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Château-Neuf
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Récit par Niccolò Madrisio de sa visite à Saint-Germain-en-Laye

« [p. 324] Il luogo insigne per le fasce di Lodovico Decimo quarto è San Germano detto in Laja dalla vicinanza d’una selva di questo nome, principiato gia da Carlo Quinto, proseguito poi dagl’Inglesi, che ne furono qualche tempo Padroni, posto tra Parigi, d’onde è discosto qualche dodici miglia, e Poissi picciola città natalizia di San Luigi, e famosa per la conferenza seguita tra i Cattolici, e i Protestanti di Francia alla presenza di Carlo Nono, e di Catterina de’ Medici all’ora Reggente ne’ primi torbidi, che successer colà della Religione. A riguardo dell’onore, che ha avuto il Castello di San Germano di veder nascer Lodovico XIV, vi si recita ogn’anno li 5 Settembre nella Regia Capella un Panegirico in lode di Sua Maestà, de’quali se n’avra una seria omai di settanta, non essendo, come ben si può credere, tutti d’ugual bellezza, ne tutti corrispondenti al grand’ argomento, che trattano. Francesco Primo, che si dilettava oltra modo di caccie, ristabili in grazia delle medesime con qualche mutazione il vecchio Castello qual ora si vede girar attorno il Cortile in forma della lettera D, figura, ch’egli li fece dare per alluder al nom d’una Dama da lui amata, il quale principiava in tal lettera. Il nuovo Palagio fu fatto fabbricar [p. 325] da Enrico Quarto ; le sei Galerie, le numerose scale, le grotte sotterranee, i compartimenti del Giardino, o più tosto de’ vari Giardini, che s’incontrano nella discesa da quell’erto Colle sono opera di Lodovico Decimo Terzo, al che tutto il Monarca presente ha dati poi quegli ultimi delicati abbellimenti, c’han reso altre volte San Germano il più celebre di tutti i luoghi Reali. La Natura vi ha contribuito tutto per far il sito amenissimo, la vista aggradevole, e piena di tutti gl’immaginabili privilegi. In un gran tratto di paese, che di piena vaghezza si domina da quell’altezza veramente straordinaria, vi si scopre assai bene così lontano, ch’egl’è, lo stesso Parigi. Ciascuno de’ Giardini, e delle grotte accennate teneva già qualche giuoco curioso d’acqua con varie figure, che si moveano, le quali all’ora faceano una gran parte di queste delizie. Nella grotta, che ancora porta il nome da lui, v’era un’ Orfeo, che nell aprirsi dell’acqua suonava delicatamente la lira accorrendo da vari siti molte sorti d’animali ad udirlo : Diverse altre statue rappresentanti il Re, il Delfino, et la Corte s movevano a veder lo spettacolo, e gli arbori si piegavano alla loro comparsa. Vi era in altra Grotta un Perseo, che volava per aria a liberar Andromeda, ed un Dragone levatosi dibatteva strepitosamente le ali vomitando dalla bocca un gran fonte, attorno il quale molti Rosignoli, e Canarini disposti negli alberi facean la melodia, ch’è lor propria. Sorpasserò [p. 326] un popolo d’altre figure minori che bello stesso tempo maneggiavano ogn’altra sorta di musicali strumenti, e rappresentavano tutti i mestieri dell’arti correndo une spesa si grande nel mantenimento di tante macchine, e giuochi, che dicono che rottasi una volta una corda al violino d’Orfeo non costasse a Lodovico XIII meno di 300 scudi il rimetterla. V’avean pure delle Grotte asciutte, che col mezzo di certo moto secreto dell’acque producevano un venticello freschissimo, il quale in oltre animava Organi, e simili strumenti pneumatici. V’eran molt’altri ingegnosi scherzi non men d’acqua, che d’aria, i quali seccatisi i fonti dopo che il Re ha fermate le sue applicazioni a Versaglie, si son tutti guastati, rimasi inselvatichiti i Giardini della discesa suddetta, e sepolte nell’erba tutte quelle logge, e quelle, altre volte si magnifiche scale in guisa che sono divenute impraticabili, e mettono una formal compassione. Quando io fui colà vi latrava in quelle Galerie una Mandra di cani, che il Re Giacomo d’Inghilterra vi tenea rinserrati per uso delle sue caccie. Il vecchio Castello solo serviva all’abitazione di questo Re, e della sua Corte, come pure per di lui servigio si teneva aggiustata, e culta l’unica parte del Giardino superiore in cima del Colle, e s’era anzi accresciuta di non peche bellezze. San Germano all’ora, ciò che differ gli Storici del Palagio di Teodofico, si potea chiamar un rigido Monastero, ed una vera scuola morale nel soggiorno di [p. 327] quest’ esule coronato, e dell’ incomparabil Maria d’Este sua Moglie non solo perchè rappresentava la maggio peripezia di fortuna, che si sia mai veduta ai di nostri, ma anco per le tante virtù Cristiane, ed Eroiche, nelle quali ambidue incessantemente s’impiegavano avendo destinato per ciascun giorno della settimana qualche particolar esercizio della loro esemplarissima Divozione. »

Madrisio, Niccolò

Récit par Louis Huygens de sa visite aux châteaux de Saint-Germain-en-Laye

« Ou on entre le premier c’est le vieux chasteau qui est bastij par François I de brique mais fort singulierement. C’est icij où loge le le Roij d’à present car le defunct estoit dans le chasteau neuf qui est en bas et bastij par Henri 4.
Il ij a dans ce vieux bastiment une chapelle assez belle où il ij a des orgues. Au reste, les appartemens du Roij et de la Reijne et la salle des comediens ij sont assez mediocres et mal entretenus, encor que le Roij ij vienne assez souvent. Elle est du reste fort grande, et on dit mesme qu’il ij [a] plus de 500 chambres logeables et encor n’ij a t il qu’une court. A costé gauche de la maison il ij a des parterres qui sont bien jolis et au delà d’autres grand jardins. Derriere il ij a premierement une grande court et au delà le chasteau neuf, qui est assez estendu en largeur mais aussij bien bas. L’architecture n’en est pas tout à fait à la moderne mode. Le corps de logis consiste principalement aux appartemens du Roij et de la Reijne. Cestuij cij est peint mais pas trop bien. Celuij du Roij est beaucoup meilleur et le plancher tout doré et lambrissé. On nous monstra icij la chambre où il est mort. A chaque appartement il ij a une longue galerie voutée toute peinte. Dans l’une des deux il ij a plusieurs villes assez mal representée, entre autres Maestricht et Nimwegen et Werrdenbirgh en Westphalie où ils ont mis dessous Werdenbroch, ville de Wespallon. Derriere cette maison, il ij a une grande terrasse, de laquelle on descend par des grands degrez dans les jardins qui viennent jusques à la riviere, mais sont tres mal entretenus, tous les degez abattus et toutes ces fameuses grottes, qui ont tant cousté autrefois, en desordre. Le chasteau vieux est toute couvert de grosses pierres de tailles au lieu d’ardoises. Quand on ij est monté dessus, on descouvre une fort belle campagne et Paris fort distinctement. »

Huygens, Louis

Récit par Johann Wilhelm Neumayr von Ramssla de sa visite à Saint-Germain-en-Laye

« [p. 143] Den 20 zogen J. Fürstl. Gn. nach S. Germain en Laye : seynd zwey königliche Häuser / ligen beyde auff einem Berge : Das alte ist ein groß Gebäwbe / meistlich von gebackenen Steinen auffgefützrek / die Form ist fast ovalis, Inmassen solches am Hoff inwendig zu sehen / welches dem Gebäwde ein selßam Ansehen gibt : Im Hoff seynd in dreyen Ecken Thürme / in solchen kan man zu oberst auffs Dach kommen. An stadt des Dachs ligen grosse steinerne Platten über einander / daß das Wasser abschiessen kan : So ist auch oben / so wol in als außwendig ein Parapetto, oder Lehne von steinern Seulen rings herumb / und demnach das ganße Gebäwde oben wie eine altana gemacht / daß man oben allenthalben sicher herumb gehen / und sich vmbsehm kan / wie man dann ein schön Theil Landes vor sich hat. Inwendig sihet man oben herumb viel Salamandra in Stein gehawen / darauß abzunemen / daß Ludovicus Xll diß Hauß gehawet.
[p. 144] Die Gemach / so viel J.F.G. gezeigetworden / seynd gar schlecht / wie auch der Saal. Nechst bey dem Thor / auff der rechten Hand ist die Capell : Die Fenster am Schloß seynd hoch / und in Schwibbogen gefast / welches dem Gebäwde ein schön Ansehen gibt : Hat ein tieffen Graben herumb Gegen Mitternacht ist ein Lustgarten mit schönen Quartiren vnnd Gängen : So ist auch nechst daran ein lustiger dicker Wald oder Thiergarten / etliche Meilwegs groß / hat rings herumb eine hohe Mawer. Auß vorbemeltem Garten seynd viel lustige alléen und Gänge in solchen Wald gemacht : Sol eine schöne Lust darinnen seyn : Darumb haben auch die Könige allzeit diesen Ort sehr geliebet und hoch gehalten der / jetzige junge König ist allhier erzogen worden.
Nicht weit davon stehet ein groß Ballhauß / sol der schönsten eines in Franckreich seyn.
Das ander königliche Hauß ligt ohn gefehr 200 Schritt von diesem / gar an der Ecke des Berges. Ob es wol nicht so weitleufftig / hoch und groß / als das ander / so ist es doch viel schöner / ordentlicher und künstlicher angelegt und gebawet. Das gantze Gebäwde ist nidrig / und nur Gemachs hoch auffgeführet : Die Gemach seynd ohn gefehr ein pahr Ellen von der Erden erhöhet : Man gehet allenthalben durchauß von einem ins andere / Ist auch das gantze Werck gleichsam in zwey Quartier außgetheilet / eins vor den König / und das ander vor die Königin / wie ein Theil an Zimmern und Galeria gebawet / so ist auch das ander. In des Königs Galeria stehen an den Wänden viel Städte auff grossen Taffeln abgemahlet / unter andern auch Venedig / Florenz / Prage / Nimegen / darunter diese Wort : Ville du fondement de l’Empire, [p. 145] Denn Carolus Magnus hat solche zu einen Reichssitz in denselben Landen gemacht / wie er auch mit Ach und Theonville daselbst gethan. Am Ende über der Thür hat der Mahler ein groß durchsichtig und prospectivisch Gebäwde gemahlet / welches von serne das Ansehen / als sehe man noch weiter die Galeria hinauß.
In der Königin Galeria stehen viel Fabuln auß Ovidio und andern Poeten, auch auff grossen Taffeln / fast in natürlicher grösse gemahlet.
Diese Galerien seynd oben rund / wie ein lang Gewölbe / Ist alles überauß schön von Golde und Farben angestrichen. So seynd auch in den Gemachen viel schöner kunstreicher Gemählde / Wände und Decke allenthalben schön gefasset / und auch mit Golde und Farben auffs künstlichste gemahlet : Camin von bundten Marbel auffs zierlichste gemachet.
Auß den Galerien und Gemachen sihet man hinab in den Fluß Seine, und ein gut Theil ins Land. Es ist aber hinter den beyden Galerien, und zwar so lang das gantze Gebäwde ist / ein Platz etwa zwölff Schritt breit / gepflastert : In der mitte daselbst stunde eine blaw Seule von Holtz mit viel güldenen Lilien daran / sol ein Brunn seyn war aber nicht ganghafft / und viel daran zerbrochen.
Weil es auch umb das Hauß also beschaffen / daß man auff beyden Seiten / da es an der lenge wendet / damit herauß an Berg gerücket / Als ist an der einen Seiten auff der Ecken eine Capell / dorinn der König Meß hört : Ist von schönen bundten Marbel / und oben hinauß rund mit einem Thürmlein / daran die Fenster / damit das Liecht daselbst hurein fallen kan. Sie ist zwar klein / aber recht schön und artig nach der architectur gemacht.
[p. 146] Von bemeltem Platz seynd zweene grosse gepflasterte Wege hinab auff einen andern Platz / so auch gepflastert : Daselbst ist eine Galeria auff hundert Schritt lang (denn so lang ist auch das gantze Hauß) die ist gleich unter vorgedachtem obersten Platz : An beyden Seiten seynd Grotten, oder schöne künstliche Gewölbe / mit Meerschnecken / Muscheln / Perlenmnutter / seltzamen Meer unnd andem Gewächsen / unnd Steinen außgesetzet. Mitten in der ersten Grotta stunde ein runder Lisch auß schwarßen Marbel / In der mitte war ein Röhrlin / auff dasselbe stackte der Italiäner / so auff die Wasserkunst bescheiden / unterschiedene Instrument, darauß sprang das Wasser auff allerley Art. Insonderheit hat er eins / das gab Wasser auff eine Form / als wann es ein schön Cristallen Kelchglaß were : Item ein anders / wie ein Umbrel, unnd also formirte er etliche Gefäß / und andere Ding vom Wasser. Auff der einen Seiten an der Wand saß eine Nympha, die schlug auff der Orgel / und regte das Häupt. Bey dem Fenster stunde ein Mercurius auff einem Fuß / und bließ eine Tromete. So saß auff der andern Seiten ein Guckguck auff einem grünen Baum / ließ sein Gesang so eigentlich hören / als wann er natürlich were.
In der andern Grotta kam ein Drach auß einer Klufft herfür / schlug mit seinen Flügeln / reget den Kopff / strackt solchen endlichen in die höhe / und speyete viel Wassers von sich. So waren auch viel Vogel umb ihn herumb / die fiengen an zu singen. Auff der andern Seite stunde ein grosser steinerner Trog von Muscheln / unnd allerley Meersteinen / auch gar künstlich gemacht : In solchem kam ein Neptunus auff seinem Wagen / so zwey Meerwunder zogen / auß einer [p. 147] Klufft herfür / regete sich alles / als hette es das Leben : Er wandte sich aber im Trog mit dem Wagen / und fuhr wieder in die Klufft hinein.
Von diesem Platz gehen abermaln zweene gepflasterte grosse Wege hinab noch auff einen andern Platz / so auch gepflastert / daselbst ist eben auch eine solche lange Galeria mit zweyen Grotten, welche gerade unter die ersten gebawet. In der ersten Grotta stunde an der einen Seiten ein grosser steinerner Trog / auch auff die Art gemacht / wie von den vorigen gemeldet worden / war voll Wasser / vnnd sahe man nichts darinn / bald that sich allmehlich ein grosser Drach auß dem Wasser herfür / breitete die Flügel auß / hub den Kopff in die höhe / gab ein selßam Gethön / unnd endlich auch Wasser von sich. Auff der andern Seiten stund ein Berg / daran waren Wind und andere Mühlen / die giengen umb / Item allerley Handwercksleute / die ftengen an zu arbeiten / und regete sich alles : In der Grotta am audern Ende dieser Galeria, war ein Orpheus mit seiner Lyra, unnd umb ihn eine grosse Anzahl wilder Thier und Vögel : Wann er musiciret, so sol sichs alles regen / war dumaln ungangbar / dann die Grotta sol ein Riß betommen haben / und sagte der Welsche / daß sie unter 40000 Cronen nicht könte wieder repariret werden.
Alle bißhero erzehlte Grotten seynd also gemacht / daß man einen trieffnaß dorinn machen kan / dann das Wasser felt nicht allein von oben herab / sondern springt auch auß der Erden / und von allen Seiten herfür.
Von diesem Platz gehet man noch ferner zweene gepflasterte [p. 148] Wege hinab auff einen grossen Platz / daselbst wird jetzt ein Lustgarten mit Quartieren von artigen Zügen mit Burbaum zugericht. Auß diesem Garten werden noch mehr Wege gemacht / daß man vollends gar hinab zum Fluß kommen kan : Ist also an diesem Ort ein recht königlicher Lust. König Kenricus IV hat es gebawet auch bey seinem Leben / weil es nicht weit von Pariß / sich gar offt daselbst auffgehalten. Es ist zwar alles gar ansehnlich und herzlich auffgeführet und zugericht : Ist aber anders nichts als ein grosser Steinhauffen. Dann da sihet man nichts als Steinwerck / und gar keine Bäwme oder Streucher. Wann der Berg auff die maß zugericht were / wie der zu Tivoli bey Rom am schönen Palatio daselbst / weil er selbigen bey nahe gleichet / würde die Lust bev weitem schöner und herrlicher seyn. »

Neumayr von Ramssla, Johann Wilhelm

Récit par Jodocus Sincerus de sa visite des châteaux de Saint-Germain-en-Laye

« [p. 293] Lorsque tu es à Paris, il ne faut pas négliger de visiter les lieux voisins les plus remarquables. Outre Fontainebleau, que j’ai décrit tout à l’heure, il y a la ville de Saint-Germain-en-Laye, située à cinq lieues. Elle ne manque pas d’une certaine antiquité. Ce fut le roi Charles V qui en commença le château, ou du moins qui le restaura ; mais François Ier, passionné pour la chasse, le fit reconstruire avec plus d’éclat. Cette ville ne fait partie d’aucun diocèse. Elle est contiguë à une forêt de chênes, appelée le Bois de trahison. Dans l’angle qui regarde la ville, on m’a montré une grande table de pierre auprès de laquelle on dit que la trahison fut conçue ; je laisse à d’autres le soin d’expliquer en quoi cette dernière consistait, et qui l’exécuta, ne voulant pas m’égarer dans les choses incertaines. On prétend aussi que les branches des arbres de cette forêt jouissent de cette propriété singulière, de couleur à fond comme les pierres, au lieu de surnager, si on les jette dans la Seine ; mais je n’ai pas expérimenté le fait.
J’ai encore emprunté à Mérula ce passage. Je dirai en outre que le nouveau château est une construction admirable. J’y ai remarqué six galeries et des grottes dans lesquelles l’eau, amenée par des conduits divers, produit des effets mécaniques étonnants : 1° la grotte d’Orphée, [p. 294] où on voit une statue du poète, tenant une lyre sur laquelle il joue, lorsqu’on fait marcher les eaux. Au son de la lyre, différents animaux s’avancent autour d’Orphée, les arbres s’inclinent, et le roi passe avec le dauphin et toute sa suite ; 2° la grotte d’une jeune musicienne que les eaux mettent en mouvement, et qui lève la tête de temps en temps comme si elle regardait réellement ses auditeurs. À ses côtés, des oiseaux exécutent une mélodie suave. Remarque contre la fenêtre une table de marbre bigarré représentant un gracieux paysage. Au milieu est un tuyau d’où l’eau s’échappe, en courant autour d’obstacles qui la forcent à représenter différentes figures. Contre la muraille intérieure on a placé la statue d’un satyre ; 3° grotte de Neptune : lorsqu’on fait marcher les eaux, deux anges sonnent de la trompette, et, à ce bruit, Neptune paraît, armé d’un trident, et traîné dans un char à deux chevaux ; après être resté un instant, il s’en retourne, et les trompettes sonnent encore. Tu remarqueras sur la muraille les forges de Vulcain ; 4° la grotte de Persée : on voit celui-ci délivrer Andromède et frapper le monstre main de son glaive.
Entre les deux premières grottes tu en verras une cinquième, celle où un dragon lève la tête en battant des ailes, et vomit tout-à-coup de larges torrents d’eau, pendant que des rossignols [p. 295] factices font entendre des chantes harmonieux. Outre ces grottes où les eaux jouent de toute part, il faut voir aussi la grotte sèche, qui offre en été une fraicheur délicieuse ; une fontaine avec une statue de Mercure dans l’une des galeries ; et enfin, dans une des chambres du palais, l’image de la France éplorée qui se laisse choir, et que le roi soulève pour la remettre dans son premier état. »

Sincerus, Jodocus

Récit par Georg von Fürst de sa visite à Saint-Germain-en-Laye

« [p. 207] Zu einer andern Zeit ritten wir nach S. Germain en Laye, welches auch ein Königliches Lust Schloß ist, und 6 Meilen von Pariß lieget. Es sind allhier 2 Königliche Häuser, welche beide auf einem Berge erbauet seyn. Das alte ist ein groß Gebäude, so meistens von Ziegelsteinen aufgeführet. Es hat ein ovales Ansehen, und macht eine wunderliche Figur. In drei Ecken des Hoffes stehen hohe Thürme, in welchen man biß oben auf das Dach steigen kan. Auf dem Dache liegen grosse steinerne Platten, welche so geleget seyn, daß das Wasser darauf abschießt. Und auf den Seiten befinden sich schöne Seulen, welche das ganze Gebäude umgeben, und einen vortreflichen Altan machen. Man kan sich weit und breit darauf umsehen, und ein groß Stücke Landes [p. 208] betrachten. Gegen Mitternacht ist ein Lust-Garten welcher mit schönen Quartieren und Gängen ausgeziehret ist. Nächst daran stößt ein dicker Wald, oder Thier Garten, welcher etliche Meilen groß ist, und rings herum mit einer Mauer umgeben. Man nennet diesen Wald das Holz der Verrätherey. In einer Ecken stehet ein steinerner Tisch, daran ehemahls diejenigen gesessen, welche eine gro Verrätherey angerichtet, und sich deswegen einander verschworen haben. Von diesem Holße ist merkwürdig, daß es von der Zeit an teine Früchte getragen. Wenn man einen Ast von einem Baume abschneidet, so verdorret er, und bringt keine Blätter mehr hervor. Der Ast selbst zu Grunde, wie ein Stein, wo er in die vorbeyflüßende Seine geworffen wird. Man meynet, daß Gott dadurch feinen Zorn anzeige, welchen er gegen die Verräther gefasset, die an diesem Orte ihre Gottlosigkeit beschlossen haben. Das neue Hauß liegt ohngefehr 200. Schritte von dem alten, und ganz an der Ecke des Berges. Es ist zwar nicht so weitläufftig, hoch und groß, als das vorige, aber viel schöner, ordentlicher und künstlicher gebauet. Man kan aus einem Zimmer in das andere gehen. Das ganze Gebäude ist gleichsam in zwei Quartiere eingerheilet, eins vor den König, und das andere vor die Königin. Wie denn auch auf beyden Seiten die Zimmer einerley seyn. Bey diesem Berge ist ein schöner Platz zusehen wo auf beyden Seiten vortreffliche Grotten gemachet seyn. In der esten funden wir einen runten Tisch von schwarzen [p. 209] Marmor, welcher in der Mitten ein Röhrgen hatte. Auf daßelbe steckte der Kunst Meister unterschiedne Instrumente, durch welche das Wasser auf unterschiedne Weise sprunge. Insonderheit gefiel uns eine Art wohl, da das Wasser eine Gestalt vorstellete, als wenn man ein Kelch Glaß von dem schönsten Christall sähe An der Wand faß eine Nymphe, welche auf der Orgel schlug, und das Haupt darzu bewegte. Mercurius aber stund bey dem Fenster auf einem Fusse, und machte ein lustiges Stückgen mit seiner Trompete. Auf der andern Seite sahe man einen Guckug, welcher auf einem Baume saß, und seine Stimme so natürlich hören ließ, als wenn er lebendig wäre. In der andern Grotte wurden wir einen Drachen gewahr, welcher aus seiner Klufft hervor kam. Er schlug mit seinen Flügeln um sich, regte den Kopf, streckte ihn hoch in die Höhe, und spiehe viel Wasser von sich Um ihn befanden sich viel Vögel, welche ihre Stimmen erhuben, und eine angenehme Mufique machten. An der andern Seite stund ein großer Trog, welcher von Muscheln und Meersteinen sehr künstlich verfertiget war. Neptunus kam auf einem Wagen hinein gefahren, welcher von zwei Meerwundern aus einer Klufft gezogen wurde. Es regte sich alles, als wenn es lebendig wäre. Wie er sich nun in dem Troge mit seinem Wagen umgewendet hatte, so fuhr er wieder in seine Klufft hinunter. Von diesem Orte giengen wir auf einen andern Platz, wo wir ebenfalls schöne Grotten antraffen. In der ersten sahen wir auch einen grossen Trog, welcher [p. 210] mit Wasser ganz angefüllet war. Wie wir hinzukamen, so war nichts darinnen zu finden. Bald aber regte sich allmehlich ein großer Drache. Er kam aus dem Wasser hervor, breitete die Flügel aus, hub den Kopf in die Höhe, und verursachte ein wunderlich Geräusche. Endlich spiehe er viel Wasser von sich, daß wir uns kaum retiriren konten. Auf der andern Seite stund ein Berg, daran sich Wind und Wasser Mühlen befanden, die ordentlicher Weise herum giengen. Dabey sahe man allerley Handwercks Leute, welche anfiengen zu arbeiten, und sich an allen Orten bewegten. An dem äussersten Ende der Grotte saß Orpheus mit seiner Leyer und um ihn stunden viel Thiere und Vögel So bald er nun anfieng zu leyern, sogleich wurde auch alles rege, und sprung um ihn herum. In allen diesen Grotten muß man sich wohl in acht nehmen, wenn man nicht will bade naß werden. Denn ehe man sichs vermuthet, so springet das Wasser aus der Erden, aus den Wänden, und auch aus der Decke. Es ist lustig anzusehen, wenn es uns nur nicht selber betrifft. Hier hielt sich der König in Engelland, Jacob der II. auf, und beweinte mit seiner Gemahlin die grosse Thorheit, welche er in Engelland begangen. Sein Vater, Carl der I. vergriff sich an dem ersten Grund Gesetze und wollte aus eigner Macht dem Volcke Contributionen aufflegen. Darüber verlohr er sein Königreich, und auch seinen Kopff darzu. Hieran hätte sich sein Sohn spiegeln sollen, und desto behutsamer regieren. Allein er griff das andere Grund [p. 211] Gesetze an, und wolte neue Gesetze machen, ohne das Parlament darum zu befragen. Hierüber büßte er seine drey Kronen ein, und muß allhier das Gnaden Brod essen. Doch was können nicht die Papistischen Rathgeber anrichten, wenn sie einen Regenten überreden wollen, daß er wider alle Grund Gesetze handeln, und seine Evangelische Unterthanen mit Gewalt zum Pabstthum zwingen dürffe. »

Fürst, Georg (von)

Récit par Elie Brackenhoffer de sa visite à Saint-Germain-en-Laye

« [p. 11] Le jeudi 13 octobre, en compagnie de M. Offmülner et de son majordome, ainsi que d’un Suisse, j’ai fait une excursion à Saint-Germain-en-Laye. Nous sommes partis en voiture à 7 heures du matin, et à 10 heures nous sommes arrivés. La journée était belle et claire, mais le vent froid. Le chemin était agréable ; nous y avons vu une grande quantité de villages et de bourgs, qui étaient un charme pour les yeux. Devant Saint-Germain, s’étend une grande île, que le grand chemin traverse, sur plus d’une lieue de long ; des deux côtés il y a des ponts à péage. Cette île, assez vaste (comme on l’a dit) est plein de cerfs, de chevreuils, de lièvres et de lapins ; comme il est interdit, sous les peines les plus sévères, de les tuer ou de leur faire du mal, ils sont si familiers, qu’ils n’ont pas peur des voyageurs ou des passants ; au contraire, ils accourent. Cette île est entourée par la Seine ; elle est pleine d’arbres et de bois, et chaque année, à [blanc, pour la Saint-Hubert], les princes et les plus grands personnages de la cour y font une grande chasse, après laquelle on donne un fin banquet en l’honneur de ce saint, patron des chasseurs. Cette année, Mons. Monbason, grand veneur de France, présenta un cerf, [p. 12] en présence des ducs d’Orléans, d’Anguien et d’autres grands personnages assemblés.
Saint-Germain est un peu sur la hauteur (il faut mettre pied à terre deux fois) ; pour ce motif, il y a une plus belle vue sur la campagne et les localités environnantes que dans toutes les autres résidences royales. Elle est à 4 milles de Paris. On la divise en vieux et nouveau château. Le vieux, bâti par Charles V, et restauré pour la première fois par François Ier, est petit, et tout en brique. Son toit est revêtu de carreaux, presque comme à la Bastille, à Paris ; on peut s’y promener et regarder très loin autour de soi. Sur les cheminées de ce château, on voit partout F.F., ce qui signifie que François Ier l’a restauré. Il est très haut ; il y a 63 appartements, mais pas particulièrement magnifiques. La chambre du roi, où il réside parfois en hiver, paraît un peu sombre ; à ce moment elle n’était pas meublée. On nous a aussi montré la salle où se joue la comédie ; au-dessous de la scène, des deux côtés, on a peint un escalier de six ou huit marches environ avec tant d’art, qu’on s’y trompe, et que nous ne pouvions pas croire qu’il fût peint, avant de nous en être approchés et de l’avoir touché de nos mains.
La cour est presque ovale ; elle est de grandeur moyenne ; à droite de l’entrée, se trouve une chapelle, qui est toute dorée, et décorée à profusion de belles peintures et d’autres ornements. L’autel est orné de colonnes de marbre noir et d’ouvrages dorés. L’orgue, également doré, est superbe et d’un grand prix. Ce château est entouré d’un fossé profond, mais sans eau. Aussi, pour entrer, on passe sur un pont, muni d’un pont-levis.
A gauche du château, il y a un beau parterre, sur lequel [p. 13] donne la chambre du roi, et qui a une belle vue. Au bout de ce parterre, commence un beau parc, un bois, long de deux lieues, dans lequel on peut voir un long jeu de mail, muni de pavillons quarrez en maçonnerie, où l’on peut se reposer ou bien où peuvent se mettre les spectateurs, sans être gênés. Devant le château, il y a une grande et large basse-court, dans laquelle sont les écuries et autres communs. De là, on accède à droite dans une très grande et belle cour, divisée en deux par une cloison, par laquelle nous parvînmes tout droit au château neuf.
Il a été bâti par Henri IV ; il est donc encore assez neuf. On y montre : 1° L’antichambre du roi. 2° Chambre où est mort Louis XIII. 3° Cabinet. 4° Galerie du roi, au haut de laquelle on voit cet emblème : Duo protegit unus, ce qui veut dire qu’il possède à lui seul deux royaumes, la France et la Navarre. Au-dessus de la porte, est représenté le château de Fontainebleau ; des deux côtés, sont très joliment peintes à la détrempe, en assez grande dimension, les villes suivantes : Huy, Venize, Prague, Namur, Mantoua, Aden en Arabie, Compaigne, Heureuse, Sion en Suisses, Moly, Tingu, Stafin en Afrique, Teracina, Ormus en Perse, Bellitry, Werderboch en Westphale, Numegen, avec cette inscription : Ville du fondement de l’empire, car Charlemagne a voulu faire de ces villes des villes impériales. Passau, Mastrich, Thessala Tempe, Florence.
5° L’antichambre de la reine. 6° Sa chambre, dans laquelle est né Louis XIV, le roi actuel. 7° Le cabinet de la reine. 8° Sa galerie, ornée de grands panneaux avec des scènes tirées d’Ovide. Ces appartements sont égaux en dimensions et en beauté ; tous en effet, sont ornés de belles dorures et de sculptures ; égaux aussi en vue, car ils ont la même exposition, étant tous dans le corps de bastiment qui donne sur le jardin. Dans les deux appartements, il y a encore [p. 14] quelques autres pièces pour les officiers et les gardes, dont la Française est d’un côté et la Suisse de l’autre.
Sous la galerie et la chambre du roi, on montre encore quelques chambres basses, ou bien plutôt écuries, dans lesquelles se trouvaient les oiseaux et les quadrupèdes suivants : un castor ; des corneilles des Pyrénées, environ de la grosseur d’un pigeon, tout entières d’un noir intense, comme du charbon ; elles ont des becs rouge sang, et des pattes sans plumes ; des outardes, ou oies sauvages ; des petits chevaliers de la mer, petits oiseaux marins ; un aigle ; un perroquet de toutes les couleurs, extraordinairement grand et beau ; un mouton du pays de More, qui est haut, et qui a un cou et des pattes longs et rudes, un museau pointu ; un mouton turc ; un bouquetin femelle ; le mâle a été détruit après la mort de Louis XIII, parce qu’il avait fait beaucoup de mal et endommagé des gens ; on montre encore ses cornes, elles sont extraordinairement grandes et admirables en cela. La femelle est loin d’avoir d’aussi grandes cornes ; elles sont cependant plus grandes, plus larges et plus incurvées que les ordinaires ; son poil est aussi d’autre couleur que les ordinaires, il est épais, gris et a un aspect bien sauge. Un mouton de la Barbarie, qui a une queue, large en haut presque comme deux mains, et qui par le bas se réduit à rien ; elle n’est pas particulièrement longue, mais elle est épaisse et grasse, et en bas elle est toute blanche et molle de graisse ; il se met à beugler quand on lui tire ou lui prend la queue.
Un chat de l’ile du Canada, autrement dit une civette ; il est beaucoup plus grand qu’un chat domestique, mais il en a presque la forme et le poil. Dans une cour, devant, il y avait beaucoup de canards et d’oies des Indes, une grande quantité de poules d’eau des Indes, quelques cygnes, des faisans et autres gallinacés.
De là, nous sommes descendus dans les jardins, [p. 15] pour voir les grottes. Il y avait à vrai dire cinq grottes naguère, savoir une grotte seiche, dans laquelle on prenait le frais en été et on se garantissait de la grande chaleur ; la grotte de Neptune ; des orgues ; de Persée ; et d’Orphée ; mais il ne reste que les deux dernières, les autres s’étant écroulées en 1643, avec de grands dommages et de grosses pertes, après avoir été bâties à grands frais. Ces grottes passaient, disent quelques-uns, pour supérieures à toutes celles de France, d’Allemagne et d’Italie, mais la plupart affirment qu’elles égalaient celles d’Italie, sans toutefois les surpasser.
Avant que nous visitions les grottes, le fontainier exigea de nous une pistole, pour faire jouer les eaux, sous ce prétexte qu’il était obligé d’y employer 50 torches ; et comme il s’obstinait dans sa prétention, il fallut bien en passer par là, car nous ne voulions pas être privés du meilleur morceau de notre excursion. Dans la grotte de Persée, il y avait, tout à l’entrée, un grand bassin, dans lequel se trouvait un grand dragon ; au-dessus de lui était juché Persée ; sur le côté il y avait une montagne, près de laquelle était sculptée Médée, le tout en cuivre. Persée presque de grandeur naturelle se précipitait de la hauteur vers le dragon, il avait en mains un bouclier et une épée, et quand il fut près du dragon, il donna quelques coups ; [p. 16] le dragon, qui était grand, horrible et épouvantable, se dressa avec un grand fracas, battit des ailes en l’air, ouvrit la gueule et grinça des dents, de si terrible manière, qu’en raison de la soudaineté, on en était presque épouvanté. Le dragon laissa retomber ses ailes, calma sa fureur, et à ce moment l’eau du bassin s’épandit plus abondante, submergeant presque le dragon ; il paraissait mort, et avoir été tué par Persée. Et alors Persée revint à sa place. C’est une belle pièce, qui mérite bien d’être vue.
Dans la même grotte, à gauche, il y a une montagne, où se trouvent quantité de forges, de papeteries et de moulins à blé en bois, qui sont tous mis en mouvement par des appareils hydrauliques. De même, quelques chapelles ou églises, dont l’eau faisait sonner les cloches. Tout cela est très gentil et très beau. Devant cette grotte, l’eau joua aussi comme si de tous les bouts et de tous les coins était tombée une pluie chassée par le vent, de sorte que tous ceux qui ne se retirèrent pas de côté furent complètement trempés.
De là, nous nous rendîmes à l’autre grotte. Dans celle-ci était assis Orphée, presque de grandeur naturelle ; il jouait du violon, remuant les mains et frottant l’archet sur le violon, mais à l’intérieur, par un habile jeu des eaux, une position était introduite qui donnait d’elle-même le ton du violon. Autour, se dressaient beaucoup d’arbres, sculptés en bois, qui remuaient et dansaient ; un rossignol était perché sur un arbre et chantait. Des deux côtés, accoururent toute sorte de bêtes sauvages qui écoutèrent Orphée, puis l’une après l’autre rentrèrent. Un coq d’Inde se tenait non loin d’Orphée, se tournait et se trémoussait, et se posait comme s’il dansait. Un singe était assis, qui portait constamment une pomme à sa gueule. Parmi tout cela, coulaient les rigoles, giclaient les tuyaux venus d’un bassin devant lequel était assis Orphée.
Après cela, dans une grande fenêtre ou trou carré, qui s’étendait loin en arrière en perspective, de toutes parts [p. 17] garnie de lumières, un jeu d’eau produisait l’effet suivant : les sept planètes, faites d’une sorte de bronze et peintes, se mirent en mouvement ; une partie, savoir le soleil, la lune et Mercure en haut, les autres par terre, et il est impossible de voir avec quoi ni comment ils sont tirés. Puis, apparaissent aussi les douze figures du Zodiaque, les quatre éléments. Item, le jeune roi s’avance aussi, avec son frère le duc d’Anjou, escortés par les Suisse. On représente encore la mer, avec ses grandes vagues, et des bateaux qui y naviguent. On représenta également l’enfer, plein de feu, et si artistiquement fait qu’on croit voir tout brûler réellement ; et on y voit des figures représentées par une tête, sur laquelle s’acharne la fureur du feu ; les yeux de cette tête sont rouge feu. Devant l’enfer, se tient Acharon, l’infernal nocher ; un autre tient Cerbère enchaîné.
Il y a aussi une représentation analogue du paradis, et beaucoup d’autres choses, qu’à cause de leur multitude je n’ai pas toutes pu retenir et décrire. Dans cette grotte, à droite, Bacchus est assis sur un tonneau ; il a une coupe en main, si pleine qu’elle déborde, et que l’eau en tombe goutte à goutte.
Il y a aussi les quatre vertus cardinales en marbre blanc ; on dit qu’elles se trouvaient naguère à la pyramide des Jésuites, qui était près du palais.
Ces deux grottes sont carrés, bien voûtés, joliment pavées de petits cailloux vernissés, pour le reste, de toutes parts ornées de coquillages et de toute sorte de colimaçons, ainsi que de cristal, de merveilleuses pétrifications, de minéraux et autres ornements. A remarquer qu’on ne voit pas de murailles ni de mortier, ni sur les côtés, ni en haut. Le pavé (formé, comme on l’a dit, de petites pierres et d’ardoises de dimensions égales) représente des roses et d’autres figures, ainsi que des coquillages et des colimaçons, [p. 18] assemblés non sans un art consommé, et formant toute sorte de dessins.
Quant aux jardins, il semble à vrai dire qu’ils ont dû être superbes et charmants, mais maintenant ils sont à l’abandon ; en effet, dans le voisinage de l’eau, on ne voyait pas trace du moindre canal ; à vrai dire, à en juger par le cuivre, il devait y en avoir cinq ou six, mais ils étaient complètement envahis par la végétation. De même, dans le verger voisin, tout était ravagé et en désordre. Il y a cinq jets d’eau, mais l’eau ne jaillissait pas de tous.
De ces jardins, l’un est plus haut que l’autre : on en a une très jolie vue sur l’île voisine, et par les temps clairs, on distingue fort bien de là Paris et beaucoup de petites villes, de bourgs et de villages. Pour la jolie vue, ces jardins surpassent de beaucoup toutes les autres résidences de plaisance royales. »

Brackenhoffer, Elie

Récit par Edward Browne de sa visite à Saint-Germain-en-Laye

« We dined at Rueil and in the afternoon we cross’d the Seine twice and came to St. Germaines. Wee entred a great Court Yard and left a Chasteau well ditchd on the left hand, and a Teniscourt on the right (this is the Kings house), wee went forward to the house, of which the front is supported with noble round pillers.
Here was no Entrance for us and we despairing to get in, by great fortune there came two Capucins, under whose conduct wee saw the house. The Hangings were taken downe, but the roomes were nobly guilt and Painted, the roofe especially. Of two Galleries the one [was] hang’d with very rarey painted pieces and the other with the Mapps of great Cities. Out of these Galleries you have the noblest Prospect hereabouts. We went out on the other side of the house and so descended by those three stately cloisters, which stand one above another, supported with vast Pillers, and made pleasant with waters workes, and makes a noble showe a great way before you come at the house. Afterwards you descend into a Garden, and so lower into a Medow, till you come at the Water side from whence the house stands a great height, and is seen all about the Coutrey. Wee lodged this night at Le Pec a little town by the river sid and [vide]. »

Browne, Edward

Récit par Eduard Kolloff de sa visite à Saint-Germain-en-Laye

« [p. 128] Die anmuthige Lage der Stadt Saint-Germain-en-Laye auf einem der vielen Hügel, welche die Ufer der Seine beherrschen, bewog zuerst Ludwig den Dicken, hier ein Schloß zu bauen. Dasselbe wurde im vierzehnten Iahrhundert von den Engländern zerstort und erstand erst unter Karl V wieder aus seiner Asche. Franz I erweiterte und verschönerte es, indem er ihm zu Ehren der Diana von Poitiers die Form eines gothischen D geben ließ. Ludwig XIV verließ diesen seinen Geburtsort aus Aberglauben und bewies gleiche Schwache, wie Katharina von Medicis, welche dasselbe Schloß aus einem andern Vorurtheile floh. Nostrodamus hatte namlich der französischen Agrippina prophezeit, daß sie in Saint-Germain sterben würde. Sie wählte darauf Paris zu ihrem Aufenthaltsorte und bewohnte das Louvre ; aber das Louvre grenzte an die Kirche Saint-Germain l'Auxerrois. Sie begab sich daher nach Blois, wo sie krank wurde und zur größten Ehre und Freude der Astrologen in den Händen des gelehrten Bischofs von Noyon starb, welcher Saint-Germain hieß.
Heinrich IV hat in Saint-Germain unermeßliche Summen verschwendet. Er fügte zu dem alten Schlosse noch ein neues hinzu, welches die Residenz der schönen Gabriele von Estrées wurdeWenn [p. 129] man sich damals über die an das Schloß stoßende Terrasse lehnte, erblickte man Kaskaden, Grotten, hängende Gärten u. s. w. Der König hatte den berühmten Mechaniker Francini aus Florenz kommen lassen, um in Saint-Germain die Wunder seiner Kunst zu zeigen. Dieser schuf daselbst die Grotten des Perseus und Orpheus, zwei Meisterwerke der mechanischen Bildnerei ; auf der einen Seite sah man den Perseus in voller Rüstung, wie er der an den Felsen gebundenen Andromeda zur Hülfe eilt, und emen ungeheuren Drachen, welcker wüthend aus einem Gartenteiche hervorschießt, besiegt und wiederum in den Abgrund zurückjagt ; gegenüber war Orpheus in natürlicher Größe abgebildet, auf einem Felsen sitzend und fromme Kirchenarien auf seiner Leier spielend, zur großen Rührung der ihn umgebenden Felsblöcke, welche Strome von Thronen vergießen, und aller Thiere der Schöpfung, welche vom Elephanten bis zur Blattmilbe, aus ihren Schlupfwinkeln herbeieilen, um den Tonen der Musik zu lauschen. Diese ganze künstliche Welt lebte, regte und bewegte sich aufs wunderbarste ; zum großen Verluste für die Kunst ist sie leider im I. 1649 untergegangen.
Unter den Nachkommen Heinrich IV wurde das Schloß von Saint-Germain ein Asyl für Iakob II und die Seinigen ; gegenwärtig ist es in eine militärische Strafanstalt verwandelt.
[p. 130] Die Stadt ist unbedeutend ; viele kleine Rentiers haben sich aus dem Lärm der Hauptstadt nach Saint-Germain zurückgezogen, obschon mehrere daselbst befindliche Reiterkasernen und das Garnisonsleben die angenehmen Spaziergänge und die ländliche Zufriedenheit und die gesunde Luft vielfach verbittern. Die Eisenbahn hat reges Leben in die Stadt gebracht ; bereits sind die Preise der Häuser und Wohnungen bedeutend gestiegen. Von der berühmten Terrasse hat man wirklich eine herrliche Aussicht auf das Thal der Seine, deren Lauf man von hier aus weithin verfolgen kann. Von Paris sieht man außer dem Triumphbogen wenig ; wohl aber die nordwärts gelegenen Anhöhen. Der Wald, welcher die Terrasse auf der Südseite beschattet, bietet äußerst liebliche Spaziergänge. Das alte weitläuftige Schloß mit vielen für den Architekten wichtigen Details ist für gewöhnliche Besucher unzugänglich geworden.
Das sogenannte Logenfest, ein Iahrmarkt, welcher alle Herbst gehalten wird, zieht jedesmal eine unermeßliche Menschenmenge nach Saint-Germain. »

Kolloff, Eduard

Récit par Dubois, valet de chambre du roi, de la mort de Louis XIII à Saint-Germain-en-Laye

