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Lettre de Carlo Vigarani à la duchesse de Modène concernant la réception du grand-duc de Toscane et le petit appartement du roi à Saint-Germain-en-Laye

« Serenissima Altezza,
Dal letto, ove m’ha confinato alucni giorni sono l’excessiva occupatione havuta per le feste fattesi all’arrivo e dimora qui del Serenissimo Gran Principe di Toscana, subito ricevuti i pregiatissimi commandi de L. A. V. Serenissima, ho’ avisato il signore Pouch, acio con la sua destrezza, e in conformita d’essi commandi, dia qualche lume dell’intentione che hanno cuca il partito le persone, che pensano a la compra de le rendite dell’A. V. Serenissima, siche col prossimo ordinario spero potergliene render conto.
Con l’ultima mia avisai l’arrivo a la corte del Serenissimo Gran Principe, e come S. M. lo havesse ricevuto a la prima visita, come per sorpresa, cise ch’essendo S. M. ne la sua camera con il solo duca di Saint Agnan, ora primo gentilhuoma, e con tre o quattr’altri servitori all’entrar di S. A. mostra d’esser sorpreso, e lasciato il capello su la tavola s’avanzo alcuni passi a riceverlo. E di la lo condusse egli stesse da la Regina. Qualche giorno dopo, il Re havendolo contotto a Versaglia ivi lo regalo di musiche, balli, comedie, collationi, giardini illuminati, e fuochi d’artifizio ; tornando il Re a San Germano, e S. A a Parigi ove sta alloggiato in casa del suo residente benche sia sevito da tutti gli ufficiali, carozze e staffieri del Signore duca di Guisa, il che m’haveva da prima fatto credere che fosse anche allogiato in sua casa.
A San Germano dopoi sele e fatta redere una comedia galante framezzata con balletti, e musciha, e con qualche scena : cosa pero di poca importanza, dopo la quale ogni volta sene ritorna a dormir a Parigi, anzi a cena, essendo ben presso a meza notte quando fnisse l’opera, non essendovi stato convito alcuno per anche, ecredo non vene sara. Tutta la casa di Conde e ritirata credo per la discrepannza de titoli e delle precedenze. Li duchi e Pari non l’honna visitato perche non le ha voluto dar la mano. […]
Ha S. M. fatto fare qui due cabinetti nel suo appartamento tutti ricoperti per tutto di specchi incastrati in cornici di legno indorate e sopradipinte, opera richissima del signore Brun, pittore eccelente : sopra gli spechi son dipinti bellissimi comparti d’ornamenti, che fanno un ammirabil vaghezza, ma la pittura e dietro al cristallo tra esso e l’argento vivo ; maniere e studi nuovi a quale vado applicando con la speranza di ripatriare un giorno per godere l’istessa fortuna del Principe nella sua gloriosa servitu alla serenissima casa, e sotto i clementissimi auspizy de L. A. V. Serenissima, a la quale profadamente inchinandom, mi dedico, de L. A. V. Serenissima,
Umilissimo, devotissimo et obligatissimo servitore.
C. Vigarani
Di S. Germano, li 30 Augusto 1669 »

