier de son Argenterie, la somme de quinze centz quatre vingtz dix livres, scavoir VIIc IIIIxx X l. pour le payement de six paires de draps qui ont esté acheptez pour servir à monseigneur le Daulphin, et VIIc l. pour la nourriture et entretenement de deux chevaux et de la caleche de mond. seigneur le Daulphin durant l’année MVIc quarente un, de laquelle somme de XVc IIIIxx X l. tournois nous nous tenons pour contentz et bien payez, et en quittons led. sieur Feras et tous autres par la presente signée de nostre main ce dernier jour de decembre MVIc quarente deux.
De Souvré »

Récit par le maître des cérémonies Nicolas Sainctot de l’audience donnée par le roi à Soliman Aga, ambassadeur du sultan, au Château-Neuf

« [f. 124] Le 5e [décembre], le sieur de Berlise, introducteur des ambassadeurs, estant venu prendre Soliman dans les carosses du Roy et de la Reine, ils entrerent dans celuy du Roy avec les sieurs de la Giberti, l’interprete et l’aumonier. Ils dinerent à Chatou, où l’on amena les chevaux de la grande ecuirie qu’ils enharnacherent à leur mode [f. 124v] et qu’ils renvoyerent au Pec. Ils decendirent de carrosse et monterent sur les chevaux qui les attendoient, se mettant en marche deux à deux, ayant le sieur Giraud à leur teste.
Soliman marchoit entre le sieur de Breslise et le sieur de la Giberti, ayant son interprete devant luy. Une des circonstances qui est plus à remarquer est que les Turcs estoient sans armes et que Soliman n’avoit pas meme de sabre. Ils entrerent en cet ordre dans la cour du chateau neuf, où ils trouverent des bataillons formez par les compagnies des regimens des gardes françoises et suisses et des escadrons formez par les mousquetaires. Les chevaux legers, les gendarmes, les gardes du corps, les gardes de la porte, les archers du grand prevost, les Cent Suisses estoient en haye depuis la porte de la petite cour jusqu’au haut du perron. Soliman mit pied à terre dez l’entrée de la petite cour, n’estant pas suffisante pour contenir le nombre de chevaux qui l’accompagnoient, et marcha à pied dans le mesme ordre qu’il estoit venu, passant au travers de la garde ordinaire des gardes du corps qui se trouverent sur le perron dans la salle des gardes. De là, il passa dans plusieurs chambres superbement tendues et se rendit ainsy dans la grande galerie [f. 125] où le Roy l’attendoit.
Cette galerie estoit parée de plusieurs belles tapisseries de la Couronne. Tout le parterre etoit couvert de tapis de pied et les deux costez de la galerie estoient remplis de grands vases d’argent elevez sur des pies destaux aussy d’argent. Au bout de la galerie estoit un trone elevé sur huit marches orné de pareils vases et de caisses d’argent dont le prix estoit de plus de vingt millions. Monsieur, M. le Prince et M. le duc d’Enguien estoient à ses costez, vestus de tres superbes habits, et tous les seigneurs de la cour, qui estoient en si grand nombre qu’ils formoient un triple rang le long de la galerie, estoient aussy tres magnifiquement habillez.
Lorsque Soliman entra dans la galerie, le bruit qui s’y faisoit auparavant cessa d’une manière si surprenante, au seul signal que Sa Majesté fit, qu’il a declaré depuis avoir esté surpris du profond respect que les courtisans rendent au Roy.
Quelque temps quant Soliman entrast dans cette galerie, il tira la lettre du Grand Seigneur d’une toilette qui estoit renfermée dans un sac de brocard de la longueur d’un pied et la tint dans ses mains, elevée de la hauteur de sa barbe, marchant toujours entre les sieurs de Berlise et de la Giberti jusques au pied du trosne, faisant avec tous ses gens le mesme nombre de reverences que le sieur Giraud qui estoit à leur teste.
Soliman, estant arrivé au pied des degrez du trone, fit une profonde reverence et commença son compliment, qui fut expliqué par son interprete en ces termes : Sire, Soliman Aga dit à Vostre tres haute et tres puissante Majesté imperiale que le tres haut et tres puissant empereur ottoman sultan Mahomet Han, quatrieme du nom, son maitre, l’envoye à Vostre tres haute et tres puissante Majesté imperiale luy porter cette lettre et luy dire que les deux empires ont toujours esté en tres bonne intelligence, qu’il en souhaite la continuation et que, pour cet effet, il a retenu M. de la Haye Ventelet, ambassadeur de Vostre Majesté imperiale à la Porte et souhaite à vostre tres haute et tres puissante Majesté imperiale toute sorte de bonheur, de felicité et de prolongation de vos jours. A quoy le Roy repondit qu’il avoit toujours eu bien de la joye [f. 126] de voir l’intelligence qui estoit entre les deux empires, que de son coté il contribueroit toujours à l’entretenir et qu’il pouvoit remettre sa lettre entre les mains de M. de Lionne. L’interprete ayant fait attendre à Soliman la reponse du Roy, Soliman dit à Sa Majesté que le Grand Seigneur, son maitre, luy ayant commandé de remettre sa lettre entre les mains propres de Sa Majesté, il la supplioit de luy faire cet honneur. Sa Majesté luy ayant accordé volontiers cette grace, il monta les degrez du trone, tenant toujours sa lettre elevée. Estant au dernier degré, et voyant Sa Majesté ne se lever pas pour recevoir la lettre, il dit que, lorsque le Grand Seigneur, son maitre, la luy avoit donné, il s’estoit levé en signe d’estime et d’amitié pour Sa Majesté, qu’il la supplioit de vouloir la recevoir de la mesme manière qu’il la luy avoit donnée. Le sieur de Lyonne, ayant appris par l’interprete le dessein de Soliman, lui demanda qui pouvoit estre garand de ce qu’il advançoit, ce qui neantmoins ne lui fut point interpreté, le Roy dans le moment s’estant tourné vers le sieur de Guitry, grand maitre de la garde robe, qui s’estoit autrefois trouvé à la Porte à l’audiance de M. de la Haye, luy [f. 126v] demanda si le Grand Seigneur s’estoit levé lorsque son ambassadeur luy avoir rendu sa lettre. Le sieur de Guitry luy ayant repondu que non, dit tout haut que, puisque le Grand Seigneur en recevant ses lettres par les mains de ses ambassadeurs ne se levoit pas, il ne se leveroit pas, aussy qu’il n’avoit qu’à donner sa lettre. La volonté du Roy estant connue à Soliman, il baisa le sac où estoit la lettre et, après l’avoir fait toucher à son front en faisant une profonde reverence, il la presenta au Roy qui la prit et la donna à M. de Lionne, qui appella les interpretes, le sieur Delacroix et le chevalier Dervius.
Dans le temps que les interpretes lisoient la subscription qui estoit sur un parchement et qui fermoit l’entrée du sac et qu’ils expliquoient au Roy les qualitez que le Grand Seigneur lui donnoit, Soliman descendit au bas du trone apres avoir fait une reverence, où estant, et branlant la teste, il dit tout haut que le Grand Seigneur ne seroit pas satisfait de la manière que le Roy recevoit sa lettre. Sa Majesté s’estant apperceu de ce mouvement de colere, demanda ce qu’il avoit dit, et luy ayant esté expliqué, aussitost dist tout haut et d’un ton serieux qu’il verroit la lettre et qu’il feroit reponse. Soliman, ayant sceu par son interprete ce que le Roy [f. 127] venoit de dire, il se retira en faisant trois reverences, apres lesquelles, ayant voulu tourner le dos à Sa Majesté, le sieur de la Giberti, qui estoit à sa droite, luy fit aussitost tourner le visage jusques à ce que le vuide qui estoit entre le Roy et Soliman fut remply et qu’il ne fut point en estat d’estre apperceu de Sa Majesté. Soliman se retira dans le mesme ordre qu’il estoit venu et remonta à cheval avec toute sa suite hors les portes du chateau neuf. »

Récit de la naissance de Louis XIV et des relevailles à Saint-Germain-en-Laye

« Ordre des ceremonies faites à la naissance de mondit seigneur le Dauphin, tant à Saint Germain que à Paris, en septembre 1638
Ce discours est de monsieur Saintot, maistre des ceremonies
La Reyne commença à se sentir du travail de son accouchement le samedy quatriesme de septembre mil six cens trente huit à unze heures du soir.
Le dimanche cinquiesme ensuivant, sur les cinq heures du matin, les douleurs s’augmenterent, dont le Roy fut adverty par la damoiselle Filandre. Sa Majesté en mesme temps alla chez la Reyne et envoya advertir monseigneur son frere unique, et aussi pareillement madame la Princesse et madame la Comtesse, lesquels se rendirent tous chez la Reyne à six heures du matin. Il n’y avoit en ladite chambre que le Roy, monseigneur son frere, ces deux princesses, madame de Vendosme par une grace particuliere que le Roy octroya à sa personne, sans qu’aucune princesse ny duchesse en peust prendre consequence, la dame de Lansac, comme destinée gouvernante du fruict qu’il plairoit à Dieu de donner, la future nourrisse de monseigneur le Dauphin, les dames de Senecey et de La Flotte, dames d’honneur et d’atour, les femmes de chambre et la dame Peronne, sage femme, laquelle seule accoucha la Reyne. Derriere et dehors le pavillon de l’accouchement, et à un coin de la chambre, estoit dressé un petit autel où les sieurs evesques de Lisieux, de Meaux et de Beauvais dirent les uns apres les autres leurs messes, et apres, devant ledit autel, firent continuellement des prieres jusques à ce que la Reyne fut accouchée, ce qui arriva sur les unze heures du matin. Dans le grand cabinet de la Reyne, proche la chambre, où le Roy alloit et venoit de l’une à l’autre, estoient la princesse de Guymené, les duchesse de La Trimouille et de Bouillon, les dames de La Ville aux Clercs, de Liancourt, de Mortemar, et quantité d’autres dames de condition de la cour et les filles de la Reyne, Monsieur l’evesque de Meaux, les ducs de Vendosme, de Chevreuse et de Montbason, les sieurs de Souvré, de Liancourt, de Mortemar, de La Ville aux Clercs, de Brion et de Chavigny, les archevesques de Bourges, evesques de Chaalons, de Dardanie, du Mans et quantité de personnes de condition de la cour, de prelats et principaux officiers de la maison du Roy. Donc sur les unze heures, la Reyne [p. 219] accoucha d’un filz, où dans le mesme instant le Roy le fit ondoyer dans la chambre par l’evesque de Meaux, son premier aumosnier, y assistant en outre tous les princes, princesses, seigneurs et dames de la cour, et monsieur le chancelier. Et après le Roy fut en la chapelle du vieux chasteau, suivy et accompagné de toute la cour, où le Te Deum fut chanté avec grande ceremonie. Puis Sa Majesté expedia le sieur du Perré Bailleul à Paris vers le corps de ville, seulement en donner advis.
[…]
[p. 228] Le dimanche vingt sixieme du susdit mois de septembre, la Reyne voulut estre relevée de sa couche et joindre publiquement ses actions de graces à celles de ses peuples, pour redonner à Dieu par voye de sacrifice et re connoissance ce precieux enfant qu’elle avoit receu de luy à titre de bienfait. Le defunt evesque de Lisieux, assez conneu entre ceux de son ordre par les avantages de sa doctrine et de son zele, eut à cet effet ordre expres de Sa Majesté de se rendre à Sainct Germain en Laye pour y celebrer la messe dans sa chambre, à laquelle assisterent plusieurs autres prelats, avec toute sa cour. Apres l’offertoire, le celebrant s’estant tourné pour attendre la Reyne, elle se leva de son drap de pied, qui par dessein avoit esté tenu dans la ruelle de son lict, et fort loin de l’autel, d’où Sa Majesté partit tenant son fils entre ses bras, comme les premices de son sainct mariage, qu’elle porta jusqu’à l’autel, où elle en fit à deux genoux une oblation au roy des roys, le destinant à son service avec sa personne sacrée, et luy donnant l’arbre et le fruict par une mesme offrande, qu’ensuite Sa Majesté scella par une communion qu’elle fit. La messe achevée, et l’evesque de Lisieux estant en pluvial et en mitre, Sadite Majesté prit monseigneur le Dauphin une seconde fois et l’alla presenter à la ceremonie. En cette solennité, outre les dames et les principaux officiers de sa Maison, employez à divers ministeres selon leur qualité, l’evesque de Saint Brieux et l’abbé de Sainct Denys, premier aumosnier de Sa Majesté, tenoient l’estole [p. 229] sur la teste de monseigneur le Dauphin, et l’evesque de Lisieux commençant la lecture de l’Evangile, ce fut merville que cet enfant royal arresta fixement sa veue sur ce grand prelat sans poussez un seul cry, comme si des l’entrée de sa vie Dieu l’eust rendu capable d’honorer les mysteres de l’Eglise par cette attention et ce silence respectueux. Mais c’est chose plus remarquable que l’evesque de Lisieux, prononçant certaines paroles qui l’obligerent de prendre ce petit prince par la main, à mesme temps il luy serra la sienne d’une vigueur et d’une force toute extraordinaire, donnant par là des augures qu’un jour son bras et sa puissance sera liée à celle des pasteurs pour la gloire de Dieu, pour le soustien de la Religion et la defense de l’Eglise. Cette ceremonie dura bien pres de trois quarts d’heure, pendant lesquels Sa Majesté portoit tousjours sans secours de personne ce cher enfant, de qui la contenance ravissoit tout le monde. Apres cela, on laisse à juger si ce n’estoit pas la raison que tous les soins des François et leurs affections fussent lors attachées à son berceau, s’il n’estoit pas juste d’esperer que ce soleil levant dissipera un jour tous les nuages qui couvrent ce royaume et si cette esperance n’oblige pas de benir à jamais Dieu qui l’a donné, le Roy qui l’a produit, et la Reyne qui l’a conceu pour la prosperité de cette monarchie.
Le lundy vingt septiesme septembre, le feu Roy partit de Chantilly et vint coucher à Luzarche, le lendemain à Escouan et arriva le mercredy vingt neufieme à Sainct Germain, où le defunt cardinal duc de Richelieu se rendit aussi des armées de Picardie le mesme jour et quasi à mesme heure que Sa Majesté, laquelle il trouva dans la chambre de monseigneur le Dauphin, où la Reyne estoit aussi. Il seroit mal aisé d’exprimer de quels transports de joye Son Eminence fut alors touchée, voyant entre le père et la mere cet admirable enfant, l’objet de ses souhaits et le dernier terme de son contentement. Puis Sadite Eminence s’en alla coucher à Ruel. »