« [p. 523] Le samedi vingt unieme de fevrier 1643, le Roi est tombé malade d’une longue et mortelle maladie, qui paroissoit comme flux hépatique (les autres la nommerent fievre etique), laquelle ensuite causa des abscès dans le corps et pourtant donnoit toujours quelque esperance de guerison. Et pour marque de cela, le premier jour d’avril que nous commençames le quartier, le Roi se leva et fut quasi tout le jour hors du lit, et travailla fort longtemps à peindre certains grotesques, à quoi il se divertissoit ordinairement.
Le 2 avril, il se leva encore comme les autres jours et se divertit à l’ordinaire.
Le 3, il se leva et voulut faire un tour de gallerie. J’avois l’honneur de lui porter sa chaise pour se reposer ; il la demandoit souvent et ne faisoit pas vingt pas qu’il ne la lui fallut donner, quoique messieurs de Souvré et de Charost, l’un premier gentilhomme de la chambre en année, le second capitaine des gardes de quartier, l’aidassent en le soutenant par-dessous les bras. Ce fut la derniere promenade que fit Sa Majesté. Apres, Elle se leva de fois à autre mais ne s’habilla plus et alla toujours souffrant et s’affoiblissant jusqu’au dimanche 19 avril, qu’il dit avoir tres mal passé la nuit, et sur les huit heures du matin il dit ces memes paroles : « Je me sens bien et vois mes forces qui commencent à diminuer ; j’ai demandé à Dieu cette nuit que, si c’etoit sa volonté de disposer de moi, je suppliois sa divine majesté d’abreger la longueur de ma maladie ». Et alors, s’adressant à M. Bouvard, son premier medecin, il lui dit : « Vous savez qu’il y a longtemps que j’ai mauvaise opinion de cette maladie ci et que je vous ai prié et meme pressé de m’en dire votre sentiment ». Ce que M. Bouvard avoua, disant : « Il est vrai, Sire ». Le Roi reprit la parole et dit : « Je vois bien qu’il faut mourir, je m’en suis aperçu dès ce matin, puisque j’ai demandé à M. de Meaux (qui etoit son premier aumonier) et à mon confesseur les sacremens qu’ils m’ont differés jusqu’à présent » ; et continua son discours par les plus beaux termes du monde, qui faisoient voir qu’il étoit fort preparé à mourir. Ces paroles furent si essentielles qu’elles nous tirerent des larmes en abondance. Mais l’après dinée, sur les deux heures, il nous confirma bien plus fortement dans la croyance qu’il en avoit. S’etant levé et mis dans sa grande chaise à la romaine, où l’on se peut coucher tout de son long, ou bien souvent il se reposoit et faisoit de longs sommeils, particulierement les soirs, et dans laquelle il se soulageoit un peu de la lassitude son lit, étant donc assis dedans, la tete haute, il nous commanda d’ouvrir les fenetres afin qu’il vit, nous dit il, sa derniere demeure. Ce fut une pensée qui nous troubla et nous toucha vivement, puisqu’etant logé au chateau neuf de Saint Germain en Laye, il avoit fait sa [p. 524] chambre du cabinet de la Reine, duquel on a la plus belle vue du monde, particulierement celle de Saint Denis qui se decouvre fort à plein, et c’etoit la demeure qu’il entendoit et nous aussi.
Tous les soirs, il se faisoit lire la vie des saints ou quelques autres livres de devotion par M. Lucas, secretaire du cabinet, et quelquefois par M. Chicot, son medecin.
Le soir du meme jour, il demanda au sieur Lucas de prendre un petit livre du Nouveau Testament et de lire en Saint Jean, chap. 17 : Pater meus, clarifica me, chapitre qu’il lui remarqua positivement, qui sont les meditations de la mort que fit Jesus Christ avant de passer le torrent de Cedron, et la priere qu’il fit à Dieu, son père, sur le meme sujet, qui est ravissante.
Le Roi, ayant fait un assez long sommeil dans sa chaise et n’ayant plus envie de dormir, fit lire dans l’Introduction à la vie devote, par le bienheureux François de Salles. Ayant commandé au sieur Lucas de lire les chapitres de la meditation de la mort, Sa Majesté voyant que ledit sieur Lucas ne les trouvoit pas assez tot, prit le livre, à l’ouverture duquel il trouva les meditations qu’il cherchoit, et lui dit : « Lisez cela » ; ce qui fut fait jusqu’à minuit, apres quoi le Roi nous commanda de nous retirer.
Le lundi vingtieme, il fit la plus haute action qui se pouvoit faire en semblable occasion. Il declara la Reine regente apres sa mort. Il fit cette action avec un visage gai et satisfait, en presence de la Reine, de M. le duc d’Orleans, de M. le Prince et de tout ce qu’il y avoit de Grands à la Cour. MM. les ministres d’Etat y etoient presens. Le Roi nous ordonna d’ouvrir les rideaux de son lit et, apres avoir entretenu la Reine, monsieur son frere et M. le Prince, il haussa le ton de sa voix et fit un tres beau discours à toute l’assemblée, puis il commanda à M. de La Vrilliere, secretaire d’Etat, qui etoit lors en mois, de lire tout haut la regence de la Reine, afin que tout le monde scut sa derniere volonté.
M. de La Vrilliere, touché d’une semblable action, qui donnoit une marque evidente de la mort prochaine du Roi, fit cette lecture au pied du lit de Sa Majesté. Les larmes qui couloient de ses yeux en abondance etoient des preuves authentiques de sa douleur. La Reine etoit au pied du lit du Roi, assise dans une chaise que j’avois eu l’honneur de lui presenter ; elle fondoit aussi en larmes. Tout le monde pleuroit aussi. Apres la lecture faite, le Roi s’adressa à la Reine, à monsieur son frere et à M. le Prince, et ensuite à MM du parlement, qui etoient aussi presents, auxquels il dit des choses si touchantes qu’ils ne pouvoient tous se consoler. Le Roi, qui paroissoit ce jour là avec un visage vermeil, content et sans inquietude, marquoit bien qu’il n’avoit nulle apprehension de la mort. Tout le monde voyoit le plus grand roi de la terre, chargé de conquetes et de victoires, quitter son sceptre et sa couronne avec aussi peu de regret que s’il n’eut laissé qu’une botte de foin pourri. Il sembloit que Dieu lui eut donné plus de force ce jour là que les precedens, pour donner lieu de faire voir en lui une plus grande et plus genereuse action que toutes celles qu’il avoit jamais faites.
Tout le monde se retira en pleurs. Apres, le Roi fut assez longtemps avec M. de Meaux et son pere confesseur. Le soir, il se fit lire la Vie des saints.
Le mardi 21, le Roi dit qu’il avoit bien mal passé la nuit et qu’il se trouvoit foible des grandes evacuations qu’il avoit faites et faisoit encore. Apres une où je me trouvai seul aupres du chevet de son lit, luy ayant presenté son linge pour se nettoyer, et lui soutenant un peu haut son drap et sa couverture, il se regardoit le corps. Apres se l’etre consideré un espace de temps, il dit, levant les yeux au ciel : « Mon Dieu, que je suis maigre ! » comme, en effet, on ne pouvoit pas l’etre davantage. Il n’avoit plus que les os et la peau. On lui voyoit les cuisses et les jambes si menues du haut en bas qu’il n’y avoit que les genoux qui faisoient remarquer un peu de grosseur en cet endroit ; le reste sembloit un squelette.
Le reste de ce jour fut employé comme les autres à prier Dieu, ce que faisoit continuellement Sa Majesté avec des elevations d’esprit très grandes ; et on lui voyoit presque toujours les yeux ouverts au ciel comme s’il eût parlé à Dieu, cœur à cœur. Aux heures accoutumées de ses prieres, nous lui portions au chevet de son lit un petit pupitre d’ebene, où il mettoit son livre de service divin, que lui meme avoit composé, intitulé : Parva christianae pietatis officia per christianum regem Ludovicum XIII ordinata. Le Roi savoit presque tous les offices par cœur. Tous ceux de chaque jour de la semaine etaient dans ce livre ainsi que ceux de toutes les fetes de l’année, beaucoup d’autres de devotion et particulierement de votifs pour demander à Dieu la grace de bien mourir, que [p. 525] Sa Majesté avoit faits pour elle particulierement, et qu’Elle recitoit sans y manquer tous les lundi ; et toutes ses prieres reglées ne l’empechoient pas d’agir à son conseil, quasi le tiers du jour, avec MM. les ministres, avec lesquels il agissoit comme s’il se fut bien porté, et aussi etoit il très sain de l’esprit.
Ce meme jour, monsieur le Dauphin fut baptisé sur les cinq heures du soir dans la chapelle du vieux chateau de Saint Germain, et son parrain fut monseigneur le cardinal de Mazarin et sa marraine fut madame la Princesse, et fut nommé Louis, le tout en presence de la Reine et sans ceremonie, à cause de la maladie du Roi. Je voulus voir cette action là, et, de retour l’un des premiers aupres de Sa Majesté, Elle me demanda ce qui s’y etoit passé, ce que j’eus l’honneur de lui raconter. Le Roi, apres avoir entendu le recit que je lui en ai fait, en loua Dieu ; il hausse les yeux au ciel et fut assez longtemps en cette action. La Reine, monsieur le cardinal et toute la Cour y arriverent un peu de temps apres, qui entretinrent le Roi de la sagesse de monsieur le Dauphin et de tout le reste.
Le mercredi 22, il se trouva fort mal, il avoit mal passé la nuit. Messieurs les medecins trouverent à propos qu’il communiat. L’on en avertit la Reine, afin qu’elle y vint, et qu’il falloit aussi qu’elle amenat messeigneurs ses enfans, pour recevoir la benediction du Roi.
Tout le monde se desesperoit : M. de Souvré me commanda d’aller attendre la Reine à la porte de la salle des gardes, afin de lui donner avis qu’elle entrat par le cabinet. Ce jour là, il faisoit grand froid et un temps fort rude. La Reine vint : je m’adressai à madame de La Flotte et lui dis le commandement que j’avois eu de monsieur de Souvré. Elle voulut bien le dire à la Reine, qui dit aussitôt : « Je l’ai bien entendu ». La foule du monde etoit si prodigieuse qu’elle causoit une grande confusion. Les seigneurs qui etoient là prirent l’un monsieur le Dauphin, l’autre monsieur d’Anjou, et se pousserent dans la presse, de sorte que la Reine demeura seule en son carrosse avec madame de La Flotte. Sa Majesté crioit : « N’y a t il là personne qui m’aide, me laissera t on seule ? » Moi, qui n’etois pas assez osé pour lui presenter la main, je m’avançai dans la presse et fis en sorte de lui amener M. le duc d’Uzes, son chevalier d’honneur, qui la conduisit par le cabinet. Arrivant dans la chambre du Roi, elle va droit au chevet de son lit et se jetta à genoux, fondant en larmes. Elle fut longtemps dans le particulier, où le Roi faisoit voir qu’il lui parloit avec affection.
Madame la duchesse de Vendome avoit entre ses bras monsieur d’Anjou, qui crioit desesperement à cause qu’il n’avoit pas une de ses femmes avec lui, elle n’avoit pu entrer à cause de la quantité du monde. Elle me le donna pour l’oter de là et m’en aider comme je pourrois ; tellement que je le portai dans le cabinet du Roi, l’assis sur la table et lui fis croire que le Roi avoit un petit cheval d’or et de diamans, et qu’il le vouloit donner à l’un des deux qui seroit le plus sage, tellement que, grace à Dieu, je l’appaisai fort bien et le remis quelque temps apres entre les mains de madame de Folaine, sa gouvernante.
Dans ce temps là, la conference de Leurs Majestés finit et la ceremonie s’acheva, et la Reine presenta au Roi ses deux enfans à genoux, et elle aussi, lesquels reçurent la benediction de Sa Majesté. Et apres ces choses faites, tout le monde se retira de là un peu de temps. Le Roi demanda à M. Bouvard si c’etoit pour la nuit ensuivante ; sa reponse fut que ce n’etoit pas sa croyance, s’il n’arrivoit quelque accident.
Sur le soir, messieurs les marechaux de La Force et de Chatillon vinrent voir Sa Majesté, qui les exhorta avec amour de quitter leur religion. Que veritablement, selon le monde, ils etoient de fort braves gens, mais, selon Dieu, qu’il n’en etoit pas de meme, et qu’il n’y avoit pas deux voies pour aller au ciel, que hors de l’eglise catholique, apostolique et romaine il n’y avoit point de salut, et les convia, par de fort beaux termes, d’y penser. Ce meme jour, il reçut madame d’Elbeuf et mademoiselle sa fille.
Le jeudi 23, il reçut l’extreme onction et repondit à tous les pesaumes et les litanies ; et lorsqu’il lui fallut toucher les saintes huiles, je me trouvai avec Laplanche, un de mes compagnons, les plus pres du pied de son lit, ce [p. 526] fut à moi lui decouvrir les pieds. je ne fus jamais si pressé de douleur que de voir mon maitre en cet etat là, et qu’il fallut lui rendre un semblable service. A la fin de la ceremonie, monsieur de Vantadour, chanoine de Notre Dame, s’approcha du Roi et lui parla assez longtemps et en sortit avec larmes, ce qui obligea le Roi à dire : « Je ne trouve pas mauvais que vous pleuriez, c’est une marque que vous m’aimez, mais cela me donne de la tendresse, car Dieu scait si je ne suis pas ravi d’aller à lui ». Continuant de parler de Dieu, il avoit toujours grand monde qui l’etouffoit. Desirant voir par les fenetres de sa chambre, il fit, en faisant signe que l’on se rangeat : « Hé, Messieurs, donnez moi la vie ». En meme temps tous ceux qui n’avoient que faire sortirent.
Le vendredi 24, il ne voulut pas prendre une prise de rhubarde, qu’il refusa aux prieres de Monsieur, son frere, de monsieur le Prince et à celles de messieurs les ministres, ce qui faisoit desesperer tout le monde de sa santé. Neanmoins, il se porta si bien l’apres dinée qu’il commanda à M. de Niert, premier valet de garde robe, d’aller prendre son luth, et il chanta des louanges à Dieu, comme Lauda anima mea Dominum, et fit aussi chanter Savi, Martin, Campfort et Fordonant, qui chanterent en partie des airs que le Roi avoit faits sur les paraphrases de David par monsieur Godeau, et ne fut chanté que des airs de devotion, et meme le Roi chanta quelques unes des basses avec monsieur le marechal de Schomberg, ce qui nous causa de tres grandes joies, mais non pas de durée.
La Reine, qui avait de coutume de venir tous les jours à pareille heure, fut fort surprise de joie d’entendre cette musique, et ravie de voir le Roi mieux. Le reste du jour se passa de meme. Et sur ce que le monde disoit au Roi qu’il etoit gueri, il dit tout haut : « Que si c’etoit la volonté de Dieu qu’il revint au monde, il lui plut lui faire la grace de donner la paix à toute l’Europe ».
Le samedi 25, les forces sembloient bien augmenter. Le Roi passa bien le jour, toujours dans les prieres comme à l’accoutumée.
Le dimanche 26, il se porta bien. L’apres dinée, il me demanda ceux qui etoient dans l’antichambre. Lui ayant nommé monsieur de Guitaud, il commanda qu’on le fit entrer, et fut assez longtemps dans la ruelle de son lit à l’entretenir.
Le lundi 27, il reçut monsieur de Beringhen, premier valet de chambre, qui revenoit des occasions de Hollande, où il s’etoit signalé par ses belles actions.
Le mardi 28, il ne se passa pas bien la nuit et fut mal.
Le mercredi 29, il se porta mieux, et ce meme jour il reçut madame de Guise et messieurs ses enfans.
Le jeudi 30, il fut assez bien et passa assez bien la journée.
Le vendredi, premier jour de mai, il se trouva mal pour n’avoir pas bien passé la nuit.
Le samedi 2, il ne se trouva pas mieux, et ce meme jour il reçut monsieur de Bellegarde.
Le dimanche 3, il se trouva mal.
Le lundi 4, il reçut monsieur Le Tellier, secretaire d’Etat ayant la commission de la Guerre, à la place de monsieur Desnoyers.
Le mardi 5 et le mercredi 6, mauvais.
Le jeudi 7, il se trouva fort mal, et dit à monsieur Chicot, l’un de ses medecins : Quand me donnera t on les bonnes nouvelles qu’il faille partir pour aller à Dieu ?
Ce meme jour, la Reine fit dresser une chambre au chateau neuf, fut fort tard dans la chambre du Roi, et y envoyoit à tout moment de la nuit.
Le vendredi 8, il fut tres mal et eut beaucoup de peine à prendre des alimens, et pria qu’on le laissat mourit en patience. J’avois accoutumé de demeurer tous les jours dans la chambre de Sa Majesté, jusqu’à ce que monsieur de Souvré, qui y couchoit, me commandat de me retirer. Mais ce soir, le Roi, voyant que messieurs d’Archambault, Forest et Bontems, premiers valets de chambre, etoient sur les dents, Sa Majesté commanda que Desnoyers, barbier, et moi, demeurassions au coucher pour soulager les susdits nommés jusqu’à la mort de notre tres cher maitre. Et le meme soir, le Roi vomit des eaux, où j’eus l’honneur de lui tenir la tete.
Le samedi 9, il fut tres mal tout le jour. Le soir, sur les neuf heures, il lui prit un grand assoupissement. Messieurs les medecins n’en etoient pas bien satisfaits. Ils firent beaucoup [f. 527] de bruit pour l’eveiller. Ils lui tatoient le pouls et ne l’eveilloient point. Ils jugerent enfin qu’il etoit à propos de l’eveiller et en donnerent la commission au pere Dinet, confesseur de Sa Majesté, qui s’approcha d’Elle, lui cria assez haut par trois fois : « Sire, Votre Majesté m’entend Elle bien ? Qu’Elle se reveille, s’il lui plait, il y a si longtemps qu’Elle n’a pris d’alimens que l’on a peur que ce grand sommeil ne l’affoiblisse trop ». Le Roi se reveilla et lui dit d’un esprit present : « Je vous entends fort bien, mon pere, et ne trouve point mauvais ce que vous faites, mais bien ceux qui vous le font faire. Ils scavent que je ne repose point les nuits, et à present que j’ai un peu de repos, ils me reveillent ». Et s’adressant à son premier medecin, il lui dit beaucoup de choses que je laisse au bout de la plume. Et apres lui avoir parlé si aigrement, il changea de discours et dit : « Est-ce que vous voulez voir si j’apprehende la mort ? ne le croyez pas, s’il faut partir à cette heure, je suis prêt ». « Mon pere, dit il à son confesseur, est ce qu’il faut aller ? Allons, confessez moi et recommandez mon ame si les choses pressent ». Ce que l’on lui assura que non, mais que la grande delibilité de sa personne et le besoin qu’il avoit de prendre des alimens avoient fait qu’on l’avoit eveillé. Et toute cette nuit fut tres mauvaise.
Le dimanche 10, le Roi fut tres mal. Et lorsqu’on le voulut presser des alimens, qui etoit une gelée fondue dans un certain verre qui avoit un grand bec courbé, de façon qu’il pouvoit prendre de la nourriture sans qu’il fallut lui lever la tete, tout le monde le pressoit d’en prendre pour prolonger sa vie et pour esperer toujours quelque soulagement. Et il leur disoit : « Hé ! obligez moi de me laisser mourir en patience ».
L’apres dinée, sur les quatre heures, monsieur le Dauphin vint voir le Roy. Les rideaux du lit etoient ouverts, et le Roi dormoit, mais avec la bouche ouverte et les yeux tournés ; ce qui donnoit des marques de sa mort prochaine. Je m’approchai de monsieur le Dauphin, aupres duquel j’etois lors assez bien pour m’etre attaché aupres de sa personne dans une maladie qu’il eut, où je passai plusieurs nuits entieres à le chanter et à la bercer avec sa remueuse. Monsieur le comte de Vivonne etoit lors aupres de lui. Je leur dis à tous deux : « Considerez, je vous prie, le Roi qui dort, comme il est et de quelle façon, afin qu’il vous en souvienne lorsque vous serez grands ». Ce que firent ces deux enfans avec attention. De là, un peu de temps apres, j’entrai dans la galerie où etoit monsieur le Dauphin, lequel, apres s’etre joué, s’etoit assis sur une paillasse aupres de madame de Lanzacq, sa gouvernante, et monsieur de Vivonne aupres de lui. Je leur demandai à tous deux : « Avez vous bien remarqué de quelle sorte le Roi dort, afin qu’il vous en souvienne ? » Ils repondirent qu’oui, qu’ils avoient bien remarqué et qu’il tenoit la bouche et les yeux ouverts et tout tournés, particulierement le gauche, et qu’ils s’en souviendroient bien.
Dupont, huissier de la chambre de Sa Majesté, qui etoit de garde aupres de monsieur le Dauphin, prit la parole et dit : « Monsieur, voudriez vous bien etre roi ? » Monsieur le Dauphin repondit : « Non ». Dupont reprit : « Et si votre papa mouroit ? » Monsieur le Dauphin dit de son propre mouvement, la larme à l’œil, ce que j’ai jugé très remarquable : « Si mon papa mouroit, je me jetterois dans le fossé ». Ce qui nous surprit tous, voyant qu’il ne pouvoit exprimer sa douleur par d’autres termes. Madame de Lanzacq prit la parole, et dit : « Ne lui en parlons plus, il a déjà dit cela deux fois ; si ce malheur nous arrivoit, il y faudroit prendre garde bien exactement, quoiqu’il ne sort jamais qu’on ne le tienne par les cordons ».
Sur les six heures du soir, le Roi, sommeillant, s’eveille en sursaut, s’adresse à monsieur le Prince, qui etoit lors dans la ruelle, et lui dit : « Je revois que votre fils, le duc d’Anguien, etoit venu aux mains avec les ennemis, que le combat etoit fort rude et opiniatre, et que la victoire a longtemps balancé, mais qu’apres un rude combat elle est demeurée aux notres, qui sont restés maitres de la bataille ».
C’est la prophetie du gain de la bataille de Rocroy, qui se fit dans le meme temps, ayant entendu ces paroles de la bouche du Roi.
Sur les dix heures du soir, le Roi etoit assoupi. Les medecins le trouverent froid et quelques uns d’entre eux crurent que c’etoit le froid de la mort, ce qui donna frayeur à tout le monde. La Reine, qui etoit toujours aupres du Roi, se trouva fort etonnée de cet accident, et vouloit passer la nuit dans la chambre de Sa Majesté, sans que monsieur de Souvré, par [p. 528] ses prieres, l’obligea d’en sortir à deux heures apres minuit. Il la reconduisit dans sa chambre, et j’eus l’honneur de l’eclairer. Sa chambre etoit fort proche, il n’y avoit que l’antichambre à passer. De là, quelque temps apres, la Reine envoya mademoiselle Filandre, sa premiere fille de chambre, pour sçavoir des nouvelles du Roi. Elle marchoit fort bellement, de peur d’eveiller Sa Majesté, qu’elle croyoit endormie. J’etois lors seul dans la ruelle et proche du Roi, qui ne dormoit pas. Je me donnai l’honneur de lui dire : « Sire, il me semble que la Reine soit en peine de la santé de Votre Majesté : voila mademoiselle Filandre ». Le Roi dit : « Faites la venir ». Il lui parla, et elle fut rendre reponse à la Reine.
Sur les trois à quatre heures apres minuit, il se plaignit d’une douleur de coté gauche. Elle etoit si violente qu’il dit : « Si j’avois ma toux ordinaire avec cette douleur, je mourrois tout presentement, n’ayant pas la force de supporter les deux ; mais c’est Dieu qui ne le veut pas ». Il etoit sujet à une certaine toux seche qui le tourmentoit beaucoup.
Nous fimes chauffer du lait et le mimes dans des vessies de porc, et le posions sur sa douleur. Apres, il dit que cette douleur s’elargissoit, et continuoit de s’en plaindre. Il lui prit ensuite un vomissement, où j’eus l’honneur de lui tenir la tete, comme m’etant trouvé le plus pres de sa personne. Je courois à la partie la plus pressée. Le reste du jour fut tres difficile et tres mauvais. Le Roi, neanmoins, prioit toujours Dieu et travailloit avec ses ministres. Il fit longtemps ecrire sous lui monsieur de Chavigny.
Le lundi 11, il fut desesperé de tous les hommes. Il sentoit de grandes douleurs et ne pouvoit rien prendre. Il passa ainsi le jour, chacun pleuroit et se plaignoit les uns aux autres. Enfin, il prit son orge mondée, qui pourtant ne lui ota pas la toux. De là, à deux heures, il prit son petit lait qui la lui ota et le fit un peu dormir. Mais bientot apres ses douleurs de ventre lui redoublerent, et nous lui appliquames des vessies de porc avec le lait. Tout ce jour fut tres mauvais.
Le mardi 12 fut tres mauvais, et on croyoit qu’il ne passeroit pas la nuit. Ceux qui etoient aupres de lui le prierent instamment de vouloir prendre des alimens, entre autres le sieur Bontemps se mit à genoux, les larmes aux yeux, pria Sa Majesté instamment de prendre un bouillon. Il le refusa, et leur dit : « Mes amis, c’en est fait, il faut mourir ! » et se tourna la vue de l’autre coté. Sur les sept heures du soir, l’on lui apporta le saint viatique, croyant qu’il devoit mourir. Je l’observai dans cette action, comme j’avois fait ci devant plusieurs fois. Je voyois de grosses larmes qui lui tomboient des yeux, avec des elevations d’esprit continuelles, qui faisoient connoitre evidemment un commerce d’amour entre Leurs Majestés divine et humaine.
La Reine demeura dans la chambre du Roi jusqu’à trois heures apres minuit, et monsieur le duc de Beaufort y passa la nuit tout entiere sur la paillasse, aupres de monsieur de Souvré.
Le mercredi 13 fut mauvais. Le Roi ne pouvoit prendre d’alimens. Tout le jour se passa dans les meditations et pensées de la mort. Il se faisoit entretenir, il y avoit dejà quelques jours, par messieurs les eveques de Meaux et de Lisieux, et par les peres de Vantadour, Dinet et Vincent, qui l’assisterent jusqu’à la mort. Quelques fois il leur disoit : « Faites moi un discours du mepris du monde », d’autres fis « des merveilles de Dieu », et d’autres « du purgatoire ». Il me souvient que le pere Dinet lui disoit, à propos des longues malades : « Que Dieu nous les envoye pour nous faire eviter les peines du purgatoire, et que Sa Majesté pouvoit esperer la meme grace ». Le Roi lui repondit : « Mon pere, je n’ai pas une semblable pensée ; au contraire, si Dieu ne me laissoit que cent ans dans le purgatoire, je croirois qu’il me feroit une grande grace ». La Reine ne bougea du chevet de son lit, et elle ne s’en eloignoit que lorsqu’il falloit changer de bassin au Roi, qui en gardoit toujours sous lui. Nous lui avions fait un trou au premier des matelas, de la grandeur d’un bassin, avec un bourlet fort large, de sorte que cela ne l’incommodoit point. Il y avoit dans les selles force pus de lait qu’il avoit dans le corps, et tout faisoit une puanteur si horrible que cela faisoit quasi mal au cœur. Et ce qui m’etonnoit le plus, c’est que la Reine ne bougeoit du chevet de son lit, duquel il sortoit des exhalaisons tres mauvaises. Mais sa vertu etoit si grande, ainsi que l’affection qu’elle avoit pour le Roi, qu’elle n’en temoignoit rien du tout, quoiqu’elle soit une des plus propres personnes qui ait jamais eté au monde. Le Roi, qui etoit aussi fort propre, lui disoit fort souvent : « Madame, n’approchez pas si pres [p. 529] de moi, il sent trop mauvais dans mon lit ».
Je me servis de l’occasion de presenter à la Reine une petite fiole de menteca, pleine d’essence de jasmin, que j’avois encore gardée des liberalités que m’avoit faites Madame Royale, ma bonne maitresse, lorsque j’etois à Turin la derniere fois, et la Reine, apres s’en etre servie, dit tout haut « qu’elle n’avoit jamais rien senti de si bon », et il fallut qu’elle scut d’où venoit cette precieuse liqueur.
Le soir, le Roi fit lire la vie de Jesus Christ, mise en françois par le père Bernardin de Montreuse, de la compagnie de Jesus, et il ne tarda guere à etre assoupi. Il revoit dans son sommeil, et parloit dans ses reveries par des mots interrompus, dont j’entendis quelques uns, entre autres de M. de Souvré, et souvent de ses medecins. Il avoit tout à fait dans l’esprit qu’il avoit dit quelque chose à monsieur Vautier, l’un d’eux, et apres ses reveries et son sommeil passé, il me demanda où il etoit. Je lui dis : « Sire, il n’ose se montrer : il a peut que Votre Majesté ne soit en colere contre lui ». Alors le Roi dit : « Faites le moi venir ». Sitot qu’il le vit, il lui tendit la main et lui parla. Il avoit peur de l’avoir faché. Comme sa maladie etoit longue, il disoit quelquefois quelque chose qui fachoit ; mais un quart d’heure apres il vous faisoit revenir, vous faisant voir qu’il n’avoit pas eu dessein de vous choquer, et vous disoit quelques paroles obligeantes.
Comme il etoit inquiet de l’affliction de la Reine, il demanda au sieur Bontemps qui est ce qui etoit aupres d’elle. Il lui dit que c’etoit madame de Vendome. « Je l’ai cru aussi, dit le Roi, elle lit un livre de la Passion ; dites à monsieur de Souvré qu’il vous donne le mien de la Resurrection et de l’Ascension qui est demain, et portez le lui de ma part ».
Sur les deux heures apres minuit, il retomba dans son assoupissement et dans ses reveries. Il avoit sous lui force oreillers, dont il y en avoit qui etoient pleins de paille d’avoine, pour etre plus frais, et cela lui tenoit la tete haute et les reins. Il se mit par trois fois sur le coté gauche, la tete et les epaules tout à fait fors de ses oreillers, et la pesanteur de son corps et sa foiblesse l’eveilloient, de sorte qu’il me commandoit de lui aider. Nous avions eloigné son lit de la muraille, en façon qu’on pouvoit tourner autour. Je me mettois derriere son chevet, je le prenois par dessous les bras et le relevois doucement sur les oreillers, ce que je fis cette nuit là deux fois. La troisieme, il tendit le bras droit à l’un de ses medecins, nommé Courat, et lui dit : « Tirez à vous », et depuis il ne s’en ota plus. Il demanda vingt fois quelle heure il etoit et s’il feroit bientôt jour. Enfin, je lui dis que le point du jour commençoit à paraitre. Il me commanda d’ouvrir ses rideaux et ses fenetres. Comme le jour s’augmenta, on vit que sa vue paroissoit egarée, ce qui fit croire qu’il ne vivroit plus guere. Il commanda de presser la masse, à laquelle il se trouva fort peu de monde. Apres la messe, il se fit lire la passion de Jesus Christ par son confesseur, mais il ne le laissa pas lire longtemps ; il lui dit : « Mon pere, quittez cette lecture là, donnez la à un autre, et allez manger pendant que vous avez le temps, vous aurez assez d’autres affaires ».
Le Roi fut pressé par ceux qui etoient aupres de lui pour l’obliger à prendre son petit lait dans un verre fait expres. Il voulut pourtant qu’on le soulevat un peu de dessus ses oreillers, ce que nous fimes Desnoyers et moi ; et comme il fut un peu contraint, il perdit l’haleine et pensa rendre l’esprit entre nos bras. Nous en etant apperçus, nous le remimes en diligence et en douceur sur ses oreillers. Il y fut longtemps sans pouvoir parler, et puis il fit : « S’ils ne m’eussent bientôt remis, je rendois l’esprit ». Et alors il appela ses medecins et leur demanda s’ils croyoient qu’il put encore aller jusqu’au lendemain, disant que le vendredi lui avoit toujours eté heureux, qu’il avoit ce jour là entrepris des attaques qu’il avoit emportées, qu’il avoit meme ce jour là gagné des batailles, que ç’avoit eté son jour heureux, et qu’il avoit toujours cru mourir ce meme jour là.
Les medecins, apres l’avoir fort consideré et touché, lui dirent qu’ils n’etoient pas assurés qu’il put aller jusqu’au lendemain, en ce que son redoublement avoit coutume de venir sur les deux heures apres midi, et que s’il etoit grand, il l’emporteroit, et qu’il n’avoit pas assez de force pour y resister.
Alors le Roi leva les yeux au ciel et pria longtemps Dieu avec ferveur. Puis il dit tout haut : « Dieu soit loué », et reprit avec vigueur : « Mon Dieu, votre volonté soit faite », et appela monsieur de Meaux, et lui dit : « Il est temps de faire mes adieux », et commença par la Reine, qu’il embrassa tendrement, et à qui il dit beaucoup de choses que personne n’entendit qu’elle. En parlant, ils s’entremouilloient leurs visages de leurs larmes, et la Reine pensa suffoquer tant elle etoit penetrée de douleur et de deplaisir. Il continua ses adieux à monsieur [p. 530] le Dauphin, à monsieur le duc d’Anjou, à Monsieur, son frere, à monsieur le Prince et à plusieurs autres qui etoient dans sa chambre. Et apres il demanda à faire de l’eau : il ne pouvoit plus se servir de ses mains, la chaleur commençoit à se retirer, tellement que j’eus l’honneur de le servir et de lui en faire faire dans un certain verre fait expres, qui est un peu gros et comme une bouteille platte par en bas, et un col un peu gros et large courbé, de sorte que l’on peut faire de l’eau sans se hausser ni remuer. Ce fut le Roi lui meme qui s’avisa de cette commodité, et de celle des biguiers avec lesquels il prenoit de la nourriture.
Un peu de temps apres, il voulut dire adieu à monsieur de Souvré et à ses premiers valets de chambre ci dessus nommés, et à Desnoyers, et me fit aussi l’honneur de me donner sa main, que je mouillai de larmes. Il me fit la garde de me serrer la main pour dernier marque de sa bonne volonté, ce qui me toucha tellement que, me voulant lever pour faire placer à mes autres camarades qui esperoient la meme grace, je tombai sur les mains quasi evanoui et me traina à quatre pieds. Tous les autres officiers de sa chambre se preparoient à cet adieu mais le Roi, qui se sentit touché de voir les siens si affligés, retira sa main et ne parla plus que de Dieu.
Alors, messieurs les eveques de Meaux et de Lisieux, et les peres de Vantadour, Dinet et Vincent, entrerent tous en la ruelle du lit, et n’en partirent plus qu’apres la mort du Roi, qui entretint fort son confesseur, et apres monsieur l’eveque de Lisieux, qui etoient tous à genoux priant Dieu. Le Roi appela monsieur Bouvard, et lui dit : « Touchez moi et me dites votre sentiment », ce que fit monsieur Bouvard, les larmes aux yeux. Il lui dit ces memes paroles : « Sire, je crois que ce sera bientôt que Dieu delivrera Votre Majesté : je ne trouve plus de poulx ».
Le Roi leva les yeux au ciel et dit tout haut : « Mon Dieu, recevez moi à misericorde », et s’adressant à tous, il reprit : « Prions Dieu », et regardant monsieur de Meaux, il lui dit : « Vous verrez bien lorsqu’il faudra lire les prieres de l’agonie, je les ai toutes marquées ». C’etoit un grand livre dans lequel monsieur de Meaux lisoit les prieres. Tout le monde prioit et pleuroit. La Reine et toute la Cour etoient dans la chambre du Roi. Les rideaux de son lit etoient ouverts et la chambre etoit si pleine qu’on s’y etouffoit, et hors les officiers de la chambre les autres etoient tous des personnes de qualité, princes, princesses, chevaliers de l’ordre et grands seigneurs. J’etois placé entre le lit du Roi et la muraille derriere sa tete. Il avoit les bras hors du lit. Nous lui avions chauffé des linges pour les lui couvrir et pour lui tenir un peu de chaleur, et comme il les remuoit il se les decouvroit. J’etois derriere et je les lui recouvrois de temps en temps, tant qu’il ne put plus remuer, et tout cela en presence de la Reine et de toute la Cour. Les prieres de l’agonie se recitoient ensuite des autres qui avoient dejà eté dites. Le Roi dit au pere Dinet : « Il me vient des pensées qui me tourmentent ». « Sire, lui dit ce pere, il faut resister, vous etes au fort du combat, il faut combattre genereusement, afin de remporter la victoire ; meprisez vos ennemis, ils ne vous pourront faire de mal, vous voyez que tout le monde vous aide par ses prieres ». Aussi tout le monde toit à genoux. Il parla encore deux ou trois fois à monsieur de Lisieux, mais avec peine. A un moment de là, ne pouvant plus parler, il regarda le père Dinet et mit son doigt sur sa bouche. Je n’entendois pas ce signer. Le pere Dinet m’a dit depuis que c’etoit à l’occasion d’une vision d’une maison qu’il avoit eue et qu’il avoit reçue comme des arrhes de son salut, et pour une marque de la misericorde que Dieu lui faisoit ; et par ce doigt qu’il mettoit sur sa bouche, il lui disoit qu’il n’en falloit pas parler. Apres cela, perdant peu à peu la parole, il perdit aussi l’ouïe et n’entendit plus.
Monsieur le duc d’Orleans et monsieur le Prince conduisirent la Reine dans sa chambre. Et outée de douleur elle sortit, à leur priere, de celle du Roi.
Le Roi etoit dans l’agonie. Il ne parloit ni n’entendoit. Tout le monde etoit en prieres, et nous voyions peu à peu les esprits de la vie se retirer. Il commença à ne plus remuer les bras ni les jambes, et on ne vit plus remuer le petit ventre. Toutes ses parties se mouroient les unes apres les autres, et le Roi agonisoit doucement. J’etois tellement touché qu’il m’en prit une foiblesse, et par hasard on m’avoit donné à tenir l’eau benite du Roi : j’en pris avec la main que je me jetai sur le visage. Le bon M. de Lisieux, me voyant dans cet etat, me dit ces memes paroles : « Mon ami, consolez vous ».
Le Roi diminuoit à vue et ses hoquets etoient de loin à loin les uns des autres, de sorte qu’on le croyoit passé, lorsque, quelque peu de temps apres, il jeta le dernier à deux heures trois [p. 531] quarts apres midi, le jeudi quatorzieme mai 1643, jour de l’Ascension, au bout de trente trois ans de son regne, à une heure pres.
Monsieur de Lisieux lui donna de l’eau benite et lui ferma les yeux, qui etoient demeurés fixes dans le ciel.
Messieurs les aumoniers et les religieux continuerent leurs prieres, et tout le monde lui jeta de l’eau benite.
Monsieur de Souvré etoit sorti pour aller donner ordre à beaucoup de choses necessaires.
Monsieur de Liancourt, son compagnon, etoit là present, auquel je m’adressai et lui dis que, s’il trouvoit à propos que tout le monde se retirat pou un moment, nous oterions un bassin qui etoit sous le Roi, dans lequel il y avoit de la matiere si acre et si mauvaise qu’elle ne tarderoit pas à corrompre la chair du Roi, que de plus nous racommoderions le lit et le mettrions plus proprement ; qu’il avoit commandé, durant sa maladie, qu’on ne le laissat pas salement apres sa mort.
Monsieur de Liancourt trouva fort à propos ce que je disois : il commanda aussitôt que l’on se retirat pour un temps. Mes compagnons et moi lui raccommodames son lit et le remimes fort proprement dessus, couvert de son drap et de sa couverture, le visage decouvert. Nous lui otames le mouchoir dont nous lui avions bandé la tete et le menton pour lui faire tenir la bouche fermée, et nous lui croisames les bras sur son estomac et lui remimes un petit crucifix de cuivre fort bien fait, monté sur une petite croix d’ebene, que mademoiselle Filandre avoit preté. Le Roi le tenoit dans sa main droite.
Messieurs les aumoniers et les religieux reprirerent leurs places, et un valet de chambre de chaque côté du chevet, qui furent toujours de garde jour et nuit et accompagnerent le Roi jusqu’à Saint Denis.
Le lendemain, sur les neuf heures du matin, on ouvrit le corps du Roi, ce que je n’avois point de curiosité de voir. Mais un garçon de la chambre me dit que monsieur de Souvré me demandoit. Il etoit present à l’ouverture, de sorte que je jetai la vue sur ce triste spectacle. Je vis le corps du Roi, qui m’avoit eté si precieux, etendu sur la table, en la gallerie, le coffre tout ouvert ; et proche de là, sur un billard, dans des bassins, les entrailles, les boyaux dans l’un, le foye, la ratte et le cœur dans l’autre. Je vis un de ses boyaux percé, le bas mésenterre quasi pourri, dans le haut mésenterre un ulcere et quantité de verre qu’on lui avoit aussi trouvés ; le foye assez beau, pourtant un peu pale ; la ratte belle et les poulmons assez sains et le cœur fort beau. Je vis dans ce corps qu’il y venoit encore un ver dans les reins. Dans ce temps, monsieur de Souvré m’appela et me commanda d’aller aupres du Roi d’à present pour le suivre et le servir, comme j’ai fait depuis.
Voilà les remarques veritables que j’ai faites, et les assure telles pour avoir vu les choses de mes yeux et entendu de mes oreilles. »

Dubois, Marie

Récit des derniers jours et de la mort de Louis XIII au Château-Neuf, par Jaques Antoine, garçon de la chambre du roi