Récit par le nonce Gualterio de la mort de Jacques II à Saint-Germain-en-Laye

« Su l’avviso che giunse la notte de 12 del corrente dello stato pericolossimo in cui si trovava il Re britannico stimo il nunzio a proposito di traferirsi la matina seguente alla corte de San Germano. Vi trovo S. M.tà con febre, che gli ripligliava per fino a tre volte il giorno con una prostratione totale di forze, e con una sonnolenza gravissima, la quale lo faceva continuamente dormire senza pero impedirgli di riscuotersi ogni volta che volevano dirgli qualche cosa e di rispondere adattatamente con uso di ragione che ha conservato sempre intierissimo per fino all’ultimo. I medici lo facevano fino d’allora disperato, onde il nunzio predetto credette che per edificazione delle due corti e per dimostratione di riconoscenza ad un prencipe ch’era stato coisi fedele alla Chiesa gli corresse debito di assistergli per fino all’ ultimo respiro, si come ha fatto in effetti non abbandonandolo né giorno né notte dal martedi matina perfino al venerdi sera in cui rese l’anima a Dio. Continuo è stato altresi il concorso d’' prencipi della case reale e de gran signori che sono andati a sapere di mano in mano lo stato della sua salute, mà tra gli altri si è distinto con particolari marche d’affetto il sig. prencipe di Conti che per essere cugino germano della Regina ha voluto usare con essa particolari finezze restendo tutti que’ giorni dalla matina per fino alla sera in San Germano. Il Re ha mandato ogni giorno più signori della prima sfera ad informasi dello stato delle cose, et il mercordi dopo desinare vi venne egli stesso in persona. Il nunzio si ritrovava nella stanza della Regina quando fù portato l’avviso della sua venuta. S. M.tà gli disse che non haverebbe voluto che il Re Christianissimo passasse per la stanza dell’infermo, dubitando che si come s’erano sempre teneramente amati cosi potesse seguire una vicendevole commotione in vedersi, e lo incarico di procurare d’indure S. M.tà a passare per un picciolo balcone al di fuori. Il nunzio prego il sig. duca di Lauson [Lauzun] ad insinuarlo a S. M.tà, il quale non fece difficoltà di prendere quella strada mà trovato poi esso nunzio sul medesimo balcone gl’espresse un sommo desiderio di vedere onninamente il Re Britannico, in maniera che si concerto che cio sarebbe seguito appresso la visita della Regina. Entrata S. M.tà nella di lei stanza, fece instanza che si chiamasse il prencipe di Galles. Venuto questi rimasero tutti tre soli, mà si è poi saputo per bocca del Re medesimo che il picciolo prencipe si come era stato un tempo considerabile senza vedere la madre cosi subito che fù entrato nella camera senza riguardo del Re presente gli si getto al collo e ivi con molte lagrime s’abbracciarono cosi teneramente che il Re dice d’havere havuto della pena a distaccarli l’uno dell’alltra. La Regina a cui tratanto il. Re haveva communicato la propria intentione notifico al prencipe la risoluzione presa da S. M.tà di riconoscerlo e trattarlo da Re ogni volte che venisse a mancare il Re suo padre. Il fanciullo che non havea notizia alcuna dell’avvenimento e che non poteva havere ne tampoco sepranza nientedimeno riceve tal avviso come se vi fosse stato preparato, e gettandosi a i piedi del Re gli desse queste precise parole: Io non mi scodero mai che sete voi che mi fate Re, e qualsivolglia cosa che mi succeda impiergaro questa dignità a farvi conoscere la mia riconoscenza. Il Re gli disse che lo faceva volontieri mà sotto conditione che conservasse sempre immutabile le religione cattolica, in cui era stato educato, mentre se fosse stato mai possibile ch’egli l’abandonnasse o volesse anche solamente nasconderla non solo perderebbe affatto la sua amicitia mà sarebbe risguardato con horrore di tutti gl’huomini da bene che sono nel mondo e come l’ultimo e il più vile degl’huomini. A che il prencipe rispose con le proteste della maggiore costanza. Più altre cose furono dette vicendevolmente sopra lo stesso argomento; dopo di che il prencipe si ritirà et essendo uscito dalla camera dirottamente piangendo dette motivo a milord Perth suo governatore di dimandargli che cosa gl’havesse detto il Re di Francia: mà gli rispose che ne haveva promesso il segreto a S. M.tà e che non poteva violarlo. In effetti non vole dirle cosa alcuna. Bensi tornato al suo appartamente si rinchiuse nel gabinetto e si pose a scrivere e domandatogli dal governatore medesimo cio che notasse disse senz’ altro ch’era il discorso tenutogli dal Re Christianissimo, il quale voleva poter rileggere tutti i giorni della sua vita.
S. M.tà fini tratanto la visita della Regina et accostandosi al letto del Re infermo gli fece i più cordiali complimenti. L’altro assopito nella sua sonnolenza habbe sul principio qualche difficoltà a riconoscerlo e l’andava ricercando quasi sospeso con gl’occhi, mà rivoltosi finalmente alla parte ove il Re era, tosto che l’hebbe veduto pose la bocca al riso e dimostro un estremo piacere. La ringratio poi di tutte le finezze le quali qu’usava e singolarmente d’havergli mandato il giorno antecedente il suo primo medico. Dopo varie espressioni d’affetto il Re Christianissimo disse che haverebbe voluto parlare di qualche negozio a S. M.tà Britannica. Ciascheduno volea ritirasi per rispetto mà il Re comando che tutti si fermassero et alzando la voce disse che volea assicurarlo che quando Dio havesse fatto altro di lui, haverebbe presa cura particolare del principe di Galles, e non minore di quella che potesse haverne esso stesso se fosse vivo; che dopo la sua morte lo riconoscerebbe per Re e lo trattarebbe nella medesima forma con cui haveva trattato lui medesimo. Cio che gli rispondesse il Re Britannico non pote udirsi perchè l’Inglesi, de’ quali era piena la camera e che non solamente non s’attendevano ad una tale dichiaratione mà per il contrario haveano probabilità tali da credere tutto l’opposto dettero tutti un’alto grido di Viva il Re di Franci, e gettandosi a i piedi di S.M.tà gli testimoniaronon la loro gratitudine d’une maniera che quanto era più viva et in un certo modo lontana dal rispetto ordinario tanto maggiormente mostrava i sentimenti de loro cuori. Il nunzio dopo haver dato luogo a tal transporto di gioia in quelle genti s’accosto ancor’egli a S. M.tà e gli disse che lo ringratiava a nom di tutta la Chiesa dell’atto eroïco il qual veniva di fare, pregando Dio a volerglielo ricompenzare con altretante fecilità. S. M.tà rispose allora con somma benignità e poi esso nunzio essendo andato servendolo per fino alla carrozza lo richiamo per strada e gli soggiunse ch’egli ben sapeva di quale importanza poteva essere tale risoluzione e conosceva le difficoltà che potevano esservi state mà che il rispetto della religione havea sorpoassato ogni cosa e ve lo haveva unicamente determinato. Si sa poi S. M.tà haver detto in appresso che ben conosceva tutti gli pregiuditii che poteva recargli una cosi fatta determinazione, la quale haverebbe dato pretesto al prencipe d’Oranges d fare de’ strepiti in Inghilterra di suscitargli contro il Parlemento e forse di caggionargli la guerra mà che havea voluto che gl’interessi della religione passassero innazi a tutte le altre cose, lasciando a Dio la cura del resto. In effetti si penetra che la maggior parte del Consiglio fosse di contraria opinione e che l’operato si debbia al solo arbitrio del Re. E’vero che i prencipi della casa reale erano stati di tal desiderio et hanno dimostrato una somma sodisfazione del successo; il duca di Borgogna particolarmente, che se n’espresse ne’ termini più forti che possino imaginarsi.
Ritornando al Re defonto è certo che questa è stata la maggiore consolazione che potesse havere morendo, mentre altro affare temporale non gl’occupava la mente. Ne ha dati altresi gli contrassegni maggiori mentre ordino subito che il prencipe si traferisse a Marli per ringraziarne S. M.tà se bene la Regina non giudico poi d’inviarvelo havendosi mandato in sua vece milord Midleton suo primo ministro. La matina seguente si fece chiamare di bel nuovo esso prencipe e parlandogli del medesimo affare gli ricordo la fedeltà a Dio, l’ubidienza alla madre e la riconoscenza al Re Christianissimo. Né poi ha parlato con alcun prencipe o signore della corte di Francia che non gl’habbia tenuto ragionmento sopra di cio et espressegli le grandi obligazioni che sentiva sù tale soggetto. Queste sono state le sole parole ch’egli habbia impiegate negl’affari del mondo. Tutto il rimanente non ha risguardolo che il Cielo, eccitando di tempo in tempo i preti e i religiosi che l’assistevano a dire delle orazioni, scegliendo esso stesso quelle che maggiormente desiderava e sopra tutto mostrando un sommo desiderio et una somma divozione della messa, recitandosi la quale egli che nel rimanente del tempo soleva essere addormentato si è sempre tenuto con gl’occhi aperti e facendo con la testa tutti que’ segni di venerazione che la sua positione e la sua debolezza potevano permettergli all’elevazione. Fino agl’ultimi respiri è stato udito recitare delle preghiere et allorché gli manco la voce fù veduto movere a tal ogetto le labra. Oltre di cio ha dimostrata una tranquilità d’animo infinita et una rassegnatione eroica al divino volere: consolandro egli stesso la Regina del dolore che dimostrava per la sua perdita. Ha finalmente dell’infermità et havendo sempre riposto che stava bene. Ha habuto una esatta ubidienza alle ordinationi de’ medici et ha preso senza replica tutto quello che hanno voluto dargli benche vi havesse per altro ripugnanza. Finalmente ha havuto sempre il giuditio sanissimo e la mente etiandio più pronta e più libera di quella che l’havesse per molti mesi antecedenti. Gli è durato de lunedi fino al venerdi sempre in una specie d’agonia patendo varii accidenti che di tanto in tanto facevano crederlo vicino a morire e risorgendo un momento appresso. Gl’ultimi singulti della morte furono brevi e non durarono lo spatio d’un hora e mezza ancor’essi assai miti e cher per quanto pote osservarsi non gl’erano un gran tormento. Spiro venerdi alle tre e mezza della sera pianto con caldissime lagrime da suoi tanto cattolici che protestanti, i quali l’hanno tutti per tanti giorni servito con un’amore et attenzione indicibile. La Regina non ha fatto un tutto questo tempo che piangere mà senza pero abandonare la cura degl’affari correnti. Morto il Re le più grandi angoscie mà persuasa alla fine di lasciarsi mettere in carrozza si è trasferta ad un convento delle monache della Visitatione posto in un villaggio vicino a Parigi per nome Challiot ove si tratterrà fino lunedi sera. Il Re s’era offerto di accompagnarvela in persona mà non ha voluto permetterglielo. Si ritroverà bene a S. Germano nel ritorno che S. M.tà vi farà per riporla nel suo appartamento, et allora si crede che visitarà la prima volta il successore in qualità di Re.
Il nunzio credette di non dover frapporre indulgio alcuno a far questa parte per dare un’esempio autentico agl’ altri ministri e per dimostrare tant maggiormente al nuovo Re la benevolenza della Sede Apolostica, onde passo subito a complimentarlo nel sup appartamento, dicendogli che nel gravissimo dolore che la Chiesa sentiva per la perdita d’un membro cosi principale qual era il Re defunto non poteva invenire maggiore consolazione di quella che gli proveniva dal riconoscerne S. M.tà per successore, non dubitendo che dovesse essere herede ugualmente delle virtù che delle corone del Padre e particolarmnte in cio che risguarda la costanza nella religionez per cui quel principe era stato cotanto glorioso. Rispose che S. S.tà poteva essere certa di haverlo sempre altretanto ubidiente quanto sia stato suo padre. Le disposizioni venture di quella corte non sono per ancora mote mà si avviseranno in appresso. In quanto alle ossequie S. M.tà Christianissima voleva fargliela fare reali a sue spese mà il Re defonto raccommando d’essere sepolto senze pompa e la Regina ha poi talmente insisito sopra la medesima istanza che si à rimasto di far transportare il cadavere senza pompa alle benedittine inglesi per tenervelo in deposito per fino a tanto che piaccia a Dio di disporre le cose in maniera da poterlo riportare nel sepolcro de suoi maggiori in Inghilterra. Ha bensi S. M.tà fatto fare un cuore d’argento dorato coronato alla reale per rinchiudervi quello del del defonto già trasferito segretamente a Challiot per essere risposto vicino a quello della Regina sua madre che si conserva nel medesimo luogo. Pensa inoltre a tutto cio che possa essere di sollievo, di conforto e di commodità alla Regina e procura d’usargli tutte le finezze possibili per consolarla. Il che si rende più necessario quanto l’afflittione dell’animo reca alla medesima pregiudizio anche nel corpo, trovandosi hoggi travagliata da mali di stomaco e da una straordinaria debolezza benche speri che le cose non siano per passare più oltre. »