Récit de la naissance de Louis XIV à Saint-Germain-en-Laye

« L’heureuse naissance de monseigneur le Dauphin, à present le roy Louis XIV, fils du feu roy Louis XIII et d’Anne d’Austriche, regente en France, dans le chasteau neuf de Sainct Germain en Laye, le dimanche 5 septembre mil six cens trente huict, sur les unze heures du matin
[…]
[p. 211] Si le dernier siecle a attribué à la sage conduite de fernel, premier medecin de Henry II, ce que Catherine de Medicis eut des enfans apres avoir esté dix ans sterile, on ne peut en ce rencontre obmettre la benediction que Dieu a voulu estendre sur les soins des medecins de Leurs Majestez, qui ont porté leur santé jusqu’au poinct de rendre la France si heureuse par cette tant illustre et desirée naissance, et d’autant plus merveilleuse qu’aucune des autres n’est arrivée apres une patience de tant d’années, comme si Dieu eust reservé à ce siecle un concours de tous ces precedés miracles.
Cette heureuse grossesse a esté miraculeusement predite à la Reyne peu auparavant qu’elle avint, et elle avoit esté tellement exempte des fascheux symptomes qui accompagnent les autres en cet estat que l’on avoit par là matiere d’en douter jusques au mouvement, et depuis iceluy Sa Majesté et son fruict se porterent si bien que, decouvrans l’imposture de ceux qui se pensoient signaler par la prediction du jour de cette delivrance, et verifians au contraire ce que dit Hippocrate des plus vigoureux enfans, cettuy cy entra bien avant en son dixiesme mois. Ainsi l’antiquité figuroit les heros, ou demy dieux, toujours plus longtemps que les autres dans le ventre de leur mere. Donc de Dauphin, à present Roy, en est finalement sorty, et la Reyne, apres un travail de quelques heures, accoucha le cinquiesme septembre, peu avant midy, dans le chasteau neuf de Sainct Germain en Laye, d’un prince que sa beauté et proportion accomplie de toutes les parties de son corps rendit des lors par moins aymable que cette masle vigueur [p. 212] qui luisoit desjà au travers de ses membres enfantins, promettoit de trophées. Ce celebre accouchement se fit en presence des princesses et dames de la cour, accourues en foule pour avoir part à cette extreme joye, que quatre dauphins argentez d’un grand obelisque planté devant le vieil chasteau de Sainct Germain ayderent à epandre dans le peuple avec le vin qu’ils verserent tout le soir, et continuerent le reste de la nuict en grande abondance.
A l’instant toute la ville de Paris s’appresta à en temoigner sa joye par des actions de graces solennelles à Doeu dans ses eglises, par un concours des peuples qui y fourmillent et s’entr’annonçoient cette bonne nouvelle, par des feux de joye allumez dans les rues, accompagnez des cris de Vive le Roy, la Reyne et monseigneur le Dauphin, et par une agreable bigarure de lumieres des fenestres innombrables de ce petit monde, le bruit redoublé de quarante canons et de trois cents boettes de l’arsenal ayant devancé cette magnificence et annoncé à l’univers cette naissance.
Particularitez de la susdite naissance de monseigneur le Dauphin et de ce qui se passa ensuite à Sainct Germain et à Paris
Ce n’est pas assez d’avoit dit en gros et avec peu de circonstances que la Reyne est accouchée d’un Dauphin, une des meilleures et plus agreables nouvelles qui se puissent gueres donner au public, mais encore qu’une familiere narration des circonstances de ce qui s’y est passé de plus remarquable doive sembler à quelques uns indigne de la majesté de ce benefice inenarrable du ciel, il faut mieux le rendre intelligible par un discours accommodé au vulgaire que par une reverence injurieuse au public, le laisser ensevely dans l’oubly du temps qui n’enveloppe souvent pas moins la verité qu’il la decouvre. Doncque pour y satisfaire, une année auparavant un religieux avoit adverty la Reyne qu’elle devoit accoucher d’un fils, asseurant en avoir eu la revelation ; et pour ce que les souhaits de toute la France ne tendoient que là, les premiers signes qui ont coustume d’accompagner la grossesse des femmes ne parurent pas plustost en la Reyne qu’un chacun le crut aisement : ce ne furent plus des lors que neufvaines, voyages et vœux, particulierement à la Vierge et à Saincte Anne, par l’intercession desquelles on a cru cette grossesse avoir esté impetrée du Ciel. On vit ensuite toute la France humiliée devant Dieu pour luy demander par ses pieres de quarante heures et autres devotions sans nombre la conservation de ce fruict royal : cependant qu’il estoit au ventre maternel, tous, ou par le desir qu’ils en avoient, ou par les signes naturels, ou autrement, ont tousjours predit que ce seroit un fils ; mais peu de personnes se sont rencontrées de mesme advis touchant le terme de l’accouchement, aucuns ayant asseuré que ce seroit au vingt deuxieme, autres au vingt cinqieme aoust, jour de sainct Louys. On tient que celuy qui en approcha le plus estoit un certain vacher nommé [p. 213] Pierre Roger, du village de Saincte Geneviesve des Bois proche Paris, lequel, tesmoignant d’ailleurs une simplicité et une ignorance fort grossiere, avoit dit que la Reyne accoucheroit le samedy quatriesme de septembre, et ce fut le dimanche cinquiesme. Ce qui donna lieu aux uns d’approuver son progonostic, soustenans que les predictions qui viennent de Dieu ne sont pas si precises que celles des mathematiciens qui designent les oppositions et autres aspects des corps celestres mille ans avant le mesme poinct auquel elles arrivent, et les autres que la difference des choses miraculeuses d’avec les naturelles se reconnoist principalement en ce que les premieres sont parfaites et exactes, les autres non, le seul poinct et moment prefix auquel arrive la chose predite estans celuy qui peut faire distinguer la prophetie de l’imposture, auquel point mesme le hazard peut faire arriver, comme un mauvais archer peut donne une fois dans le blanc. De quoy on laisse la decision à d’autres, pour dire que ce dimanche cinquiesme dudit mois de septembre, sur les deux à trois heures du matin, la Reyne commença de sentir les vrais signes du travail d’enfant, ce qu’elle en avoit eu sur les unze heures du soir precedent s’estant aussitost passé. Elle voulut que l’evesque de Lisieux dit la messe dans sa chambre sur les quatre heures du matin, et comme par son commandement le sieur Seguier, evesque de Meaux, premier aumosnier du Roy, se disposoit à en dire une autre, les douleurs s’augmentans, on alla avertir le Roy, lequel la vint voir. Mais, prenant le soin de la santé du Roy, qu’elle scavoit avoir lors besoin d’aller prendre son repas, l’en pressa tant que Sa Majesté s’y en alla. Enfin, c’estoit sur les unze heures du matin, le Roy ne venoit que de se mettre à table, n’y ayant pas un quart d’heure qu’il avoit quitté la Reyne, lorsqu’on luy vint dire qu’elle accouchoit. Il y court. Des l’entrée, la marquise de Senecey, dame d’honneur de la Reine, dit à Sa Majesté que la Reyne estoit accouchée d’un Dauphin, et la dame Peronne, sage femme qui l’avoit assistée à son travail, par le conseil des medecins et chirurgiens de Leurs Majestez, et plus experimentez en telles affaires, le fit voir au Roy, et luy fit remarquer sa beauté et grandeur extraordinaire. A l’instant chacun cria : C’est un Daufin, c’est un Daufin, et cette parole se porta aussi viste qu’un esclair par toute la cour et par tout Sainct Germain, d’où mille messagers, avec charge et sans charge, l’espandirent si promptement au loing que, bien que cette heureuse naissance ne fut arrivée, comme a esté dit, que sur les unze heures et un quart avant midy du cinquiesme de ce mois de septembre 1638, un courrier arrivé à Paris le septiesme ensuivant asseura en avoir appris la nouvelle à soixante lieues au loing.
Le Roy, voulant aussitost rapporter toutes ces faveurs et benedictions au ciel, mit les genoux en terre et remercia Dieu de cette cy. Les eglises de Saint Germain et des peres recollets estoient encor remplies de seigneurs et dames qui estoient allées, la pluspart avant le jour, communier et faire leurs autres devotions pour les mesme sujet, lorsqu’ils y apprirent l’agreable nouvelle de cet heureux accouchement, [p. 214] qui se fit en presence de Monsieur, frere unique du Roy, duc d’Orleans, lequel temoigna à l’instant à Sa Majesté le contentement qu’il en recevoit, comme Sa Majesté luy confirma aussi de sa part toutes les asseurances d’une affection cordiale. Mesdames les princesses de Condé, comtesse de Soissons, duchesse de Vendosme, connestable de Montmorency, duchesse de Bouillon La Mark et autres de grande condition y estoient aussi presentes, outre les dames de Senecey, de La Flotte et autres de la Maison de la Reyne, dans la chambre et à la veue de laquelle ce tant souhaité Dauphin fut ondoyé par ledit sieur Seguier, son premier aumosnier, et fut fait participant de toutes les ceremonies et magnificences qui s’observent à l’imposition du nom. Où assisterent le Roy, Monsieur son frere, le chancelier de France arrivé peu apres l’accouchement, plusieurs autres seigneurs et dames qui y accouroient en foule, comme à la veue d’un miracle, le Roy ayant fait entrer dans la chambre de la Reyne tous ceux qui estoient dans l’antichambre pour les rendre participans de cette joye, laquelle fit allumer des feux en plusieurs endroits de Sainct Germain. Les daufins de la fontaine de vin y continuoient cependant à le jetter depuis le matin, avec tel abord de peuple que quelque desordre y estant survenu obligea d’y mettre des gardes ; laquelle magnificence plusieurs partiucliers imiterent depuis à Paris, tel en ayant fait pleuvoir de son toict.
A une heure apres midy, le Roy alla faire chanter le Te Deum dans la chapelle du vieil chasteau, accompagné des Cent Suisses de sa garde, et suivy de Monsieur, du chancelier de France, des ducs de Montbazon et d’Uzez, des sieurs de Liencour, de Mortemar, de Souvré et du comte de Tresmes, et en un mot de toute la cour, qui estoit si grosse toute cette semaine qu’il estoit mal aisé de trouver giste à Saint Germain, encor qu’il y eust des gardes aux principales avenues qui n’en permettoient l’abord qu’aux personnes qui ne venoient point de lieu suspect de maladie. Le mesme evesque de Meaux y officia, vestu pontificalement, en presence de l’archevesque de Bourges l’ancien, des evesques de Lisieux, de Beauvais, de Dardanie et de Chaalons, ayant chacun le rochet et le camail, et de toute la chapelle du Roy, laquelle y fit merveille. Puis monseigneur le Daufnin, ayant esté alaité par la damoiselle de La Giraudiere, sa nourrice, les gardes en haye, fut porté en son appartement meublé de damas blanc, et mis entre les mains de la marquise douairiere de Lansac, sa gouvernante. Sa Majesté en ayant aussi envoyé donner avis à la ville de Paris par le sieur de Perrey Bailleul, maistre d’hostel ordinaire de sa Maison, le corps de ville en fit faire des le jour mesme un feu de joye à la Greve, et le lendemain un autre, des plus beaux qui s’y soit gueres veu. Le sieur de Laffemas, lors lieutenant civil, donna les ordres que les bourgeois en temoignassent aussi leur ressentiment par les feux de joye allumez dans les rues et par des lumieres aux fenestres, à quoy les Parisiens se porterent avec tant d’ardeur qu’au lieu d’un jour ils en continuerent trois ou quatre tout de suite. Le sieur [p. 215] du Tremblay, gouverneur de la Bastille, et le sieur de Sainctoust, commandant dans l’Arsenal en l’absence du grand maistre de l’Artillerie de France, y tinrent hautement leur partie, par un concert de boetes et canons qui firent part à tout le pais d’autour cette agreable nouvelle.
Il n’y eut maison religieuse qui n’ornast ses murailles de chandelles. Les jesuites, outre pres de mille flambeaux dont ils tapisserent leurs murs les 5 et 6, firent le septiesme dudit mois de septembre un ingenieux feu d’artifice dans leur cour, qu’un dauphin alluma entre plus de deux mille autres lumieres qui eclairoient un balet, et comedie sur le mesme sujet, representez par leurs escoliers. Les feuillans de la reue Neuve Saint Honoré firent le septiesme une aumosne generale de pain et de vin, emplissant les vaisseaux de tous les pauvres qui se presentrent, et apres une procession par eux faite chacun le cierge à la main, furent brusler un chasteau d’artifices, chantans le Te Deum au son des trompettes entremeslées du carillon de leurs cloches. Les bourgeois de la place Dauphine, ayant à leur teste des hautsboits et musettes conduits par Destouches, l’un d’eux, firent des resjouissances dignes du nom de leur place. Le Te Deum en fut aussi solemnellement chanté le sixiesme dans l’eglise Nostre Dame, et tous les religieux avec les parroisses firent lors des processions, où l’archevesque de Paris assista avec tout son clergé, accompagné des prevost des marchands et eschevins. Le parlement, chambre des comptes et autres cours allerent ensuite rendre leurs complimens au Roy et à monseigneur le Dauphin. Le huictiesme du mesme mois, l’evesque de Metz fit faire la procession generale dans le fauxbourg Saint Germain, dont il est abbé, et dont toutes les rues estoient tapissées. Bref, tout conspira unanimement à rendre graces à Dieu pour un si grand bien. Aussi, la maxime estant veritable que les choses se conservent par les moyens qui les ont produites : puisque ce Dauphin avoit esté obtenu par les vœux et prieres de tous les bons françois, c’estoit pas les mesmes prieres qu’il leur devoit estre conservé. »

Récit du baptême de Louis XIV dans la chapelle du Château-Vieux de Saint-Germain-en-Laye

« Les ceremonies du baptesme de monseigneur le Dauphin, à present Louys XIV, à Sainct Germain en Laye le 21 avril 1643
Le feu roy Louis XIII ayant fait ondoyer monseigneur le Dauphin son fils des le jour de sa naissance par monsieur Dominique Seguier, evesque de Meaux et son premier aumosnier, comme a esté remarqué cy dessus à la page 214 de ce livre, Sa Majesté avoit toujours differé la ceremonie du baptesme de ce sien fils aisné jusques au vingt unieme du mois d’avril mil six cens quarante trois, auquel estant indisposée, Elle voulut que l’on baptisast ce prince, et pour ce sujet choisit monsieur le cardinal Jules Mazarin pour parain et madame Charlote Marguerite de Montmorency, femme de feu monseigneur le prince de Condé, pour maraine de Son Altesse royale. Ainsi plusieurs de nos roys ont choisi des ecclesiastiques pour estre les parains de leurs fils aisnez, entre autres saint Louys fit le choix d’Odon ou Eude III, abbé de Saint Denys, pour estre le parain de son fils aisné Louys de France.
Ce fut sur les quatre ou cinq heures du soir du mesme jour que se fit [p. 246] cette royale et saincte ceremonie dans la belle chapelle du vieil chasteau de Sainct Germain en Laye, en cet ordre :
Monseigneur le Dauphin vestu, par dessus son habit ordinaire, d’une robbe de taffetas d’argent, marchoit devant la Reyne et la marquise douairiere de Lansac, sa gouvernante, derriere Son Altesse royale. Apres la Reyne suivoient la susnommée Charlote Marguerite de Montmorency, princesse de Condé, madame Anne de Montafié, comtesse de Soissons, madame Anne de Bourbon, duchesse de Longueville, et les autres princesses et dames de la cour.
La Reyne et monseigneur le Dauphin estans arrivez en cette royale chapelle, dont le chœur et la nef, le jubé et les galeries et tribunes estans remplis de plusieurs seigneurs et dames qui estoient venues pour voir cette auguste ceremonie, la musique du Roy chanta un motet ravissant, pendant lequel, la Reyne s’estant mise de genoux sur son prié Dieu garny de son drap de pied et carreaux de veloux rouge cramoisy à franges d’or, et monseigneur le Dauphin aussi à genoux aupres de Sa Majesté et à sa droite, la princesse de Condé se tenant aussi à genoux à sa gauche, le susnommé evesque de Meaux, vestu de ses habits et ornemens pontificaux, accompagné de quatre aumosniers de Sadite Majesté, en presence de ces six prelats, tous en rochet et camail, monsieur l’evesque et comte de Beauvais, pair de France et premier aumosnier de la Reyne, de la maison de Potier, monsieur l’evesque de Viviers, de l’illustre maison des comtes de Suze ou de la Baume en Dauphiné, monsieur l’evesque de Riés de la maison de Doni assez conneue à Florence et à Avignon, monsieur l’evesque de Sainct Paul de l’illustre maison d’Ademar de Monteil et comtes de Grignan en Provence, monsieur l’evesque de Coutances de la maison de Matignon, et de monsieur l’evesque du Puy de la maison de Maupas ou des barons du Tour en Champagne, et de plusieurs abbez et de tout le clergé de la chapelle du Roy, sortit de la sacristie et, apres avoir adoré le tres sainct sacrement qui estoit exposé sur l’autel orné de tres riches paremens, il s’approcha du prié Dieu de la Reyne, laquelle luy presenta monseigneur le Dauphin, qui fut ensuite eslevé par la marquise de Lansac sur l’appuy ou acoudoir dudit prié Dieu. Puis le cardinal Mazarin, qui avoit accompagné la Reyne depuis son departement jusques à cette chapelle, passa à la main droite de monseigneur le Dauphin et la princesse de Condé de l’autre costé, selon l’ordre observé en l’Eglise entre les parains et maraines, de laquelle dignité il a plu au Roy de les honorer, Sa Majesté leur ayant temoigné de sa propre bouche que c’estoit pour obligé encore plus estroitement le prince de Condé et Son Eminence à son service et à celuy de monseigneur le Dauphin son fils qu’Elle leur faisoit cet honneur, qui est le plus grand qu’eux ny autres pouvoient jamais recevoir.
Alors la Reyne, tenant par derriere mondit seigneur le Dauphin, qui parut beau comme un ange et fit voit en toute cette saincte action une modestie et retenue extraordinaire à ceux de son age, l’evesque [p. 247] de Meaux, qui l’avoit ondoyé comme a esté rapporté cy dessus, ayant salué Sa Majesté la mitre en teste, demanda ausdits parain et maraine le nom que l’on vouloit donner à ce prince. La princesse de Condé, ayant fait grand compliment à Son Eminence, puis une reverence à la Reyne, le nomma Louys, suivant l’intention de Sa Majesté. En suite de quoy l’evesque continua l’office selon le rituel romain, suivant lequel il exorciza, benit le sel et en mit dans la bouche de ce prince, dix neufieme dauphin de Viennois, Louys de France, quatrieme du nom, qui le receut fort pieusement, et avec une humilité qui ravit toute l’assistance en admiration. Puis, la Reyne luy ayant, ainsi qu’il se pratique en telles ceremonies, decouvert la poitrine et les epaules, l’evesque officiant luy appliqua les sainctes huiles des catechumenes, et à toutes les fois que ce prelat luy dit : Ludovice abrenuncias Sathanae, pompis et operibus ejus ?, il repondit luy mesme autant de fois : Abrenuncio, comme aussi aux trois interrogations qu’il luy fit sur sa creance, selon les termes du mesme rituel, il repondit hardiment autant de fois : Credo. Alors l’evesque luy declara qu’il estoit introduit dans l’Eglise, et tant les parain et maraine que ce prelat et tous les assistans reciterent avec Son Altesse royale à haute voix le symbole des apostres et l’oraison dominicale. Puis l’evesque, obmettant l’infusion de l’eau (qui avoit esté faite à ce prince des le jour de sa naissance le dimanche cinquieme de septembre mil six cens trente huit et qui ne se reitere jamais), la Reyne luy decouvrant la teste, l’evesque luy en oignit le sommet avec le sainct cresme. Ce fait, il luy mit sur la teste le cresmeau, recitant aussi les mots du rituel sur ce sujet, et luy presenta le cierge allumé, que Son Altesse prit elle mesme à deux mains et le tint seule durant le reste de la ceremonie. A la fin de laquelle l’evesque officiant monta à l’autel et donna la benediction solennelle, que toute l’assistance receut à genoux, et la musique du Roy chnta encore ensuite le Regina caeli etc. Puis chacun s’en retourna, merveilleusement satisfait d’avoir assisté à cette saincte et auguste ceremonie, laquelle fut fermée par un remerciement que ce prince vint faire jusque dans la sacristie à l’evesque qui l’avoit baptisé.
Ce dix neufieme dauphin Louys de France, quatrieme du nom, par cette action donna des indices de sa future bonté et pieté, et des asseurances que quand Son Altesse royale seroit plus avancée en age, elle suivroit les vertus de tant de roys et de princes ses ancestres, desquels le nom et la mémoire est en benediction pour leur affection, leur respect et leur sainct zele vers l’Eglise, unique espouse du fils unique de Dieu. La premiere action royale que Son Altesse royale fit des le jeudy Sainct le onzieme de ce mesme mois d’avril en la ceremonie de la Cene, lavant les pieds aux pauvres, ne put estre que de bon augure, estant pareillement de pieté, et un presage qu’il imiteroit le Roy son père, qui avoit fait autrefois une pareille action. »