« [f. 184] Relation de la mort du roy Louis treize
Avant propos
Il sera remarqué que monsieur Antoine, qui a fait la relation ou le recit fidel de ce qui c’est passé pendant la derniere maladie et mort du tres glorieux et chretien roy Louis treize, d’heureuse mémoire, lequel a eu l’honneur de servir ce grand roy presqu’aussytost sa naissance, arrivée à Fontainebleau le 27e de septembre de l’année 1601, l’ayant toujours servy et suivit dans tous les lieux et voyages que Sa Majesté a faits dans tout son royaume en qualité de garçon ordinaire de sa chambre, principallement dans celuy de son mariage qui fut conclu avec la reyne Anne d’Autriche, infante d’Espagne, en la ville de Bourdeaux le 25e jour de novembre 1615 comme dans les guerres que le Roy avoit a soutenir contre des villes revoltées par les religionnaires de la pretendue reformée, qu’il fut obligé d’assieger comme Saint Jean d’Angelly en 1621, celuy de La Rochelle en 1628, de Montaubant en 1630 et bien d’autres places que Sa Majesté reduisient à son obeissance ; ensuite, Elle fut obligée de faire le voyage de la ville de Thoulouze pour le proces qui y fut fait à monsieur le marechal de Montmorency, lequel fut executé [f. 184v] dans l’hostel de cette ville le 31 octobre 1631, ledit sieur Antoine ayant toujours continué de servir ce grand prince avec assiduité et fidelité jusqu’à son deceds arrivé au chasteau neuf de Saint Germain en Laye le 14e de may 1643, feste de l’Assencion de Notre Seigneur, agé de 41 ans sept mois et dix huit jours, ayant regné 33 ans, en ayant esté l’un des tristes temoins, ce qui l’a obligé de faire ce recit tant pour sa consolation que pour eterniser la mémoire à la posterité de ce grand et pieux roy surnommé Louis le Juste.
In memoria aeterna erit justus.
[f. 185] Relation de la mort du roy Louis treize par monsieur Antoine, garçon ordinaire de la chambre de ce grand roy
Le jeudy 21e fevrier 1643, le roy Louis treize, d’heureuse mémoire, à qui ses rares vertus ont fait donner le surnom de juste, tomba malade d’un flux comme hepatique et d’une espece de fivre lente dans son château neuf de Saint Germain en Laye, où il demeuroit ordinairement les estées.
Cette maladie, qui ne le quitta point jusqu’à la mort, nonobstant qu’elle ne fut jugée d’abord dangereuse ny mortelle par les medecins qui ont accoutumée de flatter les grands roys et princes, la suitte leur fit bien connoiste en peu de temps qu’ils s’etoient trompez et que ce prince etoit en danger plus qu’ils n’avoient cru, sa maladie ayant durée deux mois et vingt trois jours, et par cette grande longueur luy avoit corrompu les entrailles et les parties nobles comme ont le remarqua apres son deceds. Sa Majesté ayant eu durant presque tout le temps de son mal de bons intervales pendant lesquelles Elles travailloit dans son conseil, alloit à la chasse et faisoit [f. 185v] les mesmes exercies que lorsqu’Elle avoit jouy d’une plaine santé.
Le vendredy 22e fevrier, Sa Majesté fut fort incommodée de son flux et de ses hemoroides, qui l’empescherent de sortir ce jour là. Elle ne voulut voir à son lever ny toute la matinée que ses domestiques. Mais, l’apres diner, Elle receue des visites dans sa gallerie où elle prit le divertissement de la musique jusqu’à son souper, qui fut fait en particulier, avec les seuls officiers de gardes, ainsy que du coucher.
Le samedy 23e fevrier, de petits remedes qu’on luy donna la nuit le soulagerent de ses hemoroides. Elle continua d’en estre soulagée jusqu’au mardy 26e, qu’Elle tint conseil au chevet de son lit. Ce jour, Sa Majesté declara monsieur le duc d’Anguin, fils de monsieur le prince de Condé, generalisime de son armées de Flandres.
Le mercredy 27e jusqu’au samedy dernier febvrier, le Roy se trouva bien mieux et fit les mesmes exercices qu’en plaine santé. Il alla à la chasse dans la forest et se promena dans le parc et dans la maison du Val, qu’il avoit faite rebastir pour y aller faire des retours de chasses ou toutte la court se trouvoit.
Le dimanche premier mars, Sa Majesté continua à se bien porter et de n’avoir point eu d’insomnie ny d’alteration, ayant envoyé monsieur Bontemps, son premier vallet de chambre, querir la Reyne et messieurs ses enfans pour le divertir pendant son diner dans son appartement, où ils demeurent jusqu’au souper. Le coucher de ce jour là finit par la lecture ordinaire que Sa Majesté fit faire jusqu’à ce qu’Elle [f. 186] fut endormie par le sieur Chicot, un de ses medecins de quartier, homme fort prudent et savant.
Le samedy 2e mars, Sa Majesté se trouva à son reveil un peu mieux que la nuit. On luy donna un bouillon qu’il trouva assez bon. Ensuite, il se leva pour diner, voulut y voir assez de monde, estant d’une assée bonne humeur. Ensuite, se promena dans toutes ses belles grottes, où il fit jouer toutes les machines et les eaux. Sa Majesté se trouva ainsy jusqu’au huitiesme dud. mois, tantost bien et mal, estant d’une foiblesse tres grande, passant le plus souvent la nuit dans sa chaisse de commodité.
Le samedy 9e mars, Sa Majesté se trouve bien plus mal, fut tourmentée tout le long de ce jour d’une coliques et des hemoroides, ne sachant dans quelle posture se mettre, ne pouvant se tenir ny couchée ny debout, ce qui le rendit d’un chagrin mortel. Sa Majesté ne voulut voir personne d’extraordinaire et fut si foible qu’Elle ne pouvoit se tenir d’aucune posture, ce qui dura ainsy jusqu’au mercredy 13e mars.
Le mercredy 13e mars, le Roy, en se reveillant, se trouva bien mieux. Il avoit assez bien passé la nuit, prit un bouillon. Ensuite, il dina assez bien, en particulier, dans son lit, en presence de la Reyne qui ne manquoit pas de le venir voir tous les matins. L’apres midy, il se promena en robe de chambre dans sa gallerie, qui est tres belle et peinte en tableaux d’histoire de Dianne. La Reyne, les princes et les princesses s’y trouverent avec beaucoup de gens de qualité pour le divertir. Il y fit plusieurs tours, soutenu sous les bras par monsieur de Souvray, premier gentilhomme de la chambre en année, et par monsieur de Charots, capitaines des gardes en quartier. Sa Majesté, s’etant trouvée lassée, demanda son fauteuil, qui luy fut apporté par Antoine [f. 186v] et Tortilliere, garçons de la chambre. Le Roy s’entretien avec la Reyne, ses enfans et les ministres jusqu’au souper, qu’il voulut faire en particulier, de mesme que le coucher où la lecture ordinaire fut faite par monsieur Lucas, secretaire du cabinet, tres sçavant homme.
Le jeudy 13e mars, quoyque Sa Majesté, qui s’estoit un peu fatiguée à la promenade du jour precedent, eut assez bien reposée la nuit, Elle continua à se mieux porter. On ne laissoit point de s’apercevoir que son corps diminuoit peu à peu, comme Elle ne prenoit que tres peu de nourriture et ne beuvoit presque point de vin et prenoit beaucoup de remedes, ce qui le rendoit sy foible.
Le vendredy 14e mars, le Roy, en s’eveillant, se trouva tres bien, qu’il avoit bien reposé la nuit. On luy donna un bouillon tres nourrissant. Il receu tous ce jour beaucoup de visites, jusqu’au souper en public. Le coucher fut fait à l’ordinaire avec la lecture.
Le samedy 15e mars au matin, le Roy ne se trouva pas si bien. Il avoit esté tourmenté la nuit d’une colique, ne se leva qu’à midy en robbe de chambre, se mit dans sa chaise, ayant prit un bouillon. Il receut quelques visites de la Reyne et d’autres personnes. Ensuite, messieurs ses enfans y vinrent passer quelques temps. L’apres diner, estant fatigué, il y fit un petit somme jusqu’à l’heure du souper, qu’il prit une panade et d’autres mets dans son lit avant que de se rendormir.
Le dimanche 16e mars, Sa Majesté se trouva fort mal à son reveil. Elle avoit mal passé la nuit, sentant [f. 187] des douleurs partout le corps. Elle estoit d’un chagrin mortel et ne vouloit prendre aucuns remedes que par force. Cela etonna les medecins, qui voyoient qu’Elle diminuoit à veue d’œil, et que leurs remedes avoient des effets contraires à ceux qu’ils en esperoient. On remarqua mesmes qu’Elle se portoit mieux lorsqu’Elle n’en prenoit pas sy souvent, mais il falloit se soumettre aux ordres de la medecine et mourir dans les formes, accident ordinaire aux grands seigneurs. On commença alors d’avoir une mechante opinion de la maladie de Sa Majesté. Tout le jour se passa en consultation de medecins que la Reyne fit venir de Paris et de tous les costez. Le Roy, sur le soir, fit pour se rejouir chanter quelques airs de devotion par les musiciens jusqu’à ce qu’il fut endormy.
Le lundy 17e mars et le lendemain mardy 18e, le Roy ne fut pas mieux que le jour precedent. Il ne voulut pas prendre son bouillon le matin, quoyque la Reyne et les princes l’en eussent instament prié. Sa Majesté ne voulut point à diner qu’une panade et passa toute cette journée assez mal jusqu’aux coucher, que monsieur Lucas fit la lecture ordinaire.
Le mercredy 19e mars, le Roy se trouva assez tranquille. Il etoit un peu affoibli par les remedes continuels et par les ptisannes que les medecins luy ordonnoient, ce qui luy donnoit un tres grand degoust pour toutes sortes d’alliments, ne voulut prendre toute cette journée que des bouillons.
Le jeudy 20e mars, le Roy continua à se porter toujours tres mal, n’ayant point reposé la nuit. Il luy survint dans les reins de nouvelles douleurs que l’on croyoit une colique nephretique, avec les hemoroides qui luy continuoient et qui le tourmenterent tous le jour sans discontinuer, jusqu’au [f. 187v] vendredy 21 dudit mois de mars, n’ayant d’autre remedes que d’y presser continuellement du lait chaud dans des eponges pour les rafraichir et les adoucir. Sa Majesté ne se leva que l’apres midy. Il se promenoit en robbe de chambre dans sa gallerie avec la Reyne et quelqu’autres personnes de qualité. Il voulu mesmes jouer aux echets avec monsieur de Souveray jusqu’au coucher, aimant fort ce jeu.
Le samedy 22e mars, Sa Majesté en s’eveillant dit qu’Elle avoit assez bien passée la nuit et qu’elle se trouvoit bien mieux que les jours precedens, ce qui fut attribué aux petits remedes qu’on luy avoit données pour le faire dormir. Elle se leva en public, ayant ordonné à monsieur de Souvray, premier gentilhomme de sa chambre, de faire entrer tous ceux qui viendroient. Elle dina assée bien. Sa Majesté se promena l’apres midy dans ses appartement et passa dans la gallerie de la Reyne, pinte en tableaux des villes, qui etoit d’une joye extreme de voir que le Roy se portoit sy bien. Les medecins en conçurent mesme une bonne esperance. Le souper et le coucher se firent en public, avec la musique et grande joye.
Le dimanche 23e mars, le Roy fut assez bien. Il avoit esté un peu incommodé la nuit des hemoroides et d’une toux jusqu’à dix heures, qu’il prit un bouillon. Apres, il s’endormit et demeura au lit jusqu’à midy. Ayant demandé à Antoine, garçon de la chambre, s’il y avoit quelqu’un dans l’antichambre, luy ayant repondu qu’il n’y avoit que monsieur le comte de Guitaut, capitaine des gardes de la Reyne, qui venoit de la part de la Reyne pour scavoir des nouvelles de Sa Majesté, il le fit entrer et luy dit : Monsieur, vous diez à la Reyne que je me porte mieux et que j’auray le bien de l’aller voir sur le soir. A quoy monsieur de Guitaut repondit : [f. 188] Sire, Votre Majesté luy fera grand plaisir de voir Votre Majesté en chemin de guerison. L’apres diner se passa en grande joye. Le Roy s’amusa à peindre en pastels, à quoy il reusissoit tres bien, faisant le plus souvent les portraits de ses officiers en pasteilles, qu’il leur donnoit pour se souvenir de luy. On peut dire que Sa Majesté etoit le prince du monde le plus adroit soit à danser, à monter à cheval, à faire des armes, et à tous les exercices qu’un gentilhomme doit sçavoir, mesme les mathematiques et les mecaniques. Il forgeoit et tournoit au tour, il faisoit toutes sortes de filets à prendre des animeaux, oyseaux et poissons, il faisoit mesmes travailler les officiers de sa chambre les plus adroits, qui par là luy faisoient bien leur cour. Enfin, ce prince ne demeuroit jamais oysif.
Le lundy 24e mars, il continua à se bien porter. Il avoit bien passé la nuit, ainsy il commenda que l’on fit entrer tous le mond à son lever, que cela luy feroit plaisir. Tant de peuple s’y trouverent qu’il estoit presqu’impossible d’entrer dans la chambre pour faire le service. La convalescence du Roy causoit une sy grande joye que cette journée se passa dans les mesmes divertissements que la precedente.
Le mardy 25e mars, feste de l’Annonciation de la Sainte Vierge, Sa Majesté se trouva assez bien. Elle se leva en public, entendit la messe avec une devotion exemplaire. Apres la messe, le Roy envoya monsieur Bontemps demander à la Reyne si elle vouloit bien venir diner avec luy, ce qu’elle accepta avec joye. Ils dinerent ensemble et eurent plusieurs petites conferences tres agreables. L’apres midy, le Roy s’alla promender dans sa gallerie. Il y fit porter sa grande chaise pour s’y reposer, où sa musique s’y trouva. On chanta plusieurs petits airs de devotion jusqu’au souper, [f. 188v] qui fut fait en public, ainsy que le coucher, où on fit la lecture jusqu’à ce que Sa Majesté fut endormie.
Le mercredy 26e mars, le Roy à son reveil se trouva un peu plus mal qu’à l’ordinaire. Il avoit esté tourmenté d’inquietudes pendant la nuit. On luy donna une medecine qui luy fit assé bien. Il ne voulut voir personne jusqu’à midy, qu’il se leva et receu des visites jusqu’au soir. Mais, s’estant ressenty comme d’un frisson, voulut se coucher aussytost.
Le jeudy 27e mars, le Roy, qui avoit fort mal passé la nuit, dit en s’eveillant : Je me sens bien affoibly, je m’apperçoit que mes forces diminuent de jour en jour, j’ay prié le Seigneur que, s’il luy plaisoit de me tirer de ce monde, qu’il me dit la grace d’abreger la grande longueur de ma maladie. Ensuite de ce discours, il s’adressa à monsieur Bouvard, son premier medecin, luy dit : Vous sçavez bien, Monsieur, qu’il y a quelque temps que je vous ait dit que je n’avois pas bonne opinion de ma maladie, que je vous ait prié et mesme pressé de m’en dire votre sentiment, mais vous m’avez fait esperer de ma guerison. Monsieur Bouvard luy avoua, luy disant : Sire, je n’ay osé le temoigner à Votre Majesté, de peur de luy en donner d’inquietudes. Le Roy n’en parut pas plus emut, en disant : Je m’it suis bien preparé, l’ayant mesme temoigné à mon confesseur et à monsieur de Meaux de me mettre en estat de bien mourir. Sa Majesté voulut se coucher plus tost qu’à son ordinaire ; depuis ce jour jeudy 27e mars, le vendredy 28e jusqu’au mardy premier jour d’avril, le Roy se trouva dans une espece de langueur et fut toujours assez mal, ne reposoit que fort peu les nuits. Il avoit du degout pour toutes choses. On luy fit prendre pendant ce temps là beaucoup de remedes, entr’autres une [f. 189] medecine purgative qui fit de grands evacuations qui l’affoiblirent extremement par de grands efforts pour la rendre, et souffrit tout ce jour dans le bas vente des grandes douleurs.
Le mardy premier avril, Sa Majesté, qui avoit estée fort incommodée les jours precedents, ne laissa pas d’avoir estée assée tranquille cette nuit et se trouva mieux tout le long du jour, prit un bouillon à son reveil et ne voulut voir ce latin que ses domestiques. La Reyne etant venue jusques dans l’antichambre pour voir le Roy, y apprit qu’il avoit dit qu’il ne vouloit voir personne ce matin pour dormir. Elle s’en retourna dans son appartement jusqu’à son diner, qu’elle revient avec messieurs ses enfans. Ayant dit au Roy dans la conversation qu’elle etoit venue le matin pour le voir mais qu’elle n’avoit osé entrer de peur de l’incommoder, ce discourt surprit le Roy, qui répondit : Quand je dis, Madame, que je ne veux voir personne, ce ne doit pas estre pour vous, et vous scavez tres bien que vous etes la maitresse d’entrer chez moy à quelques heures qu’il vous plaira, je n’ay voulut parler que pour des etrangers. Le reste du jour se passa en petits amusements que chacun faisoit naitre pour pourvoir dissiper le chagrin de Sa Majesté, jusqu’au souper qui se fit de bonne heure en particulier. Ce jour, l’on releva le quartier des officiers de la maison du Roy à l’ordinaire, mais quelqu’uns voulurent demeurer pour voir l’issue de la maladie de Sa Majesté.
Le mecredy 2e avril, Sa Majesté, qui avoit eue une tres bonne nuit, se porta bien mieux. Les medecins luy firent prendre ce matin une ptisanne de rhubarbe qui, l’ayant beaucoup purgée, luy donna beaucoup d’appetit au diner [f. 189v] qu’Elle fit dans son lit. Elle se leva pendant quelques heures l’apres midy et, comme Elle estoit fort affoiblie et lasse d’estre couchée, Elle se fit porter son fauteuil pres de la fenestre qu’Elle fit ouvrir pour avoir de l’air. La veue estant tres belle et le temps fort serain, Sa Majesté avança la teste à la fenestre, d’où l’on decouvre aisement les clochers de l’abbaye de Saint Denis. Les ayans apperçues, Elle se tourna vers ses officiers de la chambre, leur dit : Mes amis, voilà peut être bientost ma derniere demeure, leur montrant de la main même le chemin par où on devoit le mener. Ce discours ne fut pas dit sans avoir tiré des soupirs et des larmes de ceux qui l’entendirent, qui admirent la grande fermeté et le genereux mepris avec lesquels ce grand roy regardoit sans emotion le lieu de sa sepulture. Ensuite, Sa Majesté ordonna à monsieur Lucas de lire dans la Vie des saints du jour, qu’il fit pendant quelques heures jusqu’au souper, qui fut d’une panade et quelques pommes cuites. Apres quoy, Elle voulut se coucher, ayant envye de dormir, n’y estant resté que les seuls officiers de garde avec les medecins et chirurgiens.
Le jeudy 3e avril, le Roy, qui n’avoit eu la nuit que peu d’inquietudes, continua à se mieux porter, ayant pris le matin un remede qui luy avoit fait assez de bien. Elle voulut etre seule pour se reposer cette matinée, car il venoit tous les matins une si grande confusion de peuples qu’on ne pouvoit passer dans la salle des gardes ny dans l’antichambre. La Reyne y arriva pour faire prendre au Roy un petit potage ou consommé qu’il mangea avec assez d’appetit, ce qui rejouit beaucoup cette princesse de voir le Roy, quy estoit d’assez bonne humeur. Elle envoya Antoine, garçon de la chambre, querir messieurs les princes ses enfans, qui arriverent aussytost. Sa Majesté, les ayant apperceus, en temoigna de la joye, leur dit plusieurs paroles pleines de douceurs et leur fit des questions sur leur maniere de vie et [f. 190] sur la conduite qu’ils devoient tenir dans la suite. Le soir venu, tout le monde se retira à l’exception des officiers pour le service. Le Roy fit lire par monsieur Lucas les Meditations de la mort qu’il avoit marquez dans son livre journaillier. La lecture dura jusqu’au souper, où se trouva la Reyne, qui voulut parler au Roy en particulier, ce qui obligea M. de Souveray de faire retirer tout le monde de la chambre. Ensuite, le coucher du Roy se fit à l’ordinaire, sans lecture.
Le vendredy 4e avril, Sa Majesté se trouva fort tranquile. Elle n’avoit eue la nuit que peu d’inquiétudes, les medecins luy ajant proposé de prendre medecine, mais le Roy n’en voulut point, telle priere que la Reyne luy en fit, luy disant : Madame, les medecins s’ennuyent de me voir un peu en repos. Ensuite, Sa Majesté s’endormit jusqu’à midy, qu’Elle se mit à table pour diner, où elle mangea avec beaucoup d’appetit. Toute l’apres diné se passa à recevoir des visittes des princes et d’autres personnes de distinction, jusqu’au soupper. Ensuite, elle ordonna au sieur Chicot de lire quelques passages de l’Introduction à la vie devote de saint François de Sales, ce qu’il fit jusqu’à ce que Sa Majesté fut endormie.
Le samedy 5e avril, Sa Majesté ayant assez bien passé la nuit, continua à se bien porter, ce qui donna quelques esperences aux medecins d’une guerison dont toute la court avoit bien de la joye devoir en si peu de temps un si grand changement. Sa Majesté se leva ce matin en robbe de chambre, estant fort guaye, et dina en public. L’apres midy, Elle envoya querir par Tiffaine, garçon de la chambre, les sieurs Camefort, Ferdinand et de Niert, premier valets de garde robbe, lequel a esté dans la suite premier vallet de chambre du Roy, qui jouent tous tres bien du luth et du therobe. Ils firent un petit concert [f. 190v] et chanterent en partie Lauda Anima et d’autres airs de devotion composés sur les paraphrases des Pseaumes de David du sieur Godeau. Le Roy voulut mesme aussy chanter une des basses avec monsieur le mareschal de Chomberg, qui chantoit fort bien. Ce concert rejouissoit toute la cour qui s’i estoit rendue. Monsieur de Souvray en avoit fait avertir la Reyne par Antoine qui, etant arrivée aussitost, fut fort surprise d’entendre cette musique et de voir un changement si subit, dont la joye retentissoit dans tout l’appartement du Roy, et tout le monde disoit à Sa Majesté qu’Elle estoit en chemin de guerison et que le printemps, qui etoit tres doux, accheveroit le retablissement de sa santé. Le Roy à cela repondoit fort serieusement : Je suis, Messieurs, fort resigné à la volonté du Seigneur ; s’il me redonne la santé, je travailleray de tout mon pouvoir à donner la paix à mon royaume et à soulager mes peuples. Le reste du jour se passa tres bien jusqu’au coucher, où Sa Majesté fit lire par monsieur Lucas dans le Nouveau Testament le 17e chapitre de l’Evangile de saint Jean, où sont les prieres que Jesus Christ fit à son père avant que de passer le torrent de Cedrin, mais, pendant cette lecture, le Roy s’endormit et, s’etant reveillé peu de temps apres fort inquieté, il demanda à monsieur Bontemps quelle heure il estoit, et luy ayant repondu qu’il etoit onze heures, il dit qu’on s’allat reposer.
Depuis le dimanche 6e avril, Sa Majesté, à la foiblesse pres, continua jusqu’au lundy 14 avril à se bien porter. Elle tenoit tout les jours conseil, le plus souvent au chevet de son lit. Fut ce mesme jour qu’Elle congedia monsieur des Noyers, secretaire d’Estat, qui luy avoit demandé permission de se retirer. Elle revetit de sa charge monsieur Michel Le Tellier, maitre des requestes, qui l’exerça par commission jusqu’à la mort de monsieur des Noyers qui arriva en 1645. Pendant ce temps là, le Roy s’occupa aux mesmes exercices qu’en pleine [f. 191] santé, excepté qu’il ne montoit point à cheval. Il alloit en carosse les apres diner prendre l’air dans la forest ou dans le parc les beaux jours de la saison, qui etoit lors tres belle et douce. Sa Majesté temoignoit d’estre fort content de se voir en meilleur etat que les jours precedens. Elle receue beaucoup de visites, particulierement de madame de Guise et de messieurs ses enfans, qu’il pria de demeurer quelque temps parce qu’il etoit bien aise de les voir, à quoy madame de Guise repondit que Sa Majesté luy faisoit bien de l’honneur, qu’elle resteroit tant qu’il luy plairoit et qu’elle seroit ravie de pouvoir contribuer au retablissement de sa santé.
Le lundy 14e avril, le Roy, en s’eveillant, dit qu’il avoit esté beaucoup tourmentée la nuit de vapeurs et des chaleurs de teste qui l’avoient empesché de dormir et fait changer à tous momens de places dans son lit. On luy donna son bouillon. Apres l’avoir prit, il demeura au lit et sommeilla jusqu’à midy, qu’il se leva et demeura en robe de chambre pour diner, qui fut très court. Ensuite, la Reyne fut avec le Roy seulle quelque temps en conversation, où il s’endormit dans sa grande chaise pendant deux heures, ce qui luy fit beaucoup de bien parce que l’insomnie de la nuit l’avoit très fatigué. Le coucher se fit à l’ordinaire.
Le mardy 15 avril, le Roy, qui n’avoit pas eu tant d’inquiétudes cette nuit que les précédentes, se porta un peu mieux. Mais tous les bons jours qu’il avoit eus auparavant ne l’empeschoient pas d’estre d’une grande foiblesse. La santé de S. M. ne revenoit point. Elle sentoit toujours du mal de temps en temps dans les entrailles. Les medecins qui le voyoient dans une espece de langueur n’en etoient pas tres contents. Ils conclurent seullement de luy faire prendre du petit lait les matins, pour tacher de pouvoir luy rafraichir les entrailles, que Sa Majesté resentoit toujours echauffés, ce qui fut continué sans un soulagement [f. 191v] jusqu’au mercredy 23 avril que le Roy se trouva fort abbatu et fatigué des remedes et du petit lait qu’Elle avoit pris toujours pendant huit jours, pendant lesquelles Elle n’avoit point bu de vin. Cela luy avoit causé une si grande foiblesse qu’Elle ne pouvoit se soutenir debout. Les medecins, qui voyoient que le Roy diminuoit, luy firent quitter le petit lait.
Le jeudy 24e avril, ce qui avoit esté resolut le jour precedent dans la consultation fut augmentée de la seignée, laquelle fut faitte sur les huit heures du matin, mais elle reussit tres mal, car elle cause au Roy une toux continuelle comme d’une espece de fluxion sur la poitrine qui le tourmentoit beaucoup, ce qui luy fit prendre la resolution de recevoir ce jour le Saint Sacrement. Comme il fit tres devotement en particulier, en presence de la Reyne et de quelques grands officiers de sa maison, Sa Majesté ne voulut voir personne de toute la matinee que son confesseur, le pere Dinet, jusqu’au diner. Dans ce temps, le Roy ayant tesmoigné à la Reyne que son intention estoit que l’on baptissa monsieur le Dauphin, agé de 4 ans 8 mois, pour cet effet l’on envoya querir M. le cardinal Mazarin et madame la princesse de Condé pour le tenir sur les fonds baptismaux. La ceremonie en fut faite vers les quatre heures du soir, dans la chapelle du vieux château, par monsieur l’eveque de Meaux, premier aumonier de Sa Majesté, sans aucunes grandes ceremonies ny rejouissances à cause de la maladie du Roy. Monseigneur le Dauphin fut nommé Louis au nom de notre saint père le pape [vide] par monsieur le cardinal Mazarin, avec madame la princesse de Condé sa mareine, en presence de la Reyne et de toute la cour. La ceremonie faite, la Reyne et madame la Princesse avec monsieur le cardinal firent le recit au Roy de ce qui s’y estoit passé et de la sagesse de monsieur le Dauphin, qui arriva [f. 192] aussytost avec madame de Lensac, sa gouvernante, et sous gouvernante, madame [vide]. Sa Majesté l’ayant aperceut, luy ayant fait plusieurs questions, entr’autres luy dit : Mon fils, comment vous a-t-on nommé au baptême ? Monsieur le Dauphin ayant repondu sans esiter : Louis quatorze, mon papa, le Roy luy dit : Pas encore, mon fils, mais ce sera peut estre bientost, si c’est la volonté de Dieu. Puis, levant les yeux au ciel, Seigneur, dit il, faite luy la grace de le faire regner apres moy en paix et en prince veritablement bon chretien et comme fils ainay de l’Eglise, qu’il ait toujours en veue le maintien de votre sainte religion et le soulagement de ses peuples. Sa Majesté parrut avoit bien de la joye que cette ceremonie fut faite. Le Roy envoya Tortilliere, garson de la chambre, chercher la Reyne qui s’en estoit allée dans son appartement. Outrée de douleurs, luy dit : Madame, apres que Dieu m’a fait la grace aujourd’huy d’avoir fait baptisser mon fils, j’ay pris aussy la resolution, sy Dieu dispose de moy, de vous faire declarer la regente de mon royaume jusqu’à ce que mon fils soit dans un age de majorité, afin de prevenir les contestations qui pourroient arriver à ce sujet. Sa Majesté tint ce discours avec des paroles si tendres qu’elles tirent des larmes de toutes l’assemblée et mesme la Reyne en tomba comme evanouie dessus le dit du Roy, en telle manière que monsieur de Souvray fut obligé de l’en retirer de force et de l’emmener dans son appartement. Outrée de douleur, le Roy envoya sur l’heure Antoine, garçon de la chambre, chercher monsieur de La Vrilliere, secretaire d’Etat, en qui Sa Majesté avoit beaucoup de confiance, luy expliqua ses intentions en particulier, luy ordonna d’aller dresser la declaration de la regence en forme de testament afin de la faire verifier en parlement au plus tot. C’est ainsy que se passa la journée. Sa Majesté n’ayant pris qu’une petite panade avec un peu de gellée, elle se trouva tres foible à son coucher.
Le vendredy 25e avril, le Roy se trouva assez mal en s’eveillant, ayant esté tres tourmenté toute la nuit d’une [f. 192v] toux tres seiche que l’on ne put adoucir par tout les remedes que l’on luy donna, qui dura jusqu’à son diner, ou il ne prit que du bouillon, de la gellée et quelques compottes. D’abord que le Roy eut diné, il envoya Tortilliere, garçon de la chambre, chercher monsieur de La Vrilliere, qui arriva presqu’aussytot avec monsieur le chancelier Seguier, accompagné des ministres et secretaires d’Estat, des princes et princesses du sang et gens de la premiere qualité, qui aborderent de tous costez. A l’instant, le Roy fit ouvrir les rideaux de son lit, et prenant la parole dit à haute voix : Messieurs, c’est en cette occassion que je veux que vous soyés temoins de mon intention pour donner à mon royaume la tranquilité et le repos apres ma mort, s’il plait à Dieu de disposer de moy, n’ayant put jusqu’à present luy donner la paix generalle. Ce discours finy, Sa Majesté ordonna à monsieur de La Vrilliere de faire tout haut la lecture de la declaration de la regence, afin que tout le monde scu sa derniere volonté. Monsieur de La Vrilliere en fit la lecture et eut bien de la peine à l’achever de la lire, à cause des larmes qui luy couloient des yeux d’avoir esté obligé de dresser un acte si facheux, qui donnoit une marque comme evidente de la mort du Roy son maitre, qu’il aimoit passionnement. Sa Majesté ordonnoit entr’autres choses par cette declaration qu’en cas qu’Elle mourut, la Reyne fut regente pendant la minorité de son fils, que monsieur le duc d’Orleans, son frere, seroit chef du conseil d’Estat, en son absence monsieur le prince de Condé, et lieutenant general du royaume sous l’autorité de la reyne regente et de son conseil, qui seroit aussy composé de monsieur le cardinal Mazarin, du chancelier, du sieur Claude Bouthillier et du sieur Chavigny, son fils, secretaire d’Etat. Cette lecture finie, le Roy voulut estre seul avec le pere Dinet, son confesseur. Tout le monde se retira dans l’antichambre. Apres y avoir demeuré une [f. 193] demye heure, le Roy ordonna à messieurs le chancellier de Chavigny et de La Vrilliere de faire incessament verifier la declaration en parlement, ce qui fut executé ledit jour 25e avril 1643. Le reste de cette journée se passa assée doucement. S. M. parut d’une grande tranquilité. La Reyne, estant presente, demeura fort tard avec le Roy. Apres avoir eu quelques secretes conversations ensemble, Sa Majesté envoya Riviere, garçon de la chambre, chercher Monsieur. Le duc d’Orleans estant arrivé, le Roy luy permit de bonne grace de faire revenir madame la duchesse d’Orleans, sa femme, qui estoit lors à la ville de Bruxelles depuis quelques années. Le reste de ce jour se passa assé bien.
Le samedy 26e avril, le Roy se trouva cette nuit tres incommodé par de grandes challeurs d’entrailles avec une toux continuelle, nonobstant tous les remedes que les medecins ordonnoient de donner à Sa Majesté. N’ayant pris qu’un bouillon, Elle se leva en robbe de chambre pour diner, quy fut fort court. L’apres midy, le Roy receu quelques visites jusqu’à sou coucher qui fut comme à l’ordinaire, avec la lecture.
Le dimanche 27e avril, le Roy se trouva plus indisposé que le jour precedent, ayant vuidé une espece d’abceds ou apostume par embas cette nuit. Sa Majesté ne se sentit estre plus soulagée et prit un bouillon dans le lit et se rendormit jusqu’à dix heures, qu’Elle mangea une panade et de la gellée qui luy servit de diner. L’apres midy se passa en amusement. Sur le soir, Sa Majesté se trouva un peu incommodée, luy ayant pris des inquietudes, demandant à tous momens quelle heure il estoit, etant tres chagrin, ne trouvant point de bonne place dans son lit. Le coucher fut fait avec la lecture ordinaire.
Le lundy 28e avril, le Roy à son reveil se trouva [f. 193v] d’une tres grande foiblesse, manque de prendre de la nourriture ny point boire de vin, ce qui luy empeschoit de pouvoir dormir, nonobstant les julepes que l’on luy faisoit prendre avec des sirops composés, S. M. disant à tous momens qu’Elle se sentoit diminuer de jour en jour, que les medecins luy faisant toujours esperer le retablissement de sa santé, ne trouvant plus de consolation qu’à se disposer à bien mourir par des lectures spirituels qu’Elle se faisoit faire tres souvent. Cette journée se passa tres tristement, ainsy que le mardy 29e avril qui fut encore plus mauvaise.
Le mercredy 30e et dernier jour d’avril, le Roy se trouva tres foible, dit à messieurs de Souvray et à monsieur Bouvard, premier medecins, et à ses confreres : Messieurs, je me sens bien mal ce matin, je ne croit pas que cette maladie ait bonne issue. A quoy monsieur Bouvard repondit : Ah Sire, Votre Majesté ne doit pas avoir cette opinion, ce ne sera rien s’il plaist à Dieu, il faut que Votre Majesté ait confiance en luy et aux remedes que nous vous ordonnons. Elle avoir estée fort inquieté la nuit, ne dormant point, ayant demandé à tous momens l’heure qu’il estoit et s’il ne seroit pas bientost jour. Elle fit meme tirer plusieurs fois les rideaux de son lit par le sieur Bontemps et fait ouvrir les fenestres par Antoine, estant tres inquieté dece que le jour ne venoit point pour ce lever et prendre l’air car il faisoit extremement chaux dans sa chambre qui estoit tout le jour pleine de monde et grand feu. Sur le midy, Elle prit un bouillon purgatif qui luy fit faire l’apres midy beaucoup d’evacuations, ce qui l’empescha de ne voir tout ce jour là personnes que ses domestiques, avec qui Elle s’entretenoit souvent de son mauvais estat. Le coucher se fit sans lecture, parce que S. M. se trouva fatigué du remede qu’Elle avoit pris.
Le jeudy premier may, le Roy se trouva tres incommodé toute cette nuit par une espece de collique, n’ayant que tres peu repossé, ayant eu une grande sueur par tout le corps [f. 194] et par les jambes. Il demanda à Tortilliere sur les trois heures du matin un linge pour les essuyer. Tortilliere le luy ayant donné, il ne put les essuyer lui mesme et dit à monsieur Bontemps de tenir la couverture levée un peu haute tandis que Tortilliere et Antoine luy frotteroient les jambes et les pieds, qu’il avoit tres mouillées. Sa Majesté, se voyant dans cette posture, fit reflexion sur l’etat où Elle se voyoit et leur dit : Mes amis, je suis d’une grande maigreur, mais c’est la volonté de Dieu. Effectivement, le Roy n’avoit plus que la peau colée sur les os : ses jambes et ses cuises etoient si menues que la seule grosseur des genouilx qui les faisoit remarquer, tout son corps avoit plustost la figure d’un squelete que d’un homme vivant. Tout ce jour se passa en apprehensions du mauvais succez de sa maladie. Sa Majesté ne laissoit pas cependant d’agir autant qu’Elle pouvoit, de tenir conseil avec ses ministres, ayant toujours eu l’esprit et le jugement fort sains. Sur le soir, Elle eut une petit toux seche qui l’incommoda extremement jusqu’à minuit, malgré tous les sirops que l’on luy donnoit, se faisant faire la lecture par le sieur Chicot, l’un de ses medecins ordinaires, lequel disoit souvent au Roy, qui estoit tres inquiete de l’issue de sa maladie : Sire, il faut que Votre Majesté ait patience et qu’Elle attendre avec tranquilité la volonté du Seigneur J. C., il est le maitre de notre vie et de notre mort. Pendant ce discours, le Roy s’endormit.
Le vendredy 2e may, Sa Majesté se trouva assez mal car il s’estoit eveillé plusieurs fois pendant la nuit, avoit demandé tres souvent quelle heure il estoit et quelle temps il faisoit. Antoine luy ayant repondu qu’il etoit trois heures et qu’il faisoit tres beau pour la saison, il demanda à boire et apres s’endormit jusqu’à huit heures du matin, qu’on luy presenta un bouillon dont il avoit bien besoin pour [f. 194v] humecter sa poitrine que la toux avoit fort dessechée, mais il ne vouloit point le prendre, disant qu’il n’en avoit plus besoin, mais il le prit par complaisance à la priere de la Reyne qui estoit presente. Ensuite, le Roy s’endormit jusqu’à cinq heures du soir. On en tira un bon augure parce que depuis six jours il n’avoit point eu de bon sommeil, et dit en s’eveillant mesme qu’il se sentoit mieux, mais qu’il estoit bien foible. Le sieur Bouvard, son premier medecin, luy ayant repondu que c’etoit parce que Sa Majesté ne prenoit pas assée de nourriture, Elle prit quelque alimens qu’on luy presenta sur le champ, mais Elle n’en prit qu’avec beaucoup de peine, n’ayant point d’appetit. Elle commanda sur le soir à monsieur de Souvray de redoubler les officiers de sa chambre, car ceux qui la servoient depuis le commencement de sa maladie, qu’ils n’avoient pas voulut quitter, ne pouvant plus resister aux veilles continuelles qu’ils avoient faites, et afin qu’ils se soulageassent les uns les autres, le Roy fit coucher dans son antichambre deux valets de chambre, un tapissier, un barbier, le porte chaire pour soulager les six garçons de la chambre qui estoient sur pied nuit et jour depuis la maladie du Roy.
Le samedy 3e may, le Roy se trouva le matin extremement mal. Toute les parties de son corps estoient tres douloureuses, ce qui obligea les medecins de faire entr’eux une consultation dans laquelle il fut resolu qu’en cas que le mal continua jusqu’au lendemain, il faudroit luy faire recevoir le saint sacrement, et cependant en faire avertir la Reyne afin qu’elle n’en fut point surprise. On en donna la commission à monsieur de Meaux, qui luy annonça cette triste nouvelle, dont elle fut tres etonnée, ne croyant pas que le Roy fut dans cet etat. Elle partit aussytost de son appartement et à son arrivée elle trouva le sieur Bouvard qui luy dit qu’il falloit [f. 195] attendre au lendemain pour en avertir le Roy. Elle luy demanda à qui il falloit en donner la commission, ne voulant pas s’en charger. Le père Dinet, confesseur du Roy, la prit avec peine, mais on peu dire que tant de precautions n’etoient pas necessaires pour porter Sa Majesté à cette sainte action car Elle y estoit tres preparée depuis longtemps. Cette journée se passa tres mal. Tout le monde etoit d’une grande consternation de voir le Roy si mal, qui diminuoit d’un jour à l’autre. Personne ne le pouvoit voir sans jetter des larmes. Mesme la Reyne, qui ne bougeoit du chevet de son lit, en rependoit à tous momens, car elle estoit outrée de douleur, et des ce moment ne voulut plus le quitter ny jour ny nuit. Pour cet effet, elle ordonna qu’on luy apporta un petit lit dans un petit cabinet qui estoit pres de la chambre du Roy afin de s’oter les inquietudes qu’elle avoit etant plus eloignée de l’appartement du Roy. L’apres diner, le Roy se trouva un peu plus tranquile que le matin et il receu une visite de messieurs les marechaux de Chatillon et de La Force, qui etoient de la religion pretendue reformée. Il fut bien aise de les voir, leur dit plusieurs choses obligeantes sur leurs actions et les exorta ensuite à quitter leur religion dans laquelle il ne pourroient faire leur salut, ajoutant qu’à la verité ils etoient de braves gens et d’un grand merite selon le monde, mais que selon Dieu il n’en estoit pas de mesme, que pur aller au ciel il n’y avoit pas deux voyes et qu’il n’y avoit point de salut hors de l’Eglise catholique, apostolique et romaine, à quoy ils les convia de faire reflexion. Le reste de ce jour se passa à l’ordinaire, où l’on fit la lecture jusqu’à ce que Sa Majesté fut un peu endormie.
Le dimanche 4e et le lundy cinquiesme may, le Roy n’avoit pas eté si fort tourmenté ces deux nuits. Il se trouva un peu mieux. On luy donna à son reveil des vouillons compossés qu’il eut bien de la peine à prendre, etant extremement degouté. Il ne [f. 195v] voulut voir personne que la Reyne car cette princesse etoit la seule consolation du Roy. Apres midy, le père Dinet vient voir Sa Majesté et luy dit : Sire, je me suis chargé d’une commission que j’ay prise et que je croit que vous ne trouverez pas mauvaise, qui est de proposer à Votre Majesté, qui a toujours souhaittée dans sa maladie, dont on ne peut sçavoir les suittes, de recevoir encore le saint sacrement du corps de Jesus Chrit. Le Roy receu cette nouvelle avec joye et sans emotion et dit : Mon pere, je vous suis bien obligé de la bonne nouvelle que vous m’aprenez, puis, levant les yeux au ciel : Seigneur, dit il, me voila pres à vous recevoir, rendez moy digne de cet honneur. Apres quoy tout le monde sortit. Le pere Dinet demeura seul avec Sa Majesté pour le confesser. Pendant ce temps, monsieur de Souvray fut en avertir la Reyne, qui etoit dans son appartement, qui arriva aussytost chez le Roy, tres surprise de cette nouvelle, ayant amenée messieurs les princes ses enfans, tous eploreez. Quand le Roy fut confessé, l’on les fit passer dans le cabinet du Roy, mais monsieur le duc d’Anjou, qui se mit à pleurer et à gronder de ce qu’il n’avoit pas aussy avec luy aucune de ses femmes de chambre, mais parce qu’il faisoit trop de bruit au Roy, on fut obligé de l’envoyer par Antoine avec madame de la Folaine, sa sous gouvernante, dans la gallerie du Roy. Alors monsieur de Meaux et le père Dinet entrerent dans la chambre pour disposer Sa Majesté à recevoir encore une fois le saint sacrement, qu’il avoit dejà receu dans le court de sa maladie. Apres qu’ils l’eurent veu dans la disposition d’une ame tout à fait chretienne et resignée à la volonté de Dieu, car leur ayant dit mille belles choses à ce sujet, monsieur de Meaux alla à la parroisse querir le saint sacrement accompagné du curé avec tout son clergé, où assista la Reyne, les princes et princesses avec beaucoup de personnes de la cour. Sa Majesté le receut avec une devotion tres exemplaire. Peu [f. 196] de temps apres, voulant estre seule, on fit sortit tout le monde. Alors, le Roy se fit donner le pupitre dont il se servoit quand il vouloit lire dans le lit et reciter les prieres qu’il avoit composées, qui avoient pour titre Vera christiana pietatis officia per chritianissimum regem Ludovicum tercium decimum ordinata. Il les recita pendant une bonne demye heure, que Sa Majesté scavoit par cœur tous les offices de chaque jour de la semaine, qu’il doit telle affaire qu’il eut, outre l’office votif tous les lundis, et celuy des morts tous les vendredys au soir, pour demander à Dieu la grace de bien mourir. Le reste du jour se passa tristement. Sa Majesté se trouva ny mieux ni plus mal.
Le mardy 6e may, le Roy se trouva au matin fort fatigué, toute la nuit, ce qui etoit un mechant augure, s’etant fait changer de scituation plusieurs fois, ce qui fit que Sa Majesté s’etoit trouvé mal à son reveil et ne prenoit plus aucuns alimens qu’à forces de prieres. Ce fut ainsy que toute la matinée se passa. L’apres midy, il luy prit un grand assoupissement qui dura jusqu’à onze heures du soir sans se reveiller, dont les medecins n’estoient pas contens de ce qu’il duroit si longtemps. On faisoit beaucoup de bruit dans la chambre pour l’eveiller, l’on luy tatoit le poulx qu’on luy trouvoit tres foible et intermitant. La peur qu’on eu qu’il ne mourut dans ce sommeil leur fit prendre la resolution de l’eveiller, mais il fut question d’en prendre la commission que chacun refusoit, ainsy la Reyne et les princes la donner tous au père Dinet, qui s’approcha aussitost du lit et par trois fois luy dit fort haut : Sire, Votre Majesté m’entend telle, qu’Elle se reveiller s’il luy plaist, il y a lontemps qu’Elle n’a pris de nourriture, les medecins ont peur que cela ne vous affoiblisse trop. A ces paroles, le Roy se reveilla en sursaut et dit, d’un esprit assez tranquille : Je vous entends bien, mon pere, et je ne trouve pas mauvais que vous m’ayez eveillé, mais ceux [f. 196v] qui vous y ont obligé scachant bien qu’il y a quelques jours que je n’ait peu dormir, et, s’adressant à M. Bouvard : Vous deviez l’empescher, M., et j’avoue que j’ay eu trop de complaisance de mestre trop fié aux remedes de la medecines. Sa Majesté ayant dit toutes ses choses avec un peu de challeur, ce qui l’avoit emu, ayant le visage tres rouge et les yeux eteincelens, ce qui obligea le pere Dinet de dire au Roy : Ah, Sire, il faut pardonner, Sa Majesté luy ayant repondu : Je leur pardonne de tout mon cœur afin de n’y plus songer. L’emotion que le Roy avoit eu luy ayant causé comme une espece de frisson, le soir, lorsqu’il receu une visite de madame d’Elbeuf et de mademoiselle sa fille, Sa Majesté leur temoigna beaucoup de joye de les voir, leur disant beaucoup de choses obligeantes jusques sur les dix heures du soir que le Roy s’endormit.
Le mercredy 7e may, le Roy se trouva assez bien à son reveil. On luy fit prendre de la gellée fondue pour luy humecter la poitrine qu’une espece de fievre interne qu’il avoit souvent luy avoit rendue fort seche et alterée. Il passa assé doucement toute la matinée. La Reyne, qui ne quittoit le Roy que fort peu, le vint voir sur le midy, l’exhorta à prendre une petite panade, à quoy il consenty volontiers, en disant : Je le veux bien, Madame, pour l’amour de vous. On luy apporta aussytost, il en prit quelques cuielleres qui l’obligea mesme de vomir beaucoup d’eaux avec de grands efforts. Sur les trois heures du soir, il appella la Reyne et luy dit : Madame, j’ay resolu de faire mon testament, quoyque je sois bien persuadé que vous executerés ponctuellement ma derniere volonté sans qu’elle fut ecrite. Ensuite, il dit à monsieur de Souvray d’envoyer chercher monsieur de La Vrilliere, secretaire d’Etat. Antoine le fut querir dans le moment. Etant arrivé, s’enferma quelque temps avec S. M. [f. 197] et le pere Dinet pour dresser ledit testament. Quant il fut fait, le Roy ce le fit lire et leur ordonna de le cacheter de armes de France, de le garder pour le mettre au jour apres son deceds.
Par ce testament, le Roy donne entr’autreschoses cent mil escus pour estre distribuées à ses officiers domestiques pour les recompenser de leurs bons services, Sa Majesté fait aussy quelques leges pieux comme à l’église de Saint Denis vingt mille ecus pour dire une basse messe journalliere, plus à l’eglise de Saint Germain en Laye 600 l. pour dire à perpetuité une messe haute à son intention toutes les années le jour de son deceds, donne en particulier aux six garçons de sa chambre, scavoir Antoine, Thisaine, Riviere, Tortilliere, Meunier et Cailteau chacun mil ecus pour leurs bons services. Ensuitte la Reyne, presente, se retira dans son appartement, outrée de douleur. Tout cela se passa sans que le Roy n’eut une grande emotion. Il se trouva tres mal. L’on fit sortir le monde de la chambre, à l’exception des officiers de services, monsieur de Meaux et du père Dinet, qui firent une lecture spirituelle qui dura jusqu’à dix heures, que Sa Majesté s’endormit mais avec de grandes agitations d’esprit et du corps. Toute cette journée ce passa tres mal ainsy que les jours precedans, en telle façon que l’on crut que le Roy n’iroit pas loin, ce qui dura ainsy jusqu’au samedy 9e may au soir.
Le dimanche 10e may, le Roy se trouva plus mal cette nuit, etant tombée comme en letargie ainsy qu’il avoit eue les jours predecents, ayant eu des inquietudes continuelles avec des grandes foiblesses qui luy prenoient tres souvent et ne voulant absolument plus prendre aucuns alimens. Les medecins desesperent alors de la maladie du Roy et prirent la resolution de luy faire recevoir l’extreme [f. 197v] onction, de peur qu’il ne survint quelqu’accident nouveau.
Monsieur de Souvray envoya tout aussytost Dubois, valet de chambre, avertir la Reyne et luy dire qu’il falloit qu’elle passa dans le cabinet du Roy, à cause de la grande foule de monde que le bruit de la prochaine mort du Roy avoit attiré. A cette nouvelle, la Reyne accourut incontinent et passa seule par la salle des gardes avec messieurs ses enfans, accompagnées de leurs gouvernantes, portées par les huissiers de la chambre, de peur que l’on ne les blessât dans la presse qui etoit tres grandes. On les fit entrer par le cabinet mais la Reyne ayant accourut devant, n’ayant voulu attendre personne, etoit demeurée seule dans la presse, criant : Faites moy place, s’il vous plaist, Messieurs. A ces paroles, monsieur le duc d’Usez, son chevalier d’honneur, la joignit, la fit passer avec bien de la peine dans la chambre, fut droit au lit du Roy qu’elle embrassa en retenant ses larmes le mieux qu’elle pouvoit pour ne le pas affliger. Pendant cela, monsieur de Meaux et le père Dinet preparerent tout ce qu’il falloit pour luy faire recevoir le saint sacrement de l’extrem onction, que Sa Majesé reçut avec une devotion toute particuliere, repondant mesme à toutes les prieres que l’on a coutume de dire, se decouvrant elle même les endroits où il falloit mettre les saintes huiles, faisant des elevations de cœur en levant les yeux au ciel, disant : Seigneur, que votre volonté soit faite, en presence de monsieur de Vantadour, chanoine de Notre Dame de Paris, personne d’une tres grande pieté qui venoit voir le Roy tres souvent, exhortant Sa Majesté d’avoir confiance en la misericorde de Notre Seigneur J. C. Il se retira les larmes aux yeux. Le reste du jour se passa dans une tres grande tristesse. Sur le soir, le Roy eut un vomissement fort violent jusqu’à dix heures, [f. 198] qu’il s’assoupit pour un peu de temps.
Le lundy 11e may, Sa Majesté se trouva fort affoiblye, la fievre luy avoit augmentée tres fort ces deux jours de plus en plus. On luy donnoit un peu de gellée fondue dans un verre courbé par le bout qu’on luy mettoit dans la bouche sans luy lever la teste pour luy humecter la poitrine. Tout son corps estoit si affoibli et si douloureux et decharné qu’on ne pouvoit le toucher sans luy faire beaucoup de mal. Sur le midy, le Roy demanda au sieur Bontemps sir la Reyne etoit chez elle. Le sieur Bontemps luy ayant repondu qu’elle estoit à la messe, il luy dit d’aller luy dire qu’apres la messe elle luy amenat messieurs ses enfans, qu’il vouloit leur donner sa derniere benediction. On ne peut pas douter l’affliction où estoit cette princesse. Elle amenat aussytost monsieur le Dauphin avec monsieur le duc d’Anjou. Ses enfans etoient tous consternez de voie le Roy leur père en cet etat, ne pouvant exprimer leur douleur que par leur larmes. C’est en cet endroit que l’on doit admirer la constance et la fermeté du Roy, en leur donnant sa benediction leur disant : Mes chers enfans, je prie le Seigneur qu’il vous benisse et qu’il vout ait en sa sainte garde, qu’il vous fasse la grace de vivre en bons princes chretiens, qu’ils eussent toujours beaucoup de respect et d’amité pour la Reyne leur mere. Ces paroles toucherent si fort ses deux enfans qu’il se mirent à pleurer et à gemir, de manière que le Roy fut obligé de faire signe de sa main de les oster de sa veue. La douleur qu’il avoit de les voir si touchées l’empescherent de pouvoir leur parler davantage. Sur le soir, S. M. demanda au père Dinet où etoit M. Bouvard, son premier medecin, qu’il ne voyoit point. Luy ayant repondu : Sire, il n’ose parroitre devant Votre Majesté de peur de luy deplaire. Ensuite, le Roy le fit venir et luy dit : M. Bouvard, je vous pardonne de bon cœur, je suis tres faché de vous avoir peu donner quelque chagrin pendant ma maladie, en luy donnant sa main à baiser. Ensuite, on fit [f. 198v] prendre un petit bouillon au Roy, qui etoit tres foible. Il s’endormit la bouche tres ouverte et les yeux un peu de travers. Alors arriva monsieur le Dauphin et monsieur le duc d’Anjou, accompagnez de leurs gouvernantes et de messieurs de Vendosme et de Vivonne, lequel demanda à M. le Dauphin sy il avoit bien remarqué la posture qu’avoit le Roy qui dormoit pour s’en ressouvenir quelque jour. Monsieur le Dauphin luy répondit en soupirant, les larmes aux yeux, qu’il l’avoit bien remarqué et que son bon papa avoit la bouche un peu de travers et l’œil gauche plus tourné que le droit. M. de Vivonne fut fort surpris de cette remarque, aussy bien que M. de Vendosme et madam de Lansac, sa gouvernante, qui luy dit : Monsieur, n’en parlez plus, car cela l’affligeroit trop. On le remena dans son appartement avec peine, ne voulant point sortir de la chambre du Roy. Dans ce temps, Sa Majesté ayant apperceu monsieur le Prince, à qui il dit : Mon cousin, pendant mon sommeil, j’ay revé que monsieur le duc d’Anguien, votre fils, etoit venu aux mains avec les ennemis, que le combat avoit eté tres rude et tres opiniatre, que la victoire avoit eté longtemps balancée et que cependant elle nous estoit demeurée avec le champ de bataille. Monsieur le Prince luy repondit que cela pouvoit bien arriver. En effet, elle arriva le 19e may ensuivant, que la bataille de Rocroy se donna et fut gagnée sur les Esoagnols et sur les Flamans par monsieur le duc d’Enguien.
Le mardy 12e may, le Roy se trouva tres mal. A son reveil, les medecins luy taterent le poulx. L’ayant trouvé tres foible, apprehendant que ce ne fut le froid de la mort. La Reyne voulut passer la nuit aupres du Roy son cher mary mais monsieur de Souvray, la voyant saisie de douleur, la pria de ne point veiller, et luy dit qu’il luy feroit souvent scavoir des nouvelles de Sa Majesté. Ainsy elle se [f. 199] laissa gagner par ses raisons. Il la conduisit à son appartement éclairée par Antoine et Tiffaine, garçons de la chambre, mais sur les deux heures apres minuit la Reyne, estant tres inquiete de scavoir l’estat où le Roy estoit, elle envoya à monsieur Bontemps, premier valet de chambre de Sa Majesté de quartier, mademoiselle Fillandre, sa premiere femme de chambre, pour en estre informée. S’etant tous deux approchés du lit du Roy, l’ayant entendu remuser, en tirant son rideau, accompagné de mademoiselle Fillandre, luy dit : Sire, la Reyne envoye scavoir des nouvelles de Votre Majesté avant que de s’endormir pour en etre informée. Le Roy se retourna et luy dit : Vous direz à la Reyne : comme un homme qui mourra bientost, puisque c’est la volonté de Dieu. La damoiselle Fillandre alla rendre réponce à la Reyne, mais elle ne la rendit pas telle qu’elle étoit, crainte de luy redoubler ses douleurs. Toute cette journée se passa avec de grandes appréhensions de la mort prochaine du Roy.
Le mercredy 13e may, le Roy fut le marin comme desesperé des medecins, qui ne scavoient plus de remedes à luy faire pour le soulager dans ses grandes douleurs qui augmentoient dans toutes les parties de son corps, car il ne pouvoit plus rien prendre qu’avec peine. On luy presenta un bouillon, qu’il prit un peu par complaisance, à la priere de la Reyne et de ses officiers, qui estoient tres consternez de voir le Roy leur maitre qui alloit finir dans peu sa vie et son regne. Sur les dix heurs du matin, on luy fit prendre une portion cordiale que la Reyne elle-même luy donna, ce qu’il voulut bien prendre à sa consideration, afin que cette portion luy peu fortifier l’estomach, mais le Roy se trouva dans une si grande deffaillance de toutes les parties de son corps, dont les meaux s’augmentoient si fort qu’on ne croyoit pas que Sa Majesté deus passer la journée. Apres estre un peu revenue de cette deffaillance, [f. 199v] ou pour mieux dire de cette evanouissement, on lui presenta un bouillon qu’elle refusa absolument, disant : Mes amis, laissez moy mourir en repos. Dans ce temps arriva monsieur le Dauphin avec monsieur son frere, furent dans la gallerie du Roy avec leurs gouvernantes. Le sieur Dupont, huissier de la chambre, qui portoit monseigneur le Dauphin, luy dit par forme de conversation : Monseigneur, si Dieu disposoit du Roy vostre bon papa, voudriez vous bien estre Roy à sa place. Ce petit prince repondit, les larmes aux yeux : Non, je ne veux pas que mon bon papa meure, car, s’il mourroit, je me jetterois dans le fossé du château. Cette reponse surprit bien toute la compagnie, ne pouvant exprimer sa douleur que par cette action. Cela fit dire à madame de Lansac, sa gouvernante : Monsieur, il ne faut plus luy en parler, il me l’a aussy dit deux fois, et si par malheur il s’etoit trouvé seul, il auroit donné de la peine. Elle ordonna qu’on ne le quitta plus et qu’on le tint toujours par les cordons de sa robe. Peu de temps apres, le Roy sommeilla jusques sur les six heures du soir, qu’il demanda à la Reyne, qui estoit dans son appartement, pour qu’elle luy amena messieurs ses enfans, leur voulant encore donner sa derniere benediction. Estans arrivés au chevet du lit du Roy, s’estans jettés à genoux, le Roy leur donna sa benediction avec ses sentimens d’une ame aussy veritablement chretienne que la sienne, et leur fit une exhortation pleine de tendresse en presence des princes et princesses du sang et de toute la cour. Sur le soir, Sa Majesté voulant estre seule avec les eveques de Meaux, de Lizieux, les peres Dinet, de Vantadour et Vincent, qui voyoient que le Roy diminuoit toujours, l’exhortant à combatre pour l’eternité. En autre, le père Dinet luy fit un discours fort consolent à peu pres en ces termes : Sire, les souffrances et les maladies doivent estre regardées par les chretiens comme autant de faveurs de la [f. 200] misericorde de Dieu, par lesquelles il purifie les eleus dans le temps pour les rendre dignes de l’eternité. Votre Majesté ayant souffert avec autant de patience les douleurs d’une aussy longue maladie, n’a t elle pas lieu de tout esperer de cette misericorde qui ne l’a frappé icy bas que pour la detacher du monde, luy decouvrir le neant du monde, et la preparer à quitter genereusement la vie et une couronne perissable pour en acquerir une immortelle. Ce sont là, Sire, les desseins de Dieu sur Votre Majesté, qui a voulu luy epargner par de longues souffrances les peines qu’il faudroit endurer dans le purgatoire pour se purifier de ses fautes avant que de pouvoir entrer dans le ciel. Voilà, Sire, quelle doit estre l’esperance et la consolation que doit avoir Votre Majesté. Laquelle luy répondit d’un ton ferme : Mon père, je m’estimerois bien heureux si le Seigneur ne me laissoit qu’un siecle d’années en purgatoires. Je croirois qu’il me feroit une grande grace. Ce discours fut interrompu par la Reyne, qui arriva dans ce moment. Elle ne bougeoit jour et nuit du chevet du lit du Roy, et n’en sortoit que lorsqu’il falloit vuider le bassin qu’il avoit toujours sous luy, et mesme elle vouloit y demeurer quoyqu’il en sortit des exhalaisons assez mauvaises, ce qu’elle souffroit avec une patience incroyable, le Roy etant souvent obligé de la faire sortir en luy disant : Madame, je vous prie de passer dans mon cabinet tandis que l’on me changera car il sent mauvais pres de mon lit, ce qui obligea Dubois, valet de chambre, de prendre la liberté de luy presenter une petite bouteille d’essence de jassemin qu’elle accepta en le remerciant. Sur le minuit, le Roy se trouva tres mal, demandant souvent l’heure qu’il etoit et s’il seroit bientost jour. La Reyne etoit demeurée dans un fauteuil dans le cabinet du Roy, n’ayant pas voulu s’en aller chez elle, ce qui obligea monsieur de Beaufort et monseur de Souvray, qui se reposoient sur un canapée, voyant cette princesse si fatiguée et outrée [f. v] de douleur, d’aller se reposer dans son appartement, ce qu’elle fit en les priant de luy faire scavoir des nouvelles du Roy tres souvent.
Sur les six heures du matin due jour du mois de may, feste de l’Assencion de Notre Seigneur, le Roy appella le sieur Courrat, l’un de ses medecins ordinaire, luy dit : Monsieur, tirez moy le bras que j’ai hors du lit sans luy dire pourquoy, ce que fit le sieur Courret pour le contenter, et luy remit dans le lit. Ensuite le Roy se tourna vers les medecins et leur dit : Messieurs, croyez vous que je puisse aller jusqu’à demain, je serois bien aise d’y aller sy c’etoit la volonté de Dieu, le vendredy m’a esté bien souvent heureux, ayant remarqué que j’y ai gagné plusieurs victoires. Les medecins luy ayant dit qu’ils n’en n’estoient pas assurées, ils le considererent de tous costez et, l’ayant trouvé en tres mauvais etat, ils dirent que, si son redoublement le prenoit bien violemment, il y auroit à craindre qu’il n’y peut resister, n’ayant pas assez de force pour pouvoir le supporter.
Dans ce temps, Sa Majesté ordonna qu’on ouvrit les rideaux de son lit et les fenetres de sa chambre. On s’apperceut aussytost que sa veue etoit egarée, ce qui fit croire que la nature deffailloit. Le Roy demenda la messe, où il ne se trouva que peu de monde, parce que l’on la dit plus matin que coutume. Ce fut là qu’on remarqua sa grande resignation à la volonté du Seigneur. Apres la messe, Elle fit faire la lecture par le sieur Lucas dans la vie de Jesus Christ traduite en françois par le père Bernardin de Gevres de Montreuil. Pendant cette lecture, le Roy s’asoupit. S’estant trouvé tres fatigué et foible quand il fut revenu de ce sommeil, il y arriva une toux tres considerable. On luy donna du petit lait couppé pour [f. 201] luy pouvoir adoucir, remede tres inutil à ce mal qu’il prit avec bien de la peine, meme à la priere de la Reyne et de ses officiers, ayant pensé meme en estre suffloqué, car etant aussy dans une posture contrainte à cause qu’on luy avoit levé la teste pour le prendre. Ayant perdu l’haleine, comme s’il avoit eté evanoui, et auroit rendu l’esprit si on ne l’avoit pas remis au plustost. M. Boubard luy ayant taté le poux, luy dit, la larme à l’œil : Je crois, Sire, que ce sera bientost que Dieu delivrera Votre Majesté des peines de ce monde car on ne vous trouve plus guere de poulx. A ces paroles, le Roy dit sans s’emouvoir : Mon Dieu, faite moy misericorde, les yeux elevés vers le ciel, haussant la voix : Seigneur, que votre volonté soit faite, je suis prêt à souffrir pour l’amour de vous et pour la remission de mes pechez, et, se tournant ensuite vers messieurs de Meaux, de Lizieux, de Vantadour, le pere Dinet et d’autres ecclesiastiques qui estoient presens, leurs dit : Messieurs, je vous prie de ne me point abandonner dans cette occasion où il y va de mon salut eternel. La Reyne, qui etoit dans le cabinet, tres espleurée, estant venue, elle se jetta sur le lit du Roy en l’embrassant, les larmes aux yeux, si tendrement qu’on fut obligé de l’aracher de force, que monsieur de Souvray l’emmena dans son appartement, en faisant des cris qu’on entendoit de tous les cotez du château. Le Roy, luy ayant demandé pardon des chagrins qu’il avoit pu luy causer, continua ses adieux à ses enfans, aux princes et princesses du sang et ministres d’Etat, aux officiers de sa chambre, de sa garde robbe, de la bouche, du gobelet, et autres de sa Maison qui se trouverent presens, leur reiterant qu’il etoit faché de leur avoir pas fait autant de bien qu’ils en meritoient pour les bons services qu’ils luy avoient rendus, dont il etoit tres content, mais ce qui peut servir d’exemple aux roys, princes et grands seigneurs de ne pas attendre à la mort à [f. 201v] recompenser leurs officiers et domestiques, de n’en pas laisser à d’autres la commission qui fort souvent ne se mettent guere en peine d’efectuer leurs volontés. Ensuite, le Roy tira hors du lit sa main qu’il leur donna à baiser les uns apres les autres, la mouillant de leurs larmes. Sa Majesté fut si sensible à leurs peines qu’il retira sa main pour ne les plus voir. En fut advertir la Reyne, qui estoit dans son appartement, accablée de douleur. Elle amena messieurs ses enfans, que le Roy demanda à voir encore une fois. Sa Majesté leur recommanda plusieurs choses sur leur religion et à la Reyne d’avoir bien soin de l’education de ses enfans, meme aux princes d’avoir bien du repect et d’amitié pour la Reyne et pour ses enfans. Le Roy ordonna de les remener dans leur appar

Récit de l’assemblée réglant la régence tenue par Louis XIII dans sa chambre à Saint-Germain-en-Laye

« [p. 313] L’assamblée faite à Saint Germain de la Reine, des princes du sang, des ministres de Sa Majesté, du parlement et des autres principaux officiers de ce royaume le 20 d’avril 1643 pour entendre la declaration de Sa Majesté sur le gouvernement de ses estats
Que Dieu aime la France et qu’il lui donne de preuves certaines de sa protection continuelle ! La guerre, qui n’a servi jusques ici qu’à matter ses ennemis, lui a esté partout avantageuse. Si elle doit perdre un ministre, sa mort n’arrive qu’au bout d’une glorieuse campagne, afin que dans l’intervalle d’une autre elle se puisse mieux accoustumer au changement par lequel cette perte se trouve heureusement reparée. Mais il n’y a rien [p. 314] dont cet Estat soit plus redevable à Dieu que de lui avoir donné un si bon Roy et qui aime tant ses peuples qu’il ne se contente pas d’avoir prodigué sa santé pour leur defense et pour la dignité de sa couronne : imitant la providence divine, il porte ses soins jusques dans l’avenir pour lui establir un repos asseuré et une fermeté qui ne puisse jamais estre ebranlée. […]
[p. 318] Le vingtiesme de ce mois d’avril 1643, sur les deux heures apres midy, le Roy estant dans son chasteau neuf de Saint Germain en Laye, fit assambler dans sa chambre, en presence de la Reine, des Enfans de France, de Monsieur son frere, du prince de Condé, tous les ducs et pairs, mareschaux de France et autres officiers de la Couronne et principaux seigneurs qui se trouverent lors à la Cour, en fort grand nombre, entre lesquels estoyent le cardinal Mazarin, le chancelier de France, le surintendant des Finances et le sieur de Chavigni, secretaire d’Estat, devant tous lesquels le sieur de La Vrilliere, aussi secretaire d’Estat, fit lecture, par commandement de Sa Majesté, de sa declaration par laquelle le Roy declare qu’à l’exemple des bons rois ses predecesseurs, qui avoyent aimé l’Estat, et estant travaillé depuis longtemps de plusieurs incommoditez [p. 319] et presentement d’une fascheuse maladie, desirant pourvoir à la seureté, bien et repos de son Estat, il entend que lorsqu’il aura pleu à Dieu disposer de lui, la Reine soit regente de ses royaumes pendant la minorité de monseigneur le Dauphin, que sous son authorité Monsieur, frere unique de Sa Majesté, soit lieutenant general du Roy, mineur, en toutes les provinces de sesdits royaumes et chef du Conseil, et le prince de Condé, le cardinal Mazarin, le chancelier de France, le surintendant des Finances et ledit sieur de Chavigni, ministres d’Estat, pour tenir avec la Reine et Monsieur ledit Conseil, duquel en l’absence de Monsieur seront chefs lesdits prince de Condé et cardinal Mazarin. Ce sont là les points principaux de cette declaration, dont vous aurez cy apres le detail.
Le Roy la fit signer ensuite à la Reine et à Monsieur, et les fit jurer d’entretenir et observer le contenu en icelle.
Puis le Parlement, qui avoit esté mandé le jour precedent et estoit representé par le premier president, les presidens au mortier et deux conseillers de chacune chambre avec les gens du Roy, entra dans ladite chambre de Sa Majesté, qui lui fit entendre qu’elle avoit fait cette declaration et donna charge à Monsieur, au prince de Condé et audit chancelier [p. 320] d’entrer le lendemain 21 dans son parlement et la faire enregistrer, comme elle le fut hier. »

Récit de la venue de Bernin à Saint-Germain-en-Laye

« [p. 15] M. Colbert est venu le lendemain, jour de la Fête-Dieu, prendre le Cavalier, comme il l'avait dit. Les seigneurs Paule et Mathie, l'abbé Butti et moi sommes entrés dans son carrosse. Il y avait un carrosse de la suite du Roi pour les gens du Cavalier. L’on est arrivé à Saint-Germain à neuf heures du matin. M. Colbert a été descendre chez lui, au vieux château, et y a été quelque temps avec le Cavalier, puis il l'a mené au château neuf, où est le logement de S. M. et des Reines. En entrant dans l'antichambre, l'on a appris que le Roi n'était pas encore habillé. M. Colbert est entré dans la chambre, et, après en être ressorti, il nous a fait faire le tour et a mené le Cavalier dans le cabinet de S. M., où étaient MM. les maréchaux de Gramont, du Plessis et autres personnes de haute qualité. Là, il s'est entretenu avec eux. Le Roi étant tout habillé, M. Colbert a fait entrer le Cavalier dans la chambre, et lui a fait saluer S. M., qui s'était mise à la croisée d'une fenêtre, avec le premier gentilhomme de sa chambre et le maître de la garde-robe. Le maréchal de Gramont y était aussi. Le Cavalier a fait son compliment au Roi avec une honnête hardiesse, et a dit à S. M., comme il avait fait à M. Colbert, les sujets qui l'avaient principalement engagé de venir en France. Après, venant au sujet du bâtiment du Louvre : « J'ai vu, Sire, a-t-il dit à S. M., les palais des empereurs et des papes, ceux des princes souverains qui se sont trouvés sur la route de Rome à Paris, mais il faut faire pour un roi de France, un roi d'aujourd'hui, de plus grandes et magnifiques choses que tout cela. » Puis, se tournant vers ceux qui faisaient cercle autour du Roi, il a ajouté : « Qu'on ne me parle de rien qui soit petit. » A cela, le Roi a pris la parole et a dit qu'il avait quelque affection de conserver ce qu’avaient fait ses prédécesseurs, mais que si pourtant l'on ne pouvait rien faire de [p. 16] grand sans abattre leur ouvrage, qu'il le lui abandonnait ; que pour l'argent il ne l'épargnerait pas. S. M. ensuite lui a fait toute sorte de bon accueil. Puis M. Colbert l'a ramené au vieux château. L'on avait tendu dans les cours les tapisseries de la couronne pour la procession du Saint-Sacrement (car c'était le jour de la Fête-Dieu) celle des Actes des Apôtres, les Triomphes de Scipion et les autres du dessin de Jules Romain. Après que le Cavalier les a eu considérées et trouvées fort belles, il m'a prié de le mener à la chapelle, où il est demeuré longtemps en prière, et, après la cérémonie, il a diné au chambellan avec M. Colbert et nous autres aussi. Il s'est, au sortir de table, allé reposer à la mode d'Italie, dans l'appartement de M. de Bellefonds. Sur le soir, M. Colbert l’aramené à Paris. »