Gualterio, Filippo Antonio

Liste des courtisans logés au Château-Vieux de Saint-Germain-en-Laye

« 1 paire of stairs :
Mr Controller Skelton
Dutchess of Tyrconnel
Mr Hide
Lord Chamberlain
Duke of Berwick
Lady d’Almond
Earle of Melfort
Count Molza
Mr Carill
Mr Turene
Mrs Turene
Lady Sophia Buckly
Lady Walgrave
Mr Conquest
Sir John Sparrow
Lord Dumbarton

2 paire of stairs :
Lady Governess
Lady Strickland

3 paire of stairs :
Mr Lavery and the King’s necessary woman
Father Warner
Marquis d’Albeville
Mr Dupuis and the Lady Strickland’s servants
Lady Governesse’s servants
Mr Balthazar
Mrs London
Mrs Walgrave

4 paire of stairs :
Mr Brown
Mr Graham
Mr Joshn Stafford
Officers of the guard
Father White
Mr vice chamberlain Strickland
Mr Inese the priest
Father Gally
Mrs de Lauter
Mrs Chappell
Mr Benefield
Sir William Walgrave
Count Lauzun
Mr Biddulph
Mr Leyburn
Mrs Rogé
Lady Lucy Herbert
Father Ruga
Father Sabran
Sir Edward Hales

5 paire of stairs :
Mr Buckingham
Mr Noble
Mr Cadrington and the Prince’s necessary woman
The King’s barber
Mr Beaulieu
Mrs Simms
Mr Dufour
Mess. Ronchi priests
Mr Ronchi gentleman usher

Ground rooms :
Mr Martinash
Mr Atkins the cook in a room lent him by the concierge
Captaine Trevanian
Mr Harrison
Mr Francis Stafford
Mr Inese the gentleman usher
Mr La Croix
Mr Gothard
The King’s wardrobe
Mr vice Chamberlain Porter
Captain MacDonnel
Mr Labady
Mr Riva
Mr Crane
Sir Roger Strickland
Mr des Arthur
Mr Nevil
Madame Nurse »

Administration du roi d'Angleterre à Saint-Germain-en-Laye

Description par Louis Le Laboureur du petit appartement du roi au Château-Vieux de Saint-Germain-en-Laye