Récit du décès de Jacques II à Saint-Germain-en-Laye

« [p. 369] Vous attendez, sans doute, un détail de la maladie, de la mort et du convoy de Jacques II, roy d’Angleterre ; il faut vous satisfaire sur tout cela.
Depuis un anthrax que ce prince eut il y a deux ans, qui suppura fort peu, et quelques légers mouvemens de goutte, sa santé parut fort ébranlée ; mais [p. 370] cela devint beaucoup plus sensible après une attaque d’apoplexie imparfaite, qui fut suivie de la foiblesse de tout un côté, et de la paralysie de quelques doigts, arrivée au Carême dernier. Ses forces estoient fort diminuées, il maigrissoit de jour en jour, et contre son ordinaire il paroissoit plus pesant et plus assoupi. A tous ces accidens, il estoit survenu, il y a quatre mois, un crachement de sang, fort léger dans son commencement et qui devient par la suite plus sensible.
S. M. B. estoit dans cet estat le vendredy 2 de septembre qu’il luy prit une grande foiblesse, dont Elle revint par le secours des cordiaux. Dans ce moment, la fièvre s’éveilla avec l’assoupissement [p. 371] qui a conduit ce prince jusqu’au tombeau.
Le dimanche, troisième jour de son mal, une seconde foiblesse le mit dans un estat si pressant que l’on eust d’abord recours aux derniers sacremens. Le pouls luy revint un peu après un vomissement d’un sang retenu depuis quelque temps dans l’estomac, comme il paroissoit à la couleur et à l’odorat. Le pouls néanmoins, qui estoit resté embarassé, se trouva dégagé par une pareille évacuation procurée par le moyen d’un remède que M. Fagon luy fit donner. Ce remède, posé à propos, le fit un peu reposer et donna quelque espérance.
Le lundy, quatrième jour de [p. 372] son mal, et cinquième du mois, un léger purgatif luy fit rendre beaucoup de sang retenu.
Le même jour après midy, le Roy alla le voir. Sa Majesté britannique le supplia de trouver bon qu’Elle fust enterrée dans l’église paroissiale de Saint Germain en Laye. Le Roy en parla à la reine d’Angleterre, et l’on ne jugea pas à propos de répondre à ce qu’une profonde humilité luy faisoit dire. Ce prince recommanda ce jour là au Roy les regimens irlandois qui sont à son service.
Il demeura assez tranquille le mardy.
Le mercredy, apres l’usage de quelques remedes propores à arrester l’hemorragie, cet accident [p. 373] cessa absolument, et la fievre diminua de beaucoup.
Le jeudy se passa dans redoublement. Il survint un flux d’urine, ce qui fit concevoir quelque esperance.
Le vendredy, huitieme jour du mal de ce prince, la fievre augmenta, sa langue devint seche, l’assoupissement ne diminua point, et l’on apperçut que le flux d’urine devenoit involontaire et que la paralysie gagnoit la vessie. Un purgatif qui luy fut donné alors fit connoistre que cet engourdissement se communiquoit aux entrailles. On perdit des ce moment toute esperance, les accidens allerent toujours en augmentant, et les remedes furent sans effet.
[p. 374] Ce prince se trouva si mal la nuit du 12 au 13 qu’on craignit qu’il ne mourust avant qu’elle fust passée. Sa Majesté demanda le viatique pour la seconde fois, et le reçut sur les cinq heures du matin avec une piété exemplaire. On luy avoit donné l’extrême onction trois heures après midy en même temps que le viatique. Le prieur curé de Saint Germain s’acquitta de toutes ces fonctions d’une manière très édifiante.
Le même jour 13, après midy, le Roy alla voir pour la dernière fois ce prince mourant, et déclara proche de son lit, et en présence de la reine et de plusieurs seigneurs des deux Cours, que si Dieu disposoit de Sa Majesté [p. 375] britannique, il reconnoistroit et traiteroit monsieur le prince de Galles comme roy d’Angleterre, d’Ecosse et d’Irlande. Sa Majesté britannique, qui estoit dans un grand assoupissement, n’en fut point tirée par les mouvemens que ces paroles causerent dans la chambre, ou peut estre qu’estant toujours en meditation, en attendant le moment de la mort, Elle ne voulut pas interompre, pour les choses de ce monde, le sacrifice qu’Elle faisoit alors de son âme à Dieu. Tous les milords, en fondant en larmes, se jetterent aux genoux du Roy pour le remercier. Ils reconduisirent Sa Majesté en cet état, avec des acclamations qui témoignoient [p. 376] leur reconnoissance et leur affliction, et le mélange de joye et de tristesse qui paroissoit sur leur visage, ayant quelque chose d’aussi vif pour la joye que pour la douleur, on ne scavoit si l’on devoit se réjouir ou s’affliger avec cette Cour, qui pour trop sentir, ne pouvoit bien démeller elle-même ce qu’elle sentoit. La nuit du 13 au 14, on crut que ce prince alloit expirer, les redoublemens estans devenus plus frequens et plus dangereux. On reïtera plusieurs fois la recommendation de l’âme, ce qui fut fait alternativement par les aumôniers de Sa Majesté britannique et par le curé de Saint Germain. Cependant, Sa Majesté conservoit une connoissance parfaite [p. 377] qui continua jusques aux derniers momens ;
Madame la duchesse de Bourgogne alla le voir le 14 à trois heures après midy. Ce prince la remercia avec beaucoup de présence d’esprit et la pria de passer chez la Reine, à cause de la mauvaise odeur qui estoit dans sa chambre.
Monseigneur le duc de Bourgogne l’alla voir le 15, sur les dix heures et demie du matin. Lorsque ce prince y arriva, on disoit pour la cinquième fois les prières des agonisans. Sa Majesté britannique, après l’avoir remercié de sa visite, le pria de trouver bon que l’on continuast les prières. Madame l’alla voir l’après dinée du même jour, à l’issue [p. 378] de son dîner. Il entroit souvent dans une espèce de létargie, et lorsqu’on le reveilloit de son assoupissement, il répondoit juste et reconnoissoit tout le monde. Il avoit commencé le jeudy au soir à prononcer avec peine.
Le même vendredy 16 que ce prince reçut tant de visites et qu’il avoit ouy la messe dans sa chambre, ainsi que les jours précédens, il tomba dans une douce agonie sur les deux heures et demie après midy, et à trois heures et un quart, il expira sans aucun effort, ayant la bouche riante, ce qui continua d’une manière sensible quelques momens après sa mort. On observa, comme une chose digne de remarque, et dont [p. 379] il y a peu d’exemples, qu’en quinze jours que ce prince avoit passez dans le lit de la mort, aussi tourmenté des remèdes qu’on luy donnoit que de sa maladie, il ne luy estoit pas échapé le moindre mouvement d’impatience, de répugnance ny même d’inquiétude, estant dans une méditation presque continuelle et ne parlant qu’autant qu’il estoit absolument nécessaire et que la charité le demandoit. Sa piété n’avoit rien ny d’austère ny de rude. Je n’entre point dans les choses touchantes et plus édifiantes encore qu’il a dites à la reine pendant les quinze jours qu’a duré sa maladie ; elles sont au dessus de toutes sortes d’expression. La manière dont il a parlé à monsieur le [p. 380] prince de Galles n’est pas moins digne d’admiration, et moins difficile à exprimer. Il luy a fait voir par des discours aussi touchans que chrétiens qu’il ne devoit point mettre la couronne en parallèle avec la religion et l’a conjuré de ne le faire jamais. Il a protesté tout haut qu’il pardonnoit sincérement et de tout son cœur à tous ceux qui luy avoient causé tant de mal, et qu’il prioit Dieu qu’il leur pardonnast, en ajoutant qu’il leur avoit de grandes obligations, puisqu’ils estoient peut estre la cause de son salut qu’il esperoit. Il a tenu ces discours plus d’une fois et les a renouvellez en recevant le viatique. Ce n’est point l’état où il se trouvoit, et [p. 381] l’assurance d’une mort certaine qui l’ont fait parler ainsi, puisque depuis le commencement de ses malheurs jusqu’au moment de sa mort les chagrins qu’il ressentoit, peut estre plus pour sa famille que pour luy, n’ont jamais esté cause qu’il luy soit rien échapé contre les auteurs de tous ses maux. Il s’estoit mis pendant tout le cours de sa vie par une fermeté héroïque au dessus de toutes les disgraces qui luy estoient arrivées, et toutes les fois qu’il s’estoit agy de la religion, il avoit fait voir une constance digne des anciens chrétiens. Il estoit d’une valeur intrépide et il en a donné des preuves en plusieurs batailles, tant sur terre que sur mer, mais ce [p. 382] n’est pas icy le lieu de s’étendre sur des choses qui regardent ceux qui travailleront à son histoire.
Lorsque ce prince fut expiré, M. Desgranges, maistre des cérémonies de France, fit exposer son corps à la vue du peuple. Le clergé de la paroisse de Saint Germain, les recolets qui sont dans le même lieu et les augustins des Loges, au nombre de douze qui se relevoient de temps en temps, formerent deux chœurs, qui psalmodierent toute la nuit, et le matin on commença à célébrer des messes sur deux autels dressez dans la même chambre où estoit le corps.
Le samedy 17, sur les quatre heures après midy, on l’ouvrit et on l’embauma. On luy trouva [p. 383] très peu de sang, et presque réduit en eau, tous les visceres, les entrailles et même le cœur fletris et extenuez. A l’ouverture du crane il sortit une tres grande quantité de serositez et les ventricules du cerveau étoient absolument plein d’eau.
Son corps fut porté le soir, avec peu de cérémonie, aux bénédictins anglois du fauxbourg Saint Jacques, où il doit rester en dépost jusqu’à ce qu’on résolve où il sera inhumé. Son cœur a esté porté au couvent de Sainte Marie de Chaliot, où est celuy de la feue reine sa mère. Son convoy n’étoit composé que de trois carosses. Dans le premier, précédé de quatre gardes du corps qui portoient des flambeaux, étoient [p. 384] un aumônier, qui portoit le cœur du Roy, le père Sandun, confesseur de Sa Majesté, son compagnon, un autre aumônier, deux chapelains et le prieur de Saint Germain. Dans le second estoit le corps de ce prince, et M. du Vinet, exempt des gardes du corps de Sa Majesté Très Chrétienne. Vingt six gards du corps marchoient devant et derrière, avec des flambeaux. Le convoy estoit terminé par un troisième carosse, dans lequel estoient M. le duc de Barwik, Mr Porter, vice chambellan de Sa Majesté britannique, milord Hamilton, Mr Desgranges, Mr Hamilton, maistre de la garde robe, et Mr Ploiden, controlleur de la Maison de [p. 284] Sa Majesté. Mr d’Ingleton, aumônier de la semaine, fit un discours en latin en remettant le corps du roy entre les mains du prieur des bénécitins, qui répondit en la même langue, et ces discours furent trouvez fort touchans. Le corps couvert d’un poele fut mis sous un dais dans une chapelle tenue de noir. Le même cortège qui avoit esté aux bénédictins accompagne le cœur jusqu’à Sainte Marie de Challiot. Le même Mr Ingleton fit aussi un très beau discours en remettant le cœur entre les mains de la supérieure, qui y répondit avec beaucoup d’esprit.
Je dois ajouter icy qu’aussitost que le Roy fut expiré, M. [p. 386] le prince de Conty, qui depuis quelques jours n’avoit point quitté Saint Germain, estant parent de la reine, eut l’honneur de saluer le jeune roy. M. le nonce dit à ce nouveau monarque qu’il avoit ordre de Sa Sainteté de le reconnoistre après la mort du roy son père, et M. l’abbé Rizzini, envoyé de Modène, luy fit le même compliment de la part du duc son maistre.
Le 20, le Roy alla à Saint Germain, et il monta d’abord chez le roy d’Angleterre, qui l’attendit au haut du grand escalier en long manteau et conduisit Sa Majesté dans son appartement en prenant la main gauche. Il se trouva deux fauteuils, et le Roy s’assit dans celuy qui estoit [p. 387] à la droite. La visite fut courte. Sa Majesté britannique conduisit le Roy, qui l’empescha d’aller aussi loin qu’il auroit souhaité. Le Roy alla ensuite chez la reine, qui estoit au lit, et demeura près d’une heure avec cette princesse. Madame la duchesse de Bourgogne arriva pendant ce temps là, accompagnée de madame la Princesse, de madame la Duchesse, de mademoiselle d'Angu’en et des dames du palais de madame la duchesse de Bourgogne. Elles estoient toutes sans mantes, parce que la visite n’estoit pas de cérémonie. Madame la duchesse de Bourgogne alla d’abord chez Sa Majesté britannique, qui la reçut à la porte de sa chambre. Elle y resta peu de temps, et ne [p. 388] s’assit point. Cette princesse alla ensuite chez la reine, où elle trouva le Roy, qu’elle y laissa. Après cette courte visite, cette princesse alla chez madame la princesse d’Angleterre, où elle resta debout. Monseigneur le Dauphin et madame la princesse de Conty douairière y arrivèrent de Meudon une demi heure après. Le Roy, avant que de partir, alla chez madame la princesse d’Angleterre, messeigneurs les ducs de Bourgogne et de Berry, monsieur le duc et madame la duchesse d’Orléans, monsieur le Prince, monsieur le Duc et madame la Duchesse, madame la princesse de Conty et généralement tout ce qu’il y a de personnes de distinction [p. 289] à la Cour ont esté faire des complimens au roy, à la reine et à madame la princesse d’Angleterre.
Le 21, Sa Majesté britannique rendit visite au Roy à Versailles et à madame la duchesse de Bourgogne. Cette princesse étant alors à la messe, Sa Majesté l’attendit dans son appartement. Monseigneur le Dauphin et messeigneurs les ducs de Bourgogne et de Berry estoient partis pour Fontainebleau.
Je ne dois pas finir cet article sans vous dire que tous ceux qui ont vu ce jeune roy en sont charmez. Son air, ses manières et son esprit frapent d’abord également tous ceux qui ont l’honneur de l’approcher. Tout est en [p. 390] ce jeune monarque infiniment au dessus de son âge, et quoy qu’il doive beaucoup au sang dont il est sorti, il ne doit pas moins à son éducation. »

Mention du baptême de la fille de Jacques II dans la chapelle du Château-Vieux de Saint-Germain-en-Laye

« [p. 304] Le Roy et madame ont tenu la princesse d’Angleterre sur les fonts. La ceremonie s’est faite dans la chapelle du vieux chasteau de Saint Germain en Laye, par M. le cardinal de Bouillon, grand aumonier de France. La princesse a esté nommée Louise Marie Elizabeth, qui sont les noms du Roy, de la reine d’Angleterre et de Madame. Sa Majesté vouloit que le nom de Marie fut le premier, parce que c’est ordinairement celuy qui demeure, mais la reine [p. 305] d’Angleterre a fait de si pressantes instances pour engager le Roy à faire que le nom de Louise precedast les deux autres noms, qu’il n’a pu se deffendre d’accorder aux prieres de cette princesse ce qu’elle souhaittoit avec tant d’ardeur. »

Récit de l’installation du roi et de la reine d’Angleterre à Saint-Germain-en-Laye