Fréart de Chantelou, Paul

Récit de la naissance de Louis XIV à Saint-Germain-en-Laye

« L’heureuse naissance de monseigneur le Dauphin, à present le roy Louis XIV, fils du feu roy Louis XIII et d’Anne d’Austriche, regente en France, dans le chasteau neuf de Sainct Germain en Laye, le dimanche 5 septembre mil six cens trente huict, sur les unze heures du matin
[…]
[p. 211] Si le dernier siecle a attribué à la sage conduite de fernel, premier medecin de Henry II, ce que Catherine de Medicis eut des enfans apres avoir esté dix ans sterile, on ne peut en ce rencontre obmettre la benediction que Dieu a voulu estendre sur les soins des medecins de Leurs Majestez, qui ont porté leur santé jusqu’au poinct de rendre la France si heureuse par cette tant illustre et desirée naissance, et d’autant plus merveilleuse qu’aucune des autres n’est arrivée apres une patience de tant d’années, comme si Dieu eust reservé à ce siecle un concours de tous ces precedés miracles.
Cette heureuse grossesse a esté miraculeusement predite à la Reyne peu auparavant qu’elle avint, et elle avoit esté tellement exempte des fascheux symptomes qui accompagnent les autres en cet estat que l’on avoit par là matiere d’en douter jusques au mouvement, et depuis iceluy Sa Majesté et son fruict se porterent si bien que, decouvrans l’imposture de ceux qui se pensoient signaler par la prediction du jour de cette delivrance, et verifians au contraire ce que dit Hippocrate des plus vigoureux enfans, cettuy cy entra bien avant en son dixiesme mois. Ainsi l’antiquité figuroit les heros, ou demy dieux, toujours plus longtemps que les autres dans le ventre de leur mere. Donc de Dauphin, à present Roy, en est finalement sorty, et la Reyne, apres un travail de quelques heures, accoucha le cinquiesme septembre, peu avant midy, dans le chasteau neuf de Sainct Germain en Laye, d’un prince que sa beauté et proportion accomplie de toutes les parties de son corps rendit des lors par moins aymable que cette masle vigueur [p. 212] qui luisoit desjà au travers de ses membres enfantins, promettoit de trophées. Ce celebre accouchement se fit en presence des princesses et dames de la cour, accourues en foule pour avoir part à cette extreme joye, que quatre dauphins argentez d’un grand obelisque planté devant le vieil chasteau de Sainct Germain ayderent à epandre dans le peuple avec le vin qu’ils verserent tout le soir, et continuerent le reste de la nuict en grande abondance.
A l’instant toute la ville de Paris s’appresta à en temoigner sa joye par des actions de graces solennelles à Doeu dans ses eglises, par un concours des peuples qui y fourmillent et s’entr’annonçoient cette bonne nouvelle, par des feux de joye allumez dans les rues, accompagnez des cris de Vive le Roy, la Reyne et monseigneur le Dauphin, et par une agreable bigarure de lumieres des fenestres innombrables de ce petit monde, le bruit redoublé de quarante canons et de trois cents boettes de l’arsenal ayant devancé cette magnificence et annoncé à l’univers cette naissance.
Particularitez de la susdite naissance de monseigneur le Dauphin et de ce qui se passa ensuite à Sainct Germain et à Paris
Ce n’est pas assez d’avoit dit en gros et avec peu de circonstances que la Reyne est accouchée d’un Dauphin, une des meilleures et plus agreables nouvelles qui se puissent gueres donner au public, mais encore qu’une familiere narration des circonstances de ce qui s’y est passé de plus remarquable doive sembler à quelques uns indigne de la majesté de ce benefice inenarrable du ciel, il faut mieux le rendre intelligible par un discours accommodé au vulgaire que par une reverence injurieuse au public, le laisser ensevely dans l’oubly du temps qui n’enveloppe souvent pas moins la verité qu’il la decouvre. Doncque pour y satisfaire, une année auparavant un religieux avoit adverty la Reyne qu’elle devoit accoucher d’un fils, asseurant en avoir eu la revelation ; et pour ce que les souhaits de toute la France ne tendoient que là, les premiers signes qui ont coustume d’accompagner la grossesse des femmes ne parurent pas plustost en la Reyne qu’un chacun le crut aisement : ce ne furent plus des lors que neufvaines, voyages et vœux, particulierement à la Vierge et à Saincte Anne, par l’intercession desquelles on a cru cette grossesse avoir esté impetrée du Ciel. On vit ensuite toute la France humiliée devant Dieu pour luy demander par ses pieres de quarante heures et autres devotions sans nombre la conservation de ce fruict royal : cependant qu’il estoit au ventre maternel, tous, ou par le desir qu’ils en avoient, ou par les signes naturels, ou autrement, ont tousjours predit que ce seroit un fils ; mais peu de personnes se sont rencontrées de mesme advis touchant le terme de l’accouchement, aucuns ayant asseuré que ce seroit au vingt deuxieme, autres au vingt cinqieme aoust, jour de sainct Louys. On tient que celuy qui en approcha le plus estoit un certain vacher nommé [p. 213] Pierre Roger, du village de Saincte Geneviesve des Bois proche Paris, lequel, tesmoignant d’ailleurs une simplicité et une ignorance fort grossiere, avoit dit que la Reyne accoucheroit le samedy quatriesme de septembre, et ce fut le dimanche cinquiesme. Ce qui donna lieu aux uns d’approuver son progonostic, soustenans que les predictions qui viennent de Dieu ne sont pas si precises que celles des mathematiciens qui designent les oppositions et autres aspects des corps celestres mille ans avant le mesme poinct auquel elles arrivent, et les autres que la difference des choses miraculeuses d’avec les naturelles se reconnoist principalement en ce que les premieres sont parfaites et exactes, les autres non, le seul poinct et moment prefix auquel arrive la chose predite estans celuy qui peut faire distinguer la prophetie de l’imposture, auquel point mesme le hazard peut faire arriver, comme un mauvais archer peut donne une fois dans le blanc. De quoy on laisse la decision à d’autres, pour dire que ce dimanche cinquiesme dudit mois de septembre, sur les deux à trois heures du matin, la Reyne commença de sentir les vrais signes du travail d’enfant, ce qu’elle en avoit eu sur les unze heures du soir precedent s’estant aussitost passé. Elle voulut que l’evesque de Lisieux dit la messe dans sa chambre sur les quatre heures du matin, et comme par son commandement le sieur Seguier, evesque de Meaux, premier aumosnier du Roy, se disposoit à en dire une autre, les douleurs s’augmentans, on alla avertir le Roy, lequel la vint voir. Mais, prenant le soin de la santé du Roy, qu’elle scavoit avoir lors besoin d’aller prendre son repas, l’en pressa tant que Sa Majesté s’y en alla. Enfin, c’estoit sur les unze heures du matin, le Roy ne venoit que de se mettre à table, n’y ayant pas un quart d’heure qu’il avoit quitté la Reyne, lorsqu’on luy vint dire qu’elle accouchoit. Il y court. Des l’entrée, la marquise de Senecey, dame d’honneur de la Reine, dit à Sa Majesté que la Reyne estoit accouchée d’un Dauphin, et la dame Peronne, sage femme qui l’avoit assistée à son travail, par le conseil des medecins et chirurgiens de Leurs Majestez, et plus experimentez en telles affaires, le fit voir au Roy, et luy fit remarquer sa beauté et grandeur extraordinaire. A l’instant chacun cria : C’est un Daufin, c’est un Daufin, et cette parole se porta aussi viste qu’un esclair par toute la cour et par tout Sainct Germain, d’où mille messagers, avec charge et sans charge, l’espandirent si promptement au loing que, bien que cette heureuse naissance ne fut arrivée, comme a esté dit, que sur les unze heures et un quart avant midy du cinquiesme de ce mois de septembre 1638, un courrier arrivé à Paris le septiesme ensuivant asseura en avoir appris la nouvelle à soixante lieues au loing.
Le Roy, voulant aussitost rapporter toutes ces faveurs et benedictions au ciel, mit les genoux en terre et remercia Dieu de cette cy. Les eglises de Saint Germain et des peres recollets estoient encor remplies de seigneurs et dames qui estoient allées, la pluspart avant le jour, communier et faire leurs autres devotions pour les mesme sujet, lorsqu’ils y apprirent l’agreable nouvelle de cet heureux accouchement, [p. 214] qui se fit en presence de Monsieur, frere unique du Roy, duc d’Orleans, lequel temoigna à l’instant à Sa Majesté le contentement qu’il en recevoit, comme Sa Majesté luy confirma aussi de sa part toutes les asseurances d’une affection cordiale. Mesdames les princesses de Condé, comtesse de Soissons, duchesse de Vendosme, connestable de Montmorency, duchesse de Bouillon La Mark et autres de grande condition y estoient aussi presentes, outre les dames de Senecey, de La Flotte et autres de la Maison de la Reyne, dans la chambre et à la veue de laquelle ce tant souhaité Dauphin fut ondoyé par ledit sieur Seguier, son premier aumosnier, et fut fait participant de toutes les ceremonies et magnificences qui s’observent à l’imposition du nom. Où assisterent le Roy, Monsieur son frere, le chancelier de France arrivé peu apres l’accouchement, plusieurs autres seigneurs et dames qui y accouroient en foule, comme à la veue d’un miracle, le Roy ayant fait entrer dans la chambre de la Reyne tous ceux qui estoient dans l’antichambre pour les rendre participans de cette joye, laquelle fit allumer des feux en plusieurs endroits de Sainct Germain. Les daufins de la fontaine de vin y continuoient cependant à le jetter depuis le matin, avec tel abord de peuple que quelque desordre y estant survenu obligea d’y mettre des gardes ; laquelle magnificence plusieurs partiucliers imiterent depuis à Paris, tel en ayant fait pleuvoir de son toict.
A une heure apres midy, le Roy alla faire chanter le Te Deum dans la chapelle du vieil chasteau, accompagné des Cent Suisses de sa garde, et suivy de Monsieur, du chancelier de France, des ducs de Montbazon et d’Uzez, des sieurs de Liencour, de Mortemar, de Souvré et du comte de Tresmes, et en un mot de toute la cour, qui estoit si grosse toute cette semaine qu’il estoit mal aisé de trouver giste à Saint Germain, encor qu’il y eust des gardes aux principales avenues qui n’en permettoient l’abord qu’aux personnes qui ne venoient point de lieu suspect de maladie. Le mesme evesque de Meaux y officia, vestu pontificalement, en presence de l’archevesque de Bourges l’ancien, des evesques de Lisieux, de Beauvais, de Dardanie et de Chaalons, ayant chacun le rochet et le camail, et de toute la chapelle du Roy, laquelle y fit merveille. Puis monseigneur le Daufnin, ayant esté alaité par la damoiselle de La Giraudiere, sa nourrice, les gardes en haye, fut porté en son appartement meublé de damas blanc, et mis entre les mains de la marquise douairiere de Lansac, sa gouvernante. Sa Majesté en ayant aussi envoyé donner avis à la ville de Paris par le sieur de Perrey Bailleul, maistre d’hostel ordinaire de sa Maison, le corps de ville en fit faire des le jour mesme un feu de joye à la Greve, et le lendemain un autre, des plus beaux qui s’y soit gueres veu. Le sieur de Laffemas, lors lieutenant civil, donna les ordres que les bourgeois en temoignassent aussi leur ressentiment par les feux de joye allumez dans les rues et par des lumieres aux fenestres, à quoy les Parisiens se porterent avec tant d’ardeur qu’au lieu d’un jour ils en continuerent trois ou quatre tout de suite. Le sieur [p. 215] du Tremblay, gouverneur de la Bastille, et le sieur de Sainctoust, commandant dans l’Arsenal en l’absence du grand maistre de l’Artillerie de France, y tinrent hautement leur partie, par un concert de boetes et canons qui firent part à tout le pais d’autour cette agreable nouvelle.
Il n’y eut maison religieuse qui n’ornast ses murailles de chandelles. Les jesuites, outre pres de mille flambeaux dont ils tapisserent leurs murs les 5 et 6, firent le septiesme dudit mois de septembre un ingenieux feu d’artifice dans leur cour, qu’un dauphin alluma entre plus de deux mille autres lumieres qui eclairoient un balet, et comedie sur le mesme sujet, representez par leurs escoliers. Les feuillans de la reue Neuve Saint Honoré firent le septiesme une aumosne generale de pain et de vin, emplissant les vaisseaux de tous les pauvres qui se presentrent, et apres une procession par eux faite chacun le cierge à la main, furent brusler un chasteau d’artifices, chantans le Te Deum au son des trompettes entremeslées du carillon de leurs cloches. Les bourgeois de la place Dauphine, ayant à leur teste des hautsboits et musettes conduits par Destouches, l’un d’eux, firent des resjouissances dignes du nom de leur place. Le Te Deum en fut aussi solemnellement chanté le sixiesme dans l’eglise Nostre Dame, et tous les religieux avec les parroisses firent lors des processions, où l’archevesque de Paris assista avec tout son clergé, accompagné des prevost des marchands et eschevins. Le parlement, chambre des comptes et autres cours allerent ensuite rendre leurs complimens au Roy et à monseigneur le Dauphin. Le huictiesme du mesme mois, l’evesque de Metz fit faire la procession generale dans le fauxbourg Saint Germain, dont il est abbé, et dont toutes les rues estoient tapissées. Bref, tout conspira unanimement à rendre graces à Dieu pour un si grand bien. Aussi, la maxime estant veritable que les choses se conservent par les moyens qui les ont produites : puisque ce Dauphin avoit esté obtenu par les vœux et prieres de tous les bons françois, c’estoit pas les mesmes prieres qu’il leur devoit estre conservé. »

Récit de la naissance de Louis XIV et des relevailles à Saint-Germain-en-Laye

« Ordre des ceremonies faites à la naissance de mondit seigneur le Dauphin, tant à Saint Germain que à Paris, en septembre 1638
Ce discours est de monsieur Saintot, maistre des ceremonies
La Reyne commença à se sentir du travail de son accouchement le samedy quatriesme de septembre mil six cens trente huit à unze heures du soir.
Le dimanche cinquiesme ensuivant, sur les cinq heures du matin, les douleurs s’augmenterent, dont le Roy fut adverty par la damoiselle Filandre. Sa Majesté en mesme temps alla chez la Reyne et envoya advertir monseigneur son frere unique, et aussi pareillement madame la Princesse et madame la Comtesse, lesquels se rendirent tous chez la Reyne à six heures du matin. Il n’y avoit en ladite chambre que le Roy, monseigneur son frere, ces deux princesses, madame de Vendosme par une grace particuliere que le Roy octroya à sa personne, sans qu’aucune princesse ny duchesse en peust prendre consequence, la dame de Lansac, comme destinée gouvernante du fruict qu’il plairoit à Dieu de donner, la future nourrisse de monseigneur le Dauphin, les dames de Senecey et de La Flotte, dames d’honneur et d’atour, les femmes de chambre et la dame Peronne, sage femme, laquelle seule accoucha la Reyne. Derriere et dehors le pavillon de l’accouchement, et à un coin de la chambre, estoit dressé un petit autel où les sieurs evesques de Lisieux, de Meaux et de Beauvais dirent les uns apres les autres leurs messes, et apres, devant ledit autel, firent continuellement des prieres jusques à ce que la Reyne fut accouchée, ce qui arriva sur les unze heures du matin. Dans le grand cabinet de la Reyne, proche la chambre, où le Roy alloit et venoit de l’une à l’autre, estoient la princesse de Guymené, les duchesse de La Trimouille et de Bouillon, les dames de La Ville aux Clercs, de Liancourt, de Mortemar, et quantité d’autres dames de condition de la cour et les filles de la Reyne, Monsieur l’evesque de Meaux, les ducs de Vendosme, de Chevreuse et de Montbason, les sieurs de Souvré, de Liancourt, de Mortemar, de La Ville aux Clercs, de Brion et de Chavigny, les archevesques de Bourges, evesques de Chaalons, de Dardanie, du Mans et quantité de personnes de condition de la cour, de prelats et principaux officiers de la maison du Roy. Donc sur les unze heures, la Reyne [p. 219] accoucha d’un filz, où dans le mesme instant le Roy le fit ondoyer dans la chambre par l’evesque de Meaux, son premier aumosnier, y assistant en outre tous les princes, princesses, seigneurs et dames de la cour, et monsieur le chancelier. Et après le Roy fut en la chapelle du vieux chasteau, suivy et accompagné de toute la cour, où le Te Deum fut chanté avec grande ceremonie. Puis Sa Majesté expedia le sieur du Perré Bailleul à Paris vers le corps de ville, seulement en donner advis.
[…]
[p. 228] Le dimanche vingt sixieme du susdit mois de septembre, la Reyne voulut estre relevée de sa couche et joindre publiquement ses actions de graces à celles de ses peuples, pour redonner à Dieu par voye de sacrifice et re connoissance ce precieux enfant qu’elle avoit receu de luy à titre de bienfait. Le defunt evesque de Lisieux, assez conneu entre ceux de son ordre par les avantages de sa doctrine et de son zele, eut à cet effet ordre expres de Sa Majesté de se rendre à Sainct Germain en Laye pour y celebrer la messe dans sa chambre, à laquelle assisterent plusieurs autres prelats, avec toute sa cour. Apres l’offertoire, le celebrant s’estant tourné pour attendre la Reyne, elle se leva de son drap de pied, qui par dessein avoit esté tenu dans la ruelle de son lict, et fort loin de l’autel, d’où Sa Majesté partit tenant son fils entre ses bras, comme les premices de son sainct mariage, qu’elle porta jusqu’à l’autel, où elle en fit à deux genoux une oblation au roy des roys, le destinant à son service avec sa personne sacrée, et luy donnant l’arbre et le fruict par une mesme offrande, qu’ensuite Sa Majesté scella par une communion qu’elle fit. La messe achevée, et l’evesque de Lisieux estant en pluvial et en mitre, Sadite Majesté prit monseigneur le Dauphin une seconde fois et l’alla presenter à la ceremonie. En cette solennité, outre les dames et les principaux officiers de sa Maison, employez à divers ministeres selon leur qualité, l’evesque de Saint Brieux et l’abbé de Sainct Denys, premier aumosnier de Sa Majesté, tenoient l’estole [p. 229] sur la teste de monseigneur le Dauphin, et l’evesque de Lisieux commençant la lecture de l’Evangile, ce fut merville que cet enfant royal arresta fixement sa veue sur ce grand prelat sans poussez un seul cry, comme si des l’entrée de sa vie Dieu l’eust rendu capable d’honorer les mysteres de l’Eglise par cette attention et ce silence respectueux. Mais c’est chose plus remarquable que l’evesque de Lisieux, prononçant certaines paroles qui l’obligerent de prendre ce petit prince par la main, à mesme temps il luy serra la sienne d’une vigueur et d’une force toute extraordinaire, donnant par là des augures qu’un jour son bras et sa puissance sera liée à celle des pasteurs pour la gloire de Dieu, pour le soustien de la Religion et la defense de l’Eglise. Cette ceremonie dura bien pres de trois quarts d’heure, pendant lesquels Sa Majesté portoit tousjours sans secours de personne ce cher enfant, de qui la contenance ravissoit tout le monde. Apres cela, on laisse à juger si ce n’estoit pas la raison que tous les soins des François et leurs affections fussent lors attachées à son berceau, s’il n’estoit pas juste d’esperer que ce soleil levant dissipera un jour tous les nuages qui couvrent ce royaume et si cette esperance n’oblige pas de benir à jamais Dieu qui l’a donné, le Roy qui l’a produit, et la Reyne qui l’a conceu pour la prosperité de cette monarchie.
Le lundy vingt septiesme septembre, le feu Roy partit de Chantilly et vint coucher à Luzarche, le lendemain à Escouan et arriva le mercredy vingt neufieme à Sainct Germain, où le defunt cardinal duc de Richelieu se rendit aussi des armées de Picardie le mesme jour et quasi à mesme heure que Sa Majesté, laquelle il trouva dans la chambre de monseigneur le Dauphin, où la Reyne estoit aussi. Il seroit mal aisé d’exprimer de quels transports de joye Son Eminence fut alors touchée, voyant entre le père et la mere cet admirable enfant, l’objet de ses souhaits et le dernier terme de son contentement. Puis Sadite Eminence s’en alla coucher à Ruel. »

Récit de la mort de Louis XIII au Château-Neuf de Saint-Germain-en-Laye

« [p. 341] Relation de ce qui s’est passé jusques à present de plus memorable en la maladie du Roy
Ce poete qui appeloit nostre monarque « la merveille des rois et le roy des merveilles » n’en disoit pas assez : sa vie est une suite de miracles, desquels attendant la continuation, l’honneur que Sa Majesté m’a fait de me commettre la plume publique pour declarer à ses peuples, voire à tout le monde, ses belles actions fait autant reconnoistre mes forces inegales à une charge si importance et qui regarde la chose la plus delicate qui se puisse rencontrer dans le commerce des hommes, qui est leur reputation, comme il m’oblige à faire mes petits efforts pour eviter au moins le reproche d’avoir laissé ensevelir dans l’oubli les beaux exemples que fournissent à tout le monde ces royales et chrestiennes actions, qui seront autant de precieuses reliques aux siecles à venir. Dans lesquels, entre les autres vertus qui font admirer ce grand prince, sa foy, par un effet contraire à sa nature, fera des mecreans, aucun ne pouvant croire ce qui s’en dira, ce que feroyent encor beaucoup moins ceux qui ne le verroyent point consigné dans nos memoires, d’autant plus croyables qu’ils sont mis au jour en mesme temps que les choses dont ils traitent. Tout ainsi donc que les peintres s’efforcent à l’envi les uns des autres de representer naifvement les traits de l’auguste visage de ce monarque sans pareil, voyez ici [p. 342] depeints ceux de son esprit, qui vous apprendront que ce grand prince est encor plus grand par ses propres vertus que par la dignité qu’il possede du premier roy du monde et par la haute reputation de tant de conquestes.
Le Roy tomba malade le 21 fevrier dernier et bien que quelques bons intervalles, joints aux grand desir que nous avons de sa guerison, nous l’eussent fait croire, si est ce que son mal s’augmenta le dix neufieme de ce mois, de telle sorte que sa pieté le convia de penser à la fragilité de la vie humaine, pour laquelle ayant fait plusieurs excellentes meditations sur le sujet de sa mort, il fit ouvrir les fenestres de sa chambre du chasteau neuf de Saint Germain en Laye, où il est à present, et voyant par là l’eglise de Saint Denys : « voilà (dit il en la montrant) ma derniere maison, où je me prepare pour aller gayement ». Le soir du mesme jour, au lieu de la vie des saints qu’il se faisoit lire les jours precedents par l’un des secretaires de son cabinet, il lui commanda de lire le 17 chapitre de l’evangile selon saint Jean, où est ce passage : « ego te clarificavi in terra : nunc igitur clarifica me Pater ». Puis, il lui fit prendre l’Introduction à la vie devote et lire le chapitre « Du mespris de ce monde », et ensuite lui commanda de prendre le livre de Kempis, lequel ce secretaire voulant lire par ordre des chapitres, Sa Majesté lui mit la main sur celui « De la meditation de la mort ».
Le 20, le Roy fit sa declaration pour la regence de la Reine et le gouvernement de ses estats, dont vous avez ouy une partie, sur laquelle declaration il donna à entendre sa volonté [p. 343] avec un visage qui tesmoignoit grande satisfaction. Sa Majesté, entre les autres seigneurs et dames qui le vinrent visiter, receut ce jour là le duc de Vandosme.
Le 21, la princesse de Condé et le cardinal Mazarin eurent l’honneur de tenir sur les fonts monseigneur le Daufin, qui fut nommé Louis, selon la volonté du Roy, et le mareschal de Bassompierre fut receu à baiser les mains de Sa Majesté.
Le 22, le Roy se trouvant affoibli par la grandeur et continuation de sa maladie, à la premiere mention qui lui en fut faite, dist au père Dinet, jesuite : « Je suis ravi d’aller à Fieu, allons, mon pere, confessez moy », et recita le pseaume « Laetatus sum in his quae sunt mihi ». ce fait, il delibera de communier pour le viatic, en laquelle action il ne montra pas moins de prudence qu’en toutes les autres de sa vie, car Sa Majesté, prevoyant les differens qui pourroyent arriver entre plusieurs seigneurs presens, à qui tiendroit la nape de communion, dont les deux coins plus pres du Roy ont accoustumé d’estre tenus par les deux seigneurs plus qualifiez et les deux autres par deux aumosniers de Sa Majesté, Elle avoit dit à l’evesque de Meaux, son premier aumosnier, qu’il ne mist point de nape et n’estendit qu’un voile sur le lit de Sa Majesté, qu’elle seule tiendroit. Ce qu’on alloit faire, lorsque Monsieur, frere unique du Roy, et le prince de Condé arriverent en la chambre de Sa Majesté, laquelle, selon la presence de son esprit, dist à l’evesque de Meaux, lorsqu’il lui alla donner de l’eau benite à son ordinaire avant que de la communier, que ces deux princes ayans par leur arrivée terminé [p. 344] le different que l’on aprehendoit, il pouvoit faire mettre la nape sur son lit, ce qui fut fait, et le coin de la main droite du Roy tenu par Monsieur et l’autre par le prince de Condé, les deux autres coins furent tenus par les sieurs de Lesseville et Hyacinte, aumosniers du Roy estans de present en quartier. Ledit evesque de Meaux ayant auparavant dit la messe « pro infirmo » dans la chambre du Roy sur un autel à ce preparé, et ayant communiqué, le Roy et toute l’assistance reciterent tout haut le Confiteor. Puis l’evesque officiant donna l’absolution deprecatoire et presenta ensuite la sainte hostie au Roy, qui la receut dans son lit, tous les rideaux ouverts, avec des tesmoignages de pieté qui ne seroyent pas imaginables en un autre. Et la messe estant achevée, chacun se retira en grande tristesse, tous pleurans excepté le Roy, lequel affrontant la mort d’une contenance hardie, confirma par effet la creance qu’on a tousjours eue de la grandeur de son courage, et donna des preuves certaines de sa magnanimité et veritable force d’esprit, ce qui ne consiste pas à mespriser les perils, comme plusieurs font, quand ils en sont loin, mais bien à les braver en leur presence et surtout, disent les philosophes, ceux qui sont les plus grands, comme est la mort, qu’ils appellent à ce sujet le terrible des terribles, de l’apprehension de laquelle tous estoyent effrayez, mais non pas lui, leur trouble estant grandement accreu par les larmes de la Reine. Cette incomparable princesse, qui ne perdoit point le Roy de veue, [p. 345] avoit assité à la messe et à la communion de Sa Majesté ; pres de laquelle se tenant lors à genoux, tousjours fondante en pleurs, apres que le Roy lui eut tesmoigné par sa bouche les ressentimens qu’il avoit de sa vertueuse conduite, elle receut la benediction de Sa Majesté, comme aussi messeigneurs leurs enfans. Ensuite de quoy, le Roy demanda l’extreme onction. Mais la grande affection de tous les assistans faisoit qu’on ne vouloit desesperer que le plus tard qu’on pourroit de sa guerison, et par ce moyen se laissans doucement entrainer à l’usage qui a fait degenerer ce remede de la primitive Eglise, institué pour la convalescence des malades, en un dernier azole de ceux dont la santé est deseperée. Cette sainte onction fut differée jusques sur les quatre heures apres midi du mesme jour, et de cette heure là encores jusqu’au jeudi suivent. La piété de ce prince estoit telle qu’il en voulut etendre les effets jusqu’aux seigneurs qui le venoyent visiter. Entre lesquels il usa de ces mots au mareschal de La Firce : Je vous connois, lui dist il, pour un des plus honnestes, sages et vaillans gentilshommes de mes Estats ; mais me jugeant prest d’aller rendre compte à Dieu, je suis obligé de vous dire que je croi qu’il vous a laissé vivre un si grand aage pour vous donner temps de penser à votre conversion, et vous faire enfin reconnoistre qu’il n’y a qu’une religion en laquelle on puisse estre sauvé, qui est la catholique, apostolique et romaine, que je professe. Il incita aussi le mareschal [p 346] de Chastillon à en faire autant. L’après dinée, le duc de Vendôme s’estant mis à genoux près du Roy, comme la pluspart des autres seigneurs et dames luy venoient baiser la main en cette posture, il receut la bénédiction de Sa Majesté.
Le Roy receut le mesme jour la duchesse d’Elboeuf et ses enfans, et voulut voir le sieur de Gandelu, nagueres retourné de Flandres, où il estoit prisonnier de guerre. Puis, Sa Majesté s’estant enquise si, selon l’apparence, Elle pourroit passer la nuit, sur ce qu’on lui repartit que ses prieres et celles de ses sujets presentoyent à Dieu pour sa santé la sortiroyent de ce danger, Elle repartit ne demander pas absolument à Dieu d’en eschaper, estant entierement resignée à sa volonté, mais pour ce que les vendredis lui avoyent tousjours esté heureux, qu’Elle esperoit vivre au moins jusqu’au Vendredi suivant, pour recevoir lors le plus grand heur qui lui soit jamais arrivé. Pour cet effet, Elle ne voulut pas qu’on attendist jusqu’à ce jour là à lui donner l’Extreme Onction, qu’elle receut le jeudi 23 dudit mois à 9 heures et demie du matin, avec la plus grande résolution qui ne scauroit jamais croire, respondant à l’evesque de Meaux, qui lui donna ce dernier sacrement, à tous les pseaumes et litanies, et tesmoignant un courage plus qu’humain en une rencontre où l’humanité ne trouve que matière de desespoir. Mais il faloit que cet acte de la vie d’un si grand prince respondit à tous les precedens et qu’il servist comme de seau pour confirmer un chacun dans la haute estime en laquelle tout le monde le doit avoir, [p. 347] telle que tout ce que nous lisons de la fin des grands rois, empereurs et personnes plus illustres n’a rien qu’on puisse egaler à cette ci, que j’appelle fin non à nostre regard, puisque la France est encor’ si heureuse que de jouir de sa presence tant desirée et d’avoir ce grand Roy vivant, que Dieu lui conservera, s’il lui plaist, encor longues années ; mais fin à son égard puisque, l’ayant creue telle, il est d’autant plus à admirer qu’il la hardiment envisagée d’un esprit sain et vigoureux, et avec des forces qui manquent aux hommes mourans, lesquels cessent ordinairement plustost par foiblesse que par resolution de luiter contre les loix de la nature et de son autheur. Ce jour là, le mareschal de Vitri fut aussi receu du Roy, comme l’avoit esté auparavant le mareschal d’Estrée, et chacun lui baisant la main en pleurant, Sa Majesté, à l’objet de tant de visages baignez de larmes, en eut de la compassion qu’Elle tesmoigna proceder de la pitié qu’Elle avoit de leur tristesse, disant toutefois n’estre pas faschée qu’on la pleurast, puisque c’estoit une preuve certaine de l’affection que luy portoyent tous ses bons sujets, lesquels il n’aimoit pas moins qu’il estoit aimé d’eux. Sa Majesté donna charge ensuite au prince de Condé de faire entendre au duc de Chevreuse, aussi présent, qu’Elle ne lui vouloit point de mal. La Reine avoit fait apporter son lit du vieil chasteau dans le nouveau, près de la chambre du Roy, et s’estant mise à genoux au chevet de Sa Majesté, mais fondant toute en larmes, le Roy après un long entretien la pria de se consoler et se retirer [p. 348] un peu à l’écart de peur de l’affliger par sa tristesse. Il passa le reste de la journée en prieres et meditations pleines de transports qu’il faisoit eclorre par des paroles toutes divines et ravissantes. Il eut meilleure la nuit du 23 au 24, que l’on craignoit le plus.
Le 24, il fut exempt de l’accez ou redoublement qui lui estoit arrivé les jours precedens sur les dix à unze heures du matin, et se trouva si bien l’apres dinée qu’il commanda au sieur de Nielle, premier valet de sa garderobe, d’en remercier Dieu, comme il fit, chantant sur l’air que Sa Majesté lui avoit autrefois Elle mesme donné, cette paraphrase du sieur Godeau, qui commance Seigneur, à qui seul je veux plaire, et lui aida, et aux sieurs Campefort et Saint Martin, à faire un concert en sa ruelle sur de pareils cantiques.
Le 25, l’amandement de la maladie du Roy continuant, Sa Majesté fit faire collation de ses confitures de Versailles à la Reine, à la princesse de Condé, aux duchesses de Lorraine, de Longueville, de Vandosme et autres dames ; et la Reine, Monsieur, le prince de Condé, le cardinal Mazarin, les ministres d’Estat et autres officiers de Sa Majesté, qui luy ont rendu pendant toute sa maladie des preuves indubitables qu’ils continuent de leur affection, toute la Cour en un mot, commança de mieux espérer, comme elle fait encor à présent ; et cette convalescence, nonobstant les apprehensions, continue de bien en mieux, Dieux exauçant visiblement les prieres de plus de quarante millions d’ames.
A Paris, du bureau d’adresse, le 30 avril 1643.
[…]
[p. 359] De Saint Germain en Laye, le 1 may 1643
Ne vous pouvant donner de nouvelles plus importantes à cet estat et au bien de la chrestienté que celles de la santé du Roy, puisque vous avez eu la relation de sa maladie jusques au 25 du passé, je vous la continueray. Le vingt sixiesme ensuivant, Sa Majesté se porta encor un peu mieux. Mais le 27, nostre joye fut troublée par une nouvelle apprehension de fievre accompagnée des mesmes accidens que par le passé. Toutesfois, ils furent de peu de durée car, par la grace de Dieu, qui protege ouvertement la personne de Sa Majesté, tous ces accidens se diminuerent d’eux mesmes le lendemain 28, et tout alla de bien en miaux, avec un tel progrez que le 29, Sa Majesté se trouva en beaucoup meilleur estat qu’Elle n’avoit fait depuis longtemps. Cet amandement s’accreut encor le jour d’hier, de quoi chacun pouvoit assez juger par la gayeté peinte sur les visages de toute la cour, lequel amandement tous attribuoient aux ardentes prieres et saintes devotions de la Reine et à celles des sujets du Roy, à son exemple. Cette pieuse Reine ne s’estant pas contentée de l’assiduité qu’elle rend jour et nuit au chevet de Sa Majesté depuis le commancement de sa maladie, mais continuant depuis ce temps là ses prieres [p. 360] en particulier à toutes heures, comme elle les fait ici en public tous les jours à six heures du soir, dans la chapelle du vieil chasteau, où se trouvent souvent les princes, princesses, ministres d’Estat et autres seigneurs et dames. Dans laquelle les evesques, qui sont ici en grand nombre, et les aumosnier de Leurs Majestez, et autres ecclésiastiques, se relevent d’heure à autre pour continuer leurs devotions devant le saint sacrement qui y est exposé, la Musique du Roy y chantant plusieurs motets apres les litaniers et excitant le zele d’un chacun pour flechir d’autant plustost le Ciel à nos prieres. Mais ce que je ne puis taire, et qui ne paroistra pas le moins admirable en cette maladie, est qu’elle n’a pu empescher le Roy de donner tous les jours les ordres necessaires aux affaires de son Estat. Jusques là que le jour que Sa Majesté receut l’extreme onction, Elle disposa des seances que chacun devoit avoir dans le Conseil qu’Elle voulut estre tenu ce jour là par la Reine, suivant sa declaration testamentaire. Ce qui n’empescha pas toutefois que Sad. Majesté ne voulust que la Reine lui en fist le rapport à l’issue dudit Conseil. Aussi rien n’a t il empesché le Roy qu’il ne vacast tous les jours à la reception des seigneurs et dames qui venoyent visiter Sa Majesté, entre lesquels la duchesse de Guise, sa fille et ses deux fils, nagueres arrivez avec elle d’Italie, furent receuz de Sa Majesté le 29 du passé, qui vid aussi le mesme jour les sieurs de Manicamp et de Beringhen. Ce jourd’hui est encor arrivé pres de la personne du Roy le duc de Bellegarde.
[…]
[p. 401] La France en deuil
Le Roy est mort. Ne m’appellez plus l’agreable, appellez moi la desolée et pleine d’amertume, dit aujourd’hui la France apres la belle mere de Ruth dans l’histoire sacrée.
Dieu a t il donc repoussé les vœux de tant de personnes de toutes conditions, sexes et aages ? Ou nostre zele relasché et nos mains appesanties ne nous ont elles point arresté et suspendu les faveurs d’en haut ? Ou plustost l’extreme pieté de nostre bon Roy, qui demandoit pour lui le Ciel avec tant d’instance, n’a t elle point surmonté la nostre qui le vouloit retenir en terre ? Quoy qu’il en soit, nostre tristesse est arrivée à son dernier point par la perte du meillur, du plus juste et du plus victorieux monarque qui ait régi la France depuis plusieurs siècles. Et pour ce que nous trouvons quelque soulagement dans la connoissance des moyens qui ont contribué à notre perte, comme il elle en estoit moindre, voici la continuation du recit de la maladie du Roy, depuis le 30 du passé.
Les cinq jours suivans diminuerent beaucoup de la joye que l’amandement des precedens nous avoit fait concevoir. Car encor que le Roy eut quelques notables relasches, si est ce que le redoublement de sa fievre lui arrivant tous les jours et les autres accidens de sa maladie [p. 402] perseverans la rendoyent grandement perilleuse. Mais sa violence n’interrompit jamais les elancemens de son ame vers le Ciel, entre lesquels il tesmoignoit porter envie aux saints martyrs, dont il se faisoit lire la vie toutes les nuits qu’il passoit sans dormir. Et bien que ses veilles et le peu d’aliment qu’il prenoit lui deussent naturellement causer quelque resverie, il en a esté exempt comme par une grace speciale, la force de son esprit ne s’estant jamais relaschée, mesmes aux moindres choses : sa resignation a tousjours esté telle qu’ayant eu en suite quelque petite relasche qui relevoit l’espérance abbatue de quelques uns des assistans, il leur dist qu’il vouloit tenir tousjours son esprit dans l’indifference de mourir ou de vivre, selon qu’il plairoit à Dieu d’en ordonner, desirant neantmoins plustost le premier que le dernier, comme il montroit repetant souvent ces mots : Taedet animam meam vitae meae, ou s’il desiroit de vivre, il y ajoutoit incontinent que ce n’estoit que pour faire penitence au monde, y faire regner de plus en plus la pieté et la justice, et y procurer surtout une paix glorieuse à son estat, laquelle si Dieu ne lui permettoit pas de pouvoir faire tandis qu’il seroit sur la terre, son ame se prosterneroit incessamment devant Dieu pour l’impetrer de sa misericorde.
Mais ce qui ne doit pas estre de peu de consideration, comme il n’est pas un petit exemple à ceux qui gouvernent, Sa Majesté n’a jamais cessé durant toute sa maladie de donner ordre aux affaires de son Estat, dont elle entretenoit tous les jours la Reine, monseigneur le duc [p. 403] d’Orléans son frere, le prince de Condé, le cardinal Mazarin, son chancelier, le surintendant de ses finances et le sieur de Chavigni, avec une singuliere confiance.
Elle avoit le 5 de ce mois donné la coadjutorerie de l’archevesché d’Arles à l’evesque de aint. Pol, premier suffragant dudit archevesché, et l’evesché de Saint Pol à l’abbé de Grignan, frere dudit evesque de Saint Pol, et avant ce temps là et depuis receut humainement tous les princes, princesses, seigneurs et dames qui le venoyent visiter et compatir à son mal, tous lesquels comme il me seroit malaisé de vous nommer, ainsi ne vous puis je taire, sans oublier les principaux traits de l’esprit de Sa Majesté, les entretiens qu’Elle eut avec quelques uns de ceux qui sont venus à ma connoissance. Elle tesmoigna au duc de Vendosme un grand contentement de le voir de retour, comme Elle avoit receu un sensible deplaisir à son absence, ce qu’Elle lui feroit connoistre par tous les effets possibles et le regret qu’Elle avoit du passé. Elle en dist autant à la duchesse de Guise. Le duc d’Engoulesme s’estant approché de son lit, le Roy lui montra son estomac amaigri par la longueur de sa maladie, lui faisant remarquer comme la qualité de roy n’exemptoit aucun des infirmitez attachées à la condition humaire. Et montrant au sieur de Liencour ses bras decharnez, lui dist cette belle sentence : Memento homo quia cinis et et in cinerem reverteris. Aussi possédoit il tellement tous les passages sacrez qu’on ne lui avoit pas plustost [p. 404] commancé le verset d’un pseaume qu’il l’achevoit. Il estoit si bien instruit en tous les points de l’escriture qu’au lieu que les autres entendent les choses par les mots, il entendoit les mots par les choses mesmes, dont l’usage lui avoit rendu la langue latine aussi familiere que la nostre. Le sieur de Ventadour l’aisné, ecclesiastique, estant venu coucher en son antichambre le huitieme de ce mois pour l’entretenir de discours de devotion quand il ne faisoit plus lire dans les livres sacrez, il se plaignit souvent à lui de son mal, non pour autre raison, disoit-il, sinon qu’il l’empeschoit de prier Dieu aussi librement comme il le desiroit. Il ne pouvoit ouir parler d’aucune matiere de devotion qu’il n’y respondist de parole ou de geste. Et quand la force de son mal eut abatu celle de son corps, voire estant mesme proche de sa fin et un peu devant sa mort, à chaque mention qu’il entendoit faire de Dieu et des choses saintes, il levoit incontinent les yeux au Ciel, tendoit les bras et remuoit les levres, tesmoignant par là les saints mouvemens de son ame.
Mais pourquoi viens je si tost à cette mort et à cette fin ? Pleust à Dieu que quelqu’autre de cœur plus dur et qui seroit moins touché du sentiment de la perte d’un si bon prince vous pust achever le reste. C’est ici où les plus scavans trouveront à apprendre, les gens de bien à se consoler, et les meschans à craindre. Hommes, voici cette catastrophe de la comedie que nous jouons tous, et ce masque levé où il n’y a plus moyen de se deguiser, mais où il faut paroistre tels que nous sommes.
C’est là où nostre second saint Louis, apres le flux [p. 405] et reflux des agitations diverses que le monde lui a données trouve le port de son salut tant desiré.
Chacun avoit encore la mémoire toute recente de sa confession, de sa communion et des autres actes d’un roy veritablement tres chretien : il n’y a que lui qui en trouve la repetition necessaire. Ayant donc demandé instamment la communion le douziesme dudit mois et lui ayant esté accordée, Sa Majesté, qui s’estoit confessée tous les jours de la derniere semaine de sa maladie, se reconcilia encor le matin de ce jour là, et le pere Dinet, jesuite, son confesseur, lui ayant donné l’absolution, il communia par les mains de l’evesque de Meaux, son premier aumosnier, avec son zele ordinaire. La Reine s’approchant du chevet du Roy, Sa Majesté prit sa main et celle de monseigneur le duc d’Orleans, son frere unique, et les joignit ensemble, leur faisant derechef promettre entre ses mains une bonne union et concorde, et qu’ils auroyent soin des enfans de Leurs Majestez. En mesme temps, le Roy appella l’evesque de Lizieux d’entre les autres prelats, lui communiqua durant quatre ou cinq heures tout ce qui regardoit sa conscience, et lui marqua l’endroit où sont les prieres pour les agonizans, afin qu’on les lui dist lorsqu’il seroit en cet estat.
Le 13, à la premiere mention que lui fit son confesseur de se preparer à bien mourir, il l’embrassa, recitant le Te Deum, pour la joye que lui donnoit l’esperance d’estre bientost joint à son createur, et fit appeler l’evesque de Meaux pour reciter les prieres de la recommandation de l’ame, ce qui donna sujet au bruit de sa mort qui courut ensuite, [p. 406] mais lui estant arrivé quelque petit soulagement, ces prieres furent differées jusqu’au lendemain 14.
Auquel jour, ledit evesque de Meaux disant la messe dans la chapelle du chasteau neuf sur les 7 à 8 heures du matin, le Roy le manda derechef pour faire lesdites prieres. A cette fin, il entra dans la chambre du Roy revestu de son rochet, camail et estole violette, où il trouva l’evesque de Lisieux que Sa Majesté avoit envoyé querir, et où estoit aussi l’evesque de Beauvais et son confesseur avec le pere Vincent, superieur de la Mission, ledit sieur de Ventadour et les aumosniers de Sa Majesté, qui firent ladite recommandation de l’ame, le Roy leur respondant avec son zele accoustumé, comme faisoyent aussi la Reine, les princes, princesses, ducs et pairs, mareschaux de France et autres seigneurs et dames là presens. Et apres que ledit evesque de Lizieux, auquel Sa Majesté avoit donné charge de ne l’abandonner point, lui eut fait former des actes de foy, d’esperance, de charité et de contrition qui lui estoyent fort familiers, Elle l’embrassa et le baisa, l’apelant son père. La parole lui manqua à une heure et demie apres midi, depuis lequel temps les evesques de Lizieux et de Meaux lui continuans des admonitions chrestiennes, que le Roy tesmoignoit par signes bien entendre un quart d’heure durant. Il demeura encor demie heure avant que d’expirer, comme il fit fort doucement entre les bas desdits evesques de Lizieux et de Meaux, de son pere confesseur et du pere Vincent, tres saintement et comme il appartenoit au fils aisné de l’Eglise, ayant contenté ces deux prelats et ces ecclesiastiques sur tous les sujets qui regardoyent sa conscience, et ayant rendu la Reine, tant en [p. 407] sa presence qu’en son absence, tous les tesmoignages d’une sainte amitié conjugale, apres avoir accompagné leur dernier adieu de larmes reciproques. Ainsi expira ce bon prince sur les deux heures et un quart apres midi du 14 jour de may, l’an 43 de ce siecle et 42 de son age non encor revolu, apres avoir regne justement 33 ans, et, ce qui ne se peut concevoir sans merveille, le mesme jour du mesme mois, la mesme apres disnee et environ la mesme heure que mourut Henry le Grand, son pere, tous deux d’eternelle memoire. Jour que cette double perte nous feroit appeler malheureux si nostre Sauveur ne l’avoit choisi cette année pour son ascension, et pour celle de cette ame bien heureuse qui loge maintenant dans le Ciel. L’evesque de Meaux ayant dit ensuite les prieres de l’absoute des morts, l’evesque de Lizieux et lui fermerent les yeux du Roy et l’evesque de Meaux, lui ayant baisé la main et fait une grande reverence, donna les ordres necessaires pour accompagner le corps d’ecclesiastiques.
Nostre grande Reine ne s’est jamais montrée plus grande qu’en ce rencontre, où Sa Majesté a fait douter laquelle de toutes ses perfections s’est trouvée en un plus haut degré, ou son assiduité autour de la personne du Roy defunt, qu’elle n’a jamais abandonné durant les longueurs de cette fascheuse maladie, ou sa pieté, qui a servi d’exemple à tout le monde pour extorquer du Ciel la santé de ce cher espoux s’il eust esté possible, ou sa présence d’esprit qui a desjà paru dans les conseils et qui se fait admirer dans la conduite des affaires, ou sa constance qui lui fait si dignement conjoindre les interests de vefve à ceux de mere [p. 408] d’un grand Roy et regente d’un grand royaume, ou cette bonté sans pareille qui lui gaigne les cœurs de tout le monde et l’eust faite reine d’election quand elle ne l’eust point esté de naissance.
Si tost que le Roy fut decedé, la Reine regente, accompagnée de monseigneur le duc d’Orleans, du prince de Condé et des autres princes, princesses, ministres, ducs et pairs, mareschaux de France et autres officiers de la Couronne en grand nombre, fut conduite du chasteau neuf de Saint Germain dans le vieil, en passant par la chapelle où elle et toute la cour, fondans en larmes, firent leurs prieres pour le repos de l’ame du defunt, et se rendit en son ancien appartement où se trouva le Roy à present regnant, entre les mains duquel, la Reine regente sa mere presente, le prince de Condé presta le serment de grand maistre de France, qui fut leu par le sieur de Guenegaud, secretaire d’Estat ayant le departement de la Maison du Roy, avec ordre audit grand maistre d’ordonner de tout ce qui concernera la pompe funebre du Roy defunt, dont vous aurez le recit au premier jour. Et enfin, nos larmes essuyées par le contentement que nous promettent cette heureuse regence et l’estroite union de tous les seigneurs de son conseil, que la mémoire de nostre prince mourant va rendre eternelle, persuaderont aisement à nos ennemis de faire la paix avec une Couronne qui abreuve ses chevaux en mesme temps dans le Po, dans le Rhin et dans l’Ebre, chez qui les accidens communs à tous les hommes ne rebatent rien de la valeur propre à sa nation, qui leur fera tousjours voir que le Roy n’est pas mort.
A Paris, du bureau d’adresse, le 16 may 1643. »

Récit dans le registre paroissial du port du viatique à la reine-mère au Château-Neuf de Saint-Germain-en-Laye

« Le 4e jour de juin 1665, le Roy honora la parroisse de sa presence pour la procession de la feste du saint sacrement qui escheoit aud. jour, accompagné de la Reyne, de Monsieur, son frere, de Madame, des princes et princesses, seigneurs et dames, de plusieurs archevesques et evesques et autres officiers de Leurs Majestez, lad. procession faicte et messe haute et solemnelle chantée ensuitte par maistre Pierre Cagnyé, ancien curé de ce lieu de Saint Germain en Laye, ausquels divins offices entierement assisterent Leurs Majestez avec grande devotion et à la grande edification et joye de touts les assistants. »

Rapport du marquis d’Antin concernant l’état des châteaux de Saint-Germain-en-Laye

« [f. 17] Sire,
Je fus visiter mercredy dernier une partie des pépinières de Morlet […]
[f. 17v] J’ay été à Saint Germain, lequel est en bon état en tout ce qui dépent du sieur de Ruzé et autres officiers. J’ai veu une chose qui m’a fort scandalizé : c’est la chambre dans laquelle est née Votre Majesté. Il n’est pas permis qu’elle soit abandonnée comme elle est. J’ay osé, Sire, pour la seule fois de ma vie, ordonner sans votre participation qu’elle fût rétablie incessamment et décorée comme il convient. Tous vos sujets, Sire, doivent respecter un lieu comme celuy là ; jugez de ce que je panse à mon particulier.
[Annotation du roi :] Bon
M. de Ruzé a vendu à Ober, charpentier, le vieux manège du roy d’Angleterre la somme de 3000 l. [f. 18] C’est en vérité moitié plus qu’il ne vaut, mais il m’a assuré qu’il avoit ancore été paié plus grassement quand il avoit été construit.
[Annotation du roi :] Bon
J’ay été au Val, que j’ai trouvé très bien soigné, les espalliers et les vergers en très bon état. Il n’y a quasi point de fruit cette année. Il y a quelque petite réparations à faire aux parquets, qui ne méritent pas de vous en importuner.
[Annotation du roi :] Bon
[…]
[f. 19] A Versailles, le 6 de juillet 1708 »

Maison du Roi (Ancien Régime)

Quittance pour l’entretien des oiseaux d’une des volières du Château-Neuf

« En la presence des notaires soubzsignez, Anthoine Paul Berthin, ayant la charge de l’ancienne volliere de Saint Germain en Laye, confesse avoir receu comptant en cette ville de Paris de messire Estienne Jehannot, seigneur de Bartillat, conseiller du Roy en ses, commis par Sa Majesté à l’exercice de la charge de tresorier de son Espargne, la somme de trois cens soixante trois livres quinze solz en louis d’argent à luy ordonnée tant pour nourriture des animaux et oyseaux qu’il a sous sa charge que pour son entretenement pendant le quartier de juillet, aoust et septembre dernier, de laquelle somme de trois cens soixante trois livres quinze solz led. Berthin se contente et en quicte led. seigneur de Bartillat et tous autres. Promettant. Obligeant. Renonceant. Faict et passé à Paris ez estudes l’an mil six cens soixante deux, le deuxiesme jour d’octobre, et a signé.
Berthin
Pain, Gigault »

Quittance pour le décor de la grotte d’Orphée au Château-Neuf

« En la presence des notaires soubzsignez, Thomas Francine, ingenieur du Roy, a confessé avoir receu comptant de noble homme maistre Jehan Jacquelin, tresorier des Bastimens du Roy, la somme de dix huict cens livres tournois en [vide] à luy ordonnée sur estantmoings des aornemens et decoration de la grotte de l’Orphée à Sainct Germain en Laie et materiaux qu’il y fournit et entretenement de ses hommes qui y travaillent, de laquelle somme de XVIIIc l. il se tient content et quicte led. sieur Jacquelin, tresorier, et tous autres. Promettant. Obligeant. Renonçant. Faict et passé es hostelz desd. notaires le dix septiesme jour de septembre apres midy mil six cens trois, et a signé.
La soma di lire millaottocianto
Tomaso Francini
Chapelain, Le Vasseur »

Quittance pour le bois pour la couverture d’une galerie en terrasse dans le jardin du Château-Neuf

« En la presence des notaires du Roy nostre sire ou Chastelet de Paris soubzsignez, Remond Vedet dict La Fleur, cappitaine du charroy de l’artillerie du Roy, a confessé avoir eu et receu comptant de noble homme me Jehan Jacquelin, tresorier des Bastimens du Roy et commis à l’exercice dud. office en ceste presente année, la somme de cinquante escuz sol en [vide] à luy ordonnée pour avoir vendu et livré pour Sa Majesté la quantité de quatre cens grosses perches ou balliveaux pour servir à la couverture de pierre à la grande gallerie en terrasse faite de neuf à la troisiesme descente de son chasteau neuf de Saint Germain en Laye, de laquelle some de L escuz sol il s’est tenu content, en a quicté et quicte led. sieur Jacquelin, tresorier susd., et tous autres. Promettant. Obligeant. Renonçant. Faict et passé es hostelz des notaires le premier jour de decembre avant midy mil six cens ung, et a signé :
Vedet
Chapelain, Le Vasseur »

Quittance pour du fil de laiton pour les volières des châteaux de Saint-Germain-en-Laye

« En la presence des notaires du Roy nostre sire au Chastelet de Paris soubzsignez, Adrien de Villers, maistre espinglier à Paris, a confessé avoir eu et receu comptant de noble homme me Jehan Jacquelin, tresorier des Bastimens du Roy, la somme de vingt ung escu trente six solz en [vide], à luy ordonnée pour la quantité de sept vingtz quatre piedz de lassis et gros fil de laiton qu’i a faictz et livrez de neuf pour le Roy tant a[ux] fenestres et bees des grotes de Sainct Germain en Laye que aux vollieres de ses oyseaulx aux chasteau et bastimens neufz dud. lieu, de laquelle somme de XXI escus XXXVI solz il s’est tenu contant, en a quicté et quicte led. sieur Jacquelin, tresorier susd., et tous aultres. Promettant. Obligeant. Renonçant. Faict et passé es hostelz des notaires le vingt troisiesme jour de novembre apres midy mil six cens, et a signé :
Adryen de Vyller,
Chapelain, Le Vasseur »

Quittance pour des réparations de vitreries aux châteaux de Saint-Germain-en-Laye

« En la presence des notaires soubzsignez, Pierre Le Liepvre, vitrier ordinaires des Bastiments du Roy, confesse avoir receu comptant des le dix huictiesme juillet MVIc vingt trois de noble homme messire Anne Jacquelin, conseiller du Roy et tresorier general des Bastiments de Sa Majesté, la somme de deux cens quinze livres quatre solz six deniers à luy ordonnée pour les ouvrages et reparations de vittrerie par luy faictz pour le Roy durant l’année MVIc vingt deux en plusieurs endroictz du chasteau vieil et neuf de Saint Germain en Laye suivant les partyes de ce faictes et veriffiées par le controlleur general desd. Bastiments, de laquelle somme de deux cens quinze livres quatre solz six deniers led. Le Liepvre se contente et en quitte led. sieur Jacquelin, tresorier susd., et tous autres. Promettant. Obligeant. Renonçant. Fait et passé es estudes desd. notaires l’an mil six cent vingt cinq, le vingt cinquiesme jour de juing apres midi, et ont signé.
Pierre Le Lievre
Bruneau, Le Camus »