« [p. 1] Mademoiselle,
Je ne veux point vous surprendre, preparez vous [p. 2] à lire une grande lettre ; mais si le discours en est long, la matiere en est belle. Avec cela c'est une piece que l’on a souhaitée de moy ; et en voicy l’histoire en peu de mots. Nous avons eté ces jours passez voir de petits cabinets que le Roy s’est fait faire depuis peu à Saint Germain. O la belle chose ! un de vos amis qui se trouva tout proche de cet admirable lieu, et qui y entra avec nous, veut que je vous en fasse la description. Pour moy je ne say [p. 3] pas à quoy il pense. Il auroit bien meilleure grace de faire luy meme ce qu'il conseille aux autres ; et j’ai vingt raisons pour l'en convaincre, dont la moindre est qu’il a cent fois plus d'esprit que moy. Mais il n’importe, la chose est resolue ; je lui veux obéir, et vous montrer à tous deux en cette occasion que rien ne m'est impossible quand il s’agit de vous satisfaire.
Vous savez bien que ce chemin si clair
Qu’on voit au ciel pendant la nuit obscure,
Meine au Palais du grand dieu Jupiter,
Comme un auteur digne de foi l'assure ;
[p. 4] C’est Ovide, et cela suffit.
Mais vous ne savez pas peut estre
Qu’à Saint Germain, tant le jour que la nuit,
Depuis deux ans on en voit apparaître
Un autre en l’air qu’a voulu qu’on y fît
Monsieur Colbert, des Bâtiments le Maître.
Il est si beau, si belle en est la vue,
Qu'en y passant, les yeux sont eblouis !
Et ce chemin meine et sert d'avenue
Aux cabinets de notre grand Louis.
C’est un haut et magnifique balcon que l’on a fait au vieux château, le long des appartements du Roy et de la Reine, du côté qui regarde le nord. Cette piece apporte tant d’ornement et tant de commodité à ce palais, qu’on la croit aussi ancienne que [p. 5] tout le reste du bâtiment. On se persuade qu’elle y a toujours été, parce qu’elle y devoit toujours etre ; et c'est ainsi que l’on est surpris tous les jours en voyant le succez des ordres de ce genie universel qui prend le soin de ces choses, et qui sait si bien donner la dernière perfection à tout ce qui dépend de son ministere.
Toute la cour donne le nom de terrasse à ce balcon ; et en effet, il est assez large pour meriter qu’on l’appelle ainsi. Vous pouvez [p. 6] juger, apres la promenade que vous avez faite ici pendant la saison des cerises, si nous devons nous connoitre en belles vues : quoy qu’il en soit, Mademoiselle, je vous dis maintenant en prose qu’il n’y en a point de plus riche au monde ni de mieux variée que celle qui se presente devant la terrasse dont je vous parle. De là on a le plaisir de se promener des yeux dans les jardins du Roy et à plus de quatre lieues aux environs, dans des valons et sur des coteaux [p. 7] qui font une perspective admirable.
Tant de si doux objets ; une découverte si avantageuse ; le voisinage d’une grande foret et d'une grande riviere ; la pureté de l'air, et je ne say combien d'autres belles choses qui se rencontrent heureusement ensemble à Saint Germain en font aimer le sejour au Roy, et sont cause que le vieux château l’emporte aujourd'hui sur tous les modernes. Voilà ce que c'est que d’avoir eu du commencement la nature [p. 8] favorable ! Cela fait bien voir que ce n’est pas la belle architecture qui rend les palais agreables et qui les fait habiter.
Admire qui voudra la pompe de cet Art ;
La charmante nature a des graces à part
Qui touchent davantage et les yeux et les ames.
On ne peut m’opposer de valables raisons.
Nature fait les belles femmes
Et les belles maisons.
C’est elle qui donne les belles scituations et les beaux paisages ; et comme elle ne fait pas de semblables liberalitez à tous ceux qui batissent, il arrive de là aussi qu’on voit assez de riches bâtiments [p. 9] et peu de belles maisons.
Monsieur Le Brun, avec qui nous avions fait la partie, nous mena d’abord sur cette terrasse : la compagnie fut surprise et charmée d’une veue si accomplie ; et il n’y eut personne qui ne s’imaginât estre passé dans l’ancienne Assirie ou dans l’ancienne Egypte par la machine de quelque songe, et se trouver dans ces jardins suspendus, dont on a fait tant de bruit. Cette vision n’etoit pas si hors de raison qu’on diroit bien, et vous le connoitrez par [p. 10] la suite. On peut de cette terrasse aller à la chambre du Roy, qui s’habilloit alors :
En ce lieu neanmoins parurent peu de gardes ;
La liberté s’y trouvait comme ailleurs ;
Et le nombre des hallebardes
Le cedoit à celuy des fleurs.
Nous y marchions entre deux rangs de lauriers cerises, de tricolors, de jasmins et de tubereuses, et tandis qu’avec un petit cristal dont je me sers pour allonger ma courte veue, je cherchois notre Montmorency d’où nous etions partis, notre conducteur alla s’assurer de l’ouverture [p. 11] des cabinets, et nous vint rejoindre après avoir obtenu la permission de nous y faire entrer.
Il nous falloit passer devant une porte qui repond de la chambre du Roy sur cette terrasse ; elle etoit ouverte et si fort assiegée de courtisans, qu’il n’y avoit presque point de place pour aller au delà. Le roi etoit alors auprès de cette porte, et c'est d’où venoit une si grande presse. Je tachay de le voir en passant, mais ce fut en vain ; l’eclat de sa personne est si [p. 12] grand que j’en fus frappé, même en ne la voyant pas. J’eus beau avoir recours au petit cristal que je tenois à la main, cela ne servit de rien ; au contraire, mon eblouissement s’accrut au lieu de diminuer ; et j’expérimentay ainsi la verité de ces sages paroles qui disent que celuy qui cherche trop curieusement la Majesté sera opprimé par la gloire.
La terrasse finit à trois ou quatre pas au dessous de cette porte de la chambre du Roy, et c’est à cette extremité [p. 13] que commence de ce côté là le petit appartement que nous allions voir. Il est rangé sur une autre terrasse de plain pied qui regne tout le long d’une autre face du vieux château et qui regarde les cours du château neuf. Il y a, au bout de la terrasse où nous etions, une porte qui nous fut ouverte ; et alors nous entrames dans les lieux tant desirez, où je trouvay encore mille autres sujets d’eblouissement.
En effet, je defie l’imagination [p. 14] la plus riche et la plus heureuse de se former une idée de choses qui puissent montrer tout ensemble tant d’art, tant d’esprit et tant de magnificence. Tous les murs et les plafonds sont revetus de glaces et de miroirs avec des quadres et des ornemens dont l’or fait la moindre richesse. On y marche sur des planchers qui seroient dignes de faire la pompe des plus belles voutes et d’etre au dessus des testes les plus superbes. Ce ne sont que des marbres de [p. 15] toutes les couleurs, des ouvrages en mosaique et des parquets de pieces de rapport. On y voit en tous les coins et en cent autres endroits de grands vases d'argent chargés de fleurs, des pilastres et des termes de meme métal qui portent des filigranes d'or : et tout cela me parut si eclatant que, me ressouvenant de la devise du Roy,
Je crus en verité, sans pousser trop les choses,