« [p. 280] Le 21 au matin, jour de S. Thomas, le bastiment qui portoit la reine d’Angleterre arriva à Calais, après [p. 281] avoir couru risque de faire naufrage au port, puisqu’il s’en fallut peu qu'il ne touchait un banc qui en estoit à dix pas ; mais le maistre du paquetbot qui se trouva là fort à propos luy servit de guide, et empefcha par là ce malheur. Après que la reine fut debarquée, le capitaine du yacht dit qu'il sçavoit bien qu'il menoit cette princesse et le pince de Galles, et qu'il l'avoit toujours reconnu. Elle ne voulut point que M. le duc de Charost luy fist rendre aucuns [p. 282] honneurs à Calais. […] [p. 283] Comme la reine [p. 284] devoit faire quelque sejour à Bouligne jusqu’à ce qu’on eust receu des nouvelles de la Cour, elle demanda d’estre logée au convent des Ursulines mais, M. le duc d‘Aumont ayant fait preparer l’appartement de madame la duchesse sa femme, elle ne put le refuser. […] [p. 284] Cependant, le Roi ayant sceu que cette princesse estoit arrivé en [p. 288] France, ce monarque qui a toujours esté l’appuy des malheureux et l’azil des opprimez en ressentit une joye proportionnée au triste etat ou il scavoit qu’elle se trouvoit. […] [p. 321] La nouvelle de l’arrivée du roy d’Angleterre à Ambleteuse ayant esté receue à Versailles, M. le marquis de Beringhen l’apprit à Beaumont par un courrier que le [p. 322] Roy lui depescha. […] [p. 328] M. le Premier, après s’etre acquité de sa commission auprès de la reyne d’Angleterre, qu’il auroit conduite jusqu’à Saint Germain sans les nouveaux ordres qu’il receut, ne songea plus qu’à partir la nuit mesme pour aller au devant de Sa Majesté britannique. […]
[p. 329] Le 6, cette princesse partit de Beaumont pour se rendre à Saint Germain en Laye, dont le Roy avoit fait meubler le chasteau pour la loger. Il avoit d’abord fait preparer celuy de Vincennes, [p. 330] mais Sa Majesté croyant l’air de Saint Germain meilleur pour la santé du jeune prince, et ce chasteau plus commode pour voir la reyne plus souvent, avoit changé de dessein.
Le Roy partit le mesme jour de Versailles pour aller au devant de cette princesse. Il estoit accompagné de monseigneur le Dauphin, de Monsieur et des princes et principaux seigneurs de la Cour. Il s’avança jusques auprès de Chatou, et les gardes du corps, les gendarmes, [p. 331] les chevaux legers et les deux compagnies de mousquetaires s’etendoient dans la plaine depuis le pont du Pec jusqu’à ce village. Quoyque leurs habits ordinaires soient assez riches et que le tout ensemble produise un effet fort éclatant, chacun s’estoit efforcé ce jour là de se mettre proprement et l’on peut dire que tous les officiers estoient magnifiquement vestus. Le carosse de Sa Majesté et celuy où estoit la reyne d’Angleterre ayant paru, chacun descendit du [p. 332] sien, dans le mesme temps, et le Roy et cette reyne se saluerent. Le Roy luy presenta monseigneur le Dauphin et Monsieur, et la remit ensuite dans le mesme carosse, où estant aussitost monté il se plaça à sa gauche, et monseigneur le Dauphin et Monsieur se mirent sur le devant. Lorsqu’on fut arrivé à Saint Germain, le Roy conduisit la reyne dans l’apartement qui luy avoit esté preparé. Il demeura quelque temps en public avec elle, et luy presenta monsieur le [p. 333] Prince, monsieur le Duc et monsieur le prince de Conty. Le Roy, en prenant congé de cette princesse, luy dit « qu’il alloit voir le prince de Galles pour apprendre s’il n’estoit point fatigué du voyage ». La reyne voulut l’y accompagner et lui dit « qu’elle avoit esté ravie qu’il ne fust pas en age de connoistre ses malheurs, mais qu’à present elle estoit bien fachée qu’il ne fust pas en etat de reconnoistre l’obligation qu’il luy avoit ». Le Roy revint ensuite à Versailles et laissa cette princesse dans [p. 334] l’admiration de ses manieres toutes engageantes et qui, avec le brillant de la majesté, laissent paroistre un air tout affable qu’il seroit difficile d’exprimer. Ce monarque de son costé trouva beaucoup d’esprit et de grandeur d’ame dans cette princesse. Elle a l’air noble ; toute penetrée qu’elle est de sa douleur, elle n’en paroist point embarassée. Elle sent bien ce qu’elle est et quoy qu’elle soit fort honneste, elle scait placer ses honnestez selon les gens et est tout à fait maitresse d’elle mesme.
[…]
[p. 359] Le roy d’Angleterre […] monta à Clermont dans le carosse du Roy que M. le Premier avoit [p. 360] au voyage en allant au devant de la reine et qu’on y avoit fait venir de Beauvais toute la nuit. M. le Premier et M. le duc de Bervick entrerent dans ce carosse avec Sa Majesté, qui alla ainsi jusqu’à Saint Germain en Laye, avec des attelages du Roy qu’on avoit mis en relais. Tout Saint Denis estoit remply du peuple de Paris, qui marqua sa joye par ses acclamations lorsqu’il vit arriver Sa Majesté britannique, ce qui acheva de faire connoiste qu’il n’y a point de peuple au monde si fidelle [p. 361] et si zelé que celuy de France, ny qui se plaise davantage à entrer dans tous les sentimens de son Roy. Tout se trouva remply de peuple, de carosses pleins de personnes de qualité et de cavaliers depuis Paris jusqu’à Saint Denis, et ce prince n’entendit que des acclamations, et ne vit que de la joye sur tous les visages.
Sa Majesté receut ce monarque au milieu de la salle des gardes de Saint Germain. La joye qu’ils eurent de se voir parut dans leurs embrassades, qui furent reiterées [p. 362] plusieurs fois. Leurs complimens estant finis, le Roy mena Sa Majesté britannique dans la chambre de la reine son epouse, qui estoit au lit, et apres y avoir demeuré quelque temps et l’avoir aussi mené chez le prince de Galles, il s’en retourna à Versailles.
Le 8, le roy d’Angleterre vint l’apres dinée à Versailles rendre visite à Sa Majesté, ayant dans son carosse M. le duc de Bervick, M. le Premier et M. de Lausun. Le Roy le receut à la porte de [p. 363] la salle des gardes et le conduisit dans son petit salon, puis dans son cabinet, où ils demeurerent seuls pendant plus d’une heure et demie. Sa Majesté le conduisit ensuite par la grande galerie à l’appartement de madame la Dauphine, qui l’attendoit dans sa chambre avec un fort grand nombre de dames. Cette princesse estant avertie qu’il venoit par la galerie, s’approcha environ à trois pas de la porte. Le roy d’Angleterre entra, accompagné du [p. 364] Roy, de monseigneur le Dauphin et d’une très grande quantité de seigneurs de la Cour. Il baisa madame la Dauphine des deux costez et ensuite Madame qui s’y trouva. Il baisa après monseigneur le duc de Bourgogne, monseigneur le duc d’Anjou et monseigneur le duc de Berry qui accompagnoient tous trois madame la Dauphine. On ne fut point assis. Madame la Dauphine estoit du costé de la balustrade et, le Roy donnant toujours la droite au roy d’Angleterre, [p. 365] estoit avec Monseigneur du costé des fenestres. La conversation dura un quart d’heure. Ce monarque prit congé pour aller chez Monseigneur, qui un moment auparavant estoit sorty de chez madame la Dauphine, pour l’aller attendre dans son appartement. Le Roy accompagna ce monarque en sortant jusqu’au haut du grand degré. Monseigneur le receut à la porte de la salle de ses gardes, et le roy fit tomber la conversation sur la campagne de ce jeune prince, [p. 366] à qui il donna les louanges qui luy sont dues, mais il luy dit ensuite « qu’il s’estoit trop exposé et qu’à l’avenir il devoit se menager davantage ». Monseigneur lui repondit, avec beaucoup de presence d’esprit, « qu’estant duc d’York il ne s’estoit pas moins exposé lorsqu’il combattoit dans les troupes de France ». Le roy repliqua « qu’il n’estoit alors qu’un malheureux aventurier mais que comme il seroit presentement le plus ancien lieutenant general s’il avoit continué, il croyoit que le Roy le [p. 367] feroit marechal de France ». Monseigneur le reconduisit jusqu’au mesme lieu où il avoit esté le recevoir. Il alla ensuite chez Monsieur, qui estant veritablement indisposé, gardoit le lit ce jour là. Comme il estoit assez naturel de parler du prince d’Orange, ce qu’on en dit fit tourner la conversation sur la bataille de Cassel et Monsieur fut loué d’avoir battu un pince si fier et qui ne manquoit ny de hardisse ny de courage. Ce prince repondit là dessus [p. 368] « qu’il voudroit qu’une semblable occasion se presentast encore et qu’il exposeroit volontiers sa vie pour le service du roy d’Angleterre ». Ce monarque alla après cela rendre visite à Madame et s’en retourna à Saint Germain. M. le Premier l’y accompagne et luy dit le soir en prenant congé de luy que la Maison du Roy qu’il avoit menée au devant de la reine avoit ordre de demeurer auprès de Leurs Majestez pour les servir.
Le 9, monseigneur le Dauphin se rendit à Saint [p. 369] Germain et visita Leurs Majestez britanniques.
Le 10, Madame et mademoiselle y allerent aussi, et le 12 les princesses du sang.
Le 13, Monsieur les visita pareillement et sur les deux heures les princes du sang firent les mesmes visites. Le mesme jour, sur les quatre heures du soir, la reine d’Angleterre vint à Versailles. Le Roy, monseigneur le Dauphin et Monsieur la receurent au plus haut du grand escalier. Elle parut se defendre la droite [p. 370] de Sa Majesté. On luy avoit preparé un fauteuil qui estoit à droite de celuy du Roy et elle s’y mit. La conservation dura un quart d’heure et l’esprit de cette princesse se montra aussi brillant qu’il avoit dejà fait. Le Roy luy dit « qu’il estoit surpris de l’entendre si bien parler françois et de de qu’on ne luy remarquoit aucun accent etranger ». Elle repondit « qu’elle s’estoit toujours senti de l’inclination pour la France et que c’estoit de là que venoit la facilité qu’elle avoit eue à apprendre le françois ». [p. 371] Leur conservation étant finie, le Roy la conduisit chez madame la Dauphine, qui l’attendoit dans sa chambre avec un tres grand nombre de dames, qui estoient fort parées. Quand cette princesse fut avertie que la reine venoit par la galerie, elle s’avança jusque dans la porte. La reine la baisa d’un costé et madame la Dauphine, luy donnant la droite, la mena dans son grand cabinet. On y avoit preparé six fauteuils, scavoir pour la reine, madame [p. 372] la Dauphine, les trois jeunes princes et Madame. Celuy de la reine estoit au milieud e la chambre et les autres estoient tournez un peu du costé du fauteuil de cette princesse. Toutes les duchesses furent assises. Madame la duchesse de Powis, gouvernante du prince de Galles, et madame la comtesse de Montecuculi, une des dames d’honneur de la reine, comme estoient icy les dames du Palais, puisqu’elles sont plusieurs et qu’elles servent par semaine, eurent [p. 373] les tabourets. On s’etonnera que je donne icy le nom de duchesse à madame de Powis apres l’avoir apellée plusieurs fois marquise ; la raison de ce changement est que le roy d’Angleterre, depuis son arrivée à Saint Germain, a recompensé le zele de M. de Powis, son marquis, en le faisant duc. La conversation dura une demy heure. On se leva et madame la Dauphine conduisit la reine jusqu’à la porte de son cabinet. Cette princesse alla ensuite chez Monseigneur, qui la receut [p. 375] à la porte de la salle de ses gardes et la reconduisit jusqu’au mesme endroit. Elle alla après chez Monsieur et chez Madame, qui luy firent tous les honneurs dus à une reine. »

Récit de la célébration de Noël par la famille royale et de la première communion du Dauphin à Saint-Germain-en-Laye

« De S. Germain en Laye, le 28 decembre 1674
[…]
Le 24, Leurs Majestez et monseigneur le Dauphin entendirent dans la chapelle du chasteau les vespres chantées par la Musique du Roy.
Le soir, Leursdites Majestez assisterent aux Matines et ensuite Elles entendirent apres minuit trois messes : le lendemain, jour de Noel, la grand’messe celebrée pontificalement par l’archeveque de Bourges, et l’apres disnée le sermon de l’abbé de Clermont, nommé à l’evesché de Frejus.
Le meme jour, monseigneur le Dauphin fit sa premiere communion dans la mesme chapelle, par les mains de l’ancien evesque de Condom, son precepteur, qui luy avoit donné depuis longtemps, avec une extreme application, toutes les instructions necessaires pour le disposer à bien reconnoistre l’importance de cette action. Le prince de la Roche sur Yon et le duc de Montausier, son gouverneur, tenoyent les deux bouts de la nape, et monseigneur le Dauphin s’approcha de cet auguste sacrement avec une modestie exemplaire et avec tous les temoignages possibles de religion et de pieté.
La Reyne a donné, tous ces saints jours, par une pratique continuelle d’actions chretiennes et de bonnes œuvres des temoignages ordinaires de sa devotion exemplaire.
Le Roy alla le 27 à son chasteau de Versailles, prendre le divertissement de la promenade, et mena monseigneur le Dauphin seul avec luy, dans son carrosse. »

Mention de la réception par le roi du prince de Condé et du duc d’Enghien à Saint-Germain-en-Laye

« De Paris, le 3 novembre 1674
[…]
Les trois armées confederées de l’Empereur, du roy d’Espagne et des Hollandois ayant esté obligées de se retirer sans executer aucun de leurs projets, dont ils avoyent pris soin d’instruire toute l’Europe, qui scait presentement tous leurs desavantages, le prince de Condé et le duc d’Enguyen partirent de Tournay, apres une campagne glorieuse, dont vous avez sceu le detail, et ils arriverent hier 2e de novembre à Saint Germain, où Sa Majesté donna des temoignages tres particuliers de son estime, de son amitié et de la satisfaction qu’Elle a de leur conduite et des services importans qu’ils lui ont rendus à la teste de son armée de Flandres. »

Récit de la célébration de la Toussaint par la famille royale à Saint-Germain-en-Laye

« De S. Germain en Laye, le 2 novembre 1674
Hier, feste de tous les saints, Leurs Majestez, avec lesquelles estoit monseigneur le Dauphin, entendirent en la chapelle de ce chasteau la grande messe, celebrée par l’evesque de Cisteron, et chantée par la Musique. L’apres dinée, Elles entendirent au mesme lieu une docte et eloquente predication de l’abbé de Clermont, puis les vespres aussi chantées par la Musique. Ensuite, la Reyne alla continuer l’exercice de sa devotion, en l’eglise de la parroisse. »

Récit du baptême de Louis XIV dans la chapelle du Château-Vieux de Saint-Germain-en-Laye

« [p. 324] Les ceremonies du baptesme de monseigneur le Daufin
J’aurois grand sujet de craindre que tant de hauts mysteres qui se presentent si souvent à ma plume, ne pouvans estre traitez dignement pour la briesveté du temps que me prescrit la coustume et l’humeur de nostre nation, ne me donnassent rang entre les moindres escrivains si je n’affectois moins la qualité d’orateur que celle d’historien. Auquel devant suffire le recit de ce qui s’est passé, et la narration la plus simple estant la meilleure, j’espere de l’equité de mon lecteur qu’il ne condamnera pas mes petits ouvrages pour le defaut des ornemens que je ne cherche point, bien qu’ils fussent ailleurs necessaires en des matieres de telle importance que celles que je traite.
Le Roy ayant desiré que l’on baptizast monseigneur le Daufin, Sa Majesté, en tesmoignage de l’estime qu’elle fait du prince de Condé et du cardinal Mazarin, et de l’affection qu’elle a pour leurs personnes, a voulu que la princesse de Condé et Son Eminence eussent l’honneur de tenir mondit seigneur le Daufin sur les fonts et d’estre ses parein et mareine.
Pour cet effet, le vingt unieme de ce mois d’avril 1643, [p. 324] sur les quatre à cinq heures apres midi, la Reine, accompagnée de la princesse de Condé, de la comtesse de Soissons, de la duchesse de Longueville et d’autres princesses et dames de la Cour, passa par la porte qui respond de son appartement dans l’eglise du vieil chasteau de Saint Germain, dont le chœur et la nef, le jubé et tribunes ou galeries estoyent desja remplis de plusieurs seigneurs et dames et autres personnes accourues en grand nombre pour assister à cette ceremonie. Monseigneur le Daufin marchoit devant Sa Majesté et la dame de Lansac, sa gouvernante, derriere lui. Il estoit vestu par dessus son habit ordinaire d’une robe de tafetas d’argent.
A leur arrivée, la Musique du Roy, qui estoit au jubé, son lieu ordinaire, chanta un motet fort harmonieusement, pendant lequel la Reine, s’estant mise de genoux sur son prié Dieu garni de son drap de pied et quarreaux de velours rouge cramoisi à franges d’or, et monseigneur le Dauphin aussi à genoux auprès de Sa Majesté, et à sa droite la princesse de Condé se tenant aussi à genoux, à sa gauche l’evesque de Meaux, premier aumosnier du Roy, vestu de ses habits et ornemens pontificaux, accompagné de quatre des aumosniers de Sadite Majesté, en presence [p. 326] des evesques de Beauvais, de Viviers, de Riez, de Saint Pol, de Coutances et du Puy, tous en rochet et camail, de plusieurs abbez et de tout le clergé de la chapelle du Roy, sortit de sa sacristie, et après avoir adoré le saint sacrement, qui estoit exposé sur le maistre autel extraordinairement paré et brillant de plusieurs gros luminaires de cire blanche, il s’approcha du prié Dieu de la Reine, laquelle luy presenta monseigneur le Daufin, qui fut ensuite elevé par sa gouvernante sur l’appui ou accoudoir dudit prié Dieu.
Puis le cardinal Mazarin, qui avoit aussi accompagné la Reine, passa à la main droite de monseigneur le Daufin, et la princesse de Condé de l’autre costé, selon l’ordre observé en l’Eglise entre les pareins et mareines, de laquelle dignité il a pleu au Roy les honorer, Sa Majesté leur ayant tesmoigné de sa propre bouche que c’estoit pour obliger encor plus estroitement le prince de Condé et Son Eminence à son service et à celui de monseigneur le Daufin, son fils, qu’Elle leur faisoit cet honneur, qui est le plus grand qu’eux ni autres pouvoyent jamais recevoir.
Alors la Reine, tenant par derriere mondit seigneur le Daufin, qui parut beau comme un [p. 327] ange et fit voir en toute cette action une modestie et retenue extraordinaire à ceux de son aage, l’evesque de Meaux, qui l’avoit ondoyé comme vous avez sceu le jour de sa naissance, ayant salué Sa Majesté, la mitre en teste, demanda ausdits parein et mareine le nom qu’on vouloit imposer à ce prince. La princesse de Condé ayant fait grand compliment à Son Eminence, puis une reverence à la Reine, le nomma Louis suivant l’intention de Sa Majesté. Ensuite de quoi l’evesque continua l’office selon le rituel romain, suivant lequel il exorciza, benit le sel et en mut dans la bouche de ce prince, qui le receut fort pieusement et avec une humilité qui ravit toute l’assistance en admiration. Puis la Reine lui ayant, ainsi qu’il se pratique en telles ceremonies, descouvert la poitrine et les espaules, l’evesque officiant lui appliqua les saintes huiles des cathecumenes, et à toutes les trois fois que l’evesque lui dist « Ludovice abrenuncias Sathanae, pompis et operibus ejus », il respondit lui mesme autant de fois « abrenuncio », comme aussi aux trois interrogations qu’il lui fit sur sa creance, selon les termes du mesme rituel, il respondit hardiment autant de fois « credo ». Alors l’evesque lui declara qu’il estoit introduit dans l’Eglise, et tant les parein et mareine que ledit evesque et tous les assistans [p. 328] reciterent avec le prince à haute vois le symbole des apostres et l’oraison dominicale. Puis l’evesque, obmettant l’infusion de l’eau (qui avoit, comme j’ay dit, esté faite à ce prince à sa naissance et qui ne se reitere jamais), la Reine lui descouvrant la teste, l’evesque lui en oignit le sommet avec le saint chresme. Ce fait, il lui mit sur la teste le chresmeau, recitant aussi les mots du rituel sur ce sujet, et lui presenta le cierge ardent qu’il prit lui mesme à deux mains, et le tint seul durant le reste de la ceremonie. A la fin de laquelle, l’evesque officiant monta à l’autel et donna la benediction solenelle que toute l’assistance receut à genoux, et la Musique du Roy chanta encore ensuite, puis chacun s’en retourna merveilleusement satisfait d’avoir assisté à cette auguste ceremonie, laquelle fut fermée par un remerciment que ce prince vint faire jusques dans la sacristie à l’evesque qui l’avoit baptisé, donnant par ces premices un prejugé et une esperance certaine de ce qu’il faut attendre de lui quand la vigueur de l’aage aura poussé au dehors les bonnes semences de la vertu que sa naissance lui a fournies et que les bons preceptes et exemples domestiques lui cultivent sans cesse. »