Quittance pour des ouvrages de peinture faits au Château-Neuf

« En la presence des notaires soubzsignez, Loys Poisson, peinctre ordinaire du Roy, a confessé avoir receu comptant de noble homme maistre Henry Estienne, tresorier des Bastimens du Roy, la somme de neuf cens livres tournois en [vide] à lui ordonnée sur les ouvraiges de peinctures, dorures et enrichissemens par luy faictes et qu’il continue faire en la superficie de la voulte de la gallerye neufve de Sa Majesté au chasteau de Sainct Germain en Laye du costé du Pecq, ensemble pour les peinctures des tableaulx et lambris d’icelle gallerye, et ce outre et par dessus la somme de VIIIm troys cens livres tournois par luy cy devant receue, de laquelle somme de IXc livres il se tient contant, en quicte led. sieur Estienne, tresorier, et tous autres. Promettant. Obligeant. Renonçant. Faict et passé es hostelz des notaires le premier jour de janvier, avant midy, mil six cens unze, et a signé.
Poisson, Herbin
De Monhenault »

Procès-verbal d’une séance de l’administration de Seine-et-Oise demandant la concession d’un logement au château de Saint-Germain-en-Laye

« Liberté, égalité
Extrait du registre des délibérations de l’administration centrale du département de Seine et Oise
Séance publique du seize brumaire l’an septième de la République française, une et indivisible
Vu par l’administration centrale du département de Seine et Oise une pétition présentée par le citoyen Oflyn, médecin à Saint Germain en Laye, tendante à ce que l’administration le fasse rembourser du montant d’une charge et lui accorde un logement gratuit dans le château national de Saint Germain,
Observant que sa qualité de père de famille, ses infirmités, les traitements continuels qu’il opère gratis pour les vétérans et autres troupes en station dans ladite commune lui font espérer un favorable accueil,
Vu cinq certificats constatant que le pétitionnaire ne cesse de consacrer son tems et ses services au soulagement des militaires malades et qu’il existe au ci devant château bien des logemens inutiles,
Vu la délibération de l’administration municipale de Saint Germain du 23 fructidor an 6e estimant qu’il y a lieu par le département de faire droit à la demande du citoyen Oflyn en ce qu’elle est relative à la jouissance gratuite de son logement et sous la condition qu’il continuera ses soins gratuitement aux vétérans tant qu’il jouira dudit appartement, laquelle jouissance cesseroit aussitôt que l’intérêt public l’exigeroit,
Vu les observations du directeur de la régie, datée du cinq de ce mois, portant que la régie ne peut consentir à la concession gratuite d’aucun logement dans un bâtiment national, que cependant, attendu que le château de Saint Germain a, dans sa presque totalité, une destination militaire, que le citoyen Oflyn se rend très utile aux militaires qui l’occupent, il n’y a aucun inconvénient, et le bien public paroit exiger, que les chefs militaires l’autorisent à prendre un logement qui le mettra plus à même de distribuer des secours aux militaires malades et dont il ne payera aucun loyer, comme faisant partie du casernement,
L’administration, considérant que les certificats produits par le citoyen Oflyn excitent en sa faveur le plus vif intérêt,
Que cependant elle ne peut prendre sur elle de lui accorder le logement gratuit qu’il demanda sans avoir consulté l’autorité supérieure,
Considérant aussi que l’objet de la réclamation du même citoyen relatif au remboursement de sa charge ne concerne nullement le département,
Oui le commissaire du directoire exécutif,
Estime qu’il y a lieu par le ministre de la Guerre d’autoriser l’administration centrale à accorder au pétitionnaire un logement gratuit dans le ci devant château de Saint Germain en Laye, à la charge par lui de continuer ses soins aux militaires vétérans et autres et de cesser sa jouissance aussitôt que l’intérêt public le nécessitera,
Et arrête qu’expédition du présent, ensemble les pièces qui l’on motivé, seront adressées au ministre de la Guerre, invité à vouloir bien faire connaître le plutôt possible sa décision au département.
Arrête aussi que le citoyen Oflyn est renvoyé à se pourvoir vis à vis le liquidateur général de la dette publique de la partie de la Liste civile (le citoyen Denormandie) pour le remboursement de sa charge.
Pour expédition
Lepicier »

Procès-verbal de la sélection par la Commission des Arts des tableaux et objets jugés intéressants parmi ceux trouvés au Château-Neuf à Saint-Germain-en-Laye

« L’an mil sept cent quatre vingt treize, le deuxième de la République, et le mercredi vingt neuvième jour du mois de may, nous François Lauzan, Denis Jacques Fayolle et Jacques Langlier, commissaires artistes nommés par le département pour l’examin et distraction des objets précieux qui se trouveront dans le mobillier des émigrés et autres mobiliers nationaux, nous sommes présentés au directoire du district de Saint Germain en Laye, séance publique tenante, où étant nous avons exibé des commissions à nous délivrées et avons requis tous les renseignemens nécessaires à l’effet de commencer nos opérations. Sur quoi le directoire ayant délibéré, ainsi que sur l’exécution de l’arrêté du département de vingt trois février dernier tendant à adjoindre un employé dans les bureaux aux artistes pour la rédaction de leurs procès verbeaux, ils nous annonça que le citoyen Dufresnay, l’un de ses membres, et le citoyen Bretteville, employé dans les bureaux de ce district, nous accompagneraient et nous aideraient, chacun en ce qui les concerne, dans le cours de nos opérations, qu’en conséquence nous pouvions les commencer dès le même jour, et qu’à l’égard d’un local commode et sain pour renfermer les objets que nous croirons devoir distraire, il allait se concerter avec le citoyen Crommelin, régisseur du Domaine, pour nous en procurer un convenable, et attendu qu’il est deux heures sonnés, nous avons remis à quatre heures de relevée à commencer nos oppérations par le bâtiment dit château neuf, où sont renfermés quelques tableaux et autres objets précieux dépendant du mobilier de Charles Philippe, émigré, et avons signé le présent les dits jours et an que dessus.
Signé Fayolle, Lauzan, Langliez, Dufrenay et Bretteville, secrétaire
Et ledit jour mercredi vingt neuf may, quatre heures de relevée, nous, commissaires artistes susnommées, accompagnés du citoyen Dufrenay, membre du directoire du district de Saint Germain, du citoyen [vide], officier municipal de la ville dudit Saint Germain, et du citoyen Bretteville, employé dans les bureaux du district, nous sommes transportés aux bâtimens dit château neuf, situés audit Saint Germain, appartenant ci devant à Charles Philippe, émigré, et où sont renfermés différends objets précieux à distraire. Où étant entrés, est comparu devant nous le citoyen Mathieu Ambroise Prier, gardien des objets mobiliers séquestrés qui se trouve dans lesdits bâtimens, et auquel avons fait part du sujet de notre transport, et lui avons exhibé de nos commissions, et lequel, après en avoir entendu lecture, nous a offert de nous conduire dans tous les lieux confiés à sa garde et nous représenter tout les effets contenus au procès verbal de séquestre, lesquels sont toujours dans les lieux où ils ont été désignés, nous observant qu’il lui paraissait que le principal objet de notre mission contenait la distraction des objets précieux qui pourraient se trouver parmi les effets mobilliers commis à sa garde, [il devrait être déchargé] des objets distraits à moins qu’on ne lui confiât les clefs des lieux où ils seraient renfermés.
A laquelle observation, le citoyen Dufrenay, commissaire de l’administration, répondit qu’il ferait statuer par le directoire sur la décharge envers le citoyen Prier des objets distraits, lesquels seraient transportés dans un locale dépendant du château de cette ville ainsi que ceux distrait des autres mobilliers des maisons des émigrés de l’arrondissement, et confiés à la garde de qui il appartiendra.
En conséquence des offres ci devant faites, nous commissaires susdits, accompagnés comme ci devant et du citoyen Priez, gardien, nous sommes transportés dans une des galleries du château où sont renfermés une assez grande quantité de tableaux. Après un examen préparatoire, nous avons reconnu qu’ils étaient couverts de crasse et deux un état de dépérissement tel qu’il convient de les netoyés et frotter pour pouvoir distinguer les sujets qu’ils représentent. Nous avons cependant provisoirement procédé à un examin et classement préparatoire pour accélérer nos oppérations du jour de demain.
Ce fait, et attendu qu’il est huit heures sonnés, nous avons remis la continuation de nos opérations à demain, huit heures du matin, et nous sommes retirés après la rédaction du présent, qui a été signé tant de nous, commissaires susdits, que des citoyens Dufrenay, administrateur, [vide], officier municipal, et Bretteville, secrétaire.
Ainsi signé : Fayolle, Lauzan, Langlier, Dufrenay, Prier et Bretteville, secrétaire
Et le jeudi trente may, huit heures du matin, audit an mil sept cent quatre vingt treize, l’an deuxième de la République, nous commissaires susdits, accompagnés comme le jour d’hier, nous sommes transportés au château neuf, à l’effet de procéder à la continuation des opérations indiqués le jour d’hier. Où étant est comparu devant nous le citoyen Prier, gardien des séquestres du mobilier de Charles Philippe, lequel, après lui avoir fait part de notre mission, nous a réitérés les offres par lui faites le jour d’hier sous les mêmes observations.
En conséquence, nous sommes allés, toujours accompagnés comme ci devant et du citoyen Prier, dans la partie de la gallerie où sont renfermés les tableaux désignés au procès verbal d’inventaire fait par l’administration du district le huit may de l’année dernière et jours suivants, où étant, nous avons procédés à l’examin, et distraction des tableaux que nous avons reconnu en mériter la peine, de la manière et ainsi qu’il suit :
Pour établir une uniformité dans nos épurations avec l’inventaire dont a été ci-dessus question, nous avons cru devoir en suivre l’ordre qu’ils ont classé en icelui. En conséquence, nous avons procédé à l’examen des tableaux désignés audit inventaire depuis le n° 1 jusqu’au n° 5, lesquels nous avons jugé ne pas mériter la peine d’être extraits.

  1. Avons ensuite procédé aux décrassement et examen du tableau désignés en l’inventaire n° 5, par Eustache Le Sueur, peint sur toille, représentant un départ de chasse dont la principale figure resemble à Mark Aurèle, et toutes les figures revêtus du costume romain, dont la hauteur est de 5 pieds 10 pouces sur 4 pieds six pouces, lequel tableau nous avons jugé mériter l’extraction, et l’avons en conséquence étiqueté avec une petite bande de papier que nous avons colé sur icelui et sur laquelle sont écrit ces mots : extrait par la commission des arts de chez Charles Philippe au château neuf, et l’avons ensuite fait déposer dans une pièce à part, pour être transporté avec les autres dans le local indiqué par l’administration du district.
  2. Avons procédé à l’examen de celui porté en l’inventaire sous le n° 6 représentant des paysages peints sur toile par Boizonni, de 5 pieds 11 pouces de haut sur 8 pouces de large, lequelle nous avons pareillement extrait après l’avoir étiqueté et disposé avec celui ci-dessus pour être transporté dans le local indiqué.
    Avons ensuite procédé à l’examen des tableaux désignés aud. inventaire sous les n° 6, 7, 8, lesquels nous avons laissé attendu qu’il ne méritent pas l’extraction.
  3. De suite, avons procédé à l’examen de celui désigné aud. inventaire n° 9 par Van Achene, peint sur toile et représentant au sacrifice offert aux idoles par une femme, de la hauteur de cinq pieds neuf pouces sur 4 pieds 6 pouces, lequel nous avons comme ci devant extrait après l’avoir étiqueté pour être transporté au local dont est question.
    Examin fait des deux tableaux désigné en l’inventaire sous les n° 10 et 11, nous ne les avons pas jugé dignes d’être transportés.
  4. Avons procédé à l’examin de celui désigné en l’inventaire sous le n° 12, peint par Van Achene, représentant Cibèle deçendue chez Morphée, de la hauteur de trois pieds neuf pouces sur 7 pouces de long, lequel nous avons extrait et étiqueté pour être transporté avec les autres.
    Examin fait de celui désigné n° 13, nous ne l’avons pas cru digné d’être extrait.
  5. Sommes passé à l’examen de celui désigné n° 14, représentant Méléagre à la poursuite du sanglier, de la hauteur de trois pieds sur sept pieds 6 pouces, lequel nous avons extrait et étiqueté pour être déposé avec les autres ;
  6. Avons examiné celui désigné sous le n° 15, représentant Alexandre prêt à monter sur Bucéphale, de la hauteur de cinq pieds six pouces sur trois pieds sept pouces de large, que nous avons étiqueté pour extraire.
    Après examen fait de selui désigné sous le n° 16, nous avons reconnu qu’il ne méritait pas d’être extrait.
  7. Nous avons ensuite examiné deux tableaux désignés en l’inventaire sous le n° 17, l’un représentant un festin, et l’autre deux combatants de trois pieds neuf pouces de haut sur cinq pieds 6 p. de large, lesquels nous avons étiquetés pour être transporté avec les autres.
  8. Avons ensuite examiné une partie de tableau peint sur toile, désigné en l’inventaire sous le n° 18, représentant un guerrier et une femme, que nous avons étiqueté pour être distrait et transporté.
  9. Examen pareillement fait d’une autre partie de tableau représentant un homme nud et debout avec un autre baissé contre terre tenant un réchaud plaint de feu désigné en l’inventaire sous le n° 19. Nous l’avons étiqueté et distrait pour être transporté avec les autres, observant que ce tableau est en toile sans châssis.
  10. Nous avons aussi examiné celui désigné en l’inventaire sous le n° 20 représentant la Victoire figurée par un ange debout et tenant une lance, lequel nous avons extrait après l’avoir étiqueté pour être transporté avec les autres.
  11. Examen fait de cinq fragems de tableau désigné en l’inventaire sous le n° 21, nous avons remarqué que celui représentant Adonis se mirant, capable d’être extrait, lequel nous avons étiqueté pour être transporté avec les autres.
  12. Avons ensuite examiné celui désigné en l’inventaire sous le n° 22, dont le sujet est trop énigmatique, que nous avons étiqueté pour être distrait et transporté.
  13. Examen fait de celui désigné en l’inventaire sous le n° 23, peint par Woëte, représentant Ariane dormant et délaissée par Thésée, nous l’avons étiqueté pour être distrait et transporté.
  14. Examen pareillement fait de celui désigné sous le n° 24, représentant Ariane à genoux rapellant Thésée, nous l’avons aussi étiqueté pour être distrait et transporté.
    Examen fait de ceux désignés sous le n° 25, nous avons reconnu qu’ils ne méritaient pas la peine d’être exportés, attendu leur état de dépérissement et de vétusté.
  15. Nous avons ensuite examiné celui désigné en l’inventaire sous le n° 26, de Parmesan, représentant Cybèle descendue chez Morphée endormi, nous l’avons étiqueté comme les autres pour être extrait et transporté.
    Examen fait de ceux désignés en l’inventaire sous les n° 27 et 28, nous ne les avons pas jugés capables d’être extraits.
  16. Examen fait de celui désigné sous le n° 29 représentant Bacchus et Ariane, nous l’avons étiqueté pour être transporté avec les autres.
  17. Examen fait d’un petit tableau ovale désigné en l’inventaire sous le n° 30 représentant Saint Jean, nous l’avons étiqueté pour être extrait et transporté.
  18. Avons ensuite examiné celui désigné en l’inventaire sous le n° 31 représentant l’Etoile du jour et Borée, que nous étiqueté pour être extrait et transporté.
  19. Examen fait de celui désigné en l’inventaire sous le n° 32 représentant Hercule combatant l’Hydre, nous l’avons étiqueté et extrait pour être transporté.
  20. Examin pareillement fait de celui désigné en l’inventaire sous le n° 34 représentant Judith tenant la tête d’Olopherne, que nous avons étiqueté pour être extrait et transporté.
  21. Examin fait de celui désigné en l’inventaire sous le n° 33 représentant une allégorie de Mars et Vénus, nous l’avons étiqueté pour être transporté.
  22. Examen fait de celui désigné en l’inventaire sous le n° 35 représentant Jésus au milieu des docteurs, nous l’avons étiqueté pour être extrait et transporté avec les autres.
  23. Examen fait de celui désigné en l’inventaire sous le n° 36 représentant Sainte Marguerite, nous l’avons étiqueté pour être extrait et transporté.
    Ce fait, et attendu qu’il est deux heures de relevé sonnés, nous avons remis la continuation de nos opérations à quatre heures de relevée, et nous avons aussi provisoirement laissé tous les objets que nous avons étiquetés pour être extraits et transportés en la charge et garde du sieur Prier comme il l’étaient ci devant par l’inventaire, lesquels a promis les représenter en même nature, et ont les dits citoyens administrateurs du district, officiers municipal et secrétaire ci devant nommés signés avec nous le présent les dits jour, heure et an que dessus.
    Signé Dufrenay, administrateurs, Langlier, Lauzan, Fayolle, artistes, Prier, gardien, et Bretteville, secrétaire
    Et le dit jour jeudi trente may mil sept cent quatre vingt treize, le 2 de la République, quatre heures de relevée, nous commissaires artistes susnommés, accompagnés des citoyens Dufrenay, administrateur du district, [vide], officier municipal, et Bretteville, secrétaire, pour la rédaction du journal de nos opérations, après nous être transportés chez le citoyen Prier, lequel nous accompagne aussi en continuant les opérations par nous commencés, nous avons procédé à l’examen, décrassement et distraction du reste des tableaux portés en l’inventaire de la manière et ainsi qu’il suit !
    Savoir
    Nous avons examinés les tableaux désignés en l’inventaire sous les n° 37 et 38, que nous avons reconnu être de très peu de valeur et qui n’ont pas été extraits.
  24. Examen fait de celui désigné sous le n° 39 et représentant le palais du Soleil, nous l’avons étiqueté comme les autres pour être extraits et transportés au local indiqué.
  25. Examen fait de celui désigné en l’inventaire sous le n° 40 et représentant Hercule combattant Antée, nous l’avons étiqueté pour être extrait et transporté avec les autres.
  26. Examen fait de celui désigné en l’inventaire sous le n° 41 et représentant le Mariage, nous l’avons aussi étiqueté pour être extrait et transporté.
  27. Examen fait de celui désigné en l’inventaire sous le n° 42 représentant Lucrèce qui se poignarde, nous l’avons pareillement étiqueté pour être transporté avec les autres.
  28. Examen fait de celui désigné en l’inventaire sous le n° 43 représentant la Sainte Famille, nous l’avons étiqueté pour être extrait et transporté.
    A l’égard de celui désigné sous le n° 44, nous avons remarqué qu’il est de peu de valeur et l’avons laissé en la possession du citoyen Prier.
  29. Examen fait de celui désigné en l’inventaire sous le n° 45 représentant Marie Anne d’Autriche, l’avons éticté pour être extrait et transporté avec les autres.
    Examen fait de celui désigné sous le n° 46, l’avons laissé comme de peu de valeur.
  30. Examen fait [de celui] désigné en l’inventaire sous le n° 47 représentant Phlore avec des génies, nous l’avons éticté pour être extrait et transporté avec les autres.
  31. Examen fait de celui désigné en l’inventaire sous le n° 48 représentant le Buisson ardent, nous l’avons éticté pour être extrait et transporté.
  32. Examen fait de celui désigné sous le n° 49 et représentant Saint Louis recevant les ambassadeurs, l’avons éticté pour être extrait et transporté.
  33. Examen fait de celui désigné sous le n° 50 représentant Jésus avec ses disciples donnant pouvoir à saint Pierre, l’avons éticté pour être extrait et transporté.
  34. Examen fait de six tableaux ou dessus de portes désignés en l’inventaire sous le n° 51, nous avons cru devoir les extraire, quoique de peu de valeur, attendu qu’ils pourront se vendre avantageusement, en conséquence les avons étictés pour être transportés avec les autres.
  35. Avons enfin procédé à l’examen du tableau désigné en l’inventaire sous le n° 53 et représentant Leda, lequel nous avons éticqueté pour être comme les autres transporté dans le local indiqué.
    Ce fait, et attendu qu’il est huit heures et demi, nous avons remis au lendemain à effectuer le transport des effets étiquetés tant dans cette séance que dans la précédente, et les avons provisoirement laissés en la garde dud. citoyen Prier, ainsi qu’il en est chargé par l’inventaire, lequel a promis nous les représenter le lendemain dans la même nature, et a signé avec nous, lesdits citoyens administrateur du district, officier municipal et secrétaire susdit lesdits jour et an que dessus.
    Signé Fayolle, Langlier, Lauzan, Prier, Dufrenay et Bretteville, secrétaire
    Et le vendredi 31 may 1793, huit heures du matin, nous commissaires artistes susnommés, accompagnés des citoyens Dufrenay, administrateur du district, et [vide], officiers municipal, et Bretteville, secrétaire, nous sommes transportés au château neuf, au bâtiment occupé par le citoyen Prier, où étant, ce dernier nous a réitéré les offres de nous représenter tous les effets par nous étiquetés, ensemble ceux que nous désirerions examiner et qui sont porté en l’inventaire dont a été déjat question, en conséquence nous sommes montés dans la pièce où se trouvent renfermé tous les tableaux désignés audit inventaire, et après un dernier examen de ceux que nous n’avions pas cru devoir extraire le jour d’hier, il a été reconnu que quelques uns d’eux pouvoit se vendre plus avantageusement étant extrait, en vertu de quoi nous, commissaires susdits, avons procédé à une nouvel extraction parmis les tableaux restant de ceux-ci après désignés.
    Savoir
  36. Examen fait de quatre tableaux de forme octogone désignés en l’inventaire par la lettre A, nous les avons étiquetés pour être extraits et transportés avec les autres.
  37. Examen fait de quatre tableaux aussi forme octogone désigné en l’inventaire par la lettre B et représentant allégoriquement la Force, la Prudence, la Justice et la Tempérance, nous les avons aussi étiquetés pour être extrait et transportés avec les autres.
  38. Examen pareillement fait de deux tableaux pouvant faire pendants, désignés tous deux en l’inventaire sous le n° 1, l’un représentant l’Assemblée des muses et les Muses attentivent à la chute des Pirrénées, lesquels nous avons étiquetés pour être extraits et transporté avec les autres.
    Examen fait de celui désignés sous le n° 2 représentant le Sacrifice d’Ifigénie, nous l’avons étiqueté pour être extrait et transporté.
    Examen fait de celui désigné sous le n° 11 représentant l’Assemblée des Dieux, nous l’avons extrait pour être transporté après l’avoir étiqueté.
    Examen fait de celui désigné en l’inventaire sous le n° 13 représentant plusieurs guerriers parlant à Cybèle, nous l’avons laissé attendu sont peut de valeur.
    Examen fait de celui désignés en l’inventaire sous le n° 44 représentant Louis XIV avec la reine sa mère qui le guide dans la route qu’il doit suivre, tableau allégorique et de deux couleurs, nous l’avons étiqueté pour être extrait et transporté.
    Examen fait de celui désigné en l’inventaire sous le n° 46 représentant Louis XIV jeune, nous l’avons étiqueté pour être extrait et transporté.
    Examen fait de celui désigné en l’inventaire sous le n° 52 et représentant Mars et Vénus, nous l’avons laissé comme trop avarié.
    Examen fait de différentes parties de tableaux et allégories pouvant servir de dessus de porte, que nous avons jugé pouvoir se vendre avantageusement ensemble, nous les avons extraits pour être transportés après les avoir étiquetés sous les n° 54, 55, 56, 57, 58, 59 et 60.
    Examen pareillement fait de celui désigné en l’inventaire sous le n° 25 représentant la Bonne Foi, nous l’avons éticté pour être extrait et transporté avec les autres.
    Examen fait d’un autre tableau désigné en l’inventaire sous le n° 38 représentant Henri par Janet, mais que l’on croit être un maréchal de camp, que nous avons étiqueté et transporté.
    Examen nouvellement fait d’un tableau désigné en l’inventaire sous le n° 28 représentant une Vierge connue sous le titre de la Jardinière, nous l’avons éticté pour être extrait et transporté.
    Examen fait en dernier ressort de tous les autres, restant tant dans la pièce où nous sommes que dans d’autres appartements, le tout dépendant du mobilier de Charles Philippes, nous n’avons rien reconnu qui fut jugé capable d’être extrait.
    Ce fait, nous avons procédé au transport de tous les objets par nous ci devant étiquetés de chez Charles Philippes en un appartement au château vieux de cette ville, dit l’appartement du Roi, donnant d’un côté sur la cour dud. château et de l’autre sur le milieu du parterre et sur le balcon, auquel on monte par l’escalier du puit, pour tout les dits objets, ensemble sceux qui seront transporté par la suite, rester en la garde du citoyen Cromelin, régisseur du Domaine de la Liste civile au département de Saint Germain, lequel s’en chargera comme déspositaire de bien national d’après un recollement particulier fait en sa présence sur le présent procès verbal, et sur la condition de représenter le tout à la première réquisition de qui il appartiendra.
    En conséquence, il a été chargé en différentes fois sur un brancquar porté par deux hommes, pour ce mandé, avec toute la précaution et les mesures qu’exigent l’état avarier de plusieurs des dits tableaux, tous les objets par nous étiqueté dans les précédentes séances, lesquels ont été transporté dans l’appartement dont est ci devant parlé devant servir de locale général pour reserrer tous les objets précieux que nous sommes chargés d’extraire par notre mission, et auquel transport a été employé 6 voyages de brancart conduits par un de nous pour surveiller les porteurs, et reçu aussi par un de nous resté [dans] ledit appartement pour l’arrengement desdits tableaux.
    Ce transport oppéré, nous avons observé au citoyen Prier que les tableaux restés dans le lieu où étoient renfermé ceux par nous extraits ne pouvaient y demeurer sans les exposer à y périr totalement, nous les avons donc, pour leur conservation, fait transporté de la pièce où ils étaient déposé, laquelle est prête à tomber en ruine, dans la salle de billard dépandant des bâtiments du château neuf et pour rester en la garde dudit citoyen Prier tels qu’ils l’étaient par l’inventaire du séquestre dont a été question dans le court du présent.
    Ce fait, et attendu qu’il est deux heures et demi sonnées, nous avons continuer nos opérations à quatre heures de relevé, et ont lesdits citoyens administrateur, officier municipal, et Prier, gardien, signé avec nous, et le secrétaire soussigné.
    Ainsi signé Fayolle, Langlier, Lauzan, Dufrenay, Prier et Bretteville, secrétaire
    Et ledit jour vendredi 31 may 4 heures de relevé audit an 1793, le 2e de la République, en continuation nos opérations ci devant, nous commissaires artistes susnommés, accompagné comme ci devant, nous sommes transporté au château neuf de cette ville, et en présence du citoyen Prier, garde du séquestre, avons parcouru les différents appartements dépendant du château neuf, et avons examiné tous les effets mobillier qu’il contienne. Arrivé dans une place au retz de chaussée, éclairée par différentes croisée donnant sur le jardin, nous y avons remarqué une console à table de porfire doré en or moulu. Examen fait de cette pièce, nous l’avons jugé mériter l’extraction comme objets précieux et rare, l’avons en conséquence étiqueté d’une bande de papier colé sur le devant de la table et contenant ces mots : Extrait par la commission des arts de chez Charles Philippe au château neuf à Saint Germain pour être transporté au dépôt du château vieux en l’appartement ci devant désigné.
    Examen pareillement fait de deux queues de bois, de baule, ornés de leurs bronse doré en or moulu, nous les avons pareillement étiqueté pour être extrait et transporté au dépôt général.
    Examen pareillement fait de deux urnes de porcelaine du Japon, orné de leurs bronzes doré et surmonté de leurs socles, nous les avons aussi étiqueté pour être extrait et transportés au dépôt dont est question.
    Examen fait de deux vases de bronse doré à tige de lys, nous les avons pareillement étiqueté pour être extrait et transporté au dépôt général.
    Examen fait de différends services en porcelaine renfermé dans la pièce où nous sommes, nous n’avons pas cru devoir rien extraire, attendu que ce serait décompléter ses différentes parties de service, qui pourront se vendre ensemble avantageusement pour la République.
    Nous nous sommes ensuite transporté dans toutes les autres parties du bâtiment dépendant du château neuf, et dans lesquels nous n’avons rien trouver qui mérita d’être considéré.
    Ce fait, et attendu qu’il est huit heures et demi sonnées, qu’il serait dangereux de transporter en cet instant les objets précieux par nous étiquetés, nous avons surcit à notre transport jusqu’à demain matin et les avons laissé en la garde dudit citoyen Prier tels qu’ils l’étaient ci devant par l’inventaire, à la charge par lui de nous les représenter en la séance de demain, et avons clos le présent qui a été signé tant de nous que des citoyens Prier, gardien, administreur, officier municipal susnommé, que du secrétaire.
    Ainssi signé Fayolle, Lauzan, Langlier, Prier, Dufrenay et Bretteville, secrétaire
    Et le samedi premier juin, huit heures du matin, aud. an mil sept cent quatre vingt treize, l’an 2e de la République, nous commissaires artistes susnommés, accompagné du citoyen administrateur du district de Saint Germain, officier municipal de lad. ville et secrétaire soussigné, nous sommes transporté au château neuf de cette ville à l’effet de procéder au transport et établissement au dépôt général des objets étiquetés pour être extraits dans notre séance de relevée du jour d’hier, et étant est comparu le citoyen Prier, gardien, lequel a offert de nous les représenter. En conséquence, nous les avons fait charger en différentes fois sur des brancards par des hommes pour ce mander, et avons apporté toutes les précautions pour le transport, dans l’appartement servant de dépôt au vieux château, en accompagnant et dirigeant les porteurs, et auxquels transports a été employés quatre voyages de brancard.
    Ce transport opéré, le citoyen Prier nous a observé qu’il nous invitoient à inscrire en notre procès verbal qu’il faisait toute réserves pour l’intérêt des créanciers contre l’extraction qui venait de s’opérer, attendu que les objets auroient probablement dû être estimés contradictoirement avec les créanciers, à laquelle observation le citoyen Dufresnay, commissaire de l’administration, a fait réponse que cet extraction, loin d’être nuisible aux intérêts des créanciers, ne pouvoit que leur être avantageuse puisque les objets qui avoient été extraits, restant confondus dans le mobilier, auroient pu être vendus à vil prix, et qu’au contraire, réunis à d’autres objets du même genre pour être vendus publiquement et annoncés dans les papiers, le concours en seroit plus grand, qu’au surplus, si l’administration supérieure disposait de quelques uns des objets extraits, il ne doutoit pas qu’il ne fut procédé à une estimation d’iceux conforme à la loi. Ensuite, le citoyen Prier a requis la décharge des objets que nous avons extrait dans nos précédentes séances et dans celle-ci, attendu qu’ils ne demeuraient plus en sa possession et qu’il est cependant tenu de les représenter suivant le procès verbal de séquestre dont a été questions dans le cours du présent ; sur quoi, il a été arrêté qu’il seroit dressé un état des objets par nous extraits, lequel nous certifions sincère et véritable, qui lui servirait de décharge en temps que de besoin.
    Ce fait, et attendu qu’il est une heure et demi de relevée sonnée, nous nous sommes retiré après avoir clos le présent et remis la continuation de nos opérations à 4 heures de relevée, et ont lesdits citoyens Prier, gardien, Dufresnay, administrateur, [vide], officier municipal, signé avec nous et le secrétaire soussigné.
    Ainsi signé Priez, Fayvolle, Dufrenay, Langlier, Lanzau et Bretteville, secrétaire
    Et led. jour samedi, 4 heures de relevée, aud. an mil sept cent quatre vingt treize, l’an 2e de la République, nous commissaires artistes susnommés, accompagnés des citoyens administrateurs du district, officier municipal susnommés, et du citoyen Bretteville, secrétaire à la rédaction du journal de nos opérations, nous sommes transportés dans l’appartement du château vieux de cette ville, local désigné par l’administration où sont renfermés tous les objets par nous extraits du mobilier de Charles Philippes au château neuf et dont la description est contenue dans nos procès verbaux des autres parts. Où étant, est comparu devant nous le citoyen Crommelin, régisseur du Domaine de la ci devant Liste civile à Saint Germain, lequel nous a dit qu’ayant été invité par l’administration du district à se charger de la garde des objets qui doivent être extraits du mobillier des émigrés et autres, et déposés dans l’appartement où nous sommes, il se présentait pour remplir le but de l’invitation à lui faite par le directoire, et qu’en conséquence, il allait se constituer garde du dépôt, chargé de représenter à qui il appartiendra et à la première réquisition tous les objets que nous déposeront dans ledit appartement d’après un recollement fait par chaque maison et à la fin de notre procès verbal.
    En conséquence desquels offres, et de l’avis du citoyen Dufrenay, administrateur, nous avons, en présence dudit citoyen Cromelin, procédé au recollement, article par article, des objets par nous extrait de chez Charles Philippe au château neuf et détaillé en nos procès verbaux des autres parts, lesquels se sont trouvé étiqueté ainsi que le reconnait ledit citoyen, lequel s’est volontairement chargé de la garde d’iceux, pour les représenter à la première réquisition de qui il appartiendra, à peine d’y être contraint comme dépositaire de bien national. Et a ledit citoyen Cromelin signé avec nous le présent, auquel a été vacqué jusqu’à huit heures de relevé sonné sans interruption.
    Ainsi signé Fayvolle, Langlier, Dufrenay, Lauzan, Cromelin, et Bretteville, secrétaire »

Commission des Arts de Seine-et-Oise

Paiements pour des travaux aux châteaux de Saint-Germain-en-Laye

« [f. 75] Chasteau de Saint Germain
Maçonnerie
Du 15 juillet 1666
A Tristan Lespine et Charles Delarue, maçons, à compte des ouvrages de maçonnerie par eux faits aux chasteaux vieux et neuf de Saint Germain : 1300 l.
Aud. Lespine, pour le paiement des maneuvres qui ont travaillé au restablissement des breches au pourtour des murs du parc de Saint Germain depuis le 20 mars jusqu’au 24e avril : 416 l. 16 s.
Du 24 aoust
A Jean Delaflesche, pour son parfait paiement des reparations de maçonnerie par luy faictes au Val de Saint Germain en l’année 1663 : 600 l.
Du 6 octobre
Ausd. Delespine et Larue, à compte des ouvrages de maçonnerie par eux faits au chasteau de Saint Germain : 500 l.
Du 7 decembre
A eux, à compte des ouvrages de maçonnerie qu’ils font aux chasteaux de Saint Germain : 500 l.
Du dernier decembre
A eux, idem : 500 l.
Du 19 febvrier 1667
A eux, idem : 600 l.
[f. 75v] Du 15e mars 1667
Ausd. Lespine et Larue, à compte des ouvrages de maçonnerie qu’ils font à Saint Germain : 600 l.
Du 9e may
A eux, à compte des ouvrages de maçonnerie qu’ils font à Saint Germain : 500 l.
Total : 5516 l.
[f. 76] Charpenterie de Saint Germain
Du 15 juillet 1666
A René Dufay, charpentier, à compte des ouvrages de charpenterie qu’il fait à Saint Germain : 400 l.
Du 24 septembre
A luy, idem : 400 l.
Du 3 novembre
A luy, à compte des ouvrages de charpenterie qu’il fait aux chasteaux de Saint Germain : 400 l.
Du dernier decembre
A luy, idem : 400 l.
Du 9e may 1667
A luy, à compte des ouvrages de charpenterie qu’il fait à Saint Germain : 300 l.
Total : 1900 l.
[f. 77] Menuiserie de Saint Germain
Du 28 may 1666
A Charles Lavié, menuisier, à compte des ouvrages de menuiserie qu’il fait à Saint Germain : 1000 l.
Du 15 juillet
A luy, idem : 3200 l.
A Adrien Milot, à compte des ouvrages de menuiserie qu’il fait aux chasteaux de Saint Germain : 500 l.
A Michel Salle, menuisier, pour son paiement des ouvrages qu’il a faits à l’appartement de M. Le Tellier au chasteau de Saint Germain : 136 l.
Du 24 aoust
Aud. Lavié, menuisier, à compte des ouvrages de menuiserie qu’il fait à Saint Germain : 600 l.
Du 24 septembre
A luy, à compte des ouvrages de menuiserie qu’il fait à Saint Germain : 800 l.
Aud. Milot, à compte des ouvrages de menuiserie par luy fait aux chasteaux de Saint Germain : 300 l.
A luy, idem : 300 l.
[f. 77v] Du dernier decembre 1666
A Milot, à compte des ouvrages de menuiserie qu’il a fait aux chasteaux de Saint Germain : 800 l.
Du 15e mars 1667
A luy, idem : 400 l.
Du 9e may
A luy, à compte des ouvrages de menuiserie qu’il fait à Saint Germain : 300 l.
Total : 8336 l.
[f. 78] Peinture, sculpture et ornemens de Saint Germain en Laye
Du 15 juillet 1666
A Jean Poisson, peintre, à compte des ouvrages de peinture qu’il fait à Saint Germain : 400 l.
A Jean Disses, fontainier, à compte des ouvrages de ciment et de mastic qu’il fait sur les voutes des galleries des grottes de Saint Germain : 2000 l.
Du 24 aoust
A luy, idem : 2500 l.
Du 24 septembre
A luy, à compte des ouvrages de ciment et de mastic qu’il fait sur les voutes des grottes dud. lieu : 1000 l.
Aud. Poisson, à compte des ouvrages de peinture qu’il fait à Saint Germain : 400 l.
Du 3 novembre
A luy, à compte des ouvrages de peinture qu’il fait aux chasteaux de Saint Germain : 150 l.
Du 19 febvrier 1667
Aud. Poisson, à compte des ouvrages de peinture qu’il fait aux chasteaux de Saint Germain : 800 l.
Total : 7250 l.
[f. 80] Couvertures
[f. 81] Plomberies
[f. 82] Jardinages de Saint Germain en Laye
Du 28 may 1666
A Jean Delalande, jardinier du vieil chasteau de Saint Germain, pour plusieurs despences qu’il a faictes dans le jardin et parc de Saint Germain : 288 l.
A Edme Boursaut, pour le paiement des ouvriers qui ont travaillez à Saint Germain aux fouilles et transports de terre depuis le XV mars dernier jusqu’au XXVIIe du mesme mois : 124 l.
A Jean Delalande, jardinier du chasteau neuf de Saint Germain, pour avoir fait sabler touttes les allées et jardin potager estant dans l’enclos du petit bois : 302 l. 4 s.
Du 3 novembre
A François Toulmé, pour avoir nettoyé les deux fosses à privé du commun du Roy : 165 l.
Du 7 decembre
A Paul La Hache, pour paiement des ouvrages de pavé de grais qu’il a faits à Saint Germain : 76 l. 10 s.
Du dernier dud.
A Martin Cottart, pour menues despences qu’il a faites à Saint Germain depuis le 17 octobre jusqu’au dernier dud. mois : 203 l. 2 s. 5 d.
[f. 82v] Du 19 febvrier 1667
A Jean Delalande, pour plusieurs menues despences qu’il a faictes dans le jardin du boulingrin à Saint Germain en Laye : 378 l.
Total : 1536 l. 16 s. 5 d. »
[f. 85] Serrurerie de Saint Germain
Du 28 may 1666
A Louis Boutrait, serrurier, à compte des ouvrages de serrurerie qu’il fait à Saint Germain : 600 l.
Du 15 juillet
A luy, idem : 800 l.
A Louis Guillemau, pour son parfait paiement des ouvrages de serrurerie qu’il a faits à l’apartement de M. Le Telier au chasteau de Saint Germain : 43 l. 12 s. 6 d.
Du 24 septembre
Aud. Boutrait, à compte des ouvrages de serrurerie qu’il fait à Saint Germain : 400 l.
Du 3 novembre
A luy, à compte des ouvrages de serrurerie qu’il fait aud. lieu : 300 l.
Du 7 decembre
A luy, idem : 400 l.
Du dernier dud.
A luy, idem à compte : 800 l.
Du 19 febvrier 1667
A luy, à compte des ouvrages de serrurerie qu’il fait aux chasteaux de Saint Germain : 1000 l.
[f. 85v] Du 15e mars 1667
Aud. Boutrait, à compte des ouvrages de serrurerie qu’il fait aux chasteaux de Saint Germain : 400 l.
Total : 4743 l. 12 s. 6 d.
[f. 86] Vitrerie de Saint Germain
Du 15 juillet 1666
A Robert Morel, vitrier, à compte des ouvrages de vittrerie qu’il fait aud. chasteau : 600 l.
Du 7 decembre
A luy, idem : 300 l.
A luy, à compte desd. ouvrages : 300 l.
Du dernier decembre
A luy, à compte idem : 200 l.
Du 15e mars 1667
A luy, à compte de sesd. ouvrages : 400 l.
Total : 1800 l.
[f. 87] Parties extraordinaires des chasteaux de Saint Germain en Laye
Du 28e may 1666
A Charles Jullien, demeurant à Poissy, pour le paiement des charpentiers, scieurs de long et autres ouvriers qui travaillent à faire l’espalier necessaire pour la closture des plans que le Roy fait faire dans la forest de Laye : 2000 l.
A Charles Moyer, prevost de Poissy, pour emploier aux menues plans que Sa Majesté fait faire dans la forest de Laye : 3000 l.
Du 15 juillet
A luy, idem : 6000 l.
Aud. Jullien, à compte des ouvrages qu’il fait faire dans la forest de Saint Germain : 3000 l.
Du 24 septembre
Au sieur Soulaigre, pour avoir nettoyé pendant quatre mois que la cour a sejourné à Saint Germain le vieil chasteau dud. lieu : 300 l.
A Jean Delalande, pour parfait paiement de la despence qu’il a faitte à empailler la glaciere de Saint Germain depuis 1657 jusques 1664 : 400 l.
[f. 87v] A Jean Baptiste Delalande, la somme de 1500 l., scavoir 600 l. comptant et le surplus en deux paiemens de trois en trois mois pour dedommagement des bastimens qu’il avoit fait construire proche l’orangerie qui ont esté demolis pour bastir le logis de la surintendance des Bastimens, cy : 1500 l.
Du 19 febvrier 1667
Au sieur Mpyer, pour employer aux grands et menus plans que Sa Majesté fait faire dans la forest de Laye : 6000 l.
A Leonnard Aubry, pour parfait paiement des ouvrages de pavé qu’il a fait à Saint Germain : 919 l.
Du 15e mars
Au sieur Petit, commis à la conduite des bastimens de Saint Germain, pour diverses despences qu’il y a faites : 242 l. 18 s. 8 d.
A luy, idem : 279 l. 8 s. 6 d.
Total : 23641 l. 7 s. 2 d. »

Paiements pour des travaux aux châteaux de Saint-Germain-en-Laye

« [f. 160] Chasteau de Saint Germain, scavoir
Maçonnerie du grand escalier en terrasse
Du premier mars 1664
Aux sieurs Guillaume et Anthoine Villedo et François Bricart, à compte des ouvrages de maçonnerie des terrasses de Saint Germain : 14000 l.
Du 20e may
A eux, à comptes des ouvrages de maçonnerie par eux faicts aux terrasses de Saint Germain, cy : 12000 l.
Du 14e juin
A eux, à compte des ouvrages de maçonnerie par eux faits aud. lieu de Fontainebleau : 11000 l.
Du 15 juin
A eux, à compte des ouvrages de maçonnerie par eux faits aud. lieu de Saint Germain : 5500 l.
Du dernier juin
A Tristan Lespine, pour ouvrages de masonnerie par luy fait aud. lieu de Saint Germain : 450 l.
Du 22e septembre
A François et Guillaume Villedo et Bricart, à compte de leursd. ouvrages, cy : 10000 l.
A eux, idem : 8500 l.
[f. 160v] Du 22 septembre 1664
A Tristan Lespine, maçon, à compte des ouvrages qu’il fait au vieux chasteau de Saint Geamin, cy : 200 l.
A luy, idem : 800 l.
Du 25e dud.
A Guillaume et François Villedo et Antoine Bricart, à compte des ouvrages de maçonnerie par eux faits aud. lieu : 8000 l.
A Tristan Lespine, pour parfait paiement des menues ouvrages par luy fait aud. lieu : 366 l.
A Lespine et Larue, à compte des reparations par eux faites au vieux chasteau de Saint Germain : 1800 l.
Du 14e octobre
A eux, à compte des reparations qu’ils font au vieu chasteau de Saint Germain : 900 l.
A Guillaume et François Villedo et Antoine Bricart, à compte idem : 9000 l.
Du XXIIIe decembre
A eux, à compte du restablissement des terrasses et grottes de Saint Germain : 10000 l.
Ausd. Lespine et Larue, maçons, à compte des ouvrages et reparations de maçonnerie du vieu chasteau de Saint Germain : 1000 l.
Du dernier decembre
Ausd. Villedo et Bricart, à compte du restablissement des terrasses et grottes de Saint germain : 6000 l.
Ausd. Lespine et Larue, à compte des ouvrages et reparations par eux faits au vieu chasteau de Saint Germain : 400 l.
Du 17 mars 1665
A eux, à compte de leursd. ouvrages du chasteau du Louvre : 300 l.
[f. 161] Ausd. Villeo et Bricart, à compte de leurs ouvrages de Saint Germain en Laye : 4000 l.
A Tristan Lespine, maçon, à compte des reparations par luy faites au pourtour des murs du petit parc dud. lieu : 200 l.
Du 1er aoust
A luy, idem : 50 l.
[Total :] 104466 l.
[f. 164] Reparations de maçonnerie de Saint Germain
[vide]
[f. 167] Charpenterie de Saint Germain en Laye
Du 14e juin 1664
A Dufay, charpentier, pour plusieurs ouvrages de charpenterie par luy fait à Saint Germain : 198 l.
Du 22e septembre
Aud. Dufay, à compte de sesd. ouvrages de Saint Germain, cy : 250 l.
A luy, idem : 800 l.
A Pierre Bastard, charpentier, pour son paiement de deux poutres qu’il a fournis aud. lieu, cy : 500 l.
Du 25e dud.
A Dufay, charpentier, à compte du restablissement des deux ponts levis dud. lieu de Saint Germain : 300 l.
Du 14e octobre
A luy, à compte des ouvrages de charpenterie par luy faits pour le restablissement desd. ponts : 1200 l.
Du XXIIIe decembre
Aud. Dufay, charpentier, à compte de sesd. ouvrages de Saint Germain en Laye : 1000 l.
Du dernier decembre
A luy, à compte du restablissement des ponts levis des chasteaux de Saint Germain en Laye : 1700 l.
Du 19 mars 1665
A luy, à compte de sesd. ouvrages des chasteaux dud. lieu : 1000 l.
[Total :] 6948 l.
[f. 169] Menuiserie de Saint Germain
Du 14e juin 1664
A Adrien Million, menuisier, pour ouvrages de menuise par luy fait aud. lieu : 412 l. 5 s.
Du VIIe septembre
A luy, à compte des ouvrages de menuiserie par luy fait à Saint Germain : 100 l.
Du 23e decembre
Aud. Million, à compte de sesd. ouvrages du chasteau de Saint Germain : 100 l.
Du dernier decembre
A luy, à compte des ouvrages de menuiserie du chasteau de Saint Germain en Laye : 100 l.
Du 17e mars 1665
A luy, à compte de ses ouvrages de menuiserie dud. lieu : 350 l.
[Total :] 1062 l. 5 s.
[f. 172] Peintures, ornemens et vitreries de Saint Germain
Du 14e juin 1664
A Poisson, pour menues ouvrages de peinture faictes à Saint Germain : 72 l. 5 s.
A Robert Morel, vitrier, pour ouvrages de vitrerie par luy fait : 333 l. 3 s.
A Boutray, serrurier, pour ouvrages de serrurerie par luy fait : 412 l. 4 s.
Du VIIe septembre
A Jean Poisson, peintre, à compte des ouvrages par luy faits aux chasteaux de Saint Germain : 50 l.
A Boutray, à compte des ouvrages de serrurerie par luy faits aux chasteaux de Saint Germain : 60 l.
A Baptiste, sculpteur, à compte des ouvrages qu’il fait à la façade des terrasses de Saint Germain : 200 l.
Du 14 octobre
A Lherminier, pour les reparations de plomberie par luy faites à la terrasse de Saint Germain : 185 l. 5 s.
A Baptiste le Romain, à compte des ouvrages de sculpture qu’il fait aud. lieu : 800 l.
A Louis Boutray, à compte des ouvrages de serrurerie qu’il fait au chasteau neuf de Saint Germain : 100 l.
Du 23 decembre
A luy, à compte des ouvrages de serrurerie qu’il fait aux chasteaux de Saint Germain : 450 l.
[f. 172v] Du 22e decembre 1664
A Vautrin, sculpteur, à compte des ouvrages de sculpture par luy faits au vieu chasteau de Saint Germain : 200 l.
A Poisson, à compte des ouvrages de peinture par luy faits aux chasteaux de Saint Germain : 150 l.
A Baptiste le Romain, sculpteur, à compte des ouvrages qu’il fait à la façade des terrasses de Saint Germain : 300 l.
A Pierre Morel, vitrier, à compte des ouvrages par luy faits aux chasteaux de Saint Germain en Laye : 150 l.
Du dernier decembre
A Gilles Le Roy, à compte des ouvrages de plomberie des chasteaux de Saint Germain en Laye : 1000 l.
A Louis Boutrais, à compte des ouvrages de serrurerie qu’il fait ausd. lieux : 200 l.
A Baptiste Tuby dit le Romain, à compte des ouvrages de sculpture par luy faits à la façade des terrasses de Saint Germain : 300 l.
A Jean Poisson, peintre, à compte de ses ouvrages du vieil chasteau de Saint Germain : 100 l.
A Denis Morel, vitrier, à compte des ouvrages de vittrerie des chasteaux de Saint Germain : 100 l.
A Leonnard Padelin et Jean Varisse, ramonneurs de cheminée, à compte de ce qu’ils ont fait ausdits lieux : 100 l.
Du 17 mars 1665
Aud. Boutray, serrurier, à compte de sesd. ouvrages de Versailles : 450 l.
A Pasquier, pour son paiement d’un chanbranle et d’un fouyer de marbre : 190 l.
[f. 173] A Jean Poisson, à compte des ouvrages de peinture qu’il a fait à Saint Germain : 100 l.
A Voitrin, sculpteur, pour parfait paiement des balustrades dud. lieu : 241 l.
A Tolmay, vuidangeur, pour son paiement des fosses qu’il a faites aud. lieu : 803 l.
[Total :] 7046 l. 17 s.
[f. 176] Couvertures de Saint Germain
Du dernier decembre 1664
A Charles Juon, couvreur, à compte des couvertures au chasteau neuf de Saint Germain en Laye : 300 l.
A luy, à compte des ouvrages de couverture dud. lieu de Saint Germain : 2500 l.
[Total :] 2800 l.
[f. 178] Entretenement des grandes terrasses de pierre dure du vieux chasteau de Saint Germain
[f. 180] Jardinages de Saint Germain
Du 20e may 1664
A Jean Delalande, pour son remboursement de pareille somme par luy avancée pour le paiement des ouvriers qui ont travaillé au jardin neuf du petit bois du chasteau de Saint Germain, cy : 345 l. 15 s.
Du 22e septembre
A Denis Delamalle, à compte des enlevemens des immondices du pourtour des murs du parc de Saint Germain, cy : 200 l.
Du 23e decembre
Aux sieurs Guillaume, François Villedo et Antoine Bricard, à compte des fouilles et transports de terre qu’ils ont fait faire dans l’allée du perron du jardin du boullingrain : 1400 l.
A Soulaigre, pour avoir fait sabler la terrasse de l’appartement du Roy aud. lieu : 170 l.
A Jean Delalande, pour avoir fait venir 60 bastelées de sable et l’avoir répandu dans le jardin du boullingrain du chasteau neuf de Saint Germain en Laye : 180 l.
Du dernier decembre
Ausd. Villedo et Bricard, pour leur parfait paiement des fouilles et transport de terre pour l’aplanissement de l’allée en face du jardin du boullingrain : 1012 l.
[f. 180v] Du 17e may 1665
A Jean Delalande, pour le paiement des gens qui ont remply la glaciere de Saint Germain : 60 l.
Du 4 juin aud. an
A Gosselin et Duchesne, terrassiers, pour leur payement d’avoir enlevé les immondices de Saint Germain : 96 l. 15 s.
[Total :] 3464 l. 10 s.
[f. 182] Plans et avenues des chasteaux de Sainct Germain en Laye
Du 20 septembre 1665
A Roch Gaullard, pour son paiement d’avoir labouré vingt six arpens de menu plan dans les avenues des chasteaux de Saint Germain en Laye : 78 l.
A Morice Breton, pour avoir labouré quatorze arpens 86 perches de menu plan : 44 l. 10 s.
A Estienne Caffon, à compte de deux arpens quatre perches qu’il a palnté dans lesd. avenues : 60 l. 18 s.
A Barthellemy Jouan, pour son paiement d’avoir planté trois arpens 72 perches : 112 l.
A François Gignet, pour son paiement d’avoir fouillé 890 thoises de fossés : 99 l.
A Lalande, à compte des arbres qu’il a livrez pour planter dans lesd. avenues : 3500 l.
A Nicolas Morsant, pour son paiement de 74 milliers de menu plan pour planter lesd. avenues : 203 l. 10 s.
A Lalande, pour plusieurs allignemens par luy tirez pour planter lesd. avenues : 150 l.
[f. 182v] A Laurent Estienne, pour avoir vacqué pendant 4 mois aux plans desd. avenues : 400 l.
A Pierre Fleury, pour avoir planté 103 arpens 60 perches de menu plan : 1866 l.
Aud. Lalande, à compte des plans par luy fournis et à fournir pour planter lesd. avenues : 11500 l.
A Jean Duperet, pour son paiement de 78 milliers de menu plan : 187 l.
A Estienne Cavé, pour son paiement de la quantité de 57 milliers de menu plan : 131 l. 10 s.
A Pierre Liard, tant pour luy que pour luy que pour la veuve Vaugannier, pour leur paiement de 39 milliers 300 de menu plan : 108 l.
A Jean Dereine, pour son paiement de 34 milliers de chastaigniers : 161 l. 10 s.
A Guillaume Cavé, pour son paiement de 19 milliers 500 de menu plan : 62 l. 7 s. 6 d.
A Nicolas Morsan, tant pour luy que pour Jean Laisné, pour avoir planté 29 arpens 50 perches de menu plan : 531 l.
A Georges Vaillaud, pour son paiement de 104 milliers de menus pieds d’arbres : 208 l.
A Philippes Boubé, pour son paiement de 172 milliers de menus plans : 380 l.
A Robert Le Rat, pour son paiement de 71 milliers de menu plan : 177 l.
A Thomas Vitry, pour son paiement de 75 milliers de chastaigniers : 434 l. 10 s.
[f. 183] A Thomas Vitry, pour son paiement de 48 milliers 200 de menus plans : 289 l.
A luy, pour son paiement de 18 milliers un cent de chastaigniers pour planter lesd. avenues : 90 l. 12 s.
A Bloquiere, Marie et Rullier, pour leur paiement de 933 milliers de menus plans : 2237 l.
A Jacques Ravet, pour son paiement de 773 milliers de menus plans : 1932 l. 10 s.
A Pierre Dreux, pour avoir planté et rayonné 26 arpens de menus plans : 416 l.
A luy, pour son paiement de 822 milliers de menus plans pour lesd. avenues : 2050 l.
A Jean Goupy et Jean Bertin, pour avoir planté huict arpens 96 perches de menu plan : 881 l.
A Raoullin Millet, pour son paiement de 21 milliers 300 de chastaigniers pour lesd. avenues : 129 l. 18 s.
A Louis Delespine, pour avoir planté trente arpents de menus plans pour lesd. avenues : 1200 l.
A Jean Berthin et René Richard, pour avoir planté trois arpens treize perches de menu plan : 125 l.
A Robin Mallard, pour avoir planté sept arpens cinquante cinq perches de menu plan : 136 l.
A Maurice Breton, pour avoir planté 14 arpens 86 perches de terre : 267 l.
A Paul As et Denis du Lary, pour 43 arpens 86 perches qu’ils ont planté dans lesd. avenues : 789 l. 10 s.
[f. 183v] A Paul As, pour son paiement d’avoir livré 10 milliers 500 de menus plans : 35 l.
A Louis Meslin, pour son paiement de 1633 milliers 500 de menus plans : 4081 l. 5 s.
A Charles Thibout, pour 144 milliers de menu plan qu’il a livrés pour lesd. avenues : 360 l.
A Roch Gaullard, pour son paiement de 332 milliers 380 de menu plan pour lesd. avenues : 1283 l.
A Jean Leseigle, Robert Picot et Jullien Goyer, à compte des fosses qu’ils ont faits le long desd. avenues : 600 l.
A Jean Thuilleau, pour son paiement de 203 milliers 500 de menus plans : 758 l. 15 s.
A Mathieu Villain et Pierre Beaugrand, pour avoir planté cinquante deux arpens et demy de menu plan : 945 l.
A Gignet, Lesieur et Adam, pour avoir fait 185 toises de fossés le long desd. avenues : 92 l. 10 s.
A Laurent Estienne, pour le paiement des gens qui ont travaillé à abattre et arracher les arbres qui se sont rencontrées dans l’alignement desd. avenues : 16999 l.
A Jean Previlly et Louis Frucher, tant pour eux que pour leurs compagnons, pour avoir planté III arpens 72 perches de menu plan : 2011 l. 10 s.
[Total :] 58104 l. 5 s. 6 d. »