Estre, par un miracle à nul autre pareil,
Transporté d’ici bas au palais du Soleil,
Tel qu’on le voit baty dans les Metamorphoses :
Mais le Soleil qui brille en ces lieux enchantez
N’a point ces ardeurs violentes,
Qui font en mille endroits deserter les citez,
[p. 16] Qui noircissent le teint, qui fletrissent les plantes,
Qui dans l’aride sein des plaines languissantes,
S’insinuant de tous cotez,
Vont jusqu’en leurs canaux voûtez
Secher les rivieres naissantes ;
Et n’exposent aux yeux des familles errantes
Que des sablons ingrats de bestes frequentez.
L’astre du ciel où nous etions,
Car d’un celeste nom ces beaux lieux semblent dignes,
Ne repand que de doux rayons
Et des influences benignes
Qui font fleurir ses regions.
Au lieu des chiens brulans, des devorants lions,
Des centaures, des scorpions,
Et de telles bestes malignes
Que l’autre visite en son cours,
Celui cy fait regner les beaux arts en nos jours,
Et son zodiaque pour signes
En ce lieu n’a que des Amours.
Mais ces Amours sont instruits à toutes les belles et grandes choses : ils se jouent avec les lions et les léopards ; [p. 17] ils batissent, ils travaillent, ils vont à la chasse, ils manient les armes, et se montrent capables de tout. On en voit de toutes parts qui sont peints sur des glaces, et dont les différentes postures font autant de douces emblemes. Mais ce qui est singulier en tous ces tableaux, c'est qu’étant peints derriere les miroirs, les premiers traits que le pinceau y a couchez forment la figure telle qu’on la voit ; au lieu que dans la peinture ordinaire ce sont les derniers coups [p. 18] de pinceau qui l’achèvent et qui la finissent.
Monsieur de Pellisson, qui etoit au lever du Roy et qui se trouva sur la terrasse comme nous passions, entra avec nous dans ce beau palais des amours. Nous nous y reconnumes tous deux avec autant de surprise que de joye ; les premieres paroles que nous nous dimes furent de vous, et c’est lui qui m'a conseillé de vous faire le recit de tant de belles choses.
Mais pour m'en acquitter avec honneur, il faudroit [p. 19] que je pusse me ressouvenir icy de tout ce que j’en entendis alors dire à monsieur le comte de Nogent. Vous connoissez la modestie de monsieur Le Brun, qui n’est pas moins admirable que ses ouvrages. Il ne parle bien volontiers que des choses qu'il n’a point faites ; et comme celles que nous regardions viennent toutes ou de ses mains ou de sa tête, il se contentoit de nous les montrer sans nous en faire remarquer l’esprit. Monsieur le comte de Nogent, [p. 20] qui nous a fait la grace de nous aimer un peu, et qui voulut bien alors nous venir joindre, y supplea merveilleusement. Il nous expliqua toutes choses, mais avec un esprit qui luy est singulier et à ceux de son nom ; en sorte, Mademoiselle, que si vous trouvez quelque endroit qui vous plaise dans la description que je vous fais, vous luy en devez avoir toute l’obligation.
Jusqu’icy, je ne vous ay parlé que confusement de tout cet admirable bijou ; [p. 21] mais pour vous en donner une idée plus distincte, il faut que je tache d’imiter le bel ordre que vous gardez dans tous les recits que vous faites. Ces cabinets, car je les nomme ainsi, tant à cause qu’ils tiennent peu de place que parce qu’ils sont joints à la chambre du Roy, qu’ils accompagnent ; ces cabinets, dis je, font entr’eux un petit appartement entier par les pieces qui le composent. Aussi le Roy appelle cela sa chambre particuliere, pour en faire la diference [p. 22] d'avec l’autre, qui est ouverte à toute sa cour.
Je vous ay fait entendre que nous y entrames par une porte qui est au bout de la terrasse où nous etions venus d'abord ; mais je vous y veux donner une autre entrée pour vous faire voir chaque chose en son rang, et c’est par la chambre du Roy. Admirez un peu le credit que je me donne icy. Le premier lieu qui se presente de ce coté là est une antichambre, dont les lambris sont tout de miroirs enrichis d'or : il y en a partout, comme je vous ay dit, et jusqu'aux plafonds.
Au milieu du plafond qui est sur l'estrade à l’entrée que je vous ay promise, est le portrait d’une beauté accomplie qui tient une pomme d'or ; et à la voute, qui est au delà de l’estrade et qui est enfoncée d’une maniere d’architecture fort riche, il y a au fond la figure de Junon qui tient un sceptre et qui a un paon auprès d'elle.
De ces tableaux incomparables
L’un, par sa pomme d'or et ses charmes connus,
Represente aux regards ce qu’ils aiment le plus,
Ce juste arrangement de choses agreables,
Ces yeux brillans et bien fendus
Cette bouche, ce nez, ces cheveux admirables,
Ces roses, ces lis répandus
Qui cachent de doux homicides ;
Tous ces pieges enfin subtilement tendus
Où l’on a veu tomber les dieux et les Alcides,
C’est la Beauté.
Et l’autre qu’on a peint sur le meme modelle,
Cette Junon pleine de majesté,
Est la supreme autorité,
Altiere et jalouse comme elle.
Cette dernière figure toute royalle est accompagnée de diverses emblemes qui sont rangées alentour, dans les pans de l’enfoncement de la voûte. Vous ne doutez pas, Mademoiselle, que ces emblemes ne soient [p. 25] peintes avec toute l'excellence de l'art ; mais vous ne savez pas ce qu’elles représentent, et je vais vous l'apprendre. Ce sont les inclinations du Roy. Cela devoit être touché d'une façon poetique qui fut aussi agreable que judicieuse et spirituelle. C’est ce que l'on a fait, et vous l'allez voir.
Comme les diferentes inclinations que l’on a pour les choses sont, à les bien entendre, autant de diferents amours qui y portent les hommes dès leur [p. 26] plus tendre jeunesse, on ne pouvoit pas mieux, ce me semble, figurer celles du roi, toutes sérieuses et toutes grandes qu’elles sont, que par de petits amours appliquez attentivement à ces memes choses. Aussi monsieur Le Brun, qui est un excellent poete en toutes ses peintures, n’y a pas manqué en celles cy. Il s'est tout à fait bien servi de ces petits symboles dans un dessein si vaste, et cela produit le plus agreable effet du monde.
Il a consideré diferemment [p. 27] les inclinations du Roy, les unes comme luy venant de la nature, et les autres comme luy étant données par la raison. Les premieres, telles que la chasse, la musique et la danse, n’ont pour objet que le seul plaisir ; et les autres, comme le commerce et la guerre, regardent le bien et la gloire de l’Etat. Pour representer ces différentes choses, monsieur Le Brun s’est servi partout de memes acteurs, mais qui font de diferentes actions et qui sont toutes [p. 28] proportionnées à leur age, ce qui rend la fiction tout à fait agreable.
Ainsi l’on y voit avec grand divertissement un de ces petits amours chasseurs qui s’est passé la tête dans un cor, qui l’embarrasse ; et un autre qui, aimant la musique, touche une viole de ses doits, et prete en meme temps l’oreille fort attentivement, comme si le son que l’on tire de cet instrument avec la main seule pouvoit estre bien harmonieux.
[p. 29] Surtout je pris plaisir à voir
La posture diverse