Récit de la mort de Louis XIII au Château-Neuf de Saint-Germain-en-Laye

« [p. 341] Relation de ce qui s’est passé jusques à present de plus memorable en la maladie du Roy
Ce poete qui appeloit nostre monarque « la merveille des rois et le roy des merveilles » n’en disoit pas assez : sa vie est une suite de miracles, desquels attendant la continuation, l’honneur que Sa Majesté m’a fait de me commettre la plume publique pour declarer à ses peuples, voire à tout le monde, ses belles actions fait autant reconnoistre mes forces inegales à une charge si importance et qui regarde la chose la plus delicate qui se puisse rencontrer dans le commerce des hommes, qui est leur reputation, comme il m’oblige à faire mes petits efforts pour eviter au moins le reproche d’avoir laissé ensevelir dans l’oubli les beaux exemples que fournissent à tout le monde ces royales et chrestiennes actions, qui seront autant de precieuses reliques aux siecles à venir. Dans lesquels, entre les autres vertus qui font admirer ce grand prince, sa foy, par un effet contraire à sa nature, fera des mecreans, aucun ne pouvant croire ce qui s’en dira, ce que feroyent encor beaucoup moins ceux qui ne le verroyent point consigné dans nos memoires, d’autant plus croyables qu’ils sont mis au jour en mesme temps que les choses dont ils traitent. Tout ainsi donc que les peintres s’efforcent à l’envi les uns des autres de representer naifvement les traits de l’auguste visage de ce monarque sans pareil, voyez ici [p. 342] depeints ceux de son esprit, qui vous apprendront que ce grand prince est encor plus grand par ses propres vertus que par la dignité qu’il possede du premier roy du monde et par la haute reputation de tant de conquestes.
Le Roy tomba malade le 21 fevrier dernier et bien que quelques bons intervalles, joints aux grand desir que nous avons de sa guerison, nous l’eussent fait croire, si est ce que son mal s’augmenta le dix neufieme de ce mois, de telle sorte que sa pieté le convia de penser à la fragilité de la vie humaine, pour laquelle ayant fait plusieurs excellentes meditations sur le sujet de sa mort, il fit ouvrir les fenestres de sa chambre du chasteau neuf de Saint Germain en Laye, où il est à present, et voyant par là l’eglise de Saint Denys : « voilà (dit il en la montrant) ma derniere maison, où je me prepare pour aller gayement ». Le soir du mesme jour, au lieu de la vie des saints qu’il se faisoit lire les jours precedents par l’un des secretaires de son cabinet, il lui commanda de lire le 17 chapitre de l’evangile selon saint Jean, où est ce passage : « ego te clarificavi in terra : nunc igitur clarifica me Pater ». Puis, il lui fit prendre l’Introduction à la vie devote et lire le chapitre « Du mespris de ce monde », et ensuite lui commanda de prendre le livre de Kempis, lequel ce secretaire voulant lire par ordre des chapitres, Sa Majesté lui mit la main sur celui « De la meditation de la mort ».
Le 20, le Roy fit sa declaration pour la regence de la Reine et le gouvernement de ses estats, dont vous avez ouy une partie, sur laquelle declaration il donna à entendre sa volonté [p. 343] avec un visage qui tesmoignoit grande satisfaction. Sa Majesté, entre les autres seigneurs et dames qui le vinrent visiter, receut ce jour là le duc de Vandosme.
Le 21, la princesse de Condé et le cardinal Mazarin eurent l’honneur de tenir sur les fonts monseigneur le Daufin, qui fut nommé Louis, selon la volonté du Roy, et le mareschal de Bassompierre fut receu à baiser les mains de Sa Majesté.
Le 22, le Roy se trouvant affoibli par la grandeur et continuation de sa maladie, à la premiere mention qui lui en fut faite, dist au père Dinet, jesuite : « Je suis ravi d’aller à Fieu, allons, mon pere, confessez moy », et recita le pseaume « Laetatus sum in his quae sunt mihi ». ce fait, il delibera de communier pour le viatic, en laquelle action il ne montra pas moins de prudence qu’en toutes les autres de sa vie, car Sa Majesté, prevoyant les differens qui pourroyent arriver entre plusieurs seigneurs presens, à qui tiendroit la nape de communion, dont les deux coins plus pres du Roy ont accoustumé d’estre tenus par les deux seigneurs plus qualifiez et les deux autres par deux aumosniers de Sa Majesté, Elle avoit dit à l’evesque de Meaux, son premier aumosnier, qu’il ne mist point de nape et n’estendit qu’un voile sur le lit de Sa Majesté, qu’elle seule tiendroit. Ce qu’on alloit faire, lorsque Monsieur, frere unique du Roy, et le prince de Condé arriverent en la chambre de Sa Majesté, laquelle, selon la presence de son esprit, dist à l’evesque de Meaux, lorsqu’il lui alla donner de l’eau benite à son ordinaire avant que de la communier, que ces deux princes ayans par leur arrivée terminé [p. 344] le different que l’on aprehendoit, il pouvoit faire mettre la nape sur son lit, ce qui fut fait, et le coin de la main droite du Roy tenu par Monsieur et l’autre par le prince de Condé, les deux autres coins furent tenus par les sieurs de Lesseville et Hyacinte, aumosniers du Roy estans de present en quartier. Ledit evesque de Meaux ayant auparavant dit la messe « pro infirmo » dans la chambre du Roy sur un autel à ce preparé, et ayant communiqué, le Roy et toute l’assistance reciterent tout haut le Confiteor. Puis l’evesque officiant donna l’absolution deprecatoire et presenta ensuite la sainte hostie au Roy, qui la receut dans son lit, tous les rideaux ouverts, avec des tesmoignages de pieté qui ne seroyent pas imaginables en un autre. Et la messe estant achevée, chacun se retira en grande tristesse, tous pleurans excepté le Roy, lequel affrontant la mort d’une contenance hardie, confirma par effet la creance qu’on a tousjours eue de la grandeur de son courage, et donna des preuves certaines de sa magnanimité et veritable force d’esprit, ce qui ne consiste pas à mespriser les perils, comme plusieurs font, quand ils en sont loin, mais bien à les braver en leur presence et surtout, disent les philosophes, ceux qui sont les plus grands, comme est la mort, qu’ils appellent à ce sujet le terrible des terribles, de l’apprehension de laquelle tous estoyent effrayez, mais non pas lui, leur trouble estant grandement accreu par les larmes de la Reine. Cette incomparable princesse, qui ne perdoit point le Roy de veue, [p. 345] avoit assité à la messe et à la communion de Sa Majesté ; pres de laquelle se tenant lors à genoux, tousjours fondante en pleurs, apres que le Roy lui eut tesmoigné par sa bouche les ressentimens qu’il avoit de sa vertueuse conduite, elle receut la benediction de Sa Majesté, comme aussi messeigneurs leurs enfans. Ensuite de quoy, le Roy demanda l’extreme onction. Mais la grande affection de tous les assistans faisoit qu’on ne vouloit desesperer que le plus tard qu’on pourroit de sa guerison, et par ce moyen se laissans doucement entrainer à l’usage qui a fait degenerer ce remede de la primitive Eglise, institué pour la convalescence des malades, en un dernier azole de ceux dont la santé est deseperée. Cette sainte onction fut differée jusques sur les quatre heures apres midi du mesme jour, et de cette heure là encores jusqu’au jeudi suivent. La piété de ce prince estoit telle qu’il en voulut etendre les effets jusqu’aux seigneurs qui le venoyent visiter. Entre lesquels il usa de ces mots au mareschal de La Firce : Je vous connois, lui dist il, pour un des plus honnestes, sages et vaillans gentilshommes de mes Estats ; mais me jugeant prest d’aller rendre compte à Dieu, je suis obligé de vous dire que je croi qu’il vous a laissé vivre un si grand aage pour vous donner temps de penser à votre conversion, et vous faire enfin reconnoistre qu’il n’y a qu’une religion en laquelle on puisse estre sauvé, qui est la catholique, apostolique et romaine, que je professe. Il incita aussi le mareschal [p 346] de Chastillon à en faire autant. L’après dinée, le duc de Vendôme s’estant mis à genoux près du Roy, comme la pluspart des autres seigneurs et dames luy venoient baiser la main en cette posture, il receut la bénédiction de Sa Majesté.
Le Roy receut le mesme jour la duchesse d’Elboeuf et ses enfans, et voulut voir le sieur de Gandelu, nagueres retourné de Flandres, où il estoit prisonnier de guerre. Puis, Sa Majesté s’estant enquise si, selon l’apparence, Elle pourroit passer la nuit, sur ce qu’on lui repartit que ses prieres et celles de ses sujets presentoyent à Dieu pour sa santé la sortiroyent de ce danger, Elle repartit ne demander pas absolument à Dieu d’en eschaper, estant entierement resignée à sa volonté, mais pour ce que les vendredis lui avoyent tousjours esté heureux, qu’Elle esperoit vivre au moins jusqu’au Vendredi suivant, pour recevoir lors le plus grand heur qui lui soit jamais arrivé. Pour cet effet, Elle ne voulut pas qu’on attendist jusqu’à ce jour là à lui donner l’Extreme Onction, qu’elle receut le jeudi 23 dudit mois à 9 heures et demie du matin, avec la plus grande résolution qui ne scauroit jamais croire, respondant à l’evesque de Meaux, qui lui donna ce dernier sacrement, à tous les pseaumes et litanies, et tesmoignant un courage plus qu’humain en une rencontre où l’humanité ne trouve que matière de desespoir. Mais il faloit que cet acte de la vie d’un si grand prince respondit à tous les precedens et qu’il servist comme de seau pour confirmer un chacun dans la haute estime en laquelle tout le monde le doit avoir, [p. 347] telle que tout ce que nous lisons de la fin des grands rois, empereurs et personnes plus illustres n’a rien qu’on puisse egaler à cette ci, que j’appelle fin non à nostre regard, puisque la France est encor’ si heureuse que de jouir de sa presence tant desirée et d’avoir ce grand Roy vivant, que Dieu lui conservera, s’il lui plaist, encor longues années ; mais fin à son égard puisque, l’ayant creue telle, il est d’autant plus à admirer qu’il la hardiment envisagée d’un esprit sain et vigoureux, et avec des forces qui manquent aux hommes mourans, lesquels cessent ordinairement plustost par foiblesse que par resolution de luiter contre les loix de la nature et de son autheur. Ce jour là, le mareschal de Vitri fut aussi receu du Roy, comme l’avoit esté auparavant le mareschal d’Estrée, et chacun lui baisant la main en pleurant, Sa Majesté, à l’objet de tant de visages baignez de larmes, en eut de la compassion qu’Elle tesmoigna proceder de la pitié qu’Elle avoit de leur tristesse, disant toutefois n’estre pas faschée qu’on la pleurast, puisque c’estoit une preuve certaine de l’affection que luy portoyent tous ses bons sujets, lesquels il n’aimoit pas moins qu’il estoit aimé d’eux. Sa Majesté donna charge ensuite au prince de Condé de faire entendre au duc de Chevreuse, aussi présent, qu’Elle ne lui vouloit point de mal. La Reine avoit fait apporter son lit du vieil chasteau dans le nouveau, près de la chambre du Roy, et s’estant mise à genoux au chevet de Sa Majesté, mais fondant toute en larmes, le Roy après un long entretien la pria de se consoler et se retirer [p. 348] un peu à l’écart de peur de l’affliger par sa tristesse. Il passa le reste de la journée en prieres et meditations pleines de transports qu’il faisoit eclorre par des paroles toutes divines et ravissantes. Il eut meilleure la nuit du 23 au 24, que l’on craignoit le plus.
Le 24, il fut exempt de l’accez ou redoublement qui lui estoit arrivé les jours precedens sur les dix à unze heures du matin, et se trouva si bien l’apres dinée qu’il commanda au sieur de Nielle, premier valet de sa garderobe, d’en remercier Dieu, comme il fit, chantant sur l’air que Sa Majesté lui avoit autrefois Elle mesme donné, cette paraphrase du sieur Godeau, qui commance Seigneur, à qui seul je veux plaire, et lui aida, et aux sieurs Campefort et Saint Martin, à faire un concert en sa ruelle sur de pareils cantiques.
Le 25, l’amandement de la maladie du Roy continuant, Sa Majesté fit faire collation de ses confitures de Versailles à la Reine, à la princesse de Condé, aux duchesses de Lorraine, de Longueville, de Vandosme et autres dames ; et la Reine, Monsieur, le prince de Condé, le cardinal Mazarin, les ministres d’Estat et autres officiers de Sa Majesté, qui luy ont rendu pendant toute sa maladie des preuves indubitables qu’ils continuent de leur affection, toute la Cour en un mot, commança de mieux espérer, comme elle fait encor à présent ; et cette convalescence, nonobstant les apprehensions, continue de bien en mieux, Dieux exauçant visiblement les prieres de plus de quarante millions d’ames.
A Paris, du bureau d’adresse, le 30 avril 1643.
[…]
[p. 359] De Saint Germain en Laye, le 1 may 1643
Ne vous pouvant donner de nouvelles plus importantes à cet estat et au bien de la chrestienté que celles de la santé du Roy, puisque vous avez eu la relation de sa maladie jusques au 25 du passé, je vous la continueray. Le vingt sixiesme ensuivant, Sa Majesté se porta encor un peu mieux. Mais le 27, nostre joye fut troublée par une nouvelle apprehension de fievre accompagnée des mesmes accidens que par le passé. Toutesfois, ils furent de peu de durée car, par la grace de Dieu, qui protege ouvertement la personne de Sa Majesté, tous ces accidens se diminuerent d’eux mesmes le lendemain 28, et tout alla de bien en miaux, avec un tel progrez que le 29, Sa Majesté se trouva en beaucoup meilleur estat qu’Elle n’avoit fait depuis longtemps. Cet amandement s’accreut encor le jour d’hier, de quoi chacun pouvoit assez juger par la gayeté peinte sur les visages de toute la cour, lequel amandement tous attribuoient aux ardentes prieres et saintes devotions de la Reine et à celles des sujets du Roy, à son exemple. Cette pieuse Reine ne s’estant pas contentée de l’assiduité qu’elle rend jour et nuit au chevet de Sa Majesté depuis le commancement de sa maladie, mais continuant depuis ce temps là ses prieres [p. 360] en particulier à toutes heures, comme elle les fait ici en public tous les jours à six heures du soir, dans la chapelle du vieil chasteau, où se trouvent souvent les princes, princesses, ministres d’Estat et autres seigneurs et dames. Dans laquelle les evesques, qui sont ici en grand nombre, et les aumosnier de Leurs Majestez, et autres ecclésiastiques, se relevent d’heure à autre pour continuer leurs devotions devant le saint sacrement qui y est exposé, la Musique du Roy y chantant plusieurs motets apres les litaniers et excitant le zele d’un chacun pour flechir d’autant plustost le Ciel à nos prieres. Mais ce que je ne puis taire, et qui ne paroistra pas le moins admirable en cette maladie, est qu’elle n’a pu empescher le Roy de donner tous les jours les ordres necessaires aux affaires de son Estat. Jusques là que le jour que Sa Majesté receut l’extreme onction, Elle disposa des seances que chacun devoit avoir dans le Conseil qu’Elle voulut estre tenu ce jour là par la Reine, suivant sa declaration testamentaire. Ce qui n’empescha pas toutefois que Sad. Majesté ne voulust que la Reine lui en fist le rapport à l’issue dudit Conseil. Aussi rien n’a t il empesché le Roy qu’il ne vacast tous les jours à la reception des seigneurs et dames qui venoyent visiter Sa Majesté, entre lesquels la duchesse de Guise, sa fille et ses deux fils, nagueres arrivez avec elle d’Italie, furent receuz de Sa Majesté le 29 du passé, qui vid aussi le mesme jour les sieurs de Manicamp et de Beringhen. Ce jourd’hui est encor arrivé pres de la personne du Roy le duc de Bellegarde.
[…]
[p. 401] La France en deuil
Le Roy est mort. Ne m’appellez plus l’agreable, appellez moi la desolée et pleine d’amertume, dit aujourd’hui la France apres la belle mere de Ruth dans l’histoire sacrée.
Dieu a t il donc repoussé les vœux de tant de personnes de toutes conditions, sexes et aages ? Ou nostre zele relasché et nos mains appesanties ne nous ont elles point arresté et suspendu les faveurs d’en haut ? Ou plustost l’extreme pieté de nostre bon Roy, qui demandoit pour lui le Ciel avec tant d’instance, n’a t elle point surmonté la nostre qui le vouloit retenir en terre ? Quoy qu’il en soit, nostre tristesse est arrivée à son dernier point par la perte du meillur, du plus juste et du plus victorieux monarque qui ait régi la France depuis plusieurs siècles. Et pour ce que nous trouvons quelque soulagement dans la connoissance des moyens qui ont contribué à notre perte, comme il elle en estoit moindre, voici la continuation du recit de la maladie du Roy, depuis le 30 du passé.
Les cinq jours suivans diminuerent beaucoup de la joye que l’amandement des precedens nous avoit fait concevoir. Car encor que le Roy eut quelques notables relasches, si est ce que le redoublement de sa fievre lui arrivant tous les jours et les autres accidens de sa maladie [p. 402] perseverans la rendoyent grandement perilleuse. Mais sa violence n’interrompit jamais les elancemens de son ame vers le Ciel, entre lesquels il tesmoignoit porter envie aux saints martyrs, dont il se faisoit lire la vie toutes les nuits qu’il passoit sans dormir. Et bien que ses veilles et le peu d’aliment qu’il prenoit lui deussent naturellement causer quelque resverie, il en a esté exempt comme par une grace speciale, la force de son esprit ne s’estant jamais relaschée, mesmes aux moindres choses : sa resignation a tousjours esté telle qu’ayant eu en suite quelque petite relasche qui relevoit l’espérance abbatue de quelques uns des assistans, il leur dist qu’il vouloit tenir tousjours son esprit dans l’indifference de mourir ou de vivre, selon qu’il plairoit à Dieu d’en ordonner, desirant neantmoins plustost le premier que le dernier, comme il montroit repetant souvent ces mots : Taedet animam meam vitae meae, ou s’il desiroit de vivre, il y ajoutoit incontinent que ce n’estoit que pour faire penitence au monde, y faire regner de plus en plus la pieté et la justice, et y procurer surtout une paix glorieuse à son estat, laquelle si Dieu ne lui permettoit pas de pouvoir faire tandis qu’il seroit sur la terre, son ame se prosterneroit incessamment devant Dieu pour l’impetrer de sa misericorde.
Mais ce qui ne doit pas estre de peu de consideration, comme il n’est pas un petit exemple à ceux qui gouvernent, Sa Majesté n’a jamais cessé durant toute sa maladie de donner ordre aux affaires de son Estat, dont elle entretenoit tous les jours la Reine, monseigneur le duc [p. 403] d’Orléans son frere, le prince de Condé, le cardinal Mazarin, son chancelier, le surintendant de ses finances et le sieur de Chavigni, avec une singuliere confiance.
Elle avoit le 5 de ce mois donné la coadjutorerie de l’archevesché d’Arles à l’evesque de aint. Pol, premier suffragant dudit archevesché, et l’evesché de Saint Pol à l’abbé de Grignan, frere dudit evesque de Saint Pol, et avant ce temps là et depuis receut humainement tous les princes, princesses, seigneurs et dames qui le venoyent visiter et compatir à son mal, tous lesquels comme il me seroit malaisé de vous nommer, ainsi ne vous puis je taire, sans oublier les principaux traits de l’esprit de Sa Majesté, les entretiens qu’Elle eut avec quelques uns de ceux qui sont venus à ma connoissance. Elle tesmoigna au duc de Vendosme un grand contentement de le voir de retour, comme Elle avoit receu un sensible deplaisir à son absence, ce qu’Elle lui feroit connoistre par tous les effets possibles et le regret qu’Elle avoit du passé. Elle en dist autant à la duchesse de Guise. Le duc d’Engoulesme s’estant approché de son lit, le Roy lui montra son estomac amaigri par la longueur de sa maladie, lui faisant remarquer comme la qualité de roy n’exemptoit aucun des infirmitez attachées à la condition humaire. Et montrant au sieur de Liencour ses bras decharnez, lui dist cette belle sentence : Memento homo quia cinis et et in cinerem reverteris. Aussi possédoit il tellement tous les passages sacrez qu’on ne lui avoit pas plustost [p. 404] commancé le verset d’un pseaume qu’il l’achevoit. Il estoit si bien instruit en tous les points de l’escriture qu’au lieu que les autres entendent les choses par les mots, il entendoit les mots par les choses mesmes, dont l’usage lui avoit rendu la langue latine aussi familiere que la nostre. Le sieur de Ventadour l’aisné, ecclesiastique, estant venu coucher en son antichambre le huitieme de ce mois pour l’entretenir de discours de devotion quand il ne faisoit plus lire dans les livres sacrez, il se plaignit souvent à lui de son mal, non pour autre raison, disoit-il, sinon qu’il l’empeschoit de prier Dieu aussi librement comme il le desiroit. Il ne pouvoit ouir parler d’aucune matiere de devotion qu’il n’y respondist de parole ou de geste. Et quand la force de son mal eut abatu celle de son corps, voire estant mesme proche de sa fin et un peu devant sa mort, à chaque mention qu’il entendoit faire de Dieu et des choses saintes, il levoit incontinent les yeux au Ciel, tendoit les bras et remuoit les levres, tesmoignant par là les saints mouvemens de son ame.
Mais pourquoi viens je si tost à cette mort et à cette fin ? Pleust à Dieu que quelqu’autre de cœur plus dur et qui seroit moins touché du sentiment de la perte d’un si bon prince vous pust achever le reste. C’est ici où les plus scavans trouveront à apprendre, les gens de bien à se consoler, et les meschans à craindre. Hommes, voici cette catastrophe de la comedie que nous jouons tous, et ce masque levé où il n’y a plus moyen de se deguiser, mais où il faut paroistre tels que nous sommes.
C’est là où nostre second saint Louis, apres le flux [p. 405] et reflux des agitations diverses que le monde lui a données trouve le port de son salut tant desiré.
Chacun avoit encore la mémoire toute recente de sa confession, de sa communion et des autres actes d’un roy veritablement tres chretien : il n’y a que lui qui en trouve la repetition necessaire. Ayant donc demandé instamment la communion le douziesme dudit mois et lui ayant esté accordée, Sa Majesté, qui s’estoit confessée tous les jours de la derniere semaine de sa maladie, se reconcilia encor le matin de ce jour là, et le pere Dinet, jesuite, son confesseur, lui ayant donné l’absolution, il communia par les mains de l’evesque de Meaux, son premier aumosnier, avec son zele ordinaire. La Reine s’approchant du chevet du Roy, Sa Majesté prit sa main et celle de monseigneur le duc d’Orleans, son frere unique, et les joignit ensemble, leur faisant derechef promettre entre ses mains une bonne union et concorde, et qu’ils auroyent soin des enfans de Leurs Majestez. En mesme temps, le Roy appella l’evesque de Lizieux d’entre les autres prelats, lui communiqua durant quatre ou cinq heures tout ce qui regardoit sa conscience, et lui marqua l’endroit où sont les prieres pour les agonizans, afin qu’on les lui dist lorsqu’il seroit en cet estat.
Le 13, à la premiere mention que lui fit son confesseur de se preparer à bien mourir, il l’embrassa, recitant le Te Deum, pour la joye que lui donnoit l’esperance d’estre bientost joint à son createur, et fit appeler l’evesque de Meaux pour reciter les prieres de la recommandation de l’ame, ce qui donna sujet au bruit de sa mort qui courut ensuite, [p. 406] mais lui estant arrivé quelque petit soulagement, ces prieres furent differées jusqu’au lendemain 14.
Auquel jour, ledit evesque de Meaux disant la messe dans la chapelle du chasteau neuf sur les 7 à 8 heures du matin, le Roy le manda derechef pour faire lesdites prieres. A cette fin, il entra dans la chambre du Roy revestu de son rochet, camail et estole violette, où il trouva l’evesque de Lisieux que Sa Majesté avoit envoyé querir, et où estoit aussi l’evesque de Beauvais et son confesseur avec le pere Vincent, superieur de la Mission, ledit sieur de Ventadour et les aumosniers de Sa Majesté, qui firent ladite recommandation de l’ame, le Roy leur respondant avec son zele accoustumé, comme faisoyent aussi la Reine, les princes, princesses, ducs et pairs, mareschaux de France et autres seigneurs et dames là presens. Et apres que ledit evesque de Lizieux, auquel Sa Majesté avoit donné charge de ne l’abandonner point, lui eut fait former des actes de foy, d’esperance, de charité et de contrition qui lui estoyent fort familiers, Elle l’embrassa et le baisa, l’apelant son père. La parole lui manqua à une heure et demie apres midi, depuis lequel temps les evesques de Lizieux et de Meaux lui continuans des admonitions chrestiennes, que le Roy tesmoignoit par signes bien entendre un quart d’heure durant. Il demeura encor demie heure avant que d’expirer, comme il fit fort doucement entre les bas desdits evesques de Lizieux et de Meaux, de son pere confesseur et du pere Vincent, tres saintement et comme il appartenoit au fils aisné de l’Eglise, ayant contenté ces deux prelats et ces ecclesiastiques sur tous les sujets qui regardoyent sa conscience, et ayant rendu la Reine, tant en [p. 407] sa presence qu’en son absence, tous les tesmoignages d’une sainte amitié conjugale, apres avoir accompagné leur dernier adieu de larmes reciproques. Ainsi expira ce bon prince sur les deux heures et un quart apres midi du 14 jour de may, l’an 43 de ce siecle et 42 de son age non encor revolu, apres avoir regne justement 33 ans, et, ce qui ne se peut concevoir sans merveille, le mesme jour du mesme mois, la mesme apres disnee et environ la mesme heure que mourut Henry le Grand, son pere, tous deux d’eternelle memoire. Jour que cette double perte nous feroit appeler malheureux si nostre Sauveur ne l’avoit choisi cette année pour son ascension, et pour celle de cette ame bien heureuse qui loge maintenant dans le Ciel. L’evesque de Meaux ayant dit ensuite les prieres de l’absoute des morts, l’evesque de Lizieux et lui fermerent les yeux du Roy et l’evesque de Meaux, lui ayant baisé la main et fait une grande reverence, donna les ordres necessaires pour accompagner le corps d’ecclesiastiques.
Nostre grande Reine ne s’est jamais montrée plus grande qu’en ce rencontre, où Sa Majesté a fait douter laquelle de toutes ses perfections s’est trouvée en un plus haut degré, ou son assiduité autour de la personne du Roy defunt, qu’elle n’a jamais abandonné durant les longueurs de cette fascheuse maladie, ou sa pieté, qui a servi d’exemple à tout le monde pour extorquer du Ciel la santé de ce cher espoux s’il eust esté possible, ou sa présence d’esprit qui a desjà paru dans les conseils et qui se fait admirer dans la conduite des affaires, ou sa constance qui lui fait si dignement conjoindre les interests de vefve à ceux de mere [p. 408] d’un grand Roy et regente d’un grand royaume, ou cette bonté sans pareille qui lui gaigne les cœurs de tout le monde et l’eust faite reine d’election quand elle ne l’eust point esté de naissance.
Si tost que le Roy fut decedé, la Reine regente, accompagnée de monseigneur le duc d’Orleans, du prince de Condé et des autres princes, princesses, ministres, ducs et pairs, mareschaux de France et autres officiers de la Couronne en grand nombre, fut conduite du chasteau neuf de Saint Germain dans le vieil, en passant par la chapelle où elle et toute la cour, fondans en larmes, firent leurs prieres pour le repos de l’ame du defunt, et se rendit en son ancien appartement où se trouva le Roy à present regnant, entre les mains duquel, la Reine regente sa mere presente, le prince de Condé presta le serment de grand maistre de France, qui fut leu par le sieur de Guenegaud, secretaire d’Estat ayant le departement de la Maison du Roy, avec ordre audit grand maistre d’ordonner de tout ce qui concernera la pompe funebre du Roy defunt, dont vous aurez le recit au premier jour. Et enfin, nos larmes essuyées par le contentement que nous promettent cette heureuse regence et l’estroite union de tous les seigneurs de son conseil, que la mémoire de nostre prince mourant va rendre eternelle, persuaderont aisement à nos ennemis de faire la paix avec une Couronne qui abreuve ses chevaux en mesme temps dans le Po, dans le Rhin et dans l’Ebre, chez qui les accidens communs à tous les hommes ne rebatent rien de la valeur propre à sa nation, qui leur fera tousjours voir que le Roy n’est pas mort.
A Paris, du bureau d’adresse, le 16 may 1643. »