Paiements pour des travaux aux châteaux de Saint-Germain-en-Laye

« [f. 85] Chasteau de Saint Germain
Maçonnerie
Du 22 may 1665
A Guillaume et François Villedo et Antoine Bricard, entrepreneurs de la maçonnerie de Saint Germain, à compte : 7000 l.
Du 11 juin
A eux, à compte des ouvrages de maçonnerie qu’ils font au chasteau de Saint Germain en Laye : 9000 l.
A Tristan Lespine et Charles Delarue, à compte du restablissement des murs du parc dud. lieu : 485 l.
A eux, à compte du restablissement des couvertures des escaliers du vieil chasteau : 1750 l.
A Pierre Hamelin, maçon, à compte d’avoir carellé le jeu de paulme de Saint Germain : 300 l.
Du 4 juillet
Ausd. Villedo et Bricard, à compte des ouvrages de maçonnerie qu’ils font au chasteau de Saint Germain : 8000 l.
Ausd. Lespine et Larue, à compte des terrasses et couvertures du vieu chasteau de Saint Germain : 1900 l.
[f. 85v] Du 24 juillet 1665
Ausd. François et Guillaume Villedot et Antoine Bricard, à compte de leursd. ouvrages : 5600 l.
A Tristan Lespine et Charles Delarue, à compte de divers ouvrages de maçonnerie qu’ils font aud. lieu : 1600 l.
Du premier septembre
Ausd. Villedot et Bricart, à compte des ouvrages de maçonnerie qu’ils font à Saint Germain : 3000 l.
Ausd. Lespine et Larue, à compte des reparations de maçonnerie qu’ils font aud. lieu : 800 l.
Du 4 decembre
Ausd. Lespine et Larue, à compte des reparations de maçonnerie qu’ils font à Saint Germain : 1900 l.
A eux idem : 700 l.
Ausd. François et Guillaume Villedo et Antoine Bricard, à compte des ouvrages de maçonnerie qu’ils font aux terrasses de Saint Germain : 1500 l.
A Pierre Hamelin, maçon, pour son paiement d’avoir repavé le jeu de paulme dud. lieu : 332 l.
Du 10 decembre
Ausd. Lespine et Larue, à compte des reparations de maçonnerie qu’ils font à Saint Germain : 1750 l.
Du 26 decembre
A eux idem : 1100 l.
Aud. Lespine, à compte des reparations de maçonnerie qu’il fait au vieil chasteau de Saint Germain en Laye : 200 l.
[f. 86] Du dernier decembre 1665
Ausd. Lespine et Larue, maçons, à compte des ouvrages de maçonnerie qu’ils ont faits en divers endroits de Saint Germain : 600 l.
Dud. jour
Ausd. Villedo et Bricart, à compte des ouvrages de maçonnerie qu’ils ont fait aux grottes de Saint Germain : 12000 l.
Ausd. Lespine et Larue, à compte des ouvrages et reparations de maçonnerie qu’ils font en divers endroits dud. lieu : 300 l.
Du 24 avril 1666
A eux idem : 1300 l.
[Total :] 61117 l.
[f. 87] Reparations de maçonnerie de Saint Germain en Laye
Du 22 may 1665
A Tristan Lespine et Romain Delarue, maçons, à compte des reparations des hautes terrasses que pour celles des murs de closture de Saint Germain : 500 l.
[f. 89] Charpenterie de Saint Germain en Laye
Du 22 may 1665
A René Dufay, charpentier, à compte des ouvrages qu’il fait aux chasteaux de Saint Germain : 1000 l.
Du 12 juin
A luy, idem : 1300 l.
4 juillet
A luy, à compte des ouvrages de charpenterie par luy faits et à faire aux chasteaux de Saint Germain : 900 l.
Du 24 dud.
A luy, idem : 700 l.
Du premier septembre
A luy, à compte des ouvrages de charpenterie qu’il fait aud. lieu : 800 l.
Du 4 decembre
A luy, à compte des ouvrages de charpenterie qu’il fait aux chasteaux de Saint Germain en Laye : 600 l.
A luy idem : 300 l.
Du 10 decembre
A luy, à compte des ouvrages de charpenterie par luy faits aux chasteaux de Saint Germain : 300 l.
A luy, idem : 800 l.
[f. 89v] Du 24 avril 1666
A René Dufay, charpentier, à compte des ouvrages qu’il a faits en divers endroits des chasteaux de Saint Germain : 550 l.
[Total :] 7250 l.
[f. 91] Menuiserie de Saint Germain en Laye
Du 22 may 1665
A Adrien Millot, menuisier, à compte de ses ouvrages de Saint Germain : 850 l.
A Charles Lavié, menuisier, idem : 3000 l.
Du 12 juin
A Adrien Mulot, menuisier, à compte de ses ouvrages de Saint Germain : 900 l.
A Charles Lavié, idem : 5600 l.
4 juillet
A luy, à compte des ouvrages de menuiserie qu’il fait aux chasteaux de Saint Germain : 2200 l.
Du 24e dud.
Aud. Milot, menuisier, à compte des ouvrages qu’il fait aux chasteaux de Saint Germain : 550 l.
Aud. Lavier, à compte des ouvrages qu’il fait tant à Versailles qu’à Saint Germain, cy pour nota la somme de 2700 l. [dans la marge :] enregistré cy devant fol. 65
Du premier septembre
A Adrien Mulot, menuisier, à compte des ouvrages qu’il fait à Saint Germain en Laye : 300 l.
Aud. Lavié, menuisier, idem : 300 l.
Du 4 decembre
A luy, à compte des ouvrages de menuiserie qu’il fait aud. lieu : 500 l.
[f. 91v] Aud. Lavié, menuisier, à compte des ouvrages de menuiserie qu’il fait aux chasteaux de Saint Germain en Laye : 2300 l.
Du 10 decembre 1665
A luy, à compte des ouvrages qu’il fait aux chasteaux de Saint Germain : 1300 l.
A Adrien Millot, menuisier, à compte des ouvrages qu’il fait aud. lieu : 200 l.
Du 26 decembre
Aud. Lavié, à compte des ouvrages de menuiserie qu’il faut au chasteau de Saint Germain : 500 l.
Du dernier decembre
A luy, idem : 1000 l.
Du 19 janvier
A luy, à compte des ouvrages de menuiserie qu’il fait aud. lieu : 800 l.
A Mulot, menuisier, idem : 700 l.
Du 24 avril 1666
A luy, idem : 500 l.
Aud. Lavié, menuisier, à compte des ouvrages qu’il fait aud. lieu : 600 l.
[Total :] 22100 l.
[f. 93] Peintures, sculptures et ornemens de Saint Germain
Du 22 may 1665
A Jean Poisson, peintre, à compte des ouvrages de peinture qu’il fait aux chasteaux de Saint Germain : 800 l.
A Jean De Launay, rocailleur, pour emploier en achapt de coquillages pour les grottes de Versailles et de Saint Germain, la somme de 1000 l., cy pour nota 1000 l. [dans la marge :] enregistré cy devant fol. 68v°
Du 12 juin
A Jean Poisson, à compte des ouvrages de peinture des chasteaux de Saint Germain en Laye : 850 l.
A Jean Disses, à comptes des toesles de mastic qu’il fait pour les terrasses de Saint Germain : 1000 l.
A André Mottelet, froteurs de parquet, à compte des ouvrages qu’il fait aud. lieu : 180 l.
Du 4 juillet
A luy, idem : 60 l.
A Pierre et Nicolas Mesnard, marbriers, à compte des ouvrages de pavé de pierre de Caen et de liais de la gallerie des grottes de Saint Germain : 1500 l.
A Jean Colot, fondeur, pour parfait paiement des ouvrages par luy faits à Saint Germain en l’année 1662 : 280 l.
A Jean Disses, à compte des toisles de mastic qu’il doibt mettre aux terrasses dud. lieu : 1400 l.
[f. 93v] Du 24 juillet 1665
A Baptiste Tuby, sculpteur, à compte des ouvrages de sculpture qu’il fait aux grottes et terrasses de Saint Germain : 500 l.
A Jean Poisson, peintre, à compte des peintures qu’il fait aux chasteaux de Saint Germain : 200 l.
A Pierre et Nicolas Mesnard, marbriers, à compte des pierres de Caen et de liais qu’ils font à la gallerie des grottes de Saint Germain : 400 l.
Du premier septembre
A Jean De Launay, rocailleur, pour parfait paiement des coquillages qu’il a fait venir tant pour les grottes de Saint Germain que pour celles de Versailles : [rayé :] 1290 l. [dans la marge :] enregistré cy devant fol. 70
A Jean Disses, fontainier, à compte des ouvrages de mastic qu’il doibt faire sur la gallerie de Saint Germain, cy : 2000 l.
A Pierre et Nicolas Mesnard, à compte des ouvrages de pavé qu’il fait à la gallerie des grottes dudict lieu : 400 l.
A Jean Poisson, peintre, à compte des ouvrages de peinture qu’il fait à Saint Germain : 200 l.
Du 4 decembre
A Jean Poisson, à compte des ouvrages de peinture qu’il a faits ausd. lieux : 200 l.
A Tuby, sculpteur, à compte des ouvrages de sculpture qu’il faut aux grottes et terrasses dud. lieu : 300 l.
Aud. Poisson, peintre, idem à compte de sesd. ouvrages : 200 l.
A Pierre et Nicolas Mesnard, marbriers, à compte des ouvrages de pavé de pierre de Caen et de liais qu’ils font à la gallerie des grottes de Saint Germain : 1300 l.
[f. 94] A Jean Disses, fontainier, à compte des ouvrages de mastic qu’il fait à la gallerie des grottes de Saint Germain : 5000 l.
A luy, idem : 6600 l.
A Gilles Martinot, horloger, pour avoir retably l’orloge de Saint Germain et y avoir mis une pendule, la somme de : 500 l.
A Colot, fondeur, pour plusieurs robinets et agraffes de cuivre par luy fournis pour led. lieu : 203 l. 2 s.
Du 10 decembre 1665
A Jean Disses, fontainier, à compte des ouvrages de mastic qu’il fait à la gallerie des grottes de Saint Germain : 4700 l.
A Pierre et Nicolas Mesnard, marbriers, pour parfait payement de pavé de pierre de Caen et de liais qu’ils ont faits dans les galeries des grottes dud. lieu : 366 l.
Du 26 decembre
A Jean Poisson, à compte des ouvrages de peinture qu’il fait aud. lieu : 200 l.
Du 5 febvrier 1666
Au sieur Errard, pour son parfait paiement des ouvrages de peinture et dorure qu’il a faites à Saint Germain en Laye : 2406 l.
Du dernier decembre
Aud. Disses, à compte des ouvrages de ciment et de mastic qu’il a faits aux grottes dud. lieu, la somme de : 1000 l.
[f. 94v] Du 29 janvier 1666
A Mottelet, pour le frotage des planchers de plusieurs appartemens de Saint Germain : 186 l.
A Jean Poisson, à compte des ouvrages de peinture qu’il a faits aud. lieu : 300 l.
Du 24 avril 1666
A luy, idem : 300 l.
[Total :] 33531 l. 2 s.
[f. 95] Couvertures et plomberies
Du 21 juin 1665
A Gilles Le Roy, plombier, à compte des ouvrages qu’il fait aux chasteaux de Saint Germain en Laye : 2200 l.
A Charles Juon, couvreur, à compte des ouvrages qu’il fait aud. lieu : 600 l.
Du 4 juillet
A luy, à compte des ouvrages qu’il fait tant au chasteau du Louvre qu’à Saint Germain, cy pour nota 6600 l. [dans la marge :] enregistré cy devant f. 20
Du 4 decembre
A Charles Juon, couvreur, à compte des ouvrages qu’il a faits au jeu de paulme de Saint Germain : 1000 l.
[Total :] 3800 l.
[f. 96] Jardinages de Saint Germain et autres menues despences
Du 22e may 1665
A Gilles Duval, terrassier, pour parfait paiement d’avoir enlevé les terres et arraché les espines le long des murs du petit parc : 108 l.
A Claude Maron, terrassier, pour les vidanges des terres des fossez du vieu chasteau de Saint Germain : 1182 l. 11 s. 6 d.
Du 12 juin
A Louis Delalande, à compte des grands plans qu’il a entrepris faire au lieu cy devant appellé la garenne du Vezinet à Saint Germain en Laye : 3000 l.
Aud. Maron, à compte de sesd. ouvrages de Saint Germain en Laye : 1412 l. 18 s. 4 d.
Du 4 juillet
A Jean Delalande, pour plusieurs reparations qu’il a faittes dans le jardin du boullingrin : 150 l.
A Edme Boursault, terrassier, pour le paiement des ouvriers qui ont emporté les immondices de Sainct Germain : 90 l. 10 s.
Du 24 juillet
Aud. Lalande, à compte du pris des arbres qu’ils ont planté et doivent planter au lieu cy devant apellé la guarenne du Vezinet : 2000 l.
[f. 96v] Du 4 decembre 1665
Aud. Lalande, jardinier, pour avoir resablé de sable de riviere le jardin en gazon de Saint Germain, la somme de : 473 l. 2 s.
A Edme Boursaut, terrassier, pour le paiement des ouvriers qui ont levé le pavé et osté les terres de dessus la voute de la gallerie des grottes de Saint Germain : 435 l. 10 s.
A luy, pour le paiement des ouvriers qui ont travaillez au restablissement des murs du petit parc de Saint Germain et autres menues ouvrages, la somme de : 258 l. 10 s.
A Henry Soulaigre, consierge du vieux chasteau de Saint Germain, pour le nettoyement dud. chasteau, des fossés et de la cour des cuisines depuis le 21 juin jusqu’au 11 aoust ensuivant : 288 l.
Du 10 decembre
Aud. Lalande, pour l’entretenement des oranges qui luy ont esté mis entre les mains au mois de septembre de la presente année jusqu’au premier janvier de l’année prochaine : 200 l.
A Jean Baptiste et Louis Delalande, pour employer aux grands plants des avenues de Saint Germain en Laye : 3000 l.
A Edme Boursaut, terrassier, pour le paiement des ouvriers qui ont travaillé au restablissement des murs du petit parc de Saint Germain et autres menues ouvrages : 258 l. 15 s.
[f. 97] Du 26 decembre 1665
A Edme Boursaut, pour le restablissement des murs du parc de Saint Germain : 234 l. 17 s.
A Disses, fontainier, à compte des ouvrages de ciment qu’il fait aux grottes dud. lieu : 3200 l.
Du dernier decembre
A Jacques Liard, pour avoir pris la quantité de 985 taupes qu’il a prises : 172 l. 7 s.
A Leonnard Aubry, paveur, pour les reparations qu’il a faites à Saint Germain pendant l’année 1664 : 376 l.
Du 25 janvier 1666
Au sieur Moyer, pour le regarnissement des plans qui ont esté faits l’année derniere dans la plaine de Vezinet : 6000 l.
A Julienne, pour le paiement des charpentiers qui travaillent à faire des palais pour la closture des plans de Saint Germain : 800 l.
A Edme Boursaut, pour avoir fait empailler la glaciere du chasteau neuf de Saint Germain : 99 l.
A Tessier, pour son parfait paiement de 2 poesles pour l’orangerie de Saint Germain : 110 l.
A Lalande, à compte des grands plans qu’il fournit dans la plaine du Vezinet : 1000 l.
Du 24 avril
A luy, pour son remboursement de pareille somme d’avoir fait restablir la glaciere de Saint Germain : 139 l. 1 s.
[f. 97v] A François Tolmay, vuidangeur, pour son paiement de plusieurs ouvrages faits à Saint Germain : 160 l.
A Jean Disses, à compte des ouvrages de ciment, patte et marches par luy faits aux grottes de Saint Germain : 1000 l.
Du 4 juin 1666
A Jean Baptiste Delalande, à compte des plans que le Roy fait faire dans la plaine de Vezinet à Saint Germain : 1000 l.
Au sieur Jullien, pour employer au paiement des charpentiers, scieurs de long et autres ouvriers qui travaillent à faire des palis pour la closture des plans que Sa Majesté fait faire dans la forest de Saint Germain : 2200 l.
Au sieur Moyer, pour emploier aux menues plans que Sa Majesté a fait faire sur les costes d’Acheres et dans la plaine de Vezinet à Saint Germain : 2000 l.
Du 17 juillet
A Jacques Ravet, à compte de 1351 milliers de menu plan qu’il a fournis pour planter à la haye aux prestres, vente de Bourbon, scize en la forest de Saint Germain : 661 l. 3 s. 6 d.
A Jean Forest, vigneron, idem à compte de quatre arpens 82 perches de menu plan : 168 l. 10 s.
[f. 100] Du 17 juillet 1666
A Jean Duvivier, André Leger et Jean Coulon, vignerons, à compte de trois arpens vingt cinq perches de menu plan qu’ils ont planté dans la vente de Bourbon à Saint Germain en Laye : 101 l. 10 s.
A Jean Gouy, René Richard et autres pour avoir labouré 138 arpens 60 perches de menu plan : 415 l. 10 s.
A Jean Frade et Paul Has, vignerons, pour 87 arpens 86 perches de menu plan : 266 l.
A Charles Ravet, pour avoir fait planter la quantité de 25 arpens 6 perches de menu plan : 1002 l. 8 s.
A Nicolas Morceau, idem de 15 arpens 6 perches de menu plan qu’il a planté à la Haye ayux Prestres : 417 l. 7 s. 6 d.
A Jumel, souverain et Rabilly, pour avoir fait la quantité de 242 thoises de fossés à Saint Germain dans la vente de Bourbon : 121 l.
A Louis Meslin, à compte de 15 arpens 17 perches qu’il a fait planter au lieu cy devant appellé la garenne de Vezinet : 270 l.
[f. 100v] A Jean Jumel, vigneron, pour avoir faict la quantité de 820 thoises de fossés à la vente de Bourbon : 137 l. 15 s.
A Martin Garoche et François Levasseur, idem de 1322 thosies de fossé : 132 l. 4 s.
A Jean Peully et Louis Foucher, pour avoir fait les premiers labours de III arpens 72 perches de menu plan : 335 l.
A Barthelemy Nerville, vigneron, pour avoir planté 4 arpens 86 perches de menu plan aud. lieu : 87 l.
A Jean Piteux et Louis Pusier, idem de 42 arpens 12 perches de menu plan aud. lieu : 758 l. 4 s.
A Pierre Thuileau, pour avoir planté 42 arpens 46 perches de menu plan : 660 l. 16 s.
A Baptiste Delalande, à compte des fossés qu’il a fait faire tant à l’entour de la grznde demue lune que le long de la route : 590 l.
Au sieur Estienne, pour les voiages et autres menus frais qu’il a fait pendant les années 1664 et 16665 qu’il a eu l’œil sur les ouvriers qui ont travaillé ausd. plans, la somme de : 236 l. 13 s.
A Jacques Depoix, pour son paiement d’avoir livré en l’année 1664 la quantité de 17 milliers 700 de menus plans : 101 l. 10 s.
A Gilles Giroust, pour 190 milliers de menu plan qu’il a livré pour planter aud. lieu : 382 l. 2 s.
A Claude Bellier et François Lavechef, à compte de 8 allignemens qu’ils ont pris pour faire les allées : 135 l.
[f. 101] A Mathurin Laborde, pour avoir fait la quantité de 1089 thoises de fossés pour claure la vente de Bourbon : 544 l. 10 s.
A Noel Odeau, pour son paiement de 382 milliers un cent de menu plan qu’il a livré pour estre planté au lieu cy devant appellé la garenne de Vezinet : 1041 l. 10 s.
A Laurent Estienne, pour le paiement des ouvriers qui ont travaillé tant à planter du menu plan au lieu cy devant appellé la garenne de Vezinet que pour les labours, cy : 4633 l.
[Total :] 12368 l. 19 s. 6 d.
[f. 98] Serrurerie de Saint Germain
Du 22 may 1665
A Louis Boutrais, serrurier, à compte des ouvrages de serrurerie de Saint Germain : 850 l.
Du 12 juin
A luy, idem : 1050 l.
Du 24 juillet
A luy, idem : 600 l.
Du premier septembre
Aud. Boutrais, à compte des ouvrages de serrurerie qu’il fait en divers endroits dud. chasteau : 700 l.
Du 4 decembre
A luy, à compte des ouvrages de serrurerie qu’il fait aux chasteaux de Saint Germain en Laye : 300 l.
A luy, idem : 300 l.
A Mathurin Le Breton, pour trois portes de fer qu’il a faites aux arcades de la terrasse d’en hault de Saint Germain : 900 l.
Du 10 decembre
Aud. Boutrait, à compte des ouvrages de serrurerie qu’il a faits en divers endroits des chasteaux de Saint Germain : 700 l.
A luy, idem à compte : 900 l.
[f. 98v] Du XI janvier 1666
A Louis Boutrais, serrurier, à compte des ouvrages de serrurerie qu’il fait à Saint Germain : 800 l.
Du 24 avril
A luy, idem : 600 l.
[Total :] 7700 l.
[f. 99] Vitrerie des chasteaux de Saint Germain
Du 22 may 1665
A Robert Morel, vitrier, à compte des ouvrages de vitrerie qu’il fait aux chasteaux de Saint Germain : 700 l.
Du 12 juin
A luy, idem : 550 l.
Du 24 juillet
A luy, idem : 550 l.
Du premier septembre
A Robert Morel, vittrier, à compte de sesdits ouvrages de Saint Germain : 550 l.
Du 4 decembre
A luy, à compte des ouvrages de vittrerie qu’il a faits en divers endroits dud. lieu : 200 l.
Du VIII janvier 1666
A luy, idem : 400 l.
Du 24 avril
A luy, à compte de sesd. ouvrages des chasteaux de Saint Germain : 550 l.
[Total :] 3500 l. »

Ordonnance pour des travaux pour le plafond de la salle du roi au Château-Neuf

« Me Jehan Jacquelin, tresorier et paieur des œuvres, ediffices et bastimens du Roy, nous vous mandons que des deniers ordonnez pour emploier aux bastimens du chasteau de Saint Germain en Laye dont nous avons la charge et surintendance, vous paiez, baillez et delivrez comptant à Jehan Savignac, maitre tourneur en bois demeurant rue Saint Denis, parroisse Saint Leu, la somme de unze escuz sols quarente solz tournois que nous luy avons ordonné et ordonnons par ces presentes sur estanmoings des borses et culz de lampes de bois blanc par luy faictz et fourniz pour servir au plat fondz de la salle du Roy au bastiment neuf dans le parc de Saint Germain en Laye, et rapportant par vous ces presentes avec quictance dud. Jehan Savignac sur ce suffisante seullement, lad. somme de XI escuz XL sols tournois sera passée et alloué en la despence de vostre compte et rabattue de vostre recepte partout où il appartiendra sans difficulté. Faict le septiesme jour mars mi Vc quatre vingtz dix sept.
Fourcy
Controllé et enregistré au controlle general des Bastimens du Roy le VIIe jour de mars mil Vc IIIIxx dix sept.
DeDonon »

Ordonnance de paiement pour réparations de vitrerie faites aux châteaux de Saint-Germain-en-Laye

« Me François Gabriel, conseiller du Roy, trésorier général des Bâtimens et jardins de Sa Majesté, arts et manufactures, nous vous mandons que, des deniers de votre charge de la présente année, vous payiez comptant à Claude Cossette, vitrier, la somme de cent cinquante livres dix sept sols dix deniers que nous luy avons ordonnée pour son payement des ouvrages et réparations de vitrerie qu’il a fait en la dépendance des châteaux de Saint Germain en Laye pendant le mois de novembre dernier suivant le mémoire par nous arresté et, rapportant par vous la présente avec ledit mémoire et quittance sur ce suffisante, lad. comme de CLV l. XVII s. X d. sera passée et allouée en la dépense de vos comptes par messieurs des comptes à Paris, lesquels nous prions ainsy le faire sans difficulté. Fait à Versailles le XVIIe jour de décembre MVIIc deux.
Hardouin Mansart »