De ces jeunes enfants qui marquent le commerce,
Occupez de tout leur pouvoir,
Comme negociants d’un notable savoir,
A tenir leurs journaux, les lire,
Charger, rayer, chifrer, ecrire,
Conter argent, payer et recevoir.
D’autres, pour qui la gloire a de plus nobles charmes,
Dans un quadre opposé cherchent d'autres emplois :
L’un prend l'epée, un autre endosse le harnois ;
Et faisant tous l’essay de quelques pieces d'armes
Montrent qu’ils ont le cœur françois,
Qu’ils aiment les fameux explois
Et qu’ils craignent peu les alarmes.
Mais le peintre savant,
Voulant montrer que bien souvent
Tel se met en campagne et commence la guerre,
Qui ne peut à son gré la terminer après,
En a figuré tout exprès
Un d’entre eux que son casque serre,
Et qui de ses deux bras, trop foibles et trop courts,
Ne pouvant plus l’oter de sa tête enfantine.
Semble appeller à son secours
[p. 30] La troupe voisine
Des autres amours.
De là, à main gauche, est une chambre destinée au repos du Roy, où l’on voit dans l’enfoncement de la voute, qui est faite en coupe, trois petits amours qui sont peints d’une manière inimitable. Ils tiennent tous trois de toutes leurs mains un meme lustre avec un empressement merveilleux ; et quoiqu’ils paroissent fort empeschez à en soutenir le poids, qui est trop grand pour la petitesse de leur corps, la peinture [p. 31] est si artistement faite qu'on apperçoit neanmoins à leurs yeux et sur leur visage la joye qu’ils ont à eclairer le Roy avec ce lustre.
Il y en a quatre autres autour d’eux dans le fond de la coupe ; mais ils ne leur ressemblent pas. Je n’ay jamais rien veu de si opposé : ils ne respectent aucune puissance, et n’epargnent ni les heros ni les dieux memes.
Le premier, pour faire voir qu’il exerce son empire jusque dans les cieux, [p. 32] tient, ce me semble, un cygne et un aigle dont il contraignit autrefois Jupiter de prendre la figure.
Le second, voulant montrer que les enfers n’ont pas moins ressenti aussi son pouvoir, arbore, pour marque de la victoire remportée sur Pluton, le sceptre fourchu de ce dieu, qui, d'ailleurs, representant la richesse, donne par sa defaite un double triomphe à l’amour.
Le troisieme, qui n’est guere moins fier, se rit de la force guerrière, et se [p. 33] fait un trophée des armes de Mars.
Le dernier ne traite pas mieux la force héroïque : il se joue de la depouille d'Hercule ; et, non content de montrer la massue de ce domteur de monstres jettée à ses pieds avec une quenouille, le petit emporté prend encore la peau du lion : il se la met sur la teste et s’en coeffe plaisamment comme s’il en vouloit faire une mascarade.
Sur les cotez de la coupe, on voit les divertissements [p. 34] du Roy qui sont representez par ses maisons de plaisance ; et l'on y remarque entre autres Saint Germain, Versailles et Fontainebleau. Mais, parce que le Roy a bien montré qu’il fait aussi ses plaisirs des travaux de la guerre, on n’a pas oublié d'en peindre une petite image auprès de cette derniere maison, par la representation du camp qu’il y a fait faire autrefois.
Au plafond de l'alcove, qui est entourée de force jeunes amours peints sur [p. 35] les glaces du lambris, on voit le tableau d'une deesse qui n’etalle pas seulement tous les charmes de la beauté sur son visage, mais qui repand aussi de ses mains toutes sortes de pieces d’or et d’argent, et qui a encore derriere elle une corne d'abondance dont il sort quantité d'autres richesses.
Il n’est pas besoin, Mademoiselle, de vous dire que cette nymphe represente la magnificence ; vous devinez des enigmes qui sont bien plus dificiles ; [p. 36] mais que vous semble de la scituation que monsieur Le Brun luy a donnée ? Ne trouvez vous pas qu'il l’a placée bien judicieusement dans le voisinage de tous ces petits audacieux ?
N’en deplaise à tous les amours
Que tant de victoires couronnent,
Cette belle qu’ils environnent,
Prete aux amants de grands secours.
Il y a sur l'estrade un lit à la romaine, dont les rideaux, qui etoient retroussez, sont d'un tissu d'or et d'argent qui me parut un ouvrage aussi nouveau qu’il est riche. Le dossier [p. 37] du lit est un relief d’argent à jour, où l’on voit au coté droit un petit amour qui conte curieusement les dents d’un lion, et un autre de l’autre coté qui tient doucement un leopard au cou. Il y en a un troisieme au dessus d’eux qui est assis sur un aigle au milieu du dossier, d’où il menace tout le monde d’une fleche qu’il tient couchée sur son arc.
Comme les princes et les souverains n’ont point de plus seure garde que l’amour, je m’imagine que [p. 38] celuy là est en faction, et qu’il veille à l’entour du lit du Roy ; mais tandis qu’il est ainsi à l’erte, on en voit quantité d’autres aux glaces du lambris de l’alcove qui sont dans une posture paisible, et qui invitent au repos ceux qui les regardent.
Celuy cy, le doit sur la bouche,
Semble imposer silence à tous ;
Celuy là, fatigué de tirer trop de coups,
Ote son carquois et se couche.
Un, que le grand jour effarouche,
Eteint de son flambeau les feux cuisans et doux.
Un autre enfin, qui n’est ni peureux ni jaloux,
S’endort et fait bien voir qu'aucun soin ne le touche.
Ainsi tous ces amours promettent le repos ;
Et je n’en vis qu’un seul, dans un coin de l’estrade,
[p. 39] Qui se tenoit en embuscade,
Et decochoit un trait dispos.
Mais ce trait est un coup de ùaître,
Que l’illustre Le Brun fait là bien à propos :
Sa pensée est d’instruire, et de faire connetre
Que l’amour est un petit traitre ;
Qu’il s’en faut defier de loin comme de près,
Et qu’en quelque etat qu’on puisse etre,
Il est bien mal aisé d’echapper à ses traits.
Mais ce jeune avanturier n’est pas encore si dangereux ni si formidable que celuy dont je vais vous parler ; il y a bien à dire. Il n'est auprès de lui tout au plus que,
de la plebe degli Dei,
pour me servir des termes de l’Aminte du Tasse ; et l'autre, bien au contraire,
[p. 40] E tra grandi e celesti il piu potente.
En voicy la raison. C'est que le premier n’a qu’un but et qu’une visée, au lieu que cet autre tient au bout de sa fleche quiconque est si hardi que de le regarder. On a beau changer de place et se tourner de tous cotez, on est toujours à sa mercy, toujours à la pointe de son trait ; et y eut il cent personnes à le voir, il les mire tous ensemble et chacun en particulier. D’ailleurs, il n'épargne ni l’habit ni la profession ; et je vous nommeray [p. 41] des gens de notre compagnie qui me parurent tout embarrassez de voir qu’il donnoit sur eux aussi bien que sur les autres.
Pour voir ce mauvais garçon, il faut entrer dans un cabinet qui tient à la chambre que je viens de vous montrer, et qui est la dernière piece de l'appartement. Il est pris dans une petite tour voisine qui fait le coin des deux terrasses dont nous avons parlé : sa figure est octogone, et l’on y voit des miroirs dans tous les lambris, [p. 42] et des filigranes d'or et d'argent rangées sur la corniche qui regne tout autour, comme dans les deux autres pieces precedentes. Il y a encore dans ce cabinet deux grandes figures d’argent, qui sont si hautes et si bien faites, qu’on en demeure tout surpris en entrant.