Lettre de madame de Sévigné à sa fille concernant l’installation de la Cour d'Angleterre à Saint-Germain-en-Laye

« A Paris, mercredi 26 janvier 1689
[…] Peut etre que le prince d’Orange n’aura pas le tems cette année de songer à la France ; il a des affaires en Angleterre et en Irlande, où l’on veut armer pour le Roi : nos mers sont toutes emues, il n’y a que notre Mediterranée qui soit tranquille. Je ne sais à qui en ont vos femmes avec leurs vœux extravagans ; je voudrois y ajouter de ne plus manger d’oranges et de bannir l’oranger en arbre et en couleur : ce devroit être sur nos cotes que l’on fit toutes ces folies.
Je crois, en verité, que le roi et la reine d’Angleterre sont bien mieux à Saint Germain que dans leur perfide royaume. Le roi d’Angleterre appelle M. de Lauzun son gouverneur, mais il ne gouverne que ce roi, car d’ailleurs sa faveur n’est pas grande. Ces Majestés n’ont accepté de tout ce que le Roi vouloit leur donner que cinquante mille francs, et ne veulent point vivre comme des rois ; il leur est venu bien des Anglois, sans cela ils se reduiroient encore à moins : enfin, ils veulent faire vie qui dure. »

Lettre de madame de Sévigné à sa fille concernant l’installation de la Cour d'Angleterre à Saint-Germain-en-Laye

« A Paris, mercredi 12 janvier 1689
Vous etes retirée à cinq heures du roi ; vous avez donc fait vos rois à dîner : vous etiez en fort bonne compagnie, et aussi bonne qu’à Paris. Il ne tiendra pas à moi que l’archevêque [d’Aix] ne sache que vous etes contente de lui ; je le dis l’autre jour à madame de La Fayette, qui en fut fort aise ; elle a resolu que vous ne preniez point tous deux l’esprit ni les pensées de Provence.
Mais parlons du roi et de la reine d’Angleterre ; c’est quelque chose de si extraordinaire d’avoir là cette Cour, qu’on s’en entretien sans cesse. On tache de regler les rangs et de faire vie qui dure avec gens si loins d’etre retablis. Le Roi disoit l’autre jour, et que ce roi etoit le meilleur homme du monde, qu’il chassoit avec lui, qu’il viendroit à Marly, à Trianon, et que les courtisans devoient s’y accoutumer. Le roi d’Angleterre ne donne pas la main à Monseigneur et ne le reconduit pas. La reine n’a point baisé Monsieur, qui en boude ; elle a dit au Roi : Dites moi comment vous voulez que je fasse ; si vous voulez que ce soit à la mode de France, je saluerai qui vous voudrez : pour la mode d’Angleterre, c’est que je ne baisois personne. Elle a été voir madame la Dauphine, qui est malade et qui l’a reçue dans son lit. On ne s’assied point en Angleterre ; je crois que les duchesses feront avec elle à la mode de France, comme avec sa belle mère. On est fort occupé de cette nouvelle Cour.
Cependant le prince d’Orange est à Londres, où il fait mettre des Mylords en prison ; il est severe et il se fera bientot hair. M. de Schomberg est general ds armées en Hollande, à la place de ce prince, et son fils a la survivance : voilà le masque bien levé. »

Lettre de madame de Sévigné à sa fille concernant l’installation de la Cour d'Angleterre à Saint-Germain-en-Laye

« A Paris, lundi 10 janvier 1689
[…] L’abbé Tetu est dans une insomnie qui fait tout craindre. Les medecins ne voudroient pas repondre de son esprit ; il sent son etat et c’est une douleur : il ne subsiste que par l’opium ; il tache de se divertir, de se dissiper, il cherche des spectacles. Nous voulons l’envoyer à Saint Germain pour y voir le roi, la reine d’Angleterre et le prince de Galles : peut on voir un evenement plus grand et plus digne de faire de grandes diversions ? Pour la fuite du roi, il paroit que le prince [d’Orange] l’a bien voulu. Le roi fut envoyé à Excester où il avoit dessein d’aller : il etoit fort bien gardé par le devant de sa maison, et toutes les portes de derriere etoient ouvertes. Le prince n’a point songé à faire perir son beau père ; il est dans Londres à la place du roi, sans en prendre le nom, ne voulant que retablir une religion qu’il croit bonne et maintenir les loix du pays sans qu’il en coute une goutte de sang : voilà l’envers tout juste de ce que nous pensons de lui ; ce sont des points de vue bien differents. Cependant, le Roi fait pour ces Majesté angloises des choses toutes divines ; car n’est ce point etre l’image du Tout Puissant que de soutenir un roi chassé, trahi, abandonné ? La belle ame du Roi se plait à jouer ce grand role. Il fut au devant de la reine avec toute sa maison et cent carrosses à six chevaux. Quand il aperçut le carrosse du prince de Galles, il descendit et l’embrassa tendrement, puis il courut au devant de la reine qui etoit descendue, il la salua, lui parla quelque tems, la mit à sa droite dans son carrosse, lui presenta Monseigneur et Monsieur, qui furent aussi dans le carrosse, et la mena à Saint Germain, où elle se trouva toute servie comme la reine, de toutes sortes de hardes, parmi lesquelles etoit une cassette tres riche avec six mille louis d’or. Le lendemain, il fut question de l’arrivee du roi d’Angleterre à Saint Germain, où le Roi l’attendoit : il arriva tard ; Sa Majesté alla au bout de la salle des gardes au devant de lui ; le roi d’Angleterre se baissa fort, comme s’il eut voulu embrasser ses genoux ; le Roi l’en empecha et l’embrassa à trois ou quatre reprises fort cordialement. Ils se parlerent bas un quart d’heure ; le Roi lui presenta Monseigneur, Monsieur, les princes du sang et le cardinal de Bonzi ; il le conduisit à l’appartement de la Reine, qui eut peine à retenir ses larmes. Apres une conversation de quelques instans, Sa Majesté les mena chez le prince de Galles, où ils furent encore quelque tems à causer, et les y laissa, ne voulant point etre reconduit, et disant au roi : « Voici votre maison, quand j’y viendrai vous m’en ferez les honneurs, et je vous les ferai quand vous viendrez à Versailles ». Le lendemain, qui etoit hier, madame la Dauphine y aller, et toute la Cour. Je ne sais comme on aura reglé les chaises de ces princesses, car elles en eurent à la reine d’Espagne, et la reine mere d’Angleterre etoit traitée comme fille de France : je vous manderai ce detail. Le Roy envoya dix mille louis d’or au roi d’Angleterre. Ce dernier paroit vieilli et fatigué, la reine maigre et des yeux qui ont pleuré, mais beaux et noirs, un beau teint un peu pale, la bouche grande, de belles dents, une belle taille et bien de l’esprit ; tout cela compose une personne qui plait fort. Voilà de quoi subsister longtems dans les conversations publiques. »

Lettre de Colbert à Louis XIV concernant les travaux menés à Versailles et à Saint-Germain-en-Laye

« Sceaux, 28 septembre 1673
Je fis hier, Sire, faire une experience des pompes de Versailles.
Je puis assurer Vostre Majesté que les deux dernieres pompes en chapelets du sieur Francine portent 72 pouces d’eau dans le reservoir haut, et par consequent que les quatre en porteront 144 pouces.
Le reservoir d’en haut estoit entierement plein. Je fis marcher continuellement ces deux pompes et deux autres des quatre basses dudit Francines et de Denis, et cela pour faire l’experience sur la moitié des pompes seulement. D’autant qu’il y aura huit pompes nouvelles qui seront dans le reservoir haut et que je n’en fis aller que quatre, avec l’une des deux de la grande pompe.
Je fis ouvrir les huit jets, scavoir cinq du parterre, le Triton, la cour et la terrasse, à une heure precise du matin. Ils jeterent jusqu’à cinq heures et demie du soir que le reservoir se trouva vide. En sorte que je crois que Vostre Majesté peut faire estat que lorsque les dix pompes porteront toutes dans le reservoir haut, ces huit jets pourront aller douze heures sans difficulté. Mais il y a deux choses à observer : l’une que les dix pompes rempliront le reservoir haut en six heures de temps, et l’autre que la grotte, le Dragon et l’orangerie tirent de ce mesme resevoir.
Je fais travailler nuit et jour aux deux autres pompes en chapelets, et j’espere qu’elles seront en place dans quinze jours.
L’on couvre tout à Trianon, et Le Bouteux promet que Vostre Majesté sera satisfaite sur les fleurs.
Le Labyrinthe, le Marais, la Ceres, les groupes du Theatre et de la cour et les six pieces du grand appartement de Vostre Majesté seront entierement achevés dans le mesme temps.
Il n’y a plus que les doreurs dans l’appartement de madame de Montespan à Saint Germain. Le tout sera achevé dans huit jours.
J’ay fait payer 500 000 livres à compte des 1 200 000 que Vostre Majesté a demandées sur le mois de decembre, outre les 200 000 qui estoient desja payées. J’espere avancer de quatre ou cinq jours le temps que Vostre Majesté m’a donné jusqu’au dix.
J’expederay ce que Vostre Majesté ordonne sur le sujet du parc de Folembray et de la terre d’Aubigni. »

Colbert, Jean-Baptiste

Lettre de Colbert à Louis XIV concernant les travaux menés à Versailles et à Saint-Germain-en-Laye

« Paris, 27 juin 1673
Il me semble que je ne dois point interrompre Vostre Majesté ni derober un seul moment de la grande et prodigieuse application qu’elle donne à sa glorieuse entreprise. Il suffit qu’Elle scache que tous les ordres qu’Elle a donnés sur ses finances s’executent avec toute l’application que je dois.
Que j’avance toujours quelque chose dans le dessein de rendre Vostre Majesté quitte dans la fin de cette année.
Que tout est icy paisible, et que chacun ne pense qu’à prieur Dieu pour la conservation de Vostre Majesté et pour l’heureux succes de ses desseins.
Les ouvrages de Saint Germain et de Versailles s’avancent toujours tout autant qu’il est possible.
Par tous les avis que je reçois des places où l’on travaille, il me semble que les ordres de Vostre Majesté sont bien et diligemment executés.
Je continue à envoyer à Vostre Majesté les ordonnances cy jointes, afin qu’Elle ayt agreable de les signer.
Je dois dire à Vostre Majesté que j’ay porté à monsieur le premier president la recommandation qu’Elle m’a ordonné pour madame de Bregis, et qu’elle est venue me dire depuis huit jours qu’elle ne trouvoit aucune facilité aupres du sieur premier president pour parvenir à sa separation. »

Colbert, Jean-Baptiste

Lettre de Colbert à Louis XIV concernant les travaux menés à Versailles et à Saint-Germain-en-Laye

« Le Labyrinthe, les appartemens de marbre, la pompe, les appartemens de Saint Germain s’avancent également. J’espere que le tout sera achevé dans la fin de juillet ou au 15 aoust au plus tard. J’y apporterai toute la diligence qu’il sera possible. »

Colbert, Jean-Baptiste

Lettre de Colbert à Louis XIV concernant les travaux menés à Versailles et à Saint-Germain-en-Laye