Hardouin-Mansart, Jules

Mentions de Saint-Germain-en-Laye dans les mémoires de madame de Motteville

« [p. 32] Apres toutes les persecutions qui furent faites à plusieurs particuliers, le Roi, suivant son naturel, s’abandonna tout entier au pouvoir de son favori. Il se vit reduit à la vie la plus melancolique et la plus miserable du monde, sans suite, sans Cour, sans pouvoir, et par consequent sans plaisir et sans honneur. Ainsi se sont passées quelques années de sa vie à Saint Germain, où il vivoit comme un particulier, et pendant que ses armées prenoient des villes et gagnoient des batailles, il s’amusoit à prendre des oiseaux. Ce prince etoit malheureux de toutes les manieres, car il n’aimoit point la Reine et avoit pour elle de la froideur, et il etoit le martyr de madame de Hautefort, qu’il aimoit malgré lui et qu’il ne pouvoit se resoudre de chasser de la Cour, l’accusant de se moquer de lui avec la Reine. […] Enfin, lassé de tant souffrir, il chassa, comme je l’ai déjà dit, mademoiselle de Hautefort, et son inclination se tourna vers un objet nouveau dont la beauté brune n’etoit pas si eclatante, mais qui, avec de beaux traits de visage et beaucoup d’agremens, avoit aussi de la douceur et de la fermeté dans l’esprit. La Fayette, fille d’honneur de la Reine, aimable et fiere tout ensemble, fut celle qu’il aima. […] [p. 33] Madame de Hautefort ne fut pas fachée de sa retraite : elle n’avoit pas de honte qu’on la crut sa rivale ; et il n’y avoit point de prude qui n’aspirat à la gloire d’etre aimée du Roi comme l’etoit La Fayette, tout le monde etant persuadé que la passion qu’elle avoit pour lui n’etoit point incompatible avec sa vertu. Quand elle se separa de lui, elle lui parla longtemps devant tout le monde chez la Reine, où elle monta aussitot apres avoir eu son congé. Il ne parut aucune alteration sur son visage : elle eut la force de ne pas donner une de ses larmes à celles que ce prince repandit publiquement. Apres l’avoir quitté, elle prit congé de la Reine, qui ne la pouvoit aimer ; ce qu’elle fit avec cette douceur et cette satisfaction que doit avoir une chretienne qui cherche Dieu, et qui ne veut plus aimer que lui sur la terre, et ne desire que l’eternité. Elle ne fit pas neanmoins toutes ces choses sans beaucoup souffrir. J’ai su depuis de la comtesse de Flex, fille de la marquise de Senecé, et par consequent parente de La Fayette, qu’au sortir de la chambre du Roi, où elle avoit dit adieu à ce prince, elle descendit dans son appartement dont les fenetres donnoient sur la cour du chateau, et que cette aimable et vertueuse fille ayant entendu le carrosse du Roi, qu’il avoit fait venir pour dissiper le chagrin où il etoit, pressée de la tendresse qu’elle avoit pour lui, elle courut le voir au travers des vitres. Quand il fut entré, et qu’elle l’eut vu partir, elle se trouva vers la comtesse de Flex, qui etoit encore fille, et lui dit, touchée de douleur : « Helas ! je ne le verrai plus ».
[…]
[p. 45] [1643] Le lendemain de la mort du roi Louis XIII, le roi Louis XIV, la Reine, Monsieur, duc d’Anjou, le duc d’Orleans et le prince de Condé partirent de Saint Germain pour venir à Paris, et le corps du feu Roi demeura seul à Saint Germain, sans autre presse que celle du peuple, qui courut le voir par curiosité plutot que par tendresse. Le duc de Vendome y resta pour faire les honneurs, et le marquis de Souvré, gentilhomme de la chambre en année, pour y faire sa charge. De tant de gens de qualité qui lui avoient faire la cour la veille, personne ne demeura pour rendre ses devoirs à sa memoire : tous coururent à la regente.
Pendant les derniers jours de la maladie du feu Roi, le duc d’Orleans et le prince de Condé se regarderent avec defiance l’un de l’autre. On vit beaucoup de visages nouveaux, et chacun avoit plus de suite qu’à l’ordinaire. La Reine ne manqua pas de faire doubler ses gardes, et de prendre ses precautions contre les princes du sang, quoique ses soupçons fussent mal fondés.
[…]
[p. 84] [1644] La reine d’Angleterre vint à Paris à peu pres dans ce meme temps. Il y avoit trois ou quatre mois qu’elle etoit à Bourbon. La Reine la fut recevoir avec le Roi et le duc d’Anjou, le veritable Monsieur, jusque hors de la ville. Ces deux grandes princesses s’embrasserent avec tendresse et amitié, et se firent mille compliments qui ne tenoient rien du compliment. On la mena loger au Louvre, qui pour lors etoit abandonné, et pour maison de campagne on lui donna Saint Germain. Comme les affaires du Roi etoient en bon etat, et que la guerre n’avoit point encore ruiné les finances royales, on lui donna ensuite une pension de dix ou douze mille ecus par mois, et en toutes choses elle eut grand sujet de se louer de la Reine.
[…]
[p. 162] [1648] Le 3 juin, la Reine alla visiter la reine d’Angleterre, qui, de Saint Germain, etoit venue à Paris passer quinze jours en intention de gagner le jubilé.
[…]
[p. 200] Le 12 de septembre, […] la Reine dit tout haut qu’elle vouloit aller faire un petit voyage à Ruel, seulement pour faire nettoyer le Palais Royal, qui avoit besoin d’etre purifié. Le peuple avoit montré tant d’aversion à laisser sortir le Roi de Paris qu’on avoit cru cette apparente promenade trop difficile à faire pour oser la publier beaucoup de temps avant l’execution. Le cardinal, contre qui le peuple avoit vomi tant d’imprecations, etoit reduit à cette extremité de ne pouvoir sortir de la maison du Roi. Il craignoit toujours les suites de la rebellion, qui lui pouvoient estre pernicieuses. La Reine ne laissoit pas de sortir, mais la mauvaise disposition des esprits lui donnoit lieu de craindre toutes choses. Ainsi l’air de la campagne, qui semble annoncer la liberté et l’innocence, etoit un preservatif necessaire contre la corruption des ames, comme il le devoit aussi etre des corps. La saleté du Palais Royal fut donc un pretexte plausible pour mettre fin à certains desseins qui etoient enfermés dans le cœur du ministre, et qui etoient assez de consequence pour l’obliger à prendre toutes les precautions necessaires pour les bien executer.
Le lendemain 13 de septembre, sans en faire plus de bruit que le discours que la Reine avoit fait de ce voyage le jour precedent, le Roi, accompagné du cardinal Mazarin, de peu de personnes et de peu de gardes, partit à six heures du matin ; et, par cette promptitude, il ota au [p. 201] parlement et aux bourgeois le moyen de s’opposer à son dessein. La Reine seule demeura comme la plus vaillante pour favoriser cette retraite ; et comme son confesseur etoit malade, elle voulut aller le trouver aux Cordeliers pour se confesser, et dire adieu à ces bonnes filles du Val de Grace, qu’elle honoroit d’une tres particuliere amitié. […]
[p. 207] Les affaires etant en l’etat où elles etoient, la Reine se resolut de tirer Monsieur de Paris, où il etoit resté malade de sa petite verole ; mais pour attraper les Parisiens, qui etoient tous ravis d’avoir ce precieux gage entre leurs mains, elle donna ordre à Beringhen, premier ecuyer, d’aller modestement faire cette conquete sur eux. Il part de Ruel et vient à Paris, comme tous ceux de la Cour y venoient tous les jours. Etant arrivé, il prend un carrosse à deux chevaux, et va au Palais Royal faire visite à ce petit prince. Il le prit entre ses bras, le cacha dans le derriere de son carrosse, et le mena jusqu’à Longchamp. Il le mit ensuite dans un bateau pour le passer à l’autre bord de la riviere, où un carrosse du Roi l’attendoit, qui le mena à Boisenval, proche de Ruel. La Reine alla le voir le lendemain, et le ramena avec elle aupres du Roi, avec intention de changer bientôt de demeure, et d’aller à Saint Germain où la Cour se trouveroit separée de Paris par trois bras de riviere, et dans une assez raisonnable distance pour pouvoir travailler plus commodement qu’à Fontainebleau aux affaires que le parlement lui suscitoit tous les jours. On fit garder le pont de Neuilly jusqu’au depart du Roi, parce que l’on craignoit quelque inondation du peuple de Paris, et quelques mauvais effets de sa rage. […]
[p. 208] Le 29, les deputés allerent à Saint Germain, où la Reine etoit arrivée le 24. Ils y furent remplis de presomption et d’orgueil, et firent leur conference chez le duc d’Orleans, dont le ministre fut exclus à leur priere. […] [p. 209] En cette conference, les deux partis furent à demi satisfaits les uns des autres, et les deputés demeurerent d’accord de revenir à Saint Germain une seconde fois. […]
Un Espagnol nommé Galarette, passant alors de Flandre, où il avoit servi de secretaire d’Etat, pour aller en Espagne, demeura quelques jours à Saint Germain, où il eut de grandes conferences avec le cardinal sur tous les articles de la paix. Le ministre l’auroit peut etre alors desirée tout de bon, afin d’avoir des troupes toutes libres [p. 210] et de l’argent, pour chatier ceux qui le vouloient attaquer. Comme la haine des peuples n’avoit pas de plus legitime pretexte de murmurer contre lui que celui de le soupçonner de n’avoir pas voulu la paix, la Reine fit remarquer avec soin au public cet entretien particulier, disant souvent qu’elle et le cardinal Mazarin ne desiroient rien si fortement que ce bonheur, et que si le Roi son frere y vouloit consentir, elle se feroit assurement.
On fit voir le Roi à cet Espagnol, se promenant dans le parc. Il le trouva bien fait et fort aimable. La Reine ne le vit point, par une gravité qui lui fut inspirée par le ministre, quoiqu’elle l’eut connu autrefois aupres du marquis de Mirabel, dernier ambassadeur d’Espagne en France. […]
Le 1er du mois d’octobre ayant eté pris pour recommencer la conference à Saint Germain, les deputés y arriverent chargés de nouvelles propositions et de vingt cinq articles qui furent proposés par eux ; tous furent octroyés, hormis les deux que j’ai dejà marqués touchant la liberté des prisonniers et le privilege que le parlement demandoit d’en pouvoir prendre connoissance vingt quatre heures apres qu’ils seroient arretés. Il fut meme conclu qu’ils reviendroient dans deux jours pour achever entierement cette negociation. Le cardinal Mazarin n’assistoit à aucune de ces conferences, et le chancelier en avoit eté exclus par ordre de la Reine, pour tenir compagnie au ministre. Il fut neanmoins renvoyé à celle ci, comme necessaire au service du Roi, pour y maintenir ses interets et les faire voir aux princes qui ne pouvoient pas entendre les chicanes du parlement. […]
Le 3 du mois, les deputés retournerent à Saint Germain, selon la resolution qui en avoit eté prise. D’abord, les princes leur firent de grands reproches de leur arret donné contre le service du Roi, à la veille d’un accommodement. Ils leur dirent que ce procedé marquoit visiblement leurs mauvaises intentions, et qu’ils n’avoient pas de veritables desirs pour la paix. Ils repondirent, pour leur justification, que cet impot [p. 211] jusqu’alors n’avoit point eté levé, que les buchers s’etoient toujours defendus vigoureusement, que les partisans qui en avoient traité avec le Roi confessoient eux-mêmes n’en avoir rien reçu, et que, cela etant, ils avoient cru, sans prejudice du service du Roi, le pouvoir defendre et donner ce contentement au peuple. […]
Enfin, la conference ayant duré jusques au soir fort tard, les affaires ne purent se decider, à cause que les deputés vouloient absolument ce que la Reine ne vouloit point du tout leur accorder. Les princes les quitterent et vinrent prendre le cardinal dans son appartement. Ils allerent tous ensemble trouver la Reine dans le parc, où elle etoit allée faire un tour de promenade, attendant le succes de leur longue negociation. Le conseil fut tenu dans le propre carrosse de la Reine, sur ce qu’ils avoient à faire. Le chancelier exposa le fait, et l’obstination des deputés à vouloir la sureté des prisonniers, les retirant de la puissance des rois pour les faire juger juridiquement et hors de la domination des favoris, qu’ils disoient etre quelquefois injustes. La Reine, entendant parler de l’opiniatreté de ceux du parlement, interrompit le chancelier pour dire que son avis etoit de leur refuser constamment ce qu’ils demandoienrt, et de les chatier de leur entreprise sans plus ecouter aucune proposition de paix. […]
[p. 212] La Reine, les princes et le ministre se quitterent tous dans la grande place qui separe les deux chateaux. Les princes retournerent trouver les deputés, qui les attendoient au chateau neuf où logeoit le duc d’Orleans, et le cardinal s’en retourna dans son appartement. Il fut suivi à l’ordinaire d’un grand nombre de courtisans, qui, tout maltraité qu’il etoit des peuples et du parlement, ne l’abandonnoient pas, parce qu’il etoit toujours le maitre de leur fortune.
Les princes dirent aux deputés que, pour ce jour, ils n’avoient rien pu gagner sur l’esprit de la Reine ; mais ils leur promirent de faire encore de nouveaux efforts pour vaincre sa fermeté. […]
La Reine, etant de retour de la promenade, où sans doute elle s’etoit mal divertie, elle vint s’asseoir à son cercle, où je vis dans son visage et dans ses yeux que les affaires n’alloient pas selon son goût. Peu après, les princes arriverent, qui la firent quitter cette place pour aller au Conseil. Avant que d’y entrer, elle tira le marechal de Villeroy contre une fenetre, pour lui faire part de ses peines. Elle ne se plaignoit pas du cardinal, quoiqu’il fut d’avis contraire au sien ; elle comprenoit bien qu’il ne pouvoit pas faire autrement, et qu’il falloit qu’il fit semblant de vouloir la paix, pour ne point attirer la haine du parlement qu’il n’avoit dejà que trop. […] Je ne sais ce que le gouverneur du Roi lui repondit mais, apres cette conversation, elle entra dans son cabinet où se devoit tenir le Conseil. Avant qu’il fut commencé et que nous en fussions sortis, je remarquai que M. le Prince s’approcha de la Reine pour lui parler en faveur du parlement. […]
[p. 213] Enfin, les portes du cabinet s’ouvrirent avant le temps. Le cardinal Mazarin, qui avoit accoutumé de demeurer après la fin du Conseil avec la Reine, sortit le premier, et à l’air de son visage il sembloit qu’il etoit en mauvaise humeur. Le prince de Condé le suivit, et le duc d’Orleans demeura avec la Reine, pour tacher d’adoucir son ressentiment et sa peine. L’abbé de La Riviere alors fut appelé par son maitre pour faire le tiers dans cette conversation où la Reine seule avoit le cœur rempli d’amertume et de douleur. Une demi heure apres, le duc d’Orleans s’en retourna chez lui tout pensif.
M. le Prince vint un moment après trouver la Reine : il fit officieusement deux voyages vers elle, pour lui faire voir l’innocence du cardinal et pour le mettre bien dans son esprit. Nous vimes aussitôt, parmi toutes ces choses, qu’il y avoit quelque inquietude nouvelle dans le cabinet, et que les affaires n’alloient pas bien. En mon particulier, je ne fus pas longtemps dans cette inquietude, car la Reine, peu apres, etant demeuré seule, comme elle voulut entrer dans son oratoire pour prier Dieu, je lui demandai la cause de ce que je voyois ; et, la plaignant de toutes ses souffrances, je la suppliai de m’apprendre ce que M. le cardinal disoit sur tout cela. […]
[p. 214] Le soir de ce jour, avant qu’elle s’endormit, le secretaire du cardinal, nommé de Lyonne, vint la trouver deux fois, et eut d’assez longues conferences avec elle de la part de son maitre ; puis le lendemain, au sortir de la messe, Le Tellier, secretaire d’Etat, y vint aussi, qui acheva de la resoudre d’accorder aux deputés ce qu’ils desiroient, à condition qu’au lieu de trois mois qu’ils demandoient en faveur des prisonniers pour etre renvoyés à leurs juges naturels, elle en demanda six avant que le Roi fut obligé de les rendre. […]
Ensuite de cette resolution, les deputés, arrivant à Saint Germain, trouverent leurs affaires faites, et n’eurent rien de plus difficile à executer qu’à remercier la Reine et les princes.
[…]
[p. 216] Le 15 d’octobre, les gens du Roi arriverent à Saint Germain, qui venoient demander à la Reine les deux millions, et protester de leur innocence et bonnes intentions. Ils trouverent la Reine prete à partir pour aller visiter les carmelites de Pontoise, à cause qu’il etoit le jour de Sainte Therese. Son voyage fut cause qu’ils differerent leur deputation jusques à son retour au soir. La Reine, revenue de son petit voyage, s’enferma au Conseil, où dejà les princes et le cardinal, attendant son retour, avoient commencé à traiter de quelques affaires. Ils avoient resolu d’accorder les deux millions.
[…]
[p. 217] Le 24, le premier president apporta à la Reine la declaration de la part de sa compagnie, qui avoit eté dressée par eux memes, où toutes leurs demandes etoient pleinement expliquées, et où il etoit facile de remarquer qu’ils avoient eté trop insatiables pour de sages senateurs qui sont destinés à moderer les exces des autres. On tint Conseil là dessus, et comme il falloit en ce jour recevoir la paix pour tacher d’eviter la guerre, les differens sentimens causerent beaucooup de disputes et de raisonnemens dans le cabinet.
[…]
[p. 218] Le 28 au matin, le marechal d’Estrées et le marquis de Seneterre vont trouver l’abbé de La Riviere pour lui annoncer de la part de la Reine et du ministre que M. le Prince demande le chapeau de cardinal pour le prince de Conti son frere, et que la nomination dejà faite en faveur de cet abbé soit revoquée, afin qu’elle puisse etre donnée à ce prince. […] [p. 219] Au sortir de la messe de la Reine, le duc d’Orleans la vint trouver. Il lui demanda une audience, où il ne voulut point d’autre temoin qu’elle seule. La Reine aussitôt nous commanda de sortir de son cabinet ; et, faisant fermer les portes, elle livra ses oreilles à toutes les plaintes que ce prince lui voulut faire. […]
La ville de la fete de tous les saints, la Reine partit de Saint Germain pour revenir à Paris jouir du repos qu’il sembloit que cette derniere declaration lui devoit faire esperer. Avant que de quitter ce lieu, elle alla visiter madame la duchesse d’Orleans, qui etoit en couche. Cette princesse haissoit le favori de Monsieur ; mais, pour plusieurs raisons, elle avoit voulu prendre hautement son parti : si bien que la Reine venant la voir, elle lui temoigna prendre beaucoup de part à l’offense que Monsieur croyoit lui avoir eté faite. […] [p. 220] Ainsi la visite de la Reine se passa froidement, et finit sans que le duc d’Orleans, qui vint dans la meme chambre, s’approcha d’elle, ce qui fut desapprouvé des personnes les plus interessées ; car les hommes, en general, ne sauroient jamais trop rendre de civilités aux dames, et ce prince en devoit beaucoup en son particulier à la Reine qui, en grandeur, n’avoit point d’egale en toute la terre. Monsieur, etant dans la chambre de Madame en presence de la Reine, parla toujours à Mademoiselle, sa fille, qui par mille autres raisons etoit, aussi bien que Madame, sa belle mere, dans une joie extreme de la colere de ce prince. […]
Le cardinal Mazarin alla aussi prendre congé de Madame, que sa couche devoit retenir encore quelque temps à Saint Germain ; et de son appartement passant à celui de M. le duc d’Orleans, il fut reçu de ce prince froidement. Il lui dit, parlant de l’affaire presente, qu’il n’etoit pas en volonté de souffrir cet affront. Ce fut le meme terme dont il se servit pour exprimer son ressentiment ; et cela fut cause que le ministre ne put pas retourner à Paris jouir de la paix qu’il avait achetée si cherement, sans craindre de nouvelles inquietudes. Ce même jour, le Roi et la Reine, le prince de Condé et toute la Cour se rendirent dans cette celebre ville, où, selon la legereté ordinaire des peuples, la Reine fut reçue avec des temoignages extremes d’une grande joie.
[…]
[p. 221] Le 4 du mois de novembre, le duc d’Orleans alla voir Madame à Saint Germain ; et ce meme jour, il y eut comedie au Palais Royal, pour montrer à ce prince que son mecontentement et son absence ne donnoient pas de grandes inquietudes à la Reine. Il n’y eut que ceux de la cabale du prince de Condé et les courtisans ordinaires qui prirent leur part de ce plaisir. Les autres, voulant montrer cette partialité au duc d’Orleans, n’y parurent point. Il revint le lendemain, et fut au Conseil avec un visage rempli de chagrin.
[…]
[p. 229] [1649] Le prince de Condé s’etoit attiré la haine du parlement par la reponse ferme et severe qu’il avoit faite depuis peu à Viole dans la grand’chambre : il avoit d’ailleurs pris une liaison assez forte avec le duc d’Orleans par son favori pour esperer, par l’appat du chapeau, d’en disposer à son gré. Il avoit des desirs dereglés, ou du moins ambitieux : de grands princes tels que lui n’en manquent pas. Il crut par cette voie reussir dans ses desseins, sans y trouver l’opposition qu’il devoit toujours craindre du coté de ce prince, qui lui etoit superieur. Il voulut aussi s’acquerir envers la Reine et son ministre du mepris que ses sujets faisoient de son autorité. Pour cet effet, il s’offre à la Reine, il l’assure de sa fidelité pour le dessein qu’elle avoit dans le cœur ; il fait plus : il la persuade de la facilité de l’entreprise, et lui dit qu’avec lui et les bons soldats qui sont dans ses armées, elle ne peut qu’elle ne voie dans peu de temps les Parisiens et le parlement à ses pieds. la Reine goute cette douce harangue avec joie : elle veut tout hasarder pour retablir la puissance royale qui paroissoit mourante, et dont le mauvais etat demandoit les extremes remedes. Avec un protecteur tel que M. le Prince, le ministre ose tout entreprendre, et conseille la Reine de l’ecouter. Cette princesse, se voyant secourue et consolée, bien contente de pouvoir esperer une fin à sa peine, fait un complot entre elle, le prince de Condé et son ministre, de sortir de Paris secretement, pour le chatier par les voies les plus fortes, et se determine de ne plus parler à ses peuples que par la bouche de ses canons. M. le Prince, qui pretendoit etre le maitre dans sa famill, offrant à la Reine sa personne, ses services et son gouvernement de Bourgogne, l’assure aussi de celui de Normandie, dont le duc de Longueville, son beau frere, etoit gouverneur. Selon ces suretés, la Reine fit dessein, sortant de Paris, d’aller etablir le camp de l’armée à Saint Germain, d’où elle pouvoit faire la guerre aux rebelles, et recevoir de Normandie tout le secours dont elle pourroit avoir besoin. Elle crut aussi qu’elle pourroit en faire un lieu de retraite, au cas qu’elle ne put pas, aussi facilement qu’elle l’esperoit, reduire Paris et ce qui etoit dans ses murailles dans une entiere obeissance.
Pour la perfection de ce dessin, il falloit gagner le duc d’Orleans, et l’obliger à se mettre de la partie. Il etoit difficile de l’esperer, car n’etant point l’auteur de cette pensée, il ne pouvoit y donner son approbation. […] La Reine l’allant voir au Luxembourg, comme il avoit encore un peu la goutte, lui temoigna un grand desir de le voir prendre part à sa destinée. Elle l’en prie, l’en presse et l’en conjure, par cette amitié qui avoit toujours tenu quelque place dans le cœur de l’un et de l’autre. Ensuite de ses prieres, elle lui temoigna hardiment que quand meme il seroit capable de l’abandonner en cette occasion, elle ne laissera pas d’achever son entreprise, et lui dit qu’elle etoit resolue de se confier à M. le Prince plutôt que de demeurer plus longtemps [p. 230] en un lieu où l’autorité royale n’etoit plus considerée, où sa personne etoit tous les jours offensée, et où celle de son ministre etoit menacée des derniers outrages. Elle lui dit qu’elle croyoit le devoir soutenir, pour ne pas accoutumer les parlemens et les peuples à vouloir se meler du gouvernement ; et qu’il savoit bien que lui-même lui avoit toujours conseillé de le faire. Elle l’assura de plus que s’il desiroit pour sa satisfaction qu’elle allat à Orleans pour se mettre entre ses mains, elle le feroit volontiers, ne pouvant manquer de confiance pour une personne qui jusques alors ne lui avoit donné aucun veritable sujet de se plaindre de lui. Le duc d’Orleans, qui etoit naturellement bon, et qui avoit un favori qui avoit interet de le voir toujours content et à la Cour, se voyant pressé par la Reine d’une maniere si obligeante, ne la put refuser ; et la resolution fut prise entre la Reine, lui, le prince de Condé et le ministre d’executer cette grande action avec toutes les precautions qui en devoient etre les suites necessaires. Les ordres furent donnés et le jour arreté pour sortir de Paris ; et ceux qui avoient en depot le secret royal furent entierement fideles à le garder. Le duc d’Orleans ne le dit point à Madame ni à Mademoiselle ; et M. le Prince le cacha soigneusement à madame la Princesse sa mere, et à madame de Longueville, cette illustre sœur avec qui il croyoit etre si bien.
Malgré ce secret, un certain bruit se repandt par Paris que la Reine avoit quelque dessein. Le parlement avoit peur ; tout le monde parloit de ce qu’il ne savoit point, chacun se demandoit l’un à l’autre ce que c’etoit : nul ne le pouvoit dire. Mais, par un pressentiment ecrit dans la nature, la verité, quoique cachée, ne laissoit pas d’etre sue. Toute la Cour etoit en alarme ; et tous ceux qui ont accoutumé de raisonner sur les affaires d’Etat, et qui veulent etre ministres malgré les rois, avoient de grandes occupations.
Le 5 janvier, la veille des Rois, ce jour si celebre, et dont on parlera sans doute dans les siecles à venir, j’allai le soir chez la Reine, où j’avois accoutumé de passer la plus grande partie de ma vie. […] La Reine nous avoua depuis, par l’execution de cette grande aventure, qu’elle eut alors de la peine à s’empecher de rire ; et qu’ensuite elle eut quelque bonté pour nous, et quelque compassion de nous laisser dans une ville qu’elle quittoit [p. 231] avec dessein de l’assieger. Mais nous lui avons toujours maintenu qu’elle ne fut point alors susceptible d’aucun sentiment de pitié, et que la vengeance et la joie occuperent entierement son cœur. […]
Aussitôt que nous fumes parties, les portes du Palais Royal se fermerent, avec commandement de ne les plus ouvrir. La Reine se releva pour penser à ses affaires, et ne fit part de son secret qu’à sa premiere femme de chambre, qui couchoit aupres d’elle. On donna les ordres necessaires aux capitaines des gardes que nous avions laissés dans la chambre de la Reine pas plus savans que nous. Le marechal de Villeroy, à qui on donna la connoissance de cette resolution quand il fut necessaire qu’il la sut, laissa dormir le Roi jusqu’à trois heures du matin, puis le fit lever, lui et Monsieur, pour les faire monter dans le carrosse qui les attendoit à la porte du jardin du Palais Royal. La Reine se joignit au Roi et à Monsieur. Ces trois personnes royales furent suivies du marechal de Villeroy, de Villequier et de Guitaut, capitaines des gardes de Leurs Majestés, de Comminges, lieutenant des gardes de la Reine, et de madame de Beauvais, sa premiere femme de chambre. Ils descendirent par un petit escalier derobé qui de l’appartement de la Reine alloit dans le petit jardin, et sortant par une petite porte qui est par dela le rondeau, monterent dans les carrosses qui les attendoient. La Reine etant au Cours, qui etoit le lieu du rendez vous, s’y arreta pour attendre que le duc d’Orleans, M. le Prince et toute la Maison royale fut venue la joindre.
Apres le soupé et le jeu, qui finit chez le maréchal de Gramont plus tot qu’à l’ordinaire, le duc d’Orléans et M. le prince de Condé s’en allerent chacun chez eux pour donner ordre à leurs affaires domestiques, et faire sortir de Paris leurs familles. Le ministre demeura où il etoit, s’amusant à jouer pendant que ses confidens firent emporter ce qu’il avoit de plus precieux, et sortir ses nieces, qui etoient encore aupres de madame de Seneçay. L’heure du rendez vous le pressant de partir, il se mit dans un carrosse avec quelques uns de ses amis, qu’il avertit alors de ce qui se passit, et s’en alla trouver la Reine qui l’attendoit dejà dans le Cours. Là se trouverent les personnes les plus considerables de la Cour, qui ne furent averties qu’à l’instant de sa sortie, dont furent sa dame d’honneur, ses filles et beaucoup d’autres. Chacun allant chercher son ami l’emmenoit avec lui pour se sauver ensemble et quitter cette ville qui alloit etre l’objet de la colere de son Roi ; et tous ceux qui purent prendre la fuite le firent avec empressement. Les domestiques du ministre, qui voyoient que leur maitre avoit une grande part au succes de ce voyage, furent les plus diligens à faire leur retraite ; et jamais nuit sans assaut et sans guerre ne fut remplie de tant d’horreur et de trouble.
[p. 232] Je fus avertie, comme les autres, à l’heure que la Reine partit ; et un de mes amis, domestique du cardinal Mazarin, vint heurter à ma porte avec un carrosse à six chevaux, pour me convier à suivre la Reine ; mais je ne le voulus pas faire pour plusieurs raisons, qui toutes regardoient ma commodité et mon repos. Le duc d’Orleans, etant arrivé au Luxembourg, fit eveiller Madame, qui se leva toute troublée de cette nouvelle : il fit aussi lever mesdemoiselles ses filles, et toutes ensemble s’en allerent où la Reine les attendoit. Mademoiselle, fille ainée du duc d’Orleans, avoit eté avertie par la Reine meme, qui lui avoit envoyé Comminges aussitôt apres que nous l’eumes quittée ; et cette princesse, avec la meme surprise que les autres, alla se joindre, selon l’ordre qu’elle en avoit reçu, avec la famille royal. Le prince de Condé en fit autant dans sa maison. Madame la Princesse sa mere, qui pretendoit que M. le Prince ne devoit point avoir de secret pour elle, fut surprise de voir qu’il lui en avoit cachée un si grand. Elle en fut touchée, mais comme il n’etoit pas temps de gronder, elle prit madame la Princesse sa belle fille, et le petit duc d’Enghien son petit fils encore au maillot, et vint de meme grossir la troupe du Cours.
Madame de Longueville, qui etoit demeurée à coucher à l’hotel de Condé à cause du jour des Rois, fut avertie et sollicitée par madame la Princesse sa mere de sortir avec elle ; mais cette princesse, qui avoit l’esprit rempli de beaucoup de grands desseins, s’excusa sur ce qu’elle etoit grosse. […] Le prince de Conti fut de la partie. Et toute la Maison royale etant assemblée, elle prit le chemin de Saint Germain en Laye. Le Roi, la Reine et toute la Cour se trouverent en ce lieu sans lit, sans officiers, sans meubles, sans linge, et sans rien de tout ce qui etoit necessaire au service des personnes royales et de toutes les autres qui les avoient suivies. La Reine, etant arrivée, coucha dans un petit lit que le cardinal Mazarin avoit fait sortir de Paris quelques jours auparavant, à cette intention. Il avoit de meme pourvu à la necessité du Roi, et il se trouva aussi deux autres lits de camp, dont l’un servit à Monsieur, et l’autre demeura pour lui. Madame la duchesse d’Orleans coucha une nuit sur la paille, et Mademoiselle aussi. Tous ceux qui avoient suivi la Cour eurent la meme destinée ; et en peu d’heures la paille devint si chere à Saint Germain, qu’on ne pouvoit pas en trouver pour de l’argent.
Lorsqu’on sut dans Paris le depart du Roi, de la Reine et de toute la Cour, le desespoir s’empara de tous les esprits, et la confusion commença avec le jour des les cinq à six heures du matin. Les cris furent grands dans les rues, et l’emotion s’y rendit universelle. Les premiers qui apprirent cette nouvelle l’envoyoient dire à leurs amis, et beaucoup de personnes de qualité se sauverent à Saint Germain, pour s’attacher à leur devoir. […]
[p. 236] Ne pouvant plus vivre en repos chez moi, je fus supplier la reine d’Angleterre de me recevoir sous sa protection au Louvre, ce qu’elle fit quelques jours apres avec beaucoup de bonté, me faisant donner deux belles chambres meublées des meubles de la Couronne, dont elle et toute sa Cour se servoit. […]
[p. 237] Madame de Longueville, apres avoir fait son plan, et connu qu’il etoit temps de se declarer contre la Cour, manda au prince de Conti son frere, qui etoit à Saint Gremain, et au duc de Longueville son mari, qu’il falloit quitter la Cour, et que l’ambition les appeloit ailleurs. Ces deux princes, persuadés par differents motifs, suivant aveuglement les avis d’une princesse qui ne marchoit que dans les tenebres, se derobent de Saint Germain la nuit du 10 de janvier, et paroissent à la porte de Paris avant le retour du soleil. […] La Reine m’a depuis fait l’honneur de me conter que le soir precedent de leur fuite à Saint Germain, le prince de Conti avoit fait la meilleure mine du monde, qu’il n’avoit de sa vie paru plus gai, et qu’il etoit de tous qui menaçoit le plus hardiment les Parisiens ; que le duc de Longueville n’avoit pas eté de meme, et qu’elle l’avoit trouvé si sombre et si visiblement interdit, qu’elle et son ministre s’en etoient aperçus, et sans en deviner la cause en avoient eu de l’etonnement. […]
[p. 238] Pendant que nous souffrions dans Paris, l’armée du Roi bloqua la ville, et se saisit de tous les passages des vivres. […] Beaucoup de personnes de qualité, pour se retirer de ce desordre, se voulurent sauver deguisées, et particulierement des femmes ; mais elles eurent quasi toutes de mauvaises aventures à conter à Saint Germain quand elles y arriverent, et il eut mieux valu pour elles qu’elles fussent demeurées exposées à la famine et à la guerre que de se trouver le sujet de la gaieté des honnetes bouffons de la Cour, qui faisoient de facheuses histoires, devant le Roi et la Reine, des accidens survenus aux dames qui sortoient de Paris.
Parmi cette raillerie, la misere des habitans de Saint Germain tenoit sa place. Ils n’avoient point d’argent, ni de meubles que ceux que les soldats leur vendoient à bon marché, quand ils avoient pillé ces beaux villages qui environnent Paris. […] La Reine ne rioit pas toujours : ses affaires alloient mal, et le parti contraire s’augmentoit. […] Quoique l’armée du Roi ne fut pas grande, les troupes de Paris ne lui auroient pas fait peur, sans qu’on jugea à Saint Germain que tant de braves gens en feroient assez pour les faire subsister longtemps, de sorte que cette entreprise parut à la Cour en mauvais etat. M. le Prince etoit au desespoiur de l’outrage qu’il croyoit avoir reçu par le prince de Conti son frere, et par madame de Longueville sa sœur, et ce qui d’abord n’etoit en lui qu’un desir d’obliger la Reine devint un veritable desir de se venger de sa famille, qui s’etoit separée de lui. […]
[p. 241] [21 janvier] Les inutiles, qui s’amusoient à crier, s’opposoient à la sortie de ceux qui vouloient aller à Saint Germain ou dans leurs maisons de campagne, et leur faisoient mille outrages. Les propres meubles du Roi et de la Reine, ses habits et son linge qu’elle avoit voulu ravoir, avoient eté pillés, et le nom du Roi devint si odieux à ses sujets que ses pages et valets de pied etoient courus dans les rues comme des criminels et des ennemis. […]
[p. 243] Pendant que les calamités augmentent à Paris, les conseils redoublent à Saint Germain, où l’inquietude etoit proportionnée au mauvais etat des affaires du Roi. Des deux cotés on souffroit.
[…]
[p. 253] [20 février] Ma sœur et moi, accompagnées de notre petit domestique, partimes de Paris, escortées d’une troupe de cavalerie du regiment du prince de Conti que commandoit Barriere, ce gentilhomme dont j’ai parlé ailleurs, qui etoit attaché à ce prince et qui par consequent avoit le malheur d’etre compté au nombre des ennemis de la Reine, apres avoir eté un de ses plus fideles serviteurs. Nous fumes reçues à Saint Denis par le comte du Plessis, qui commandoit à la place du marechal du Plessis son pere. Il nous donna un bon repas et de bons lits, et le lendemain nous arrivames heureusement à Saint Germain. Il nous fallut prendre un grand detour, et nous passames par plusieurs villages, où nous remarquames une desolation effroyable. Ils etoient abandonnés de leurs habitans : les maisons etoient brulées et abattues, les eglises pillées, et l’image des horreurs de la guerre y etoit depeinte au naturel. Je trouvai la Reine dans son cabinet, accompagné du duc d’Orleans, du prince de Condé, de la princesse de Carignan et d’une grande presse. La Cour etoit alors fort grosse, parce que tous ceux qui n’etoient point de la Fronde s’etoient rendus aupres du Roi. L’appartement de la Reine, outre les personnes de la premiere qualité qui composoient la Cour, etoit rempli d’une grande quantité de gens de guerre, et je ne vis jamais tant de visages inconnus.
La Reine etoit au milieu de ce grand monde, qui paroissoit gaie et tranquille ; elle ne paroissoit point apprehender les malheurs dont elle etoit menacée par les gens de bon sens, et qui jugeoient de l’avenir par les choses passées et presentes. Il ne falloit pas mettre de ce nombre les mauvaises propheties de ceux qui vouloient decrier sa conduite, et qui pretendoient, en l’intimidant, l’obliger de chasser son ministre ; ils ne meritoient pas d’etre ecoutés, et l’apparente gaieté de la Reine avoit pour but de les faire taire. On ne peut pas en douter, car, en l’etat où elle se voyoit, il etoit difficile qu’ayant autant de sagesse et de raison qu’elle en avoit, elle put avoir un gaieté veritable.
Quand je partis de Paris, j’avois le cœur rempli de tout ce que l’on m’avoit dit dans cette ville. Je croyois que la Reine etoit menacée de perdre sa couronne, ou tout au moins la regence ; mais, etant à Saint Germain, je fus surprise quand j’entendis les railleries qui se faisoient contre les Parisiens et les frondeurs, et contre ceux qui lamentoient sur les miseres publiques. Je ne trouvai point qu’on eut peur de ce grand parti qui paroissoit si redoutable à toute l’Europe ; et, pour n’etre pas moquée, il me fallut faire bonne figure avec ceux qui traduisoient en ridicule les choses les plus serieuses, et qui, se moquant des deux partis, n’avoient aucun dessein que de profiter de ces desordres.
Le soir, apres que la Reine fut retirée, elle me commanda de lui dire tout ce que je savois de l’etat de Paris et de celui des esprits. […] [p. 254] Je la trouvai un peu etonnée de cet envoyé de l’archiduc, dont elle ne savoit point encore la fausseté, et, assez touchée de la mort du roi d’Angleterre, elle me dit elle-même que c’etoit un coup qui devoit faire trembler les rois, mais à son égard, etant persuadée qu’elle faisoit ce qu’elle devoit et ce qu’elle n’avoit pu eviter de faire, son esprit demeuroit tranquille au milieu de tant d’orages. En effet, son humeur toujours egale, fortifiée d’une ame qui ne se laissoit pas troubler aisement, la faisoit paroitre à Saint Germain, environnée de ses armées, avec le meme repos que parmi les dames qui formoient son cercle à Paris.
Le 22 ou 23 février, le nonce et l’ambassadeur de Venise vinrent trouver la Reine, l’un de la part du pape, et l’autre de sa république. Dans leur audience, ils l’exhorterent fort à la paix, et toucherent à son avis, un peu trop fortement à ce qui paroissoit etre le sujet de la guerre. Elle s’en facha, et, les interrompant, elle leur dit qu’elle trouvoit bien des gens qui lui disoient qu’il falloit faire la paix et qu’il falloit pardonner, mais que personne ne lui parloit de retablir l’autorité du Roi son fils, qui s’en alloit detruite, si elle ne travailloit à la reveler en chatiant les rebelles, et les forçant à se remettre à leur devoir. […]
Le 25 fevrier, les deputés de Paris arriverent, et le premier president, qui suivit l’exemple du nonce, fut traité de meme maniere.
[…]
[p. 259] Ces memes jours, on arreté à Saint Germain le marechal de Rantzau. Il fut soupçonné de favoriser le parti parisien ; et comme il etoit gouverneur de Gravelines, le ministre crut qu’il ne pouvoit prendre trop de precautions pour se garantir des maux qui pouvoient arriver de la mauvaise volonté de ce marechal.
[…]
Le deuxieme jour du mois de mars, les gens du Roi vinrent à Saint Germain trouver la Reine pour lui dire la deputation ordonnée par le parlement. Ils lui demanderent des passeports, et la supplierent d’ordonner du lieu de leur conference. Ils firent aussi quelques instances de la part des ducs de Beaufort et de Bouillon pour y etre admis, mais ayant eté bien reçus à leur egard, ils furent refusés sur l’article des autres. On choisit pour le lieu de la conference le chateau de Ruel, comme etant à moitié chemin de Paris et de Saint Germain ; et les generaux, qui en particulier redoublerent leurs instances, n’y furent point admis.
[…]
[p. 260] Le 6, le cardinal vint faire un petit voyage à Saint Germain pour instruire la Reine de tout ce qui se passoit. Le soir, apres qu’il l’eut quittée, comme ceux qui l’environnoient etoient curieux d’apprendre des nouvelles, la Reine nous dit, à M. le Premier et à moi, qu’il n’y avoit encore rien d’avancé, ni aucune solide esperance d’obtenir ce qu’on desiroit, qui etoit que le parlement s’humiliat ; puis nous dit qu’à la fin pourtant elle croyoit que tout iroit bien.
[…]
[p. 265] Les deputés des generaux viennent à Saint Germain : ils font leur remontrance à la Reine, qui fut humble et courte, mais les difficultés qu’ils faisoient sur les principaux articles de la paix dejà signée montroient assez qu’elle etoit reculée. Les generaux s’etoient rendus les maires de Paris, et ils se trouverent en etat de pouvoir contraindre les plus sages à ne rien faire de tout ce que leur devoir leur imposait. Comme ils n’avoient pas de confiance à la deputation du parlement, ils firent supplier la Reine et le ministre qu’il leur fut permis d’envoyer des deputés de leur part. Cela leur ayant eté accordé, ils nommerent le duc de Brissac, Barriere et Creci pour venir traiter de leurs demandes et pretentions. Ils arriverent à Saint Germain le 18 mars, et par leurs cahiers ils demandoient toute la France.
[…]
[p. 267] Les conferences qui se faisoient à Saint Germain sur leurs pretentions furent interrompues par l’entrée de l’archiduc en France. […] Les generaux, voyant que l’approche de l’armée des Espagnols etoit plus capable, en l’etat des choses, de leur faire perdre le peu de credit qui leur restoit que de l’augmenter, pour tirer du ministre ce qu’ils pourroient, fire donner un arret par lequel on ordonna que la vente de ses meubles seroit continuée. Cela lui fit beaucoup de peine, car il aimoit ce qui etoit à lui, et particulierement ce qu’il avoit fait venir des pays etrangers avec tant de soin. Sa maison etoit magnifiquement meublée : il y avoit de belles tapisseries, des statues, des tableaux. Cette perte fut cause que ses ennemis gagnerent beaucoup avec lui, qu’il leur accorda la paix avec la plus grande partie de toutes leurs demandes, et que les conferences redoublerent matin et soir chez le chancelier à Saint Germain.
[…]
[p. 269] Le 20 au matin, comme je sortois de la messe de la Reine, un de mes amis vint me dire à l’oreille que tout etoit rompu ; puis le soir, au sortir de la conference, la meme personne me dit que toutes les contestations etoient accomodées. Les deputés du parlement de Normandie, qui etoient venus à Saint Germain au nombre de quinze conseillers et d’un president, obtinrent aussi en ce jour là la revocation du semestre que le feu Roi, ou plutot le cardinal de Richelieu, leur avoit créé malgré eux. […] Les generaux entrerent en de grandes defiances les uns des autres, et à leurs insatiables desirs se joignit la jalousie. Ils avoient chacun dans Saint Germain des deputés à basses notes, qui traitoient pour eux, et qui tyrannisoient celui qui souhaitoit de les tyranniser à son tour.
[…]
[p. 270] Les deputés du parlement arriverent à Paris remplis de joie des honorables conditions qu’ils rapportoient de Saint Germain ; car, comme je l’ai remarqué, ils avoient obtenu de la Reine, par leur habileté et par les differentes causes qui faisoient agir les principaux acteurs, d’etre dechargés des articles qu’on leur avoit imposés au premier traité. On se relacha de l’obligation qu’ils avoient de venir à Saint Germain, où etoit le Roi pour tenir son lit de justice, on leur permit encore de s’assembler quand bon leur sembleroit, et ils reçurent encore quelques autres gratifications touchant les finances, toutes en faveur du peuple. Ils firent assembler le parlement pour rendre compte de leur heureux voyage. Le prince de Conti ne s’y trouva point : il parut malade, expres pour donner ce reste de temps aux negociateurs d’achever leur accommodement à la Cour. Mais enfin le mercredi saint, la Reine etant aux tenebres dans la chapelle du chateau [p. 271] de Saint Germain, il arriva un courrier de Paris, que Le Tellier amena, qui apporta la paix entierement reçue par le parlement, les generaux et le peuple, tous montrant d’en etre fort contens. […]
Les devotions de la semaine sainte se passerent dans la chapelle de Saint Germain, où la veritable pieté de la Reine et d’une petite nombre de bonnes ames fut melée avec la galanterie et l’indevotion de toutes les autres personnes qui composent la Cour, et qui font gloire pour l’ordinaire de n’estimer que la vanité, l’ambition, l’interet et la volupté.
La fete de Pâques estant passée, les deputés du parlement de Paris et de Normandie vinrent remercier la Reine de la paix qu’elle leur avoit donnée. Le clergé y vint, toutes les autres compagnies de la ville, les corps des marchands et des metiers, chacun selon leur ordre, tous avec des visages contens, et tous demandant avec ardeur le retour du Roi dans sa bonne ville de Paris. la Reine n’avoit pas sujet de l’estimer si bonne qu’elle eut un grand desir d’y retourner. Elle savoit que le peuple parloit encore avec insolence, qu’il disoit publiquement qu’il ne falloit rien payer au Roi s’il ne revenoit bientoit, et qu’il y avoit de la canaille assez hardie pour dire tout haut dans les rues qu’ils ne vouloient point de Mazarin. Ces esprits farouches etoient si accoutumés à la rebellion et au desordre qu’il etoit difficile, sans quelque chatiment exemplaire, qu’ils pussent reprendre la coutume de respecter la puissance legitime.
La Reine, pour donner le temps aux Parisiens d’eteindre ce reste de feu qui allumoit encore quelquesfois leurs esprits, et laisser evaporer la chaleur et la fumée qui en restoit, se resolut de n’y pas retourner sitot : elle forma le dessein, apres qu’elle auroit vu tous ses ennemis reconciliés, d’aller passer quelque temps à Compiegne.
[…]
[p. 272] Le prince de Conti fut le premier qui sortit de Paris pour venir saluer la Reine. Il fut presenté par M. le Prince, et reçu en presence de ceux du Conseil. Apres les complimens ordinaires, M. le Prince lui fit embrasser le cardinal Mazarin, et rechauffa leur conversation autant qu’il lui fut possible. Le prince de Conti ne l’alla point voir chez lui pour cette premiere fois, afin de garder quelque mesure entre la guerre et l’accommodement, et M. le Prince le fit trouver bon à la Reine.
Monsieur, oncle du Roi, presenta le duc d’Elbeuf. Et le prince de Conti, apres avoir satisfait pour lui, fut celui qui presenta les autres à son tour, qui furent le duc de Bouillon, le prince de Marsillac, le comte de Maure et beaucoup d’autres. La Reine les reçut assez froidement. Le ministre, tout au contraire, ne manqua pas de jouer son personnage ordinaire de temperance et de douceur, leur disant lui-même qu’il croyoit avoir eu tort envers eux, et qu’ils etoient excusables d’en avoir eu du ressentiment.
Ce meme jour arriva à Paris madame de Chevreuse. […] Cette princesse, etant donc arrivée de Bruxelles à Paris, envoya aussitôt negocier avec le ministre, qui à son ordinaire ne la rebuta point : il voulut seulement par quelque delai la mortifier un peu. La Reine, par son avis, refusa le duc de Chevreuse, qui vint à Saint Germain lui demander pour sa femme la permission de demeurer à Paris.
[…]
[p. 273] Le coadjuteur se tint dans sa forteresse, et ne voulut point venir à Saint Germain comme les autres ; mais trouvant à propos de paroitre de loin, il pria le duc de Liancourt de faire ses complimens à la Reine, l’assurer qu’en son particulier il etoit son tres fidele serviteur, et qu’il la reconnoitroit toujours pour a bienfaitrice et sa maitresse. Mais la Reine les reçut avec mepris, et ordonna à son ambassadeur de lui dire qu’elle ne le considereroit jamais pour tel que premierement il ne fut ami du cardinal Mazarin ; qu’il etoit son ministre, qu’elle vouloit que ceux qui lui avoient de l’obligation comme lui suivissent en cela ses memes sentimens. Cependant le coadjuteur, comme j’ai deja dit, traitoit avec le ministre, dont il avoit reçu beaucoup de graces pour ses amis et des promesses à son egard qui dans le temps eurent leur effet.
Le duc de Longueville arriva de Normandie avec une grande suite. Il vint saluer la Reine, qui le reçut gravement. Je remarquai que ce prince en parut interdit, et qu’il ne put jamais lui dire une parole de bon sens. C’etoit un homme de grande consideration : il voyoit qu’il lui etoit honteux d’avoir fait cette faute contre le service du Roi et de la Reine, dont il n’avoit nul sujet de se plaindre, et qu’il etoit tombé dans ce malheur plutôt par legereté que par raison. Quand il arriva, chacun se pressa autour de cette princesse pour entendre ce qu’il lui diroit, car il est difficile de bien defendre une mauvaise cause ; mais il n’eut jamais la hardiesse de parler : il palit, puis il devint rouge, et ce fut toute sa harangue. Apres cet eloquent repentir, il salua le cardinal Mazarin, et un moment apres ils se retirerent aupres d’une fenetre, se parlent longtemps, et ensuite se visiterent reciproquement et demeurerent amis en apparence.
Le comte d’Harcourt vint à la Cour comme les autres. Il fut reçu differemment selon les apparences et les caresses, mais differemment aussi pour les recompenses : car elles ne furent pas si grandes pour lui que pour ceux qui avoient eté contre le service du Roi. Il avoit manqué de conduite pour se saisir de la ville de Rouen, mais il avoit bien servi, ayant toujours occupé un poste en Normandie qui servoit de barriere contre [p. 274] les attaques des ennemis, et mettoit le Roi en sureté contre ce que le duc de Longueville auroit pu faire avec peu de troupes et moins d’argent. Il avoit enfin donné le moyen au Roi de demeurer en sureté à Saint Germain, ce qui n’etoit pas un petit service. On lui donna ensuite le gouvernement d’Alsace, et une abbaye pour un de ses enfans.
Ce meme jour, le duc d’Yorck vint aussi à la Cour. Il n’avoit point encore vu le Roi ni la Reine, à cause qu’il etoit arrivé à Paris pendant le siege de cette ville, où les visites n’etoient guere de saison. Il etoit demeuré aupres de la Reine sa mere pendant cette mauvaise constellation contre les rois, qui l’avoit privé d’un pere et avoit donné beaucoup d’affaires au notre. La Reine lui fit de grands honneurs, et lui donna une chaire à bras, de meme que le duc d’Orleans en avoit obteni une de la reine d’Angleterre sa sœur. Cette belle foule fut augmentée par la venue de madame de Longueville et de mademoiselle de Longueville sa belle fille, qui aussi bien que les autres avoit eté une grande frondeuse. Elle avoit de la vertu et beaucoup d’esprit, et il lui etoit pardonnable d’avoir suivi les sentimens de son pere. Quand ces princesses arriverent, la Reine etoit au lit pour se reposer de toutes ses fatigues. J’avois l’honneur d’etre seule aupres d’elle, et dans cet instant elle me faisoit l’honneur de me parler de l’embarras qu’avoit eu le duc de Longueville en la saluant. Comme je sus que madame de Longueville alloit venir, je me levai, car j’etois à genoux devant son lit, et me mis aupres de la Reine, resolue de n’en point sortir et d’ecouter de pres si cette princesse si spirituelle seroit plus eloquente que le prince son mari. Comme elle etoit naturellement timide et sujette à rougir, toute sa capacité ne la sauva pas de l’embarras qu’elle avoit eu en abordant la Reine. Je me penchai assez bas entre ces deux illustres personnes pour savoir ce qu’elles diroient, mais je n’entendis rien que : « Madame », et quelques mots qu’elle prononça si bas que la Reine, qui ecoutoit avec application ce qu’elle lui diroit, ne put jamais y rien comprendre. Mademoiselle de Longueville, apres la reverence de sa belle mere, se contenta de baiser le drap de la Reine sans ouvrir la bouche ; puis, se mettant toutes deux sur les sieges qu’on leur apporta, elles furent fort heureuses de ce que je commençai la conversation, en demandant à madame de Longueville à quelle heure elle etoit partie de Paris, parce qu’il n’etoit pas deux heures apres midi ; et, pour les soulager de la confusion qu’elles avoient qui les incommodoient beaucoup, j’exagerai leur diligence.
[…]
[p. 275] Je finirai les aventures de Saint Germain par l’arrivée du marquis de Vitri, du marquis de Noirmoutiers et de Laigues. Le premier avoit du merite et de la qualité. Sur quelques degouts que j’ignore, il etoit entré dans ce parti, etant actuellement attaché au service de la Reine, en quoi sa faute etoit plus grande et moins pardonnable. Pour les deux autres, l’un avoit beaucoup de naissance, tous deux etoient honnetes gens, et tous deux avoient eté grands frondeurs, et avoient, comme je l’ai deja dit, traité publiquement avec le roi d’Espagne. Ils vinrent donc sous la foi publique saluer la Reine avec la meme hardiesse que s’ils eussent travaillé à sauver l’Etat ; et, comme les autres, ils en furent quittes pour un peu de froideur et de mauvais visages. Ils etoient de ma connoissance, et, dans le moment que je fus aperçue d’eux, ils vinrent me temoigner beaucoup de joie de me rencontrer. Je leur dis tout bas que j’etois fort aise de les voir, mais qu’en cette occasion je les priois de ne m’aimer pas tant, vu que l’amitié de telles gens n’etoit nullement de bon augure dans la chambre de la Reine. Comme je raillois avec eux, Monsieur passa, qui leur fit mille caresses. En me retirant, je lui dis que je croyois avoir merité la corde par la bonté que j’avois eue de les souffrir, et que j’en avois du scrupule. Je les laissai, et lui dis encore que pour lui qui etoit le maitre et qui n’avoit rien à craindre, il pouvoit leur faire grace et les bien traiter, mais que, pour moi, je croyois en devoir user autrement. Monsieur me repondit que j’etois bien sage, et que, pour m’empecher d’aller à la Greve, il alloit les emmener. Il les prit en effet, et, les poussant dans une fenetre, il demeura quelque temps à les entretenir.
[…]
En ce meme temps [le 13 mars], la Reine partit pour aller à Compiegne.
[…]
[p. 284] Le roi d’Angleterre alors vint en France, apres avoir eté reconnu roi par elle. Il revenoit de Hollande pour voir la Reine sa mere, qu’il n’avoit point vu depuis leur malheur. Il logea à Saint Germain, que la Reine lui avoit envoyé offrir à Peronne par le duc de Vendome, pour y demeurer tant qu’il lui plairoit d’etre en France. Il l’accepta volontiers, car dans l’etat où il etoit, chargé d’un deuil aussi doublement funeste qu’etoit le sien, il devoit desirer de n’etre pas à Paris.
Quand il arriva, le duc de Vendome lui mena les carrosses du Roi. Il s’arreta à Compiegne, où il vit le Roi qui alla au devant de lui à une [p. 285] demi lieue, et fut reçu de lui et de la Reine avec toutes les marques d’affection que Leurs Majestés devoient à un si grand prince. Le Roi lui donna un diner veritablement royal, mais ce fut plutôt par les personnes royales qui s’y trouverent que par l’appareil et la magnificence. […]
Cette Cour anglaise demeura quelque temps à Saint Germain, où elle fut peu frequentée de nos Français ; quasi personne n’alloit visiter ni la reine d’Angleterre ni le roi son fils. Il y avoit de grands seigneurs anglais qui avoient suivi la destinée de leur prince et qui composoient cette Cour. Il ne faut pas s’etonner de leur solitude : le malheur etoit de la partie ; ils n’avoient pas de grace à faire : ils avoient des couronnes sans puissance, qui ne leur donnoient point les moyens d’elever les hommes et de leur faire du bien. Leur suite avoit eté grande, quand les richesses, la grandeur et les dignités etoient en leur possessions, car ils avoient de la foule autour de leurs personnes. Cette reine malheureuse avoit eu de la joie, et j’ai oui dire à madame de Chevreuse, et à beaucoup d’autres qui l’avoient vue dans sa splendeur, que la Cour de France n’avoit pas alors la beauté de la sienne ; mais sa joie n’etoit plus que le sujet de son desespoir, et ses richesses passées lui faisoient sentir davantage sa pauvreté presente.
[…]
[p. 291] Les fatigues des premiers jours s’etant passés, la Reine alla visiter la reine d’Angleterre à Saint Germain. Elle y trouva le roi d’Angleterre son fils, qui attendoit aupres de la reine sa mere quelque favorable occasion pour retourner en son pays faire la guerre à ses rebelles sujets. Ces deux princesses ne s’etoient point vues depuis la deplorable mort du roi d’Angleterre, que toutes les deux devoient pleurer, l’une comme sa femme bien aimée, l’autre comme son amie ; mais la Reine evita de parler à la reine d’Angleterre de son malheur, pour ne pas renouveler ses larmes ; et, apres les premieres paroles de douleur que l’occasion les força de dire l’une à l’autre, la civilité ordinaire et les discours communs firent leur entretien.
[…]
[p. 292] Le roi d’Angleterre sut alors que quelques troupes, qui tenoient encore pour lui en Angleterre, avoient eté defaites, ce qui l’affligea beaucoup, et, voyant toutes ses esperances presque detruites, il se resolut d’aller aux iles de Jersey et de Guernesey, dont milord Germain, attaché au service de la Reine sa mere, etoit gouverneur. Il voulut aller en Irlande voir si la fortune lui ouvriroit quelque voie pour rentrer dans son royaume. Ce lord lui ayant conseillé de ne se pas hater d’y aller dans le temps de cette deroute, il lui repondit qu’il falloit donc y aller pour mourir, puisqu’il etoit honteux à un prince comme lui de vivre ailleurs.
[…]
[p. 374] [1651] Le cardinal etant donc resolu à partir, il vint chez la Reine le soir de ce jour 6 fevrier ; elle lui parla longtemps devant tout le monde, dans [p. 375] la creance que vraisemblablement ce seroit la derniere fois qu’elle le verroit. […] Quand il fut dans son appartement, il se vetit d’une casaque rouge, prit un chapeau avec des plumes, et sortit à pied du Palais Royaln suivi de deux de ses gentilshommes : il alla par la porte de Richelieu, où il trouva des gens qui l’attendoient avec des chevaux ; de là, il alla passer la nuit à Saint Germain. Son premier dessein fut de sortir par la porte de la Conference, mais il eut avos qu’on avoit voulu tuer de ses domestiques devant le logis de Mademoiselle, qui logeoit aux Tuileries, et cette rumeur l’obligea à fuir par le plus court chemin. […] [p. 376] Quand on sut dans Paris que le ministre etoit parti, qu’il etoit à Saint Germain, et qu’il pouvoit aller au Havre où etoient les princes, l’inquietude fut grande dans tous les partis.
[…]
[p. 432] [1652] On donna avis à Paris à M. le Prince que Miossens et le marquis de Saint Mesgrin, lieutenans generaux, marchoient de Saint Germain à Saint Cloud avec deux canons, à dessein de [p. 433] chasser cent hommes du regiment de Condé qui s’etoient retranchés sur le pont et qui en avoient rompu une arche. […]
M. le Prince consentit à laisser aller à Saint Germain, où etoit la Cour, le duc de Rohan, Chavigny et Goulas, tous trois chargés des interets du duc d’Orleans et des siens.
[…]
[p. 527] [1662] Le cœur du Roi etoit rempli de ces miseres humaines qui font dans la jeunesse le faux bonheur de tous les honnetes gens. Il se laissoit conduire doucement à ses passions, et vouloit les satisfaire. Il etoit alors à Saint Germain, et avoit pris la coutume d’aller à l’appartement des filles de la Reine. Comme l’entrée de leur chambre lui etoit defendue par la severité de la dame d’honneur, il entretenoit souvent mademoiselle de La Motte Houdencourt par un trou qui etoit à une cloison d’ais de sapin, qui pouvoit lui en donner le moyen. Jusque là neanmoins ce grand prince, agissant comme s’il eut eté un particulier, avoit souffert tous ces obstacles sans faire des coups de maitre ; mais sa passion devenant plus forte, elle avoit aussi augmenté les inquietudes de la duchesse de Navailles, qui, avec les seules forces des lois de l’honneur et de la vertu, avoit osé lui resister. Elle suivit un jour la Reine mere, qui, de Saint Germain, vint au Val de Grace faire ses devotions, et fit ce voyage à dessein de consulter un des plus celebres docteurs qui fut alors dans Paris, sur ce qui se passoit à l’appartement des filles de la Reine. Elle comprenoit qu’il falloit deplaire au Roi, et sacrifier entierement sa fortune à sa conscience, ou la trahir pour conserver les biens et les dignités qu’elle et son mari possedoient : et comme elle n’etoit pas insensible aux avantages qu’ils possedoient à la Cour, elle sentoit sur cela tout ce que la nature lui pouvoit faire sentir. J’etois alors à Paris, et j’allais au Val de Grace rendre mes devoirs à la Reine. J’y vis mon amie, et j’y vis son inquietude. Elle me dit l’etat où la mettoit le Roi par les empressemens qu’il avoit pour cette fille, et m’apprit qu’elle venoit de consulter sur ce sujet un homme pieux et savant, dont la reponse avoit eté decisive. Il lui avoit dit qu’elle etoit obligée de perdre tous ses etablissemens, plutot que de manquer à son [p. 528] devoir par aucune complaisance criminelle. Elle me parut resolue de suivre ce conseil, mais ce ne fut pas sans jeter une grande abondance de larmes, et sans ressentir la douleur où la mettoient ces deux grandes extremités, où necessairement il falloit prendre son parti sur les deux volontés de l’homme, toujours si contraires l’une à l’autre, c’est à dire ce qui le porte, selon la qualité de chretien, à desirer les richesses eternelles, ou, selon la nature, à vouloir celles dont on jouit dans le temps. […]
A son retour à Saint Germain, elle sut par ses espions que des hommes de bonne mine avoient eté vus sur les gouttieres, et dans des cheminées qui, du toit, pouvoient conduire les aventuriers dans la chambre des filles de la Reine. Le zele de la duchesse de Navailles fut alors si grand que, sans se retenir ni chercher les moyens d’empecher avec moins de bruit ce qu’elle craignoit, elle fit aussitôt fermer ces passages par de petites grilles de fer qu’elle y fit mettre, et par cette action elle prefera son devoir à sa fortune, et la crainte d’offenser Dieu l’emporta sur le plaisir d’etre agreable au Roi, qui sans doute, à l’egard des gens du grand monde, se doit mettre au rang des plaisirs les plus sensibles que l’on puisse gouter à la Cour, quand on le peut faire innocemment. […]
Pendant que le Roi se laissoit aller où ses désirs [p. 529] le menoient, la Reine souffroit beaucoup. Elle ne savoit rien de ce qui se passoit ; on lui cachoit, par ordre de la Reine mere, toutes les galanteries du Roi. Sa dame d’honneur, qui etoit fidele au Roi et à elle, se contentoit de faire son devoir de tous cotés, et ne lui disoit rien qui la put affliger ; mais le cœur, qui ne se trompe point et que la verité instruit, lui faisoit tellement connoitre, sans le savoir precisement, que mademoiselle de La Valliere, que le Roi aimoit alors uniquement, etoit la cause de sa souffrance, qu’il etoit impossible de lui cacher son malheur.
A mon retour d’un petit voyage que je fis en ce temps là en Normandie, je trouvai la Reine en couche de madame Anne Elisabeth de France. Un soir, comme j’avois l’honneur d’etre aupres d’elle à la ruelle de son lit, elle me fit un signe de l’œil ; et m’ayant montré mademoiselle de La Valliere qui passoit par sa chambre pour aller souper chez la comtesse de Soissons, avec qui elle avoit repris quelque liaiso

Motteville, Françoise (de)