L’une represente Apollon,
Lors que, dans l'aimable vallon
Où serpente le doux Penée,
Joignant la nymphe qui le fuit,
Il n’a de sa course obstinée
Rien que des feuilles pour tout fruit.
C’est de cette belle fugitive qu’est venu en ligne directe [p. 43] le jeune laurier qui est dans votre jardin, et dont vous m’avez promis une couronne quand il sera plus grand.
L’autre figure est aussi belle,
J’eus bien longtemps les yeux dessus ;
Mais de dire comme on l'appelle,
Excusez moi, de grace, il ne m’en souvient plus.
Le terrible assaillant que je vous ai tant vanté est au plafond de ce cabinet ; et comme ses coups sont inevitables, on ne voit aussi partout sur les glaces du lambris que des emblemes qui ne parlent que de ses prises et de ses conquestes.
[p. 44] Le cœur fidelle qui est representé par une colombe qu’un petit amour tient à la main ; l’humeur altière et la causeuse qui sont figurées par de jeunes amours qui tiennent l'un un paon et l'autre une pie ; enfin, je ne sais combien d’autres diferents symboles de diferents amours sont peints là de toutes parts, comme autant de prisonniers de guerre qui ont eté faits par ce victorieux.
Ne croyez pas, Mademoiselle, qu’il n’ait point d’autre fleche à tirer que [p. 45] celle qu’il presente ; on lui en appreste à tous momens de nouvelles : et c’est pour cela sans doute que l’on voit dans le meme lambris un autre petit amour à l’ecart, qui est occupé à eguiser et afiler des traits. Il est merveilleusement attentif à son travail, et, pour moy, je pense que c’est un officier des plus experts à qui le prince qui est au plafond a donné particulierement cette charge dans sa maison.
Il y a dans l'ouverture de la cheminée un grand vase [p. 46] d’argent qui fait cent petites fontaines jaillissantes à discrétion ; et cela sert, quand on veut, à rafraichir agreablement le lieu en eté. Au manteau de cette cheminée, on voit les quatre elements en quatre figures separées qui composent un quarré ; et dans le milieu est un amour triomphant, qui, avec toutes ces figures elementaires jointes ensemble, tient un portrait merveilleux dont il tire toute sa gloire et toute sa puissance.
[p. 47] Tout fier de tenir cette image,
Il insulte aux plus grands vainqueurs,
De ce qu’ils n'ont autre avantage
Que d’accroistre leur héritage
Par la force et par les rigueurs
Que Bellone met en usage ;
Au lieu qu’au seul aspect de ce charmant visage,
Il est maitre absolu des plus rebelles cœurs,
Qui viennent tous luy rendre un volontaire hommage.
Là, tel qu’il fut jadis quand de l'affreux Chaos,
Faché de voir le trouble enorme,
Il chassa de la masse informe
La haine et le desordre enclos ;
On le voit gouverner l’air, le feu, l'eau, la terre,
Et de ces ennemis adoucissant la guerre,
Donner à l’univers la paix et le repos.
Avouez, Mademoiselle, que vous etes eblouye de tant de belles choses, et que vous seriez bien aise de trouver maintenant [p. 48] quelque grotte où vous pussiez vous delasser, et prendre un peu de rafraîchissement. Je me doute que cela ne vous deplairoit pas. He bien, vous allez estre servie à point nommé ; il y en a une icy tout proche, où vous verrez, entr’autres choses, un jet d'eau de plus de dix pieds de hauteur, et la plus charmante cascade qu’il y ait au monde. Il ne faut que repasser dans l'antichambre, par où je vous ay fait entrer de la chambre du Roy.
Vous ne me croyez pas ; car quelle apparence qu’on puisse trouver une grotte, avec des jets d’eau et des cascades, sur un balcon ? Mais il falloit cela aussi pour achever l’enchantement. Venez donc, s’il vous plaist, et faites moi l'honneur de me suivre jusqu'à l'autre bout de ce petit palais.
Au delà de l'estrade de l'antichambre, à main droite, vis à vis des beaux lieux que je viens de vous faire voir, se trouve cette admirable grotte, où, du [p. 50] milieu du plancher qui est d’un marbre de toutes couleurs, il sort un gros jet d'eau qui va jusqu’au plafond attaquer un petit amour qui tient un foudre.
A voir cet amour au travers de l’eau qui le couvre, on diroit qu'il s’offense de l’insulte que luy fait son ennemie, et meme, dans le mouvement de l’eau, il semble qu’il se tremousse, comme s’il vouloit lacher la foudre qu’il tient toute preste sur elle. Mais cette eau se moque de sa colere et de ses menaces ; [p. 51] et, non contente de luy porter son bouillon jusques dans le nez, elle fait encore passer la figure de son jet au travers des glaces du plafond, et forme ainsi un second jet au dessus de ce petit foudroyant, qui, par cet agreable prestige, a l’affront encore de paroitre enfermé entre deux eaux jalissantes.
Au coté le plus apparant de la grotte, contre un mur tout revetu de marbre, et justement au milieu de ce mur, il y a le relief d’un Neptune qui est representé [p. 52] sur son char tiré par des chevaux marins. Cette figure, qui est d’argent, deploye de tous cotez quantité de petites nappes d'eau les plus agreables du monde, et fait ainsi la belle cascade que je vous ay promise.
Mais ce n'est pas la seule figure qui soit dans cette grotte ; j’y en vis quatre autres qui ne luy cedent nullement, ni pour la matiere, ni pour la forme. Ce sont des amours que je n’ozerois appeler petits comme les autres, parce [p. 53] qu’ils me parurent d’une taille assez grande. Ils portent chacun sur leur teste une corbeille chargée de fruits, qui font une infinité de jets d’eau ; mais le jet du milieu de la corbeille, comme le plus haut et le plus fort, domine sur tous les autres, qui se contentent de noyer ces fruits et de faire une douce pluye à l'entour de ces jeunes enfants.
Chacun d’eux est dans une grande coquille, assis cavalierement sur un dauphin qui jette aussi de l'eau ; [p. 54] et ces divers jalissemens se rassemblant dans cette coquille, qui est soutenue par de petits tritons dorez, toute l’eau se repand de là en meme temps dans des bassins de marbre blanc, et fait, en tombant, comme une menue grille d'argent qui emprisonne ces petits dieux marins.
Tous les autres ornements sont de même ; on n’a jamais veu encore un si beau coquillage ; et ce n’est pas seulement à cause qu’il est enrichy de quantité de branches de corail de toutes [p. 55] couleurs, mais aussi parce qu’il est arrangé avec tout l'art imaginable. L'ouvrier s’est aquité en cela tout à fait bien de son devoir.
Ce ne sont que festons, arcs, fruits, pampres, raisins,
Et la peinture encore animant ces rocailles,
Y figure partout à l'entour des murailles
Mille petits Amours marins,
Les uns assis sur des ecailles,
Et les autres sur des dauphins.