« Paris, 5 may 1670
Je fus hier à Versailles et à Saint Germain. Les charpentiers commencerent du matin leur comble de Trianon. J’espère que, dans quinze jours, la couverture en sera achevée, et en mesme temps qu’une piece sera couverte, l’on en fera le plafond et le lambris de stuc.
Le jardin s’avance fort. On fournit à Le Bouteux tout ce qui luy est necessaire.
Pour Versailles, la corniche de la face sur le parterre est entierement posée. L’on continue avec grande diligence, et l’on commence à tailler le bois pour le comble. Je fais encore augmenter le nombre des ouvriers pour les pavillons de la grande avant-cour.
Les couvertures des deux ailes et pavillons joints au petit chasteau sont presque achevées, et les stucateurs travailleront au dedans la semaine où nous entrons.
Nous avons trouvé que l’elevation de quatre pouces des dessins portés par des figures de l’allée d’eau reussira fort bien, et mesme l’eloignement de quatre pieds des figures du bassin du Dragon. Mais il estoit bien necessaire de vider l’eau du rond, d’autant que toutes ces figures se sont trouvées crevées par la grande gelée qu’il a fait. Je les fais raccommoder, et je prendray les precautions necessaires à l’avenir pour empescher que cela arrive davantage.
Pour Saint Germain, je fais reblanchir la chambre de Vostre Majesté, et restablir la menuiserie et serrurerie de ses appartemens.
L’on continue le grand parterre. Les deux grands carrés seront plantés dans la fin de ce mois, et Vostre Majesté trouvera, à son retour, plus de 700 toises de la grande terrasse achevées.
Je supplie Vostre Majesté de me faire scavoir si Elle desire que je fasse payer les ordonnances de voyage qui sont expediées icy, en attendant que je puisse les envoyer à Vostre Majesté pour les signer.
Elle agreera aussy de signer les ordonnances cy jointes.
Les affaires de finances sont en l’estat que Vostre Majesté les a mises et les scait, en sorte qu’il n’est pas necessaire de luy en rien dire.
Mademoiselle de Blois a eu la petite verole volante. Ma femme a fait venir le sieur Brayer, qui en a pris soin. Grace à Dieu, elle en est à present presque quitte.
M. le comte de Vermandois est fort enrhumé, ce qui luy a causé un peu d’emotion. Vostre Majesté peut estre assurée que ma femme en prend tout le soin qu’elle doit.
J’avois envoyé au parlement de Rouen le reglement general des manufactures pour le registrer purement et simplement par les soins de M. Pellot, mais ce parlement en a fait difficulté. Je supplie Vostre Majesté de me faire scavoir si Elle agreera que j’envoye ses ordres à M. de Beuvron, de les y porter pour les faire enregistrer par l’autorité de Vostre Majesté.
Ce 6, au matin
Mademoiselle de Blois se porte fort bien, et sera purgée demain matin.
Le prince n’a plus d’emotion, et son rhume est fort diminué. »

Colbert, Jean-Baptiste

Lettre du marquis de Saint-Maurice, ambassadeur de Savoie, donnant des nouvelles de la cour à Saint-Germain-en-Laye

« De Paris, le 2 mars 1668
[…]
[p. 184] La comtesse de Saint Maurice fut lundi à Saint Germain ; il y eut quantité de princesses et de duchesses qui attendaient la Reine dans sa chambre pendant qu’elle dînait ; le Roi y entra le premier et, saluant les dames, commença par madame la princesse de Carignan, puis il alla droit à la comtesse de Saint Maurice ; la Reine lui fit aussi l’honneur de la mener promener dans son carrosses. Elle nous témoigne mille bontés et je sais qu’elle a de l’estime pour Votre Altesse royale et qu’elle aime Madame Royale. »

Lettre du marquis de Saint-Maurice, ambassadeur de Savoie, concernant une audience du roi à Saint-Germain-en-Laye

« A Paris, le 7 octobre 1667
Je reçus dimanche l’honneur de la lettre de Votre Altesse royale du 24 septembre dernier et le lundi j’allai à Saint Germain ; j’avais été averti par les introducteurs que Sa Majesté me donnerait une audience. J’y arrivai à neuf heures du matin, quoique l’on ne m’eût averti que pour dix. Le Roi [p. 145] était déjà au Conseil ; il me fit appeler, je lui parlai seul à seul dans son cabinet et lui dis mot à mot le compliment que Votre Altesse royale m’avait chargé de lui faire. Le Roi avait le visage assez riant, il me répondit qu’il était déjà très persuadé de l’amitié qu’Elle a pour lui, que je pouvais assurer Votre Altesse royale de la sienne et que dans les occasions de son service elle en recevrait des véritables marques.
Je lui présentai ensuite le placet et l’arrêt pour les gentilshommes et magistrats, secrétaires d’Etat et contrôleurs des guerres de Savoie qui ont du bien en Bresse et en Dauphiné.
A même temps, je lui présentai aussi la lettre que Votre Altesse royale lui a écrite en faveur de M. Marquisio, avec le placet et le mémoire des services de celui ci et qu’il m’avait remis ; je l’accompagnai de tous les bons offices possibles. Le Roi me répondit qu’il verrait le tout, puis je me congédiai et, comme j’étais déjà à quatre pas de lui, il m’appela en venant à moi et me dit fort obligeamment : « Monsieur, je vous prie de vous ressouvenir d’écrire à monsieur de Savoie ce que je vous ai dit touchant notre amitié, et que ce sont [p. 146] des mouvements du cœur ». Je l’en remerciai et l’assurai des partialités que Votre Altesse royale a pour sa personne et un zèle passionné pour son service.
Il est certain que l’on ne s’est pressé de déclarer monsieur le Prince que pour faire connaître à M. de Turenne que l’on avait d’autres capitaines en France ; il veut tout faire à sa mode et indépendamment de tout le monde ; il est à Enghien, où il ne fait que ruiner le pays.
J’ai reçu la lettre pour madame de Villequier et les ordres pour faire les compliments à messieurs Le Tellier et de Louvois : je croyais, lundi que je fus à Saint Germain, de les exécuter ; comme je vis le Roi et après dîner M. de Lionne qui m’avait donné heure, je croyais après cela de voir ces messieurs, père et fils, mais ils sortirent d’abord qu’ils eurent dîné dans un carrosse à six chevaux ; mais à Saint Germain, la nouvelle était publique des honneurs et des caresses que Votre Altesse royale a faits M. l’abbé Le Tellier ; M. son [p. 147] père, ses frères et ses parents, s’en sont loués hautement et M. le marquis de Villequier, qui est présentement de quartier, m’en parla à la messe du Roi avec des termes d’une reconnaissance très respectueuse. Je lui dis que j’étais en partie là pour visiter messieurs Le Tellier et de Louvois et pour les remercier des témoignages et assurances que cet abbé avait donnés à Votre Altesse royale de leur amitié.
Quand j’arrivai ici, quoiqu’il fût fort tard, j’envoyai chez M. Le Tellier pour savoir s’il était en cette ville ; il se trouva qu’au partir de Saint Germain, il était allé à une maison qu’il a à trois lieues de là. Le lendemain au matin j’eus un page de madame de Villequier, qui vint savoir à quelle heure elle me pourrait trouver et soudain après le [p. 148] dîner elle fut céans ; elle déploya toute sa rhétorique et, l’accompagnant de tous ses charmes, elle me témoigna les obligations qu’elle avait à Vos Altesses royales pour les honneurs que vous avez faits à son frère. »

Lettre du marquis de Saint-Maurice, ambassadeur de Savoie, donnant des nouvelles de la cour

« Lille, le 18 mai 1673
[…]
[p. 540] Mesdames de La Vallière et de Montespan sont à la Cour, mais elles ne logent plus ensemble et le Roi va tous les jours à son ordinaire chez la dernière sans visiter la duchesse. Dès que je serai à la Cour, je tâcherai de pénétrer la cause de ce changement. »

Lettre du marquis de Saint-Maurice, ambassadeur de Savoie, donnant des nouvelles de la cour à Saint-Germain-en-Laye

« Paris, le 9 février 1673
[…]
[p. 483] Il y eut lundi au soir un bal magnifique à Saint Germain ; tout y était en grande parure. Le Roi n’y dansa pas, il laisse maintenant ce plaisir à monsieur le Dauphin. Les dames n’y parurent pas, ce qui fait conjecturer que madame de Montespan pourrait être enceinte ; néanmoins, on dit par la Cour que le Roi regarde fort mademoiselle de Théobon, fille de la Reine. Elle a été jolie, elle est maintenant fort massive et même on croit que Sa Majesté s’en servit il y a trois ans à Chambord. »

Lettre du marquis de Saint-Maurice, ambassadeur de Savoie, concernant une visite à Saint-Germain-en-Laye

« Paris, le 19 octobre 1672
[…]
[p. 425] Toutes ces dépêches m’obligèrent de résoudre un voyage à Saint Germain. Je n’y voulus pas néanmoins aller le lundi, à cause du conseil du matin, qui m’aurait empêché de voir les ministres, et comme il n’y en a le mardi que l’après dîner, je m’y acheminai dès le point du jour, et, lorsque j’y arrivai, je sus que M. de Pomponne était en cette ville, mais qu’il [p. 426] arriverait là pour dîner. Je dis demander à voir M. de Louvois, qui me remit à midi. J’allai chez le Roi, il n’était pas réveillé ; je m’entretins quelque temps dans son antichambre avec monsieur le Prince et M. le maréchal de Villeroy sur les nouvelles qui venaient d’arriver.
Après que le Roi fut habillé et que je me fus entretenu avec bien des différentes personnes, le temps de voir M. de Louvois arriva. Je m’acheminai chez lui. Je lui dis d’abord combien Votre Altesse royale lui savait bon gré de l’amitié qu’elle lui témoignait en toutes sortes de rencontre. Je lui en fis le compliment qu’elle m’a ordonné, qu’il reçut de très bonne grâce ; après quoi je lui dis tout ce que Votre Altesse royale m’a prescrit sur cette envie de surprendre Savone. Il me laissa parler autant que je voulus, et après il me dit que, puisque je ne voulais pas avouer la vérité, il me conseillait de n’en plus parler à personne, même au Roi ni à M. de Pomponne, que c’était une affaire passée dont on ne parlait ni on n’y songeait plus, que ce que j’en pourrais dire ne justifierait pas bien Votre Altesse royale de la pensée que l’on avait de faire remarquer au Roi [p. 427] qu’elle n’avait pas de la confiance en lui en ce rencontre et que cela pourrait porter quelque préjudice à Votre Altesse royale auprès du Roi, qui l’aimait, et qu’ainsi il était mieux que la chose fût tout à fait ensevelie dans l’oubli. »

Lettre du marquis de Saint-Maurice, ambassadeur de Savoie, concernant le retour du roi à Saint-Germain-en-Laye

« Camp de Boxtel, le 25 juillet 1672
[…]
[p. 386] Il n’y a jamais eu d’empressement égal à celui que toute la Cour et les officiers d’armée ont d’aller à Paris. On ne parle plus que des tournois et des ballets qu’on fera l’hiver prochain. La ville de Paris voulait faire une entrée et un arc de triomphe pour recevoir le Roi. Il n’en a pas voulu et ne veut pas passer par leur ville, mais aller de longue à Saint Germain. »

Lettre du marquis de Saint-Maurice, ambassadeur de Savoie, concernant le départ du roi de Saint-Germain-en-Laye

« Paris, le 27 avril 1672
Je viens d’arriver de Saint Germain. Comme le Roi avait résolu de partir seulement demain, j’y avais conduit M. le comte Cagnol pour faire un peu de cour et nous attentions dans la cour du vieux château l’heure que Sa Majesté dut aller à la messe pour nous faire voir à Elle. Tout d’un coup, on a dit qu’Elle allait partir, sans que personne l’eût pénétré, car Elle n’en avait rien dit à son lever. Elle est soudain descendue à la chapelle pour entendre la messe, puis est montée seule dans une calèche à six chevaux, M. de Duras une autre, accompagnée de dix à douze gardes, et est partie à onze heures pour aller coucher [p. 279] à Nanteuil chez M. le duc d’Estrées et ira demain à Villers Cotterets, où Monsieur et tout ce qui ira joindre le Roi se rendra. Il n’a dit adieu qu’à la Reine et à monsieur le Dauphin ; ceux qui étaient les plus proches de lui lui ont fait la révérence, mais fort à la hâte. Jamais il n’y a eu de pareille surprise à la Cour ; personne n’en a jamais pu pénétrer la véritable cause. On disait bien que ç’a été pour éviter les tendresses qu’il aurait pu avoir en l’adieu des dames. Je ne le crois pas ; en tout cas, si Votre Altesse royale se le persuade, il sera bien de n’en pas parler. Madame de Montespan était sortie de bon matin de Saint Germain, je l’ai rencontrée dans la garenne dans une calèche à six chevaux. Je ne l’ai pas vue, car les rideaux étaient tirés, mais je me suis figuré que c’était elle, à voir derrière son carrosse les gardes qui ont accoutumé de la suivre, et quand j’ai été à Saint Germain, j’ai su que c’était bien elle, et qu’assurément elle était venue en cette ville, bien que je me figurasse qu’elle allait attendre le Roi à Nanteuil. »

Lettre du marquis de Saint-Maurice, ambassadeur de Savoie, donnant des nouvelles de la cour à Saint-Germain-en-Laye

« Paris, le 1er avril 1672
[…]
[p. 271] La Cour est toujours dans la même posture, les choses y vont leur train ordinaire. Le Roi va à son accoutumée chez les dames, on ne parle plus qu’elles se retireront dans des couvents durant la campagne. On ne sait ce qu’elles deviendront. Bien des gens croient qu’elles feront leur séjour à Versailles. Quand elles viennent quelquefois en cette ville, elles ont toujours une escorte des gardes du corps que commande le major. Bien des gens croient aussi que le Roi viendra faire une course à Saint Germain aux couches de la Reine. Monsieur le Prince est beaucoup mortifié de ce que le Roi n’a pas voulu donner un commandement dans son armée à monsieur le Duc, son fils, mais il ne laissera pas de faire son devoir. »

Lettre du marquis de Saint-Maurice, ambassadeur de Savoie, concernant la mort de la fille du roi à Saint-Germain-en-Laye

« Paris, le 2 mars 1672
L’amélioration qui a paru aux maux de Madame n’a pas été de longue durée ; lundi au soir, les accidents et les convulsions qui avaient cessé, il y avait quelques jours, se renouvelèrent avec tant de violence que l’on jugea à l’abord qu’elle n’en réchapperait plus. Elle fut dans l’agonie jusques à hier à dix heures qu’elle expira. Leurs Majestés en sont dans une affliction qui n’est pas concevable. On a vu le Roi presque toujours dans la chambre de Madame durant ces deniers accidents, et les yeux en larmes. Elles se retirèrent hier à Versailles et y finirent dans une profonde mélancolie le carnaval. On va prendre le grand deuil comme à la mort du duc d’Anjou. J’ai [p. 258] déjà donné des ordres pour habiller mes domestiques et draper deux carrosses. »

Lettre du marquis de Saint-Maurice, ambassadeur de Savoie, concernant la maladie de la fille du roi à Saint-Germain-en-Laye

« Paris, le 26 février 1672
On croyait hier matin que la petite Madame mourrait ; elle fut dans un si grand assoupissement que l’on doutait qu’elle était encore en vie ; on lui mettait des miroirs devant la bouche sans qu’elle les flétrît. Le Roi n’attendait que le moment qu’elle eût expiré pour se retirer à Versailles, tous les bagages étant chargés pour cela. On avait donné le matin l’émétique à cette princesse et on désespérait qu’il eût aucun effet favorable lorsque l’après midi cette princesse parla aux femmes qui la gardaient et leur dit de lui donner une cornette de point de France, ce qui donna des grandes espérances de joie à toute la Cour. On lui donna du bouillon qu’elle trouva bon, le médicament [p. 256] fit son effet ; du depuis, elle a été un peu mieux, que si elle continue jusqu’à demain dans le bon état où elle est présentement, on espère de la sauver pour cette fois. C’est ce que mon écuyer vient de m’apprendre, lequel j’avais envoyé exprès à Saint Germain pour en apprendre des nouvelles.
Le Roi a été dans un grand déplaisir durant tout le mal de Madame. On ne l’avait jamais vu si troublé. Il n’a presque pas dormi et envoyait, durant le gros de la nuit, de demi heure en demi heure, pour savoir l’état auquel elle se trouvait. Si Dieu le console cette fois, il n’y à appréhender sinon que ce ne soit pas pour longtemps. »

Lettre du marquis de Saint-Maurice, ambassadeur de Savoie, concernant la maladie de la fille du roi à Saint-Germain-en-Laye

« Paris, le 24 février 1672
Leurs Majestés sont dans une grande affliction de Madame, leur fille, qui est moribonde et presque sans espérance qu’on la puisse sauver. Dimanche dernier, elle tomba dans une grande faiblesse, accompagnée de convulsions qui ne l’ont plus quittée. On dit qu’elle a perd la vue et la parole. On adapte cet accident à un abcès qu’elle a dans la tête et qui pousse en dedans. Elle en a déjà eu à l’oreille, ce qui l’avait un peu défigurée, et on n’espérait pas qu’elle puisse vivre. Néanmoins, ce coup a étonné Leurs Majestés. Dès aussitôt que Madame sera morte, Elles se retireront à Versailles pour y demeurer jusques à Pâques et dès à cette heure on prendra le grand deuil. »

Lettre du marquis de Saint-Maurice, ambassadeur de Savoie, donnant des nouvelles de la cour à Saint-Germain-en-Laye

« Paris, le 19 février 1672
Je fus hier à Saint Germain. J’y vis Leurs Majestés et M. le Dauphin, tous en santé. Ils me firent des saluts très civils et ce fut là tout. Ils sont tous dans la joie, on n’y parle que de guerre. Le Roi cependant ne bouge de chez les dames quand il n’a pas d’affaires, et on me dit qu’il préméditait de les mener avec lui et de les tenir dans les places frontières, mais que, comme la Reine ne peut pas y aller à cause de sa grossesse où elle avance heureusement, que le Roi préméditait d’y mener la femme de Monsieur, son frère, avec lui, pour que les dames y allassent avec quelque prétexte et comme à sa suite. Cela néanmoins n’était pas encore bien assuré. On disait il y a quelques jours à Paris que madame la comtesse de Soissons n’était pas bien, qu’elle était mêlée dans l’affaire du marquis de Villeroy et qu’on la devait éloigner de la Cour. Je la vis hier, elle était gaie et je n’entendis rien dire de pareil [p. 249] à Saint Germain. Il y a près de deux mois que je n’avais pas vu ni parlé à M. le comte de Soissons parce que je ne le visite jamais. Je l’entretins longuement dans la chambre de sa femme ; il me parut content, nous parlâmes longuement de la guerre. […]
[p. 250]
Comme [le comte de Jacob] est au lit, il ne peut pas écrire les nouvelles à Votre Altesse royal. Il y en a peu de curieuses. Il y a à Saint Germain, deux fois la semaine, le ballet ; hier, il y eut un opéra en musique et machines, des autres fois le bal et la comédie. Leurs Majestés ont quitté le deuil. Mademoiselle y a toujours quelque petite affaire, elle [p. 251] querella l’autre jour mademoiselle de Toucy, la troisième fille de madame la maréchale de La Mothe, devant la Reine, lui reprochant qu’elle se moquait d’elle. Cette demoiselle voulut aller chez elle pour se justifier, elle la prit par les deux mains et la secoua beaucoup, lui disant qu’elle se moquait d’elle, à la persuasion que cette friponne d’Elbeuf, entendant parler de mademoiselle d’Elbeuf, sœur du duc de ce nom.
On dit que le Roi se divertit quelquefois avec mademoiselle de Théobon, quoiqu’il soit toujours fort empressé des dames. »

Lettre du marquis de Saint-Maurice, ambassadeur de Savoie, donnant des nouvelles de la cour à Saint-Germain-en-Laye