Mentions de Saint-Germain-en-Laye dans le journal d’Olivier Le Fèvre d’Ormesson

« [p. 13] [6 mars 1643] Le Roy estoit à Saint Germain, se portant mieux de la maladie qu’il avoit eue pendant sept ou huit jours. Chacun le considere comme un prince usé et qui ne peut encore longtemps subsister. La cour, sur cette pensée, se partage.
[…]
[p. 14] [8 mars 1643] M. de Jouy nous vint voir, qui nous dit qu’il avoit accompagné Monsieur, frere du Roy, à Saint Germain, où le Roy luy avoit fait grand accueil, qu’il s’estoit justifié des bruits que l’on avoit fait courir de [p. 15] luy à Paris, d’avoir voulu briguer la regence et de s’estre ligué avec monsieur le Prince.
[…]
[p. 17] Le jeudi 12 mars, M. de Chaillou de Toisy me vint voir l’après disnée, et me dit que Monsieur, frere du Roy, ayant esté à Saint Germain, chacun l’avoit fuy, que le Roy et la Reyne lui avoient fait un tres mauvais accueil, que M. de Mercoeur, fils aisné de M. de Vendosme, avoit esté tres bien reçu du Roy, que M. de Beaufort et Mme de Vendosme avoient eu permission de le voir du premier jour, et qu’il avoit obtenu le retour de M. de Vendosme d’Angleterre. L’on me dit aussy que Mme de La Vieuville avoit permission de revenir.
[…]
[p. 22] [6 avril 1643] La maladie du Roy divisoit toute la cour : la Royne avoit pour elle la noblesse, MM. de Vendosme et de Beaufort, de Longueville, d’Harcourt, les marechaux de La Force, de Chastillon, etc. Monsieur, frere du Roy, avoit de sa part quelques personnes qui s’estoient declarées pour luy contre la Reyne, scavoir le premier president, les presidens de Maiso,s et de Nesmond, et le procureur general. M. le Prince, de son costé, faisoit sa brigue. Il me dit encore que le jour du vendredy saint, le cardinal Mazarin s’estant levé pour aller à l’adoration de la croix apres la Reyne, le duc de Beaufort se leva aussy, [p. 23] mais il yt arresté par la Reyne, qui le retint et fit que le Mazarin y allest, et M. de Beaufort n’y fut point.
La maladie du Roy arrestoit toutes choses, en ce que les ministres ne vouloient rien resoudre sans luy, et ainsy que l’on ne pouvoit donner tous les ordres necessaires pour faire avancer les troupes ; les ennemis faisoient leurs assemblées au Quesnoy.
Le Roy est reduit au lait de vache, qu’il a bien digeré pour la premiere fois ; il a un flux epatique, et par l’avis de M. Juif, qui assista hier à une grande consultation, il est malaisé qu’il en rechappe.
[…]
[p. 26] [16 avril 1643] L’après disnée, je fus à Amboille et revins le dimanche au soir. A mon retour, j’appris comme le Roy, se sentant desfaillir, avoit fait sceller des lettres patentes par lesquelles il declaroit la Reyne regente, Monsieur lieutenant general du royaume, M. le Prince chef du conseil, et avoit nommé ceux qu’il desiroit composer le conseil.
Le lundy matin, M. Pichotel me vint dire les nouvelles, qui estoient la declaration pour la regence, que messieurs du parlement estoient mandés à Saint Germain, que M. d’Emery seroit secretaire d’Estat au lieu de M. Le Tellier, à qui l’on donneroit la charge de lieutenant civil, qu’on luy venoit de dire que le Roy estoit mort, que M. le grand maistre estoit arresté prisonnier. Je fus disner chez Mme de Fourcy, où j’appris les mesmes nouvelles, et tout le monde dans Paris croyoit le Roy mort, et l’on ne tesmoignoit pas grande douleur. Le bruit de la mort du Roy avoit couru sur ce que, le matin, il avoit eu une grande foiblesse et on l’avoit cru mort. Pour M. le grand maistre, ayant eu peur que MM. de Vendosme n’entreprissent contre luy, il avoit envoyé, en diligence, un valet de chambre à Paris avertir ses amis et serviteurs de le venir trouver, et de fait il revint accompagné [p. 27] de trente ou quarante gentilshommes. M. Pichotel me dit que l’on avoit nommé MM. d’Aligre et Bignon, conseillers d’Estat, pour faire l’inventaire des biens de M. le cardinal, et que le lendemain de la disgrace de M. de Noyers l’on avoit fait porter à l’epargne quatorze cent mille livres qui estoient chez M. de Mauroy, appartenant à la succession de M. le cardinal, et que M. de Mauroy en avoit donné l’avis.
Le soir, apres souper, M. de Breteuil, conseiller de la cour et commissaire en la premiere chambre des requestes du Palais, nous vint voir et nous dit comme ils avoient reçu au parlement, sur les huit heures, une lettre de cachet qui leur ordonnoit d’envoyer des deputés à Saint Germain sur les deux heures, qu’il avoit esté deputé de sa chambre avec M. de Machault, qu’il y avoit eu contestation dans les Enquestes entre les presidens et les conseillers sur ce que la lettre de cachet ne demandoit que deux conseillers de chaque chambre, neantmoins il y avoit eu beaucoup de presidens parmi les deputés, qui tous ensemble s’estoient rendus à Saint Germain sur les deux heures, et estant descendus dans le chasteau neuf avoient esté conduits dans une chambre proche celle du Roy, où M. le chancelier les estoit venu trouver avec un visage fort gai, tenant la declaration du Roy pour la regence en sa main, et leur ayant dit que le Roy les avoit mandés pour leur dire de bouche sa volonté sur la declaration de la regence, il leur fit voir comme le Roy avoit escrit de sa propre main ces mot : comme estant ma tres expresse et derniere volonté, et signé Louis, par la Reyne, Anne, et par Monsieur, Gaston, et par trois secretaires d’Estat, Phelypeaux, Bouthillier, Guenegaud ; qu’incontinent ils avoient esté introduits dans la chambre du Roy, qui estoit tout etendu sur son lit, dont les rideaux estoient levés des trois costés, la Reyne assise au pied du lit, ayant M. le Dauphin devant elle, Monsieur debout aupres, et M. le Prince à la ruelle ; au chevet du lit, le cardinal Mazarin, et aupres de luy M. le chancelier, le reste de la chambre plein de princes et seigneurs ; et s’estant tous avancés autour du lit, et le Roy ayant demandé si tous ces messieurs estaient là, il leur dit avec une voix forte et facile qu’il les avoit mandés [p. 28] pour leur dire que, Dieu l’ayant affligé de plusieurs et grandes maladies, il avoit resolu de donner ordre au gouvernement de son royaume au cas que ce fust le plaisir de Dieu de disposer de sa vie, qu’il avoit fait une declaration que son frere (regardant Monsieur) leur porteroit demain avec M. le chancelier, qu’il leur commandoit de la verifier et de luy rendre en cela et en tout l’obeissance qu’ils luy devoient ; et puis, ayant cessé, il repris que pour les exilés de leur corps, il leur pardonnoit de bon cœur et trouvoit bon qu’ils le vinssent servir dans le parlement. M. le premier president luy ayant fait un petit compliment, ils s’estoient retirés avec M. le chancelier, et, ayant commencé à concerter de l’ordre des seances, M. le chancelier leur avoit tesmoigné que Monsieur desiroit prendre place entre luy et M. le premier president. A quoy ayant esté repliqué que l’ordre estoit que Monsieur prist la place ordinaire sur le banc des conseillers, conforme à la seance observée pour le duc d’Anjou, frere de Charles IX, estant venu au parlement pour la verification des lettres patentes pour sa lieutenance en 1567, M. le chancelier en demeura d’accord.
[…]
[p. 33] Le jeudy 23, […] je scus d’un parente de madame de Fourcy, qui revenoit de Saint Germain, que le Roy avoit reçu l’extresme onction sur le onze heures, et qu’il s’affoiblissoit et de voix diminuoit [p. 34] extresmement, que c’estoit une consternation estrange dans Saint Germain. […]
Le vendredi 24 avril, […] l’on disoit que le Roy se portoit mieux. Apres souper, vint un homme de la part de M. de Chezieres, frere de M. de Collanges, qui revenoit de Saint Germain, nous dire que le Roy se portoit bien mieux, avoit dormi, estoit sans fievre, avoit changé de lit, s’estoit fait nettoyer les dents et peindre la barbe, et qu’on en esperoit bien.
Le lundy 27 avril au matin, je fus voir M. de Nivion, qui me dit que M. de Montbazon luy venoit de mander que le Roy estoit bien mal.
[…]
[p. 35] Le mardy 28 avril, je fus avec mon père chez M. le chancelier, où j’appris que le Roy estoit tres mal, que M. le surintendant venoit d’entrer et conferoit avec M. le chancelier, qui monta incontinent en carrosse pour aller tenir le conseil, et M. le surintendant pour aller à Saint Germain.
Le jeudy 30 avril, M. des Ouches, gentilhomme chez Monsieur, vint voir mon père, et nous dit que le Roy se portoit bien mieux, que les medecins en avoient bonne opinion, et que Monsieur estoit monté à cheval pour s’en aller rejouir, que le Roy montroit une telle resolution à la mort qu’il ne souhaitoit pas de guerir et qu’il estoit admirable de l’en entendre parler ; que dans ses bonnes heures, il railloit et avoit dit à Monsieur que le jour qu’il reçut l’extresme onction, il avoit pensé eclater de rire, entendant un prestre commencer une antienne d’un mauvais ton, que la Reyne et Monsieur estoient en tres bonne intelligence et le seroient toujours, outre leurs interests communs, y ayant de l’inclination.
Apres je fus voir M. Briçonnet, qui me dit qu’il avoit esté le jour precedent à Saint Germain, que le Roy se portoit un peu mieux, mais avec si peu de changement que l’on n’en pouvoit rien dire : la cour estoit telle que l’on ne pouvoit plus s’y tourner, M. de Bassompierre plus poli que jamais, que l’on vouloit tirer la demission de M. de La meilleraye de sa lieutenance de Roy en Bretagne au profit de M. de Gesvres, et ce sous pretexte qu’il en avoit le gouvernement.
[…]
[p. 37] Le samedy 2 mai, […] arriva un courrier de Saint Germain qui dit que le Roy se portoit mieux et avoit assez bien dormi la nuit.
[…]
[p. 38] Le lundy, M. de Saint Poange nous dit comme M. Le Tellier estoit arrivé et aussytost allé à Saint Germain, mais qu’il n’avoit point de nouvelles qu’il eust encore presté le serment ; il ne doit avoir qu’une commission de six mois. […] Pour la santé du Roy, elle diminuoit en ce qu’il n’y avoit aucun mandement ; mais sa resolution estoit telle qu’il ne souhaitoit avoir assez de santé pour pouvoir, de son vivant, donner la paix à la France. […]
Le mardy matin, […] j’allai avec mon père disner chez M. de Leon. M. d’Emery y vint apres, qui nous dit que le Roy se portoit bien mieux, que M. Bouvard, premier medecin, en esperoit beaucoup et avoit fait renvoyer les autres medecins, esperant qu’il pourroit gouverner la maladie du Roy sans assistance. Il nous dit que M. Le Tellier avoit fait le matin le serment, entre les mains du Roy, de la commission de secretaire d’Estat pour six mois, que le Roy y avoit à peine consenti, disant que, pour exercer la commission, [p. 39] M. Le Roy, premier commis, suffisoit, que M. Le tellier vouloit donner cent mille ecus de la demission de M. de Noyers et qu’il n’en voudroit point pour ce prix.
[…]
Le mercredy 6 mai, au conseil des finances, où estoit M. le Prince. Pendant le conseil, il reçut nouvelles de Saint Germain, en dit seulement un mort à M. le chancelier et au surintendant, ce qui faisoit juger qu’elles n’estoient pas bonnes. Neantmoins, tout le monde disoit que le Roy se portoit bien mieux. […]
Le vendredy 8 mai, conseil des parties. M. le chancelier estoit revenu la veille de Saint Germain. La maladie du Roy estoit en mesme estat.
[…]
[p. 40] Le lundy au soir, 11 mai, M. de Collanges nous dit que le Roy estoit tres mal : les oses luis perçoient la peau et il estoit si foible qu’il ne pouvoit lever la teste ; il le savoit de M. Mercier, qui venoit de Saint Germain avec M. d’Angoulesme.
[…]
Le jeudy 14 mai, feste de l’Ascension, j’allais aux Minimes entretenir mon frere. Au sortir, je trouvai un de MM. de Collanges, appelé Saint Aubin, qui me dit que l’abbé de Fiesque luy venoit de dire que [p. 41] le Roy estoit mort ce matin à huit heures et que la Reyne reviendroit l’apres disnee. Au retout des Minimes, M. de Langlé me dit la mesme chose. Pendant le disner, nous envoyasmes un laquais chez M. de Malbranche, dans le faubourg Saint Honoré, pour avoir une chambre sur la rue pour voir entrer la Reyne. Nous y fusmes incontinent apres le disner. Nous rencontrasmes l’autre de Collanges, appelé Chezieres, qui revenoit de Saint Germain ; il nous dit que le Roy n’estt point mort. Nous ne laissasmes pas de nous placer dans nostre chambre. Nous estions mon frere, ma femme, sa demoiselle et moy. Jamais il ne se vit un si grand concours de peuple et de carrosses pour sortir la porte. Nous passasmes là l’apres disnée, où l’on nous fit la collation. Nous vismes Le Nostre des Tuilleries, que nous fismes monter avec nous. Sur le soir, passa Monsieur. Le comte de Bruslon nous dit que le Roy avoit esté le matin trois heures en foiblesse telle qu’on l’avoit cru mort, mais qu’il n’estoit mort qu’à deux heures et que la Reyne ne viendroit que le lendemain. Apres ce nous revinsmes par le quai du Louvre, qui estoit gardé par six ou sept compagnies du regiment des gardes.
Tout le monde publioit la mort pieuse du Roy, ses sentimens, sa connoissance. Vingt quatre heures avant que de mourir, il avoit conjuré la Reyne et Monsieur de vivre en bonne intelligence pour l’honneur de Dieu, leur interest chacun en particulier, l’interest de son fils, l’interest de toute la France ; il fit sur la mort des remarques admirables. Il est mort le jeudy, jour de l’Ascension de Nostre Seigneur, apres avoir regné trente trois ans entiers, à deux heures pres. Il n’a jamais eu de contentement en sa vie, qui a toujours esté traversée ; il a fait de grandes choses, mais sous la conduite de ses favoris, particulierement sous celle du cardinal qui, pendant vingt ans, ne luy a jamais fait faire les choses que par la contrainte, de sorte que, pendant sa maladie, il disoit que les peines et contraintes que le cardinal avoit faites sur son esprit l’avoient reduit en l’estat où il estoit.
Le vendredy 15 mai, nous allasmes, mon frere, ma femme, mademoiselle Anne Tillier et moy, des neuf heures du matin, dans nostre [p. 42] mesme chambre, qui appartenoit à une Mme Grandjuge, femme d’un lieutenant suisse, et dependoit de la maison de M. de Malbranche. Nous y demeurasmes jusques à cinq heures du soir, que passa la Reyne. Jamais tant de carrosses et tant de peuple ne sortirent de Paris. A onze heures, les seigneurs qui revenoient de Saint Germain commencerent à passer, qui à cheval, qui en carrosse. Jamais l’on ne vit tant de carrosses à six chevaux et chariots de bagage. M. le Prince passa sur les onze heures avec une troupe de vingt cinq chevaux, presque toujours teste nue. Sur le soir, M. de Bruslon passa, qui se vint mettre avec nous et nous dit que toute les troupes s’estoient mises en bataille dans la garenne de Saint Germain, en attendant la Reyne, qui y avoit esté accompagnée de tous les princes et seigneurs à cheval, et puis avoient tous pris les devans, que cela avoit esté fort beau à voir. Sur les trois heures et demie passerent M. de Montbazon, le president Boulanger, prevost des marechaux, et ensuite tous les officiers de la ville à cheval pour aller recevoir le Roy à la porte et luy faire harangue.
Sur les quatre heures commencerent à passer les premieres troupes, scavoir la moitié du regiment des gardes françoises, les officiers estoient à la teste de leurs compagnies, apres moitié du regiment des gardes suisses, à la teste estoit M. de La Chastre, leur colonel, et apres leurs officiers ; marchoient ensuite les mousquetaires à cheval, conduits par M. de Treville, leur lieutenant, apres les chevau legers, conduits par le marechal de Schomberg, leur lieutenant. Venoit ensuite le carrosse des ecuyers de la Reyne, puis marchoient à pied les gardes de la porte, les gardes du corps françois et les cent suisses. Apres estoient le carrosse ; la Reyne estoit sur le devant, avoit le Roy à sa droite et Monsieur à sa gauche. M. le duc d’Orleans, leur oncle, estoit seul à la portiere du costé de Monsieur. Mesdames de [p. 43] Lansac et de Brassac estoient à l’autre portiere. Madame la Princesse estoit au fond. Le carrosse estoit entouré de valets de pied du Roy. Derriere estoient à cheval trois capitaines des gardes, et le duc de Saint Simon qui, comme premier ecuyer, portoit la petite epée du Roy suivoient les gens d’armes et puis le carrosse des filles de la Reyne, apres l’autre moitié du regiment françois, et puis l’autre moitié du regiment des suisses. Apres estoit le carrosse de madame la Princesse, le petite carrosse du feu Roy avec les six chevaux isabelles que je luy avois vu mener, et puis le carrosse des femmes de chambre. C’estoit une tres grande acclamation de Vive le Roy ! lorsqu’il passoit. Il tesmoignoit une tres grande joie de voir tou ce peuple, et il n’en estoit point etonné, quoyqu’il n’eust point esté à Paris. Je ne le vis point, mais seulement Monsieur, qui est le plus beau prince qui se puisse voir. Tout le monde estoit amoureux de voir ces deux princes et ils disputoient ensemble à qui estoit le plus beau. Ils allerent descendre au Louvre et la Reyne manda à messieurs du parlement qu’ils eussent à différer jusques au lendemain à la venir saluer, qu’elle vouloit se reposer.
Pour le feu Roy, chacun disoit qu’il estoit mort comme un saint, et le comte de Bruslon m’a dit qu’apres cette grande foiblesse estant revenu, et M. Bouvard s’estant approché pour luy taster le poul, le Roy luy dit : « Bouvard, tu m’as promis de me dire de temps en temps combien j’ai encore à vivre ». Sur quoy Bouvard luy ayant repondu qu’il n’avoit pas encore une heure, il s’ecria : « Ah : la bonne nouvelle ! », demanda de nouveau pardon à tout le monde, et pria Dieu avec une devotion admirable. Il s’estoit confessé à M. de Lisieux trois jours auparavant et en estoit demeuré si satisfait qu’il disoit n’avoir jamais esté plus content. Le lendemain de sa mort, il fut ouvert en presence du duc de Nemours et du marechal de Vitry, deputés à cet effet, estant de l’ordre que l’ouverture se fist en presence d’un prince et d’un officier de la couronne. Il avoit un abces dans le poumon, [p. 44] un dans le mesentere, un dans le foie et un dans le rein ; il avoit les boyaux percés et dans le creux de l’estomac un sac plein de vers. Les uns disant que ce sont les vers qui les ont percés, les autres que c’est du poison. Neantmoins l’on dit que les medecins ont donné certificat comme il n’y avoit pas de poison. Dans le petit ventre, il y avoit une telle corruption que ceux qui l’ouvroient penserent crever.
On laissa aupres du corps un lieutenant avec vingt cinq gardes ; il fut exposé sur un lit de velours rouge, le corps entre deux draps avec une camisole blanche et son bonnet de nuit, sans aucune ceremonie, ainsy qu’il avoit bien desiré ; huit prestres autour de son lit, une croix et deux chandeliers, sans couronne ni sceptre sur son lit. Il doit estre porté lundy à Saint Denys sans ceremonie. Voilà pour humilier les Roys et leur faire connoistre qu’ils meurent comme les autres hommes.
[…]
M. de Beaufort a grande creance aupres de la Reyne, et s’en fait fort valoir, ce qui donne dejà peine. Il eut querelle à Saint Germain apres la mort du Roy avec M. le Prince. La Reyne l’ayant prié de faire retirer tout le monde de sa chambre, estant fort incommodée, il s’adressa à M. le duc d’Orleans, qui, à l’heure mesme, partit, et puis dit tout haut : « Messieurs, retirez vous ». Et M. le Prince luy ayant [p. 45] dit : « De quoy vous meslez vous ? », il repliqua : « D’obeir à la Reyne, estant resolu absolument d’obeir aux commandemens de la Reyne et de Monsieur ». Survint M. de Vendosme, qui pria le Prince d’excuser la promptitude de son fils et trouver bon qu’il lui en fit des excuses. M. le Prince se retira en sa chambre, où M. de Beaufort le fut trouver, puis retourna en sa chambre, où M. le Prince le fut visiter.
[…]
[p. 353] Le mardy 17 juillet [1646], M. l’evesque d’Agoulesme me dit que M. le prince de Galles estoit à Saint Germain.
[…]
[p. 360] Le mardy [21 août], nous partismes de Paris, mon père et moy, pour aller coucher à Sucy, et le lendemain nous arrivasmes à Fontaineblau à deux heures. J’allai au chasteau aussytost avec mon père, où nous vismes le bal que la Reyne donnoit à la reyne d’Angleterre. La reyne d’Angleterre avoit la droite, et parce que le prince de Galles ne s’assit jamais devant sa mere, le Roy se tint debout.
[…]
[p. 362] Le vendredy 7 septembre, M. le duc d’Orleans et M. le cardinal partirent pour venir à Paris. On disoit que c’estoit pour ne pas abandonner Monsieur qu’il ne fust entierement persuadé ; mais, en effet, c’estoit pour aller voir le prince de Galles à Saint Germain.
[…]
[p. 390] Le vendredy 9 aoust [1647], le Roy et la Reyne arriverent à Paris, ayant disné à Saint Germain en Laye, pour visiter la reyne d’Angleterre. Ils revenoient de Dieppe.
[…]
[p. 449] [19 février 1648] Le Roy et la Reyne estoient allés voir cette journée, à Saint Germain, la reyne d’Angleterre. Les uns disoient que le Roy avoit esté mené à Londres, où le parlement lui faisoit son proces, les autres qu’ils luy avoient coupé le col, et declaré sa race indigne de la couronne d’Angleterre.
[…]
[p. 464] Le jeudy 19 mars, au Palais, j’appris que la Reyne avoit tesmoigné grande satisfaction de la soumission du parlement, qu’il y avoit eu un si grand concours de noblesse au Palais Royal, lorsque messieurs du parlement y estoient allés, qu’ils avoient eu toutes les peines du monde d’entrer dans le cabinet. L’apres disnée, je fus voir M. du Bignon, qui me dit la mesme chose et que, lorsqu’ils porterent l’arresté, l’on avoit attendu le retour de Monsieur, de Saint Germain ; qu’ils ne l’avoient presenté qu’à huit heures du soir ; que la Reyne l’avoit reçus sans respondre mot.
[…]
[p. 556] [26 août] Comminges, lieutenant des gardes de la Royne, alla chez M. de Bruxelles, le trouva sortant de table, le pressa de le suivre avec quelques paroles rudes, et l’emmena en pantouffles et en manteau, et ce parce qu’il craignoit la rumeur ; il l’empescha de prendre aucun livre. Le peuple courut apres le carrosse, qui rompit pres du [p. 557] Palais. Là on le menaça du poignard s’il parloit, en disant que l’on en avoit ordre. Comminges fit descendre une damoiselle qui passoit [p. 558] en carrosse, fit monter M. de Buxelles dedans sa voiture et l’emmena vers le Palais Royal. Le peuple qui suivoit fut arresté par les [p. 559] gardes. Au Palais Royal, ils trouverent un autre carrosse avec lequel ils le menerent à Madrid, où ils le firent chasser, et de là à Saint [p. 560] Germain en Laye, d’où il partit le jeudy, et le ramenerent par la France pour le conduire à Sedan.
[…]
[p. 572] Le dimanche 13 septembre, je fus pour aller à la messe du Roy. J’appris de M. Rose que le Roy estoit parti des six heures du matin avec M. le cardinal pour Ruel, que la Reyne iroit l’apres disnée, que M. de La Meilleraye estoit aussy parti. Chacun commençoit à parler comme d’une fuite de Paris.
[…]
[p. 578] [22 septembre] M. le premier president fut obligé d’aller à Saint Germain des l’apres disnée. M. le president de Longueil fut deputé avec deux conseillers pour aller convier les princes. […]
Le mercredy 23 septembre, je fus au parlement, où M. le premier president fit la relation de ce qui s’estoit passé à Saint Germain. Il dit qu’aussytost qu’ils furent arrivés, on les fit entrer dans le cabinet où estoit la Reyne, M. le duc d’Orleans, M. le Prince, M. le prince de Conty, M. le duc de Longueville et M. le chancelier ; qu’ayant tesmoigné à la Reyne les apprehensions qu’avoit données la sortie du Roy si extraordinaire et sans aucune marque de la majesté royale, que les meubles enlevés de toutes les personnes de la cour donnoient sujet de craindre que l’on ne voulust entreprendre quelque chose, que ces inquietudes estoient une marque de la veritable affection que les habitans de Paris avoient pour leur Roy, que le parlement, [p. 579] en ayant connu la consequence, les avoit deputés pour la supplier de vouloir, par sa presence, dissiper toutes ces apprehensions que les ennemis du repos public alloient augmentant et de faire retirer les troupes que l’on disoit s’approcher de Paris.
Sur ce, la Reyne luy avoit dit que les apprehensions de Paris estoient sans aucun fondement, qu’elle avoit donné aux colonels et capitaines toutes les assurances de son affection pour Paris, que la saison avoyt convié le Roy à sorti, que s’il estoit sorti le matin, c’estoit une marque de son impatience quand il alloit aux champs, qu’elle n’estoit sortie que l’apres disnée, avoit esté tout le matin par la ville fort peu accompagnée, pour marquer sa confiance, qu’elle n’avoit aucun ressentiment du passé et qu’elle retourneroit bientost à Paris.
M. le premier president ajouta que M. le duc d’Orleans leur avoit dit ensuite qu’il avoit esté convié par les deputés du parlement de s’y trouver le lendemain, mais qu’il n’iroit pas, ayant appris que les propositions qui s’y faisoient estoient contre le service du Roy et le bien de l’Estat, qu’il n’abandonneroit point la Reyne, que M. le Prince avoit dit la mesme chose et M. le prince de Conty et M. de Longueville.
[…]
[p. 580] L’apres disnée, tout Paris estoit en alarme : l’on avoit enlevé des la veille le petit Monsieur, dans une chaire, et on l’avoit mené à Rueil. Le jour mesme, le Roy et la cour estoient allés à Saint Germain : l’on [p. 581] disoit que c’estoit pour s’enfuir. Chacun voulut faire provision de pain et de blé, dont il y eut grand bruit aux halles. L’on pilla un demy muid de blé aux jesuites. Force gens voulurent enlever leurs meubles, dont il y en eut de pillés, un au marquis de Laigle, l’autre à Mme de Bretonvilliers, où on luy prit huit mille francs. On a dit depuis que celuy dont elle avoit reçu cet argent en avoit esté la cause.
Le jeudy 24 septembre, le parlement s’estant assemblé, l’on dit que M. de Choisy et le chancelier de Rivière demandoient à entrer de la part de M. le duc d’Orleans et de M. le Prince. On les fit entrer et seoir entre les conseillers vis à vis des presidens. Ils presenterent chacun une lettre de la part de leur maistre, avec protestation de service pour la compagnie. Apres lecture faite des deux lettres, par lesquelles les deux princes demandoient des deputés pour entrer en conference à Saint Germain, les envoyés s’estant retirés, la conference fut acceptée par tous, mais quelques uns vouloient qu’elle se fist dans l’hostel de ville. Neantmoins, il passa à aller à Saint Germain.
[…]
[p. 603] Le mercredy 6 janvier [1649], feste des roys, à sept heures, Mme de Sevigny m’envoya dire que le Roy estoit parti la nuit ; jamais nouvelle ne me surprit tant. J’allai chez M. de Lamoignon, où la mesme nouovelle me fut confirmée, que la porte Saint Honoré estoit gardée, et que le peuple avoit forcé le bagage du Roy de rentrer dans le Palais Royal. Je revins donner ordre pour avoir du pain pendant huir jours. La pluspart de la cour se hastoient de partir, mais la pluspart des portes estoient fermées, et personne ne sortoit. L’on pilloit les chariots qui vouloient sortir. Jamais l’estonnement ne fut plus grand : le parlement s’assembla l’apres disnée et donna arrest que les bourgeois se mettroient en armes pour la seureté de la ville, que l’on ne laisseroit sortir personne. Il enjoignit au prevost des marchands de tenir la [p. 604] main pour faire venir des vivres, avec deffense aux gouverneurs des places de recevoir des garnisons. […]
[p. 606] L’Hostel de ville deputa, sans en parler au parlement, les sieurs Fournier et Helyot, eschevins, et les sieurs Barthelemy d’Oinville et [vide], conseillers de ville, pour aller à Saint Germain. Pour nous, maistre des requestes du quartier de janvier, nous envoyasmes Engrand, nostre huissier, pour recevoir les ordres de M. le chancelier et l’assurer que nous les executerions.
Cependant les portes estoient gardès tres exactement, en sorte que le bagage du Roy, ayant voulu sortir fut repoussé dans le Palais Royal. L’estonnement estoit grand, chacun doutant à quoy se resoudre. J’oubliois qu’au parlement l’on avoit arresté d’establir la chambre de police et, à cet effet, mandé aux compagnies d’y deputer pour le lendemain apres disner.
[p. 607] Le vendredy 8 janvier, ayant esté deputé des maistres des requestes, MM. Pinon, Chomel, Tillier et moy, pour assister au parlement, je m’y trouvai de tres bonne heure et remarquai grande consternation. M. le premier president et M. Le Coigneur s’entretenant avec chaleur, le premier president luy disant qu’il avoit esté surpris à la nouvelle de la sortie du Roy, et que sa proposition avoit fait prendre ce party, et qu’il ne scavoit que penser de tout cecy. […]
Apres, ayant esté annoncé que les gens du Roy estoient de retour de Saint Germain, ils furent mandés. M. Talon, suivi de M. le procureur general et de M. Bignon, dit que, suivant les ordres de la compagnie, ils s’estoient mis sur le chemin de Saint Germain, et, passant par la rue Saint Honoré, avoient rencontré une populace assemblée, armée et furieuse, sans ordre ni commandement, et avoient avec peine sorti la porte au peril de leurs personnes ; qu’ayant passé le pont du Pec, estant au haut de la montagne, ils avoient esté arrestés de la part de la Reyne par un gentilhomme qui leur avoit dit qu’elle l’avoit envoyé vers eux pour scavoir s’ils venoient comme particuliers ayant executé les volontés du Roy, que s’ils venoient de la part du [p. 608] parlement parti pour Montargis, ils estoient les bienvenus, mais que s’ils venoient de la part du parlement seant à Paris, ils n’avoient qu’à retourner et que la Reyne leur deffendoit de passer outre.
Sur quoy luy ayant demandé son nom pour scavoir qui leur portoit ce commandement, apres quelques refus, il leur avoit dit enfant qu’il s’appeloit Sanguin, maistre de l’hostel ordinaire du Roy. Apres quoy, luy ayant dit qu’ils ne recevoient de parole de la Reyne que par la bouche de M. le chancelier, qu’ainsy ils ne pouvoient deferer à son commandement ; qu’ils auroient bien souhaité parler à la Reyne, mais qu’au moins ils demandoient à parler à M. le chancelier ; qu’ils avoient enfin obtenu qu’il iroit en faire instance de leur part, mais à condition de ne partir de leur place, où ils avoient attendu un bon quart d’heure ; que ce mesme gentilhomme estoit revenu leur dire que M. le chancelier ne pouvoit parler à eux s’ils ne venoient de la part du parlement obeissant et parti pour Montargis, et qu’ils eussent à s’en retourner sans passer plus avant ; qu’ils luy avoient encore demandé de pouvoir entrer dans le bourg pour y passer la nuit, n’estant pas heure de retourner, estant neuf heures ; qu’il estoit retourné une seconde fois et leur estoit revenu dire qu’ils pouvoient entrer dans le bourg.
Ce qu’ayant fait, ils estoient descendus à la Conciergerie, où M. de Longueil les avoit bien reçus ; que là ils avoient vu M. de Guenegaud, secretaire d’Estat, M. son frere et M. Tubeuf ; qu’ayant fait instance pour parler à M. le chancelier, et la Reyne l’ayant enfin trouvé bon, ils avoient esté introduits dans son cabinet, où luy ayant voulu parler, il avoit d’abord pris la parole, pour leur dire qu’il ne pouvoit les entendre venant de la part du parlement seant à Paris et desobeissant ; que la Reyne estoit fort offensée du mespris qu’ils avoient fait de ses ordres ; qu’ils avoient refusé d’entendre le sieur de Lisle et de recevoir son paquet ; que la reyne vouloit qu’ils y obeissent, et il mit le paquet es mains de M. le procureur general [p. 609] pour le porter à la compagnie (et au mesme temps, M. le procureur general le mit sur le bureau) ; que M. le chancelier leur avoit ensuite tesmoigné que la Reyne n’avoit pu souffrir toutes ces assemblées et qu’au prejudice de sa parole le parlement eust recommencé apres la Saint Martin ; qu’elle vouloit estre obeie. Sur quoy, estant retirés, ils estoient partis la nuit pour estre à l’entrée de l’assemblée de Messieurs ; qu’il pouvoit dire qu’il avoit reconnu une tres grandes consternation sur tous les visages des estranges desseins que l’on avoit pris contre le parlement, s’il n’obeissoit ; que, pour cela, les troupes avançoient de tous costés, commandées par M. le duc d’Orleans et M. le Prince ; qu’il pouvoit assurer qu’à l’heure qu’il parloit Paris estoit bloqué et tous les passages des vivres fermés.
[…]
[p. 614] [9 janvier 1649] M. Fournier dit ensuite qu’ayant esté deputé de l’Hostel de ville, il estoit allé à Saint Germain avec un eschevin et deux conseillers de ville et, ayant esté introduits en suite des deputés de la chambre des Comptes et de la cour des Aydes, ils s’estoient jetés aux pieds du Roy et de la Reyne, et qu’il leur avoit dit que la bonne ville de Paris les avoit deputés pour venir tesmoigner son desplaisir d’avoir perdu la presence de son Roy et de voir tous les preparatifs pour estre assiegée, que cette ville, qui avoit tousjours esté obeissante et fidele, et qui conservoit par son exemple les autres villes du royaume, ne pouvoit s’imaginer pourquoy elle tomboit dans l’indignation de son Roy dans un temps qu’elle ne respiroit que son service, et de voir ses mains armées pour la destruction d’une si belle ville ; qu’ils le supplioient de ne pas vouloir ruiner et perdre une ville que le roy son grand père Henry le Grand avoit ornée et augmentée, qu’ils esperoient que la Reyne, qui, ayant eu l’honneur de donner à la France son Roy et Monsieur son frere, pouvoit estre appelée la mere de l’Estat, ne deschireroit pas ses propres entrailles et ne ruineroit pas le royaume de son fils, qu’elle auroit compassion du miserable estat de la ville, des hospitaux et des communautés de religieuses, qui sont dans une consternation epouvantable, et enfin auroit pitié de son paure peuple, et que ne pouvant mieux exprimer la douleur de Paris que par ses larmes, sa parole luy avoit manqué.
Le sieur Fournier ajouta que la Reyne avoit respondu qu’elle aimoit la bonne ville de Paris, mais qu’elle vouloit estre obeie par le parlement, que c’estoit luy seul qui resistoit à ses volontés, et que, le [p. 616] parlement sortant par une porte, elle rentreroit par l’autre avec toute sorte d’abondance ; qu’ils s’estoient jetés aux pieds de tous les princes pour les prier d’interceder pour eux, mais qu’ils n’avoient pu rien obtenir, et enfin avoient esté obligés de se retirer. […]
[p. 617] L’apres disnée, j’appris que les deputés de la chambre des Comptes et de la cour des Aydes avoient esté bien reçus, à condition qu’ils ne parleroient point du parlement. M. Amelot ayant harangué, et la Reyne luy ayant dit que le parlement estoit dans la desobeissance, il luy repliqua : « C’est luy neantmoins, Madame, qui a conservé la couronne à la maison de Bourbon et qui vous a declaré regente ». La Reyne luy repartit : « Vous dites cela sans ordre de votre compagnie ; elle vous desavouera pour une seconde fois. Vous estes un fat, et, si ce n’estoit la consideration de ceux qui sont avec vous, je vous ferois mettre en prison ». M. le Prince ajouta : « Madame, vous luy faites tort : il faut l’envoyer aux Petites Maisons, c’est un fol ». Pour la chambre des Comptes, la Reyne leur offrit des logemens dans Saint Germain. Ils respondirent qu’ils estoient obligés de retourner à Paris rendre compte à leur compagnie. Je vis M. d’Angoulesme, qui tesmoignoit vouloir estre arbitre et mediateur entre le Roy et le parlement. M. d’Avaux se retira à Saint Germain dans un carrosse des deputés, habillé en maistre des comptes.
[…]
Le mercredy 13 janvier, M. le president Perrot proposa d’assister la reyne d’Angleterre de quelque argent, estant en grande extremité. Chacun l’approuva. Cependant l’affaire mise en deliberation, quelques uns dirent qu’il falloit n’estre pas si facile à donner de l’argent dans la necessité presente. Il fut arresté d’envoyer sans faire eclat le greffier de la cour mettre es mains de son tresorier vingt mille livres [p. 629] pour un mois, et faire excuse sir la compagnie n’avoit pu faire davantage.
[…]
[p. 631] [14 janvier] L’on dit de Saint Germain que la consternation y est tres grande. L’on s’y retranche les vivres, qui sont plus chers qu’à Paris, toute la cour faisant remonstrance à la Reyne de l’estat auquel elle reduit la France par son opiniastreté. L’on dit que M. le duc d’Orleans est observé, et que M. le Prince seul veut soustenir cette affaire et qu’il est furieux, que hors les Allemandes, toutes les troupes promettent de ne se point deffendre contre les Parisiens, que M. de Vitry est arrivé, que l’on a arresté à Saint Germain Bussy Lamet et, en contre [p. 632] echange que M. le prince de Conty a fait arrester l’evesque de Dol, resolu de luy faire pareil traitement que l’on fera à Saint Germain.
[…]
[p. 639] Le vendredy 22 janvier, nous deliberasmes au Palais sur les rapports à nous faits par Herbin que M. le chancelier, le lendemain des Roys, à Saint Germain, luy avoit donné charge de nous avertir d’aller à Saint Germain quand nous pourrions, qu’il en avoit dit autant à M. de Leon, qui avoit dit que, quand M. le chancelier luy escriroit, il demanderoit un passeport. Les uns estoient d’avis de ne rien dire, les autres, dont j’estois, de demander passeport au parlement pour nostre descharge, scachant bien qu’il nous seroit refusé. L’on voulut se lever sans rien conclure ; ceux de mon avis dirent qu’ils vouloient que les avis fussent escrits et les noms, afin de les faire voir [p. 640] un jour à la cour. Cela fit bruit. Enfin chacun revint à nostre avis. Je scus que M. d’Angoulesme, sortant de la ville avec passeport, avoit esté refusé, les gens de M. de Guenegaud, tresorier de l’Espargne, ayant esté reconnus parmy les siens.
[…]
[p. 643] [26 janvier] M. d’Angoulesme partit pour Saint Germain et alla par Corbeil.
[…]
[p. 646] Le dimanche 31 janvier, […] je scus que M. d’Angoulesme avoit esté obligé de passer par Corbeil et n’arrivoit que ce soir à Saint Germain.
[…]
[p. 652] Le samedy 6 fevrier, ayant scu que M. l’archevesque de Toulouse estoit revenu de Saint Germain et avoit attendu cinq heures à la porte pour rentrer, je fus chez luy et vis M. de Montchal, qui me dit comme M. de Toulouse, passant à Saint Cloud, y avoit saluté M. me Prince et M. le cardinal, lequel luy ayant dit : « Eh bien ! Monsieur, nous apportez vous la paix ? » Il luy avoit respondu : « Monsieur, elle est en vos mains, puisque si vous vous vouliez retirer, elle seroit bientost faite ». A quoy M. le cardinal avoit respondu que, s’il ne tenoit qu’à cela pour conserver l’autorité du Roy et donner la paix, il se retireroit tres volontiers ; qu’à Saint Germain il avoit entretenu la Reyne, qui avoit escouté favorablement tout ce qu’il luy avoit dit, avoit beaucoup pleuré et tesmoigné toutes les bonnes dispositions pour un accommodement, et dit que pourvu qu’elle pust conserver l’autorité du Roy son fils, elle aimeroit mieux la douceur que la violence ; qu’il avoit aussy entretenu M. le Prince, qu’il avoit trouvé fort raisonnable, et que, dans tout Saint Germain, la paix estoit souhaitée.
[…]
[p. 670] [18 février] Les gens du Roy entrerent ensuite et M. Talon dit que, suivant les ordres de la compagnie, ils avoient vendredy dernier rendu response au herault, avoient escrit en mesme temps à M. le chancelier pour avoir audience de la Reyne, et à M. Le Tellier pour avoir leur passeport, leur route et l’escorte, et que le sieur Petit, qui accompagnoit le herault, s’estoit chargé de les rendre ; que le dimanche ils avoient escrit une seconde fois par un courrier, ce qui c’estoit trouvé necessaire parce que le sieur Petit n’avoit pas rendu leurs lettres, ainsy qu’ils n’avoient eu leur passeport que le mary au soir ; qu’ils estoient sortis de la ville le mercredy à sept heures du matin, avoient trouvé un trompette du Roy hors la porte, et au couvent des minimes de Nigeon une brigade des gens d’armes de la Reyne commandée par le marechal des logis, et qu’à la dernier porte du bois de Boulogne M. le marechal de Grammont les avoit abordés, s’estoit mis dans leur carrosse, les avoit fait descendre chez luy à Saint Cloud, où s’estant rechauffés un moment, sa compagnie des gardes les avoit conduits à Ruel, où ils avoient trouvé la compagnie des chevaux legers du Roy, qui les avoit escortés jusqu’à Saint Germain. Ils estoient descendus suivant leur ordre chez M. Le Tellier, estoient [p. 671] allés chez M. le chancelier le prier de demander audience pour eux à la Reyne, qui les avoit remis apres disner ; que la Reyne ayant esté à vespres et au sermon, ils n’avoient esté admis à l’audience que sur les sept heures, avoient esté conduits dans le chasteau et avoient passé par la chambre du Roy, qui soupoit, que ses officiers s’estoient mis en haye pour empescher que le Roy ne les vist et qu’ils ne fussent obligés à le saluer ; qu’ils estoient entrés dans la chambre où estoit la Reyne avec son conseil, que l’ayant saluée ils luy avoient dit que vendredy dernier le parlement, estant assemblé à son ordinaire, avoit esté averti qu’il y avoit un herault à la porte Saint Honoré qui demandoit à entrer dans la ville et à parler au parlement, que cette nouveauté l’avoit extresmement surpris, neantmoins que revenu de cet estonnement et ayant fait reflexion sur eux mesmes et consideré que les heraults ne s’envoient qu’aux souverains ou à ceux qui le croient estre (à Dieu en plaise, Madame, qu’ils aient jamais eu cette pensée), et au contraire qu’ils n’avoient autre autorité que celle du Roy et autres sentimens que ceux de ses tres humbles et tres fideles sujets, le parlement avoit cru ne pouvoir entendre ce herault, mais par un sentiment de respect et de soumission et en mesme temps les avoit envoyés devant Sa Majsté pour la supplier de ne les vouloir par traiter autrement que comme ses tres humbles sujets, ainsy qu’ayant refusé le herault ils se presentoient devant elle sans autre armes que leur habit de magistrature et venoient comme ce grand prestre dont il est question dans l’Ecriture qui, pour flechir l’ire de Dieu, ne se servit d’autres armes que de la soumission dessus ses levres et de la confiance dans le cœur ; que de cette manière, ils esperoient flechir la colere de Sa Majesté et reclamer sa bonté pour une compagnie qui n’avoit autres sentimens que de respect et de soumission et n’avoit autre realité qte de ses tres humbles et tres fideles sujets.
[p. 672] Sur quoy, la Reyne ayant dit à M. le chancelier de respondre, il leur avoit dit que la Reyne estoit tres satisfaite des paroles de soumission et de respect du parlement, mais qu’elle souhaitait en voir des effets ; qu’elle avoit tousjours eu bonté pour la compagnie et qu’elle les pouvoit assurer qu’elle ne vouloit de mal à aucun de la compagnie, et qu’elle donnoit seureté entiere toute entiere pour les personnes, pour les biens et pour les charges de qui que ce soit, tant en general qu’en particulier. Ensuite M. le duc d’Orleans et M. le Prince avoient donné les mesmes assurances, et la Reyne leur avoit enjoint de luy faire scavoir la response du parlement.
[…]
[p. 678] [20 février] Les nouvelles estoient publiques qu’à Saint Germain M. le Prince et M. le duc d’Orleans estoient brouillés sur le passeport des gens du Roy, le dernier voulant la paix.
[…]
[p. 680] [22 février] L’on parla d’un rôle de taxes faites à Saint Germain sur presque tous les bourgeois et officiers de Paris à cause de leurs terres à la campagne. L’imprimé estant donné à lire, on lut d’abord un arrest du conseil d’en haut par lequel le Roy, pour la subsistance de son armée, ordonnoit que les maisons de campagne appartenant aux bourgeois de Paris seroient taxées, au payement desquelles taxes les receveurs et fermiers des terres seroient contraints par vente des meubles estant esdites maisons, materiaux d’icelles et coupe des bois de haute futaie. A la suite de cet arrest estoit un role des maisons taxées, dont les deniers seroient reçus par Longuet. le premier article estoit de la terre de Champlastreux et du Plessis appartenant au sieur Molé, cy devant premier president du parlement transferé à Montargis, taxé à 8000 livres ; M. Nicolaï, à cause de Goussainville, taxé de mesme ; M. de Montmort taxé 4000 livres ; les presidens de la cour ensuite taxés à 6000 livres ; les maistres des requestes taxés à 3 et 4000 ; les conseillers à 2000. On les appeloit cy devant conseillers, ils estoient tous nommés sans ordre ; tous les frondeurs y estoient, et beaucoup d’autres. Il y avoit plus de deux cents articles, dont la somme totale se montoit à plus de 500000 livres. Je n’y suis point nommé à cause d’Amboille. Ledit rôle, arresté au conseil d’en haut, estoit signé Guenegaud. […]
[p. 681] Il fut donné arrest de deffences et, en cas que l’on passast outre, l’on useroit de represailles sur les maisons des gens de la cour à Paris. M. le premier president voulant empescher cette deliberation dit que cet imprimé n’avoit esté signifié à personne, et ainsy n’estoit point public. Il demanda qui l’avoit donné ; M. de Blancmesnil dit que c’estoit luy, et que l’on le luy avoit envoyé de Saint Germain. Le premier president repeta : « de Saint Germain, Monsieur ? », le voulant taxer de correspondance. De quoy Blancmesnil s’offensa, et dit qu’il n’avoit point de correspondance à Saint Germain. Le premier president repliqua qu’il ne l’avoit point pensé. […]
L’on arresta encore de deputer vers la reyne d’Angleterre pour se condouloir de la mort du roy d’Angleterre.
[…]
[p. 690] Le samedy 27 février, je fus au Palais pour entendre devant le feu la relation de la deputation du premier president. L’on dit que Brie estoit pris et que Bourgogne, gouverneur, s’estoit retiré dans le chasteau, que nostre convoy avoit bien reussi et que l’on estoit allé querir du blé jusques à sept lieues de Paris dans la France, qu’il en estoit arrivé beaucoup.
Le parlement estant assemblé, où estoient le prince de Conty, MM. d’Elbeuf, de Beaufort, de Luynes, de Brissac, de la Mothe et le coadjuteur, les gens du Roy sont entrés ; M. le premier president dit que, suivant les ordres de la compagnie, estant parti avec MM. les deputés, il avoit trouvé l’escorte dans le Cours de la Reyne, et qu’au [p. 691] dessus de Chaillot ils avoient trouvé M. le marechal de Grammont à la teste de deux escadrons de cavalerie ; il s’estoit mis dans leur carrosse jusques dans Saint Cloud, où ils avoient trouvé une seconde escorte, qui les avoit conduits à Ruel, où ils avoient couché et où M. de Grammont estoit venu les visiter ; que le jeudy, ayant reçu l’ordre pour avoir l’audience à deux heures, ils s’estoient rendus à Saint Germain dans la conciergerie, où M. de Longueil les avoit reçus et traités tres bien, selon son affection et l’honneur qu’il porte à la compagnie. Là ils avoient esté visités des marechaux de Schomberg, de Villeroy et de toutes les personnes de condition, sur le visage desquels ils n’avoient rien remarqué d’ennemis ; que le secretaire d’Estat [de Guenegaud] les estant venus querir pour l’audience, ils avoient passé par plusieurs chambres pleines de monde et avoient esté introduits dans le cabinet, où estoyent la reyne, M. le duc d’Orleans, M. le Prince et autres du conseil (pour ne pas nommer le cardinal, qui y estoit), qu’il avoit dit à la Reyne que le respect qui estoit dû aux roys estoit tellement imprimé dans le cœur du peuple françois, que la marque de l’autorité souveraine estoit imprimée si avant dans l’ame de tous ses officiers qu’ils aimeroient mieux, les uns et les autres, se reconnoistre coupables que de manquer au devoir et à l’obeissance qu’ils luy devoient et luy donner juste sujet de plainte, aussy que ni les uns ni les autres n’avoient pas cru s’en departir lorsqu’ils avoient pris les resolutions auxquelles la necessité de leur propre conservation les avoit obligés, la deffense estant tousjours tres legitime et tres innocente lorsque l’on ne songe qu’à conserver sa vie, et que si dans les resolutions qu’il avoit fallu prendre il avoit esté fait quelque chose au prejudice de l’autorité royale, le prince, par un sage conseil, [p. 692] approuvoit tout ce qui avoit esté fait, connoissant et l’innocence et la sincerité dans les intentions, et ressembloit à ce sage pilote lorsque dans la tempeste il se fait quelque chose ou sans ses ordres ou contre ses ordres mesmes, que l’on a baissé les voiles, pris en main le gouvernail et mesme jeté une partie des marchandises les plus precieuses, tant s’en faut qu’il le trouve mauvais, qu’au contraire il en scait gré et l’approuve, scachant que chascun n’a agi que pour sa propre conservation et tascher de garantir le vaisseau du naufrage, et apres l’orage passé chascun reprend sa fonction et execute les ordres qui luy sont prescrits ; qu’avec cette pensée, il estoit deputé de la part du parlement pour assurer Sa Majesté que si pendant cette tempeste ils avoient fait baisser ou lever les voiles sans ordres, et s’ils avoient mis la main sur le gouvernail, ils estoient prests à retourner à leurs fonctions sytost que Sa Majesté auroit fait cesser cette tempeste, qui estoit capable de faire perir ce grand vaisseau, dans lequel sa fortune estoit enfermée aussy bien que celle de ses sujets, que si cette mesme necessité leur avoit fait recevoir un envoyé de l’archiduc, lire ses lettres et entendre sa creance, ç’avoit esté avec ce respect et cette soumission d’apporter à Sa Majsté la lettre et la creance pour en ordonner ce qu’elle jugeroit utile pour le bien du royaume, pouvant assurer Sa Majesté que le parlement, en cette rencontre, n’a point eu d’autres sentimens que de ses tres humbles et tres obeissans serviteurs et sujets.
A quoy la Reyne avoit respondu de sa bouche, M. le chancelier n’y estant point à cause de son indisposition, qu’elle avoit tousjours eu bonne volonté pour la ville de Paris et leur compagnie, mais [p. 693] qu’elle estoit obligée de conserver l’autorité du Roy son fils et qu’elle feroit tout son possible pour la maintenir, et qu’elle feroit scavoir son intention par escrit.
Eux s’estant retirés et ayant jugé qu’il ne falloit pas se separer en cet estat, ils avoient fait demander à la Reyne si elle trouveroit bon qu’ils eussent l’honneur de parler à M. le duc d’Orleans et à M. le Prince. La Reyne l’ayant permis, ils avoient eu conference avec M. le duc d’Orleans et avec M. le Prince trois heures entieres, où il s’estoit dit tout ce qui se pouvoit de part et d’autre ; que le lendemain ils avoient conferé encore pendant deux heures, et avoient obtenu parole que, pourvu que le parlement voulust deputer pour la conference où les deputés pourroient resoudre ce qu’ils estimeroient à propos, la Reyne accorderoit aussytost un passage pour amener suffisamment de blés pour la subsistance de Paris ; qu’avec cette assurance ils s’estoient separés et que l’on leur avoit donné un papier contenant la responce de la Reyne avec les originaux de deux lettres du comte Pigneranda, du 12 fevrier, par lesquelles il se plaignoit que l’on n’avoit donné au sieur Friquet que des paroles generales, et ce pour monstrer que le dire de l’envoyé de l’archiduc estoit faux par lequel il assuroit que le cardinal Mazarin offroit toutes choses pour avoir la paix. Ayant pris ces deux papiers, ils estoient retournés avec la mesme escorte. M. le premier president ajouta qu’il pouvoit assurer la compagnie qu’il avoit trouvé tous les esprits tres disposés à l’accommodement.
[…]
[p. 700] Le mercredy 3 mars, apres le disner, je scus de M. d’Eaubonne que les gens du Roy estoient venus le matin de Saint Germain et avoient apporté les passeports pour la conference, qui devoit commencer à Ruel le lendemain jeudy à onze heures, que les ordres estoient donnés pour l’ouverture du passage de Corbeil pour cent muids de blé et plus par jour à raison de 12 ivres 10 sous le setier, dont toute la compagnie avoit tesmoigné grande satisfaction.
[…]
[p. 705] Le vendredy 12 mars, Mme de Fourcy nous envoya dire que la paix estoit faite. Cette nouvelle nous fut confirmée de tous costés.
[…]
[p. 711] Le dimanche 14 mars, je scus que le parlement estoit assemblé et que les deputés n’estoient point partis. Je fus le soir chez M. de Petit-Marets qui me dit que M. le premier president, au lieu de recevoir des passeports, avoit reçu une lettre de cachet adressée au parlement sur laquelle il l’avoit assemblée, que par cette lettre le Roy disoit avoir executé le traité de son costé et desiroit que le parlement l’executast du sien, et que les generaux ne pouvoient avoir d’interest particulier sans faire connoistre que le bien public ne leur a servi que de pretexte. […]
A partir de ce soir, du costé de Saint Germain, l’on referma les passages des vivres qui avoient esté ouverts des le vendredy apres disnée.
[…]
[p. 721] Le mardy 16 mars, […] l’apres disnée, les deputés partirent pour aller à Saint Germain.
[…]
[p. 722] Le vendredy 19 mars, la surseance d’armes fut continuée. […] Le matin, je fus chez M. Amelot, qui avoit reçu une lettre de M. le chancelier par laquelle nous etions mandés à Saint Germain.
[…]
[p. 723] Le dimanche 21 mars, je fus à Saint Germain à cheval avec MM. Bernard Rezé et l’abbé du Tremblay. En passant par la porte Saint Honoré, l’officier qui commandoit me dit avoir reçu ordre de M. de Beaufort d’arrester un chariot chargé de hardes accompagné de quatre gardes de M. de Bouillon. Arrivant à Saint Germain, je trouvai les esprits fort estonnés de la declaration des generaux faite le samedy et apportée par le comte de Maure, et de la nouvelle arrivée de l’approche de l’archiduc, qui estoit au Pont à Vere et venoit à La Ferté Million, et, outre ce, de ce que les deputés de Rouen ne venoient point. L’on disoit que le Roy s’en alloit. Je vis M. d’Avaux et M. Le Roy, qui me dirent qu’il se faisoit une negociation secrete avec les generaux. Je vis encore M. le chancelier, M. Haligre, M. de La Meilleraye, et les deputés du parlement, qui retournerent à Ruel et remirent la conference au lendemain, les deputés de Rouen devant arriver, et en effet ils passerent par Saint Germain et allerent coucher à Ruel, ce qui remit les esprits. L’approche de l’archiduc [p. 724] surprenoit de voir qu’il avançast sans estre assuré d’une place et qu’il voulust passer deux rivieres parce que, l’affaire de Paris s’accommodant, son armée estoit ruynée devant que de se pouvoir retirer, d’autant que le colonel d’Erlac s’avançoit avec dix mille hommes de l’armée de M. de Turenne, et en cinq jours de marche devoit estre derriere l’archiduc et luy empescher la retraite, cependant que le mareschal du Plessis l’arrestoit en teste.
Le lundy 22 mars, le bruit augmentoit que le Roy s’en alloit et partiroit la nuit, ce qui m’obligea à revenir pendant que la treve continuoit et qu’il estoit incertain si elle seroit renouvelée. Je vis M. Le Roy, qui me dit que tout iroit bien nonobstant le bruit commun. Je vis aussy les deputés de Paris et de Rouen ensemble, qui s’en alloient à la conference chez M. le chancelier, où estoient pour le Roy MM. le chancelier, les mareschaux de La Meilleraye et de Villeroy, MM. d’Avaux, de La Vrilliere, de Brienne et Le Tellier. Je vis ce matin, devant que partir, M. Le Tellier. Arrivé à Paris, j’appris que l’archiduc avoit offert à M. le prince de Conty de ne pas passer outre, si la Reyne vouloit envoyer des plenipotentiaires pour la paix, de quoy M. le prince de Conty avoit donné avis au parlement, et l’un et l’autre à leurs deputés. La Reyne avoit accepté cette proposition.
[…]
[p. 728] Le jeudy 1er avril, je fus au Palais, qui estoit bien gardé. M. de Lamoignon me dit que tout iroit bien. […] [p. 733] Ainsy finit cette guerre, apres avoir duré douze semaines, contre la pensée de la cour qui ne l’avoit entreprise que dans la pensée qu’elle ne dureroit que huitaine.
[…]
[p. 736] Le mardy 6 avril, les deputés du parlement furent à Saint Germain avec ceux de la chambre des Comptes, qui furent regalés magnifiquement.
Le mercredy 7 avril, la Ville y fut aussy avec les colonels, et puis les corps des marchands, l’université, le grand conseil.
[…]
Le samedy 10 avril, je fus à Saint Germain avec MM. de Lamoignon, Boucherat, Brillac et le marquis de Crenan, lieutenant des chevaux legers de M. le prince de Conty. Là j’appris la disgrace de M. de Roquelaure, renvoyé chez luy pour avoir tesmoigné que, s’il n’eust esté attaché à la cour par sa charge, il eust suivi le parti des princes. L’on me raconta le detail de l’affaire de M. de La Meilleraye, que jeudy, chacun disant qu’il sortoit des finances, Mme d’Aiguillon luy en avoit parlé pour l’y disposer, que le lendemain ses amis l’estant venus voir, et M. de Saint Chamond luy en ayant fait compliment plus ouvert, il avoit dit qu’il n’en avoit point ouy parler, et qu’il attendroit que le Roy luy donnast l’ordre. M. le cardinal le vint voir ensuite, fut deux heures avec luy, et luy protesta qu’il feroittout ce qu’il voudroit, qu’il garderoit sa charge, s’il vouloit, qu’il estoit le maistre ; que M. de La Meilleraye, pour monstrer qu’il vouloit garder sa charge, avoit tenu l’apres disnée direction. Je scus que l’on destinoit pour sa charge ou M. d’Avaux ou M. Servien, ou le president de Maisons. D’autres disoient que l’on n’y mettroit sytost personne, et que les directeurs continueroient. L’on me dit que M. Servien devoit arriver, qu’on luy avoit envoyé trois courriers. La cour paroissoit tres embarrassée. M. le marechal de Grammont demandoit permission d’aller en Bearn ; M. le prince de Conty devoit venir lundy à Saint Germain, et M. le Prince aller mardy voir M. de Longueville [p. 737] à Bouconvilliers, sur le chemin de Rouen. M. le Prince, changeant de methode, caressoit extraordinairement tous les generaux de Paris.
[…]
[t. 2, p. 344] [16 avril 1665] L’entrée du Roy est remise de lundy prochain en huit jours. Il partira [lundy] pour Saint Germain avec toute la cour, et reviendra pour aller au parlement.
[…]
[p. 348] [28 avril] Le mal de la Reyne mere augmente fort. Elle a esté en basteau à Saint Cloud, où elle eut une nuit mauvaise ; le lendemain, en basteau, à Saint Germain, où l’on dit qu’elle est encore plus mal, et l’on craint qu’elle ne dure pas longtemps. Chacun regarde cette perte avec douleur parce que, quoyque la Reyne mere n’ayt pas de credit pour faire plaisir, elle empesche du mal et retient l’union dans la maison royale. J’y perdrai en mon particulier beaucoup par la bonté qu’elle m’a tesmoignée, ayant fait tout ce qu’elle a pu pour m’obliger.
Le mercredy 29 avril, le Roy vint de Saint Germain pour faire verifier au parlement la declaration contre les jansenistes. […] [p. 352] Après, le Roy se leva et parla longtemps à M. le chancelier, et, après, à M. le premier president assez longtemps, et, saluant toute la compagnie civilement en passant, il sortit et alla disner à Versailles, où sa maistresse se devoit rendre de Saint Germain.
[…]
[p. 355] [2 mai] Les divertissemens du Roy continuent, il chasse tous les jours avec sa maistresse. Le mal de la Reyne mere augmente, quoiqu’elle paroisse habillée et fort propre. Toute la suite de la cour s’ennuye fort à Saint Germain, car chacun ne parle que misere. La Reyne est grosse.
[…]
[p. 360] [12 mai] J’appris encore que M. le president de Novion, avec M. le president Tubeuf, s’estant presentés à Saint Germain pour remercier le Roy de l’employ donné à M. Tubeuf le maistre des requestes, ayant trouvé que le Roy venoit d’entrer dans son conseil, un valet de chambre estant entré pour presenter au Roy un mouchoit, il luy dit à l’oreille que M. le president de Novion estoit là. Le Roy, levant la parole, dit : « Voilà qui est plaisant ! M. le president de Novion me fait dire qu’il m’attend. Oh ! qu’il m’attende et ne s’impatiente pas. » Le valet de chambre ayant dit au Roy que c’estoit M. Tubeuf qui luy avoit dit de parler, le Roy reprit encore : « Soit : M. le president Tubeuf ou M. le president de Nivion, cela est esgal, qu’ils m’attendent. » M. Colbert ne parla pas, mais, à la fin du conseil, s’estant approché pour dire au Roy que M. le president de Novion souhaitoit le saluer, il luy dit : « Eh bien ! il me verra chez la Reyne ma mere, ou me parlera en passant ; c’est assez pour luy. »
[…]
[p. 363] Le dimanche 31 mai, M. Boucherat me dit qu’il avoit esté le jour precedent à Saint Germain, où tous Messieurs du conseil avoient esté mandés ; qu’ils trouverent que la Reyne mere estoit fort mal et la cour en larmes ; neantmoins qu’à onze heures ils avoient esté chez le Roy, qui leur avoit dit que, depuis qu’il avoit pris le soin des affaires de son Estat, il avoit commencé par la reformation des finances, et qu’il croyoit y avoit reussi ; qu’il vouloit à present travailler à la reformation [p. 364] de la justice, et comme il connoissoit tous ceux qui estoient dans son conseil pour fort habiles et qui avoient esté dans tous les employs, il les avoit mandés pour leur dire qu’il souhaitoit que chacun d’eux en particulier fist des memoires sur les choses qu’il croiroit estre à reformer, et que, dans trois semaines, ils eussent à tous revenir et d’apporter chacun en particulier ces memoires, afin qu’il examinast et vist ce qui seroit à faire ; qu’aussytost il s’estoit retiré et paroissoit fort touché de l’extremité de la Reyne mere ; que M. le chancelier estoit present et M. Colbert, et qu’ils n’avoient rien dit, et que chacun apres le disner estoit revenu à Paris.
[…]
[p. 367] [6 juin] La Reyne continue à se mieux porter. M. de Mirepoix m’a dit ce matin samedy que, sytost qu’elle pourroit estre transportée, la cour reviendroit. Elle ira au Val de Grace et le Roy au Bois de Vincennes.
[…]
[p. 369] Le dimanche 21 juin, MM. du conseil allerent à Saint Germain porter leurs memoires pour la reformation de la justice. Le Roy les [p. 370] reçut sans leur parler. L’on dit qu’ils doivent estre mis dans huit jours es mains de M. le chancelier.
[…]
[p. 385] Le mardy 11 aoust, toute la cour est revenue de Saint Germain. La Reyne mere a esté transportée au Val de Grace, s’estant trouvée assez forte pour souffrir le transport.
[…]
[p. 441] Le mercredy 27 janvier [1666], je fus avec MM. Boucherat, de Fourcy, de Bermond, de Paris et de Boissy, et avec les autres députés du parlement, à Saint Germain, pour faire les complimens au Roy sur la mort de la Reyne mere. Le carrosse de M. de Montmort le conseiller versa à la montagne. Arrivés à Saint Germain, messieurs du parlement furent dans la chambre qui leur estoit preparée. M. Boucherat et moy montasmes en haut chez le Roy, que nous saluasmes lorsqu’il passoit de sa petite chambre pour entrer dans sa grande chambre et donner ses audiences. Nous estions assez proches de sa chaire, derriere MM. Turenne, de Villeroy, du Lude, Rose, qui s’ouvroient pour nous faire voir. M. le premier président fit fort bien son compliment, le premier president de la chambre des Comptes aussy ; le premier president de la cour des Aydes hesita et se troubla, et apres le president des monnoyes. Les procureurs et avocats generaux font, apres chaque cour, leurs compliments separés. Les complimens finis, M. de Turenne dit au Roy que M. Boucherat estoit là et qu’il estoit des amis de M. le premier president, et le Roy respondit : « Et d’Ormesson, qui est aussy de ses bons amis ».
[p. 442] Je fus apres à la messe du Roy, où estoient la Reyne, M. le Dauphin, Monsieur, et Mlle de La Vallière, que la Reyne a prise aupres d’elle par complaisance pour le Roy. En quoy elle est fort sage. Cette demoiselle ne me parut point belle : elle a les yeux fort beaux et le teint, mais elle est descharnée, les joues cousues, la bouche et les dents laides, le bout du nez gros et le visage fort long. En verité, je fus surpris de la trouver si peu belle. Apres la messe, la Reyne reçut les memes complimens des compagnies

Le Fèvre d’Ormesson, Olivier

Mention d’un terrain pris par le roi pour le Château-Neuf de Saint-Germain-en-Laye

« Germain Jamet, laboureur demeurant au Pec, n’ayant pas les moyens de payer la rente de cinq écus qu’il devait à Jeanne Raffron, veuve de Paul Billier, à cause de plusieurs parcelles qu’il avait prises à rente en 1580, les lui rend en échange de l’extinction de la rente. Par le même acte, la veuve les cède à Claude Raffron moyennant la même rente de cinq écus. Ces terrains comprenaient dix perches de jardin « aud. lieu du Pecq, au lieud. la Ruelle Mallot, tenant d’un costé aux heritiers feu Pierre Pluchet, d’autre costé à la ruelle, d’un bout au chemin tendant du Pecq à Carrieres et d’autre bout à Vincent Autrain », au sujet desquelles le contrat précise que « led. preneur n’aura aucun recours de garendye allencontre de lad. bailleresse pour raison des dix perches de jardin cy dessus declarées, prinses par le Roy nostre sire pour l’accroissement du jardin de son bastiment neuf dud. Sainct Germain, ains s’est led. preneur, pour raison de ce, contenté des deniers à quoy lesd. dix perches de jardin ont esté estimées, lesquelz deniers il prendre à son proffict, et pour iceux recepvoir des habitans dud. lieu du Pecq, lad. bailleresse a ceddé et transporté aud. Raffron preneur tous ses droictz, noms, causes, raisons et actions ».

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