« Paris, le 12 février 1672
[…]
[p. 210] Je vis à Saint Germain M. le marquis de Louvois. Je le remerciai, de la part de Votre Altesse royale, de la manière obligeante dont il en avait agi pour ses intérêts et envers moi durant qu’il a eu la direction des affaires étrangères. […]
[p. 245] Un homme qui peut savoir des nouvelles m’assura hier que le Roi a commandé de nouveau au marquis de Villars de faire expliquer la reine d’Espagne, que néanmoins il veut passer le Rhin, [p. 246] qu’il fait faire son équipage, qu’il partira au mois d’avril et que les ministres suivront.
Il n’a pas encore nommé de chancelier ni de garde des sceaux. On croit qu’il n’en fera pas. Il tint lui-même les sceaux samedi et lundi dernier, ce qui dura plus de huit heures en ces deux jours. Il y a dans la chambre, préparée exprès, une longue table ; il est assis au dessus dans un fauteuil, six conseillers d’Etat aux deux côtés, assis sur des pliants et couverts, et qui ôtent leurs chapeaux quand ils rapportent des grâces ou des lettres. Il y a les audienciers et officiers des sceaux. Le Roi opine plus juste qu’aucun des officiers de justice qui sont présents. Il fait apporter de son cabinet par son premier valet de chambre le coffre où sont les sceaux et tire la clef de sa poche pour l’ouvrir. Il a résolu de tenir lesdits sceaux toutes les semaines, il veut connaître les abus qui s’y peuvent commettre pour y remédier, avant que de les remettre à un homme particulier. Bien des gens de qualité y assistèrent ; la Reine même y alla, la grâce du sieur de La Rochecourbon [p. 247] en main ; le Roi dit que la suppliante était d’assez bonne maison pour la lui accorder.
Il retirera auprès de M. le Dauphin les jeunes princes de Conti. Ils mangeront avec lui et n’auront pour gouverneur et précepteurs que ceux de M. le Dauphin. Il a pris le deuil de la princesse de Conti et toute la Cour. Nous avons suivi cet exemple pour nos personnes, mais ce sera pour peu de temps.
L’ambassadeur de Hollande continue ici son séjour. Il voudrait donner des jalousies aux alliés et leur faire croire qu’il traite ici d’accommodement, mais on s’en moque. »

Lettre du marquis de Saint-Maurice, ambassadeur de Savoie, donnant des nouvelles de la cour à Saint-Germain-en-Laye

« Paris, le 15 janvier 1672
La pensée de Votre Altesse royale sur le malheur du comte de Lauzun est très judicieuse et ce ne peut être autre chose. Il en voulait à madame de Montespan, parce qu’elle ne lui était pas favorable. Outre qu’il en a dit du mal, on croit toujours qu’il voulait donner moyen à son mari de l’enlever. Elle a encore peur de l’être et de quelque insulte, car elle ne marche jamais sans gardes, pas même pour aller de sa chambre à la chapelle [à] Saint Germain, bien qu’elle en soit tout contre.
[p. 223] Elle est toujours mieux que jamais. On avait dit que le Roi regardait avec un œil passionné la duchesse de Ventadour et que madame de Richelieu travaillait à la lui rendre facile, mais je n’en crois rien, car outre que le Roi aime toujours beaucoup madame de Montespan, c’est qu’elle est amie de la duchesse de Richelieu et lui a fait avoir la charge de dame d’honneur de la Reine. Il y a bien des gens qui croient que le Roi ne marchera qu’après les couches de la Reine pour ne pas s’éloigner des dames qu’il mènera puis à la suite de la Reine. Si cela était, on ne bougerait d’ici qu’au mois de juillet. C’est à quoi je veille, afin de tenir Votre Altesse royale instruite de ce qu’il fera. »

Lettre du marquis de Saint-Maurice, ambassadeur de Savoie, concernant une audience du roi à l’ambassadeur de Hollande à Saint-Germain-en-Laye

« Paris, le jour des Rois de l’année 1672
Samedi, quand le Roi se déclara qu’il n’irait plus en Champagne, il dit au sieur de Bonneuil, l’introducteur, de faire savoir à l’ambassadeur de Hollande qu’il lui donnerait audience le lundi [p. 218] matin, qui y fut. Comme il fut arrivé à la chambre de descente, M. Le Tellier s’y rendit, parce que le Hollandais n’a pas encore les jambes bonnes et ne pouvait pas monter à la chambre du ministre, qui est fort haute. Ils demeurèrent une demi heure enfermée, mais on ne sait pas encore ce qui se passa dans cette conférence. Après quoi l’ambassadeur alla chez le Roi. Il était dans son cabinet, seul, mais il y avait dans un jour au devant, entre lesquels il n’y a pas de porte qui ferme, monsieur le Prince, M. de Turenne, les ducs de Créquy, d’Aumont, de Gesvres et de La Feuillade, M. Le Tellier, et le roi y fit appeler le comte de Castelmeilhor et le marquis d’Estrades, qui étaient dans sa chambre ; après quoi l’ambassadeur entra. Il dit au Roi (à ce qu’une personne m’a dit, qui m’a assuré l’avoir appris de Sa Majesté même) que messieurs les Etats généraux, ses maîtres, ayant été assurés de bien des endroits que le grand armement que faisait Sa Majesté en terre et en mer était pour les attaque, qu’ils ne le pouvaient [p. 219] pas croire, puisqu’ils avaient toujours maintenu bonne amitié et correspondance avec sa Couronne et eu toujours grande estime et déférence pour sa personne, que dans toutes les occasions ils lui avaient rendu des fidèles et importants services, qu’ils les lui continueraient tant qu’Elle les agréerait, que s’ils avaient fait quelque chose qui lui eût déplu, qu’ils l’ignoraient, que si Elle avait la bonté de leur faire savoir, qu’ils se mettraient en toute la posture qu’il souhaiterait pour y réparer et qu’ils étaient prêts de lui donner toutes les satisfactions convenables qu’Elle voudrait exiger d’eux. On dit que le Roi lui répondit succinctement que s’il avait armé, que ce n’était qu’à l’exemple de ses voisins qui avaient eu envie de lui nuire et de l’attaquer, qu’il était en état de ne pas les craindre, qu’il ferait encore bien plus de troupes qu’il n’en avait et qu’alors il ferait tout c que ses intérêts et sa réputation lui dicteraient.
[p. 220] L’ambassadeur de Hollande lui présenta après la lettre de ses souverains ; le Roi lui dit qu’elle était imprimée, qu’elle courait toutes les provinces de l’Europe et qu’il savait ce qu’elle contenait puisqu’il l’avait il y a quinze jours, que néanmoins il ne laisserait pas de la prendre et qu’il aviserait à la réponse qu’il devra leur faire. L’ambassadeur lui répliqua que s’il lui avait donné audience la première fois qu’il la lui avait fait demander et qu’il lui avait plu de la lui faire assigner, qu’assurément il aurait eu ladite lettre auparavant que personne autre que ses souverains en eussent connaissance, mais que, comme il avait cru qu’il aurait eu ladite audience alors qu’on la lui avait fait espérer, qu’il l’avait écrit aux Etats, qu’eux, s’étant figurés que c’était une chose faite, avaient donné des copies de ladite lettre aux ministres étrangers qui étaient auprès d’eux à La Haye, afin que chacun sût la disposition où ils sont de l’honorer et de lui donner toute satisfaction. Après quoi, il se retira, voyant qu’il ne pouvait pas [p. 221] faire déclarer le Roi sur quoi que ce fût ; il ne fut pas avec lui un demi quart d’heure. Il paraît satisfait de cette réponse. Il ne s’en ira pas, comme il souhaitait, les Etats le lui ayant défendu.
Dès qu’il fut sorti d’auprès de Sa Majesté, elle approcha ses messieurs qui étaient en son avant cabinet, leur dit ce qui s’était passé entre elle et cet ambassadeur, puis remit la lettre des Etats à monsieur le Prince, qui la lut tout haut et qui ne contient que ce que leur ministre avait proféré verbalement à Sadite Majesté. Tout cela fait croire qu’Elle ne changea pas de dessein et qu’elle suivra toujours sa pointe et sa résolution, où tout s’achemine également et sans aucune interruption. »

Lettre du marquis de Saint-Maurice, ambassadeur de Savoie, concernant une visite à Saint-Germain-en-Laye

« Paris, le 4 décembre 1671
Quand je sortis hier matin de cette ville pour aller à la Cour, il n’était pas encore bien jour. Je rencontrai néanmoins M. de Louvois dans le faubourg de Saint Honoré, qui y entrait. Je ne croyais pas qu’il retournât à Saint Germain qu’à la nuit. J’allai, y étant arrivé, droit à la chambre du Roi. Il y parut demi heures après. Je l’abordai et le priai qu’à sa commodité je le pusse entretenir un quart d’heure chez lui. Il me dit : « Tout à cette heure », et me convia d’entrer dans le cabinet de Sa Majesté, lieu où personne n’entre que par grande faveur, où Elle devait bientôt aller négocier. Toute la Cour fut surprise de cette action et moi, qui sais les choses, encore plus que les autres. Jamais favori ni premier ministre ne peut [p. 200] rien entreprendre de plus haut ni de plus hardi. Il est vrai aussi qu’on le considère maintenant comme l’un et l’autre, et l’on ne doute plus que, si les choses continuent de la sorte, il ne soit bientôt seul et le tout puissant.
Quand nous fûmes dans ce cabinet, je le remerciai du rang qu’il a procuré au régiment de cavalerie que Votre Altesse a donné au Roi. Il me répondit que Sa Majesté avait avec plaisir pris cette résolution pour satisfaire Votre Altesse royale en ce qu’Elle souhaitait. Il me dit ensuite que monseigneur le prince en serait mestre de camp et M. le baron de Lucinge colonel lieutenant, avec commandement de mestre de camp. Je lui parlai ensuite des commandements que pourraient avoir MM. Cagnol et Grimaldi ; il me répliqué par leur commission de capitaines. Je lui représentai qu’il faudrait aussi leur donner des commissions de mestre de camp, particulièrement au dernier qui a servi durant si longtemps de lieutenant colonel des régiments des feus comte de [p. 201] Broglie et prince Almeric. Il me dit nettement que cela ne se pouvait pas, qu’il y en avait cent dans la cavalerie aussi anciens au service que lui, qui l’avaient demandé et auxquels on l’avait refusé et que, si on ouvrait cette porte, ce serait un embarras et une confusion qui apporteraient de grands désordres au service du Roi, qu’il n’y pouvait pas avoir de mestres de camp que ceux qui avaient des régiments, mais il m’assura que, contre la coutume observée dans ce service jusques à présent, tous les capitaines de ce régiment commanderaient aux Français à leur tour et par l’ancienneté de leur commission. »

Lettre du marquis de Saint-Maurice, ambassadeur de Savoie, donnant des nouvelles de la cour à Saint-Germain-en-Laye

« Rueil, le 30 octobre 1671
Il n’y a pas des nouvelles considérables à la Cour. Le Roi s’occupe dans des perpétuels [p. 178] conseils, à la chasse, va chez les dames. Il y a comédie deux fois la semaine à Saint Germain et régal tous les après minuits des jours maigres. Mercredi que j’y fus, le Roi alla courir le lièvre avec la meute de monsieur le Dauphin. Madame de Montespan sortit un peu avant lui, seule dans une calèche à six chevaux, toutes les glaces tirées, à travers desquelles on l’admirait avec son ajustement et ses charmes ordinaires. Elle était suivie du major des gardes du corps, le chevalier de Forbin, et de trois gardes avec le mousqueton, tous à cheval. Votre Altesse royale peut bien deviner de qui le Roi a pris l’exemple de se servir du major de ses gardes pour ces sortes d’emplois. »

Lettre du marquis de Saint-Maurice, ambassadeur de Savoie, donnant des nouvelles de la cour à Saint-Germain-en-Laye

« De Paris, le 29 septembre 1667
[…]
La cour est assez mélancolique à Saint Germain ; le Roi y négocie, joue souvent à la paume, et des cinq à six heures de suite il va à la chasse pour le vol et fait l’amour ; l’on en parle si diversement que l’on à peine à croire ce que chacun en dit. »

Lettre du marquis de Saint-Maurice, ambassadeur de Savoie, concernant la mort du duc d’Anjou à Saint-Germain-en-Laye

« Paris, le 13 juillet 1671
J’ai cru être obligé de faire passer cette lettre à Votre Altesse royale par un courrier exprès de Lyon à Chambéry pour lui faire savoir la mort de M. le duc d’Anjou et que Leurs Majestés en sont dans une affliction des plus grandes, le Roi n’en ayant pas encore montré de pareille, à ce que tous ses vieux courtisans assurent. Il mourut vendredi au soir dans un temps de tonnerre. Le Roi était pour lors entre Senlis et Luzarches. Il coucha en ce dernier lieu, où il apprit la mauvaise nouvelle, car il n’était éloigné de Saint Germain que de six lieues. Il eut le lundi, à Ath, la nouvelle que ce prince s’affaiblissait notablement et qu’il n’y avait presque plus d’espérance pour le sauver. Il résolut d’en partir le mardi pour le venir faire servir, bien que son retour n’eût été fixé qu’au samedi. J’étais parti de Lens le lundi et le mardi matin je sus la [p. 110] résolution de Sa Majesté, entre Valenciennes et Cambrai, par M. le duc de Longueville et quelques seigneurs de la Cour qui venaient ici sur des chevaux de poste. Je continuai mon chemin dans la grande route pour fuir la marche du Roi, comme aussi les embarras et les incommodités qui s’y rencontrent, ce que je ne pus éviter, car une bonne partie des seigneurs de la Cour suivirent mon exemple.
J’arrivai à Senlis une heure après que Leurs Majestés y eurent passé, bien qu’elles eussent fait grande diligence, et arrivai avant-hier en cette ville, où je sus que Leurs Majestés, de Luzarches étaient allées coucher à Maisons pour fuir Saint Germain, et de là passèrent hier à Versailles, accablées de douleur et de tristesse qui est assurément générale parmi la noblesse et le peuple.
On a ouvert le corps de feu M. le duc d’Anjou ; on lui trouvé le foie pourri, les poumons gâtés et beaucoup d’eau dans l’estomac, ce qui augmente les craintes de toute la Cour puisqu’on trouva les mêmes défauts en feue Madame, sa sœur, la première [p. 111] fille du Roi et que l’on voit que monsieur le Dauphin est sujet à de grandes infirmités, ayant encore présentement un peu de dévoiement, les médecins ayant dit déjà plusieurs fois que tous les enfants de Leurs Majestés avaient les intestins faibles et qu’en cela ils ressemblaient au feu roi Louis XIII. Dieu leur donnera une meilleure santé, s’il lui plait, pour la consolation de tous ceux qui y sont intéressés. »

Lettre du marquis de Saint-Maurice, ambassadeur de Savoie, donnant des nouvelles de la cour à Saint-Germain-en-Laye

« Paris, le 27 février 1671
Il n’y a rien ici de nouveau ; la Cour se divertit à son ordinaire à Saint Germain et les dames de la faveur sont toujours dans la même posture. Madame de La Vallière est de tous les écots ; je la vis hier en habit de chasse, pompeuse, dans le carrosse du Roi, où était madame de Montespan et quelques autres dames ; ils allèrent voit voler la pie et la Reine y alla demie heure avec Mademoiselle. »

Lettre du marquis de Saint-Maurice, ambassadeur de Savoie, donnant des nouvelles de la cour à Saint-Germain-en-Laye

« A Paris, le 12 septembre 1670
M. le duc de Buckingham se congédia avant hier et partira demain pour s’en retourner à Londres. Le Roi lui a donné un baudrier et une épée garnie de diamants de la valeur de 30 mille écus. Jamais étranger et même souverain n’a reçu [p. 485] ici tant d’honneurs et de caresses. On fit pour lui samedi dernier une très belle fête à Versailles et mardi M. de Lauzun lui donna un superbe souper à Saint Germain, où il y avait des belles dames. Le Roi y en conduisit aussi des autres encore plus belles, faveur insigne et qui n’a jusqu’à présent été faite à qui que ce soit. On dit qu’il a fait et fini le traité qu’avait commencé feue Madame, mais il n’est pas encore public. »

Lettre du marquis de Saint-Maurice, ambassadeur de Savoie, donnant des nouvelles de la cour à Saint-Germain-en-Laye

« A Paris, le 22 août 1670
[…]
[p. 478] M. le duc de Buckingham ne bouge de Saint [p. 479] Germain. Jamais prince étranger ni grand seigneur n’a été si fort caressé du Roi. Il est presque toujours avec lui. On ne pénètre pas encore s’il fait quelques négociations. Il est certain que feu Madame avait apporté un traité d’Angleterre, elle l’avait dit à des personnes de confiance, mais on n’a pas pu savoir ce qu’il contenait. Par les apparences et selon que les choses se préparent, on juge que c’est un traité de commerce de marine pour les Indes où négocient les Hollandais. Ils les y veulent troubler et les affaiblir par ce moyen, et comme les peuples d’Angleterre en tireront des avantages considérables, les détacher par là des partialités et des amitiés qu’ils ont pour lesdits Hollandais.
Je viens de savoir que le Roi a commandé ses troupes qui sont au camp de se tenir en état de marcher mercredi prochain en corps d’armée du côté de Péronne, où elles seront conduites par le maréchal de Créquy et consignées au maréchal d’Humières. […]
[p. 480] Madame, fille du Roi, est toujours plus mal à Rueil, où on l’a menée, l’air de Saint Germain étant trop subtil. Leurs Majestés l’y ont visitée, et monsieur le Dauphin a déjà eu deux accès de fièvre tierce. »

Lettre du marquis de Saint-Maurice, ambassadeur de Savoie, concernant le fort Saint-Sébastien près de Saint-Germain-en-Laye

« A Paris, le 1er août 1670
[…]
[p. 471] Le Roi agit toujours à son ordinaire tant à l’égard des dames que de son camp ; il va tous les jours voir ses troupes, il les fait mettre en bataille, il les fait combattre, il les divise en deux corps d’armée dont il en commanda un et M. le maréchal de Créquy l’autre. Hier, le Roi fut attiré dans une embuscade et fait prisonnier par le marquis de Villeroy, puis regagné par son armée qui mit [p. 472] l’autre en déroute. Ce sont des jeux et des divertissements qui fatiguent à l’heure de midi et au gros de la chaleur, mais qui stylent à miracle les officiers et les soldats. Jamais il n’y a eu tant de régularité ni de discipline ni jamais armée n’a été si bien réglée que dans ce camp. Entr’autres, les soldats y observent le silence quatre heures tous les jours, les officiers de cavalerie n’y sont jamais sans bottes et toujours en collet de buffle et ceux d’infanterie continuellement en soliers. Votre Altesse royale fera plaisir au Roi et à M. de Louvois si Elle lui en parle avec admiration. »

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