Mais ce n'est pas tout encore : cette grotte en produit plusieurs autres, et cela se fait par les miroirs qui sont aux lambris et aux plafonds des chambres, qui representent tous [p. 56] cette grotte à l’envi l’un de l'autre ; en sorte que lorsqu’on luy donne l'eau, on voit aussitot cent cascades pour une, et infinis jets qui se reproduisent de tous cotez. Chaque glace renvoye aux autres la figure des objets qu’elle reçoit ; et ce que l’une n’a pas directement, elle l’emprunte de quelqu’une de ses voisines. Ainsi, rien ne se perd dans ces miroirs, et l’œil y retrouve presque partout l’image de bien des choses qu’il a veues reellement en ces lieux, mais qui ne se [p. 57] peuvent plus voir de la place où l’on est. En voicy un exemple.
On ne saurait voir de l’estrade de l'antichambre le veritable Neptune qui est dans la grotte, parce qu’il est derriere un mur qui le cache. Cependant, on ne laisse pas d’en trouver la figure dans les miroirs de cette estrade, et cela vient d’une seule glace assez eloignée que ce Neptune regarde de coin, laquelle, après en avoir receu l'image, la distribue ensuite à toutes les autres glaces.
[p. 58] Il y a meme quantité d’arbres des jardins d’alentour qui se viennent mirer aussi dans ces chambres par les fenestres qui repondent sur le balcon ; ce qui fait autant de tableaux, de paisages qu’il y a de miroirs. Je vous donne à penser, Mademoiselle, si de tels tableaux sont naturels et si ces arbres sont bien representez.
Nous nous vimes sous leur ombrage,
Et vimes aussi des oiseaux,
Qui passoient dans la cour entre les deux Chateaux,
Peindre dans ces miroirs leur vol et leur plumage.
Voicy bien d’autres choses que j’ay à vous dire, [p. 59] et c'est où j’aurois grand besoin de votre secours pour les exprimer dignement. Agreez donc, s’il vous plaist, que je vous invoque en cet endroit comme la maitresse du Parnasse, et que je vous prie de me preter votre plume pour un moment. Encore une fois, j’en aurois grand besoin, et ce seroit afin de pouvoir vous dire avec toute la force et la delicatesse de notre langue que le Roy vint en ces beaux lieux comme nous etions si fort occupez à les admirer, et [p. 60] qu’il nous fit voir dans ce temps là celuy qui est le mieux fait de tout son royaume. Il etoit seul et ne fut jamais vetu plus simplement ; cependant, il effaçoit la pompe et la magnificence meme.
Alors, je vis en sa personne
Tout ce riche appareil de gloire et de splendeur
Qui peut accompagner une vaste couronne,
Et par le saint respect que la Majesté donne,
Fait la véritable grandeur.
Je vis dans ses regards, sur son front, en son geste,
Parmi les graces, les appas,
Tout ce qu'on peut voir icy bas
De fort, d’auguste et de celeste.
Je ne m’etonnay plus de ses divins explois,
De ses succès, de ses conquestes ;
Et je dis alors plusieurs fois :
Louis est un miracle, il est le Roy des Roys.
[p. 62] Il est né pour ranger l’Univers sous ses loix,
Et mettre sous son joug les plus superbes testes.
Avec luy l’allegresse entra dans tous ces lieux,
Et soudain les miroirs, avides
De faire le portrait de ce Victorieux,
Quitant tout autre objet, eures leurs glaces vuides,
Pour ne plus figurer qu’un Louis à nos yeux.
Je ne vis plus alors que ce Roy glorieux ;
Son image partout me parut eclatante,
Et ravi de la voir si belle et si frequente,
Moi qui brule pour luy d'un zele ambitieux,
Je crus voir du Ciel radieux
Descendre autour de moy la machine roulante,
Et me trouver parmi les Dieux.
Après que le Roy s’en fut allé et que j’eus un peu recueilly mes esprits, que sa presence avoit mis en desordre, je vins à faire reflexion sur son merveilleux naturel à propos du bel endroit [p. 62] où nous etions. Je ne pouvois assez le louer, de la force qu’il a dans ses affaires, et de la delicatesse qu’il montre dans ses divertissemens. J’admirois que, dans les grands desseins qu'il medite pour le salut et la gloire de son Etat, il put encore penser à toutes les belles choses, et les ordonner avec une connoissance si parfaite et si universelle.
En effet, il se partage en cent occupations diferentes, et il est tout entier à chacune. Il regle ses finances, il assure le repos à ses [p. 63] sujets, il assiste ses alliez, il reprime les infidelles, et, au milieu de tout cela, il ne laisse pas de cultiver les arts et les sciences. Faut il qu'il fasse la guerre, il en dresse le plan dans son cabinet ; il l’execute aussitot luy meme à la campagne, malgré les ardeurs de l’eté et les glaces de l'hiver ; et c’est, Mademoiselle, ce qui vous l’a
fait appeler si heureusement le Heros de toutes les saisons.
Est il sollicité par ses voisins de faire la paix, il arrete, à leurs prieres, le torrent [p. 64] de ses armes, que nulle force etrangère ne pouvoit ni retenir, ni soutenir. Il donne seul la paix à toute l’Europe ; et après avoir joint des provinces entieres à son royaume, non seulement il essaye de l’enrichir par l’etablissement du commerce et des manufactures, mais il travaille encore tous les jours à l'orner par les palais et les maisons qu'il y fait batir ou qu'il embellit.
Ces nobles divertissemens meritent des louanges aussi bien que les travaux [p. 65] les plus serieux. Il est beau de se jouer quelque fois de la sorte, et les rois n'ont que trop d'illustres exemples qui les y invitent.
Ainsi, la haute intelligence
Qui gouverne cet ynivers,
Apres tant d'ouvrages divers,
Tant d’astres, de fleuves, de mers
Qui montrent sa toute puissance,
Veut bien, pour recreer les yeux,
S’exercer encore en tous lieux
A cent autres petits ouvrages.
Tantot sur des moules nouveaux
Faits de ses mains doctes et sages,
Elle se plaist, le long des eaux,
A former divers coquillages.
Tantot elle descend jusqu’en nos Jardinages
Pour y peindre toutes les fleurs ;
Et dans les champs et les bocages,
Enseignant aux oiseaux de diferens ramages,
On la voit de mille couleurs
Distinguer encor leurs plumages.
[p. 66] Mais c’est assez de vers et de prose ; je prends un peu trop l’essor : il est temps de me reposer, et de finir cette lettre, qui vous assurera de mes respects et que je suis,
Mademoiselle,
Vostre tres humble et tres obeissant serviteur,
Le Laboureur
De Montmorency, ce 4 septembre 1669. »

Le Laboureur, Louis

Récit par Thomas Platter de sa visite aux châteaux de Saint-Germain-en-Laye

« [p. 212] Le 28 novembre, je quittai Paris avec plusieurs personnes et j'arrivai par le village de Roully au port de Nelly ; la Seine a deux bras en cet endroit, nous les avons traversés tous les deux. Nous sommes arrivés au bourg de Nanterre, et nous avons [p. 213] retrouvé le fleuve au village du Pecq, où nous avons traversé de nouveau les deux bras de la Seine. Enfin, en gravissant là une colline, nous sommes arrivés à la ville ou au bourg de Saint-Germain-en-Laye, et nous sommes descendus à l'hôtel de l'Image de Notre-Dame. La ville est située à quatre lieues de Paris.
Saint-Germain-en-Laye est une ville ou un bourg où il n'y a rien de remarquable à voir, à l'exception de ses deux magnifiques châteaux royaux, le vieux et le neuf, et c'est pour les voir que j'y suis allé ; ils sont tous deux à proximité de la Seine.
Le 29 novembre au matin, car nous étions arrivés la veille, fort tard dans la soirée, nous avons visité le vieux château, que le roi n'habite plus, mais qui n'en est pas moins un château royal.
Le toit est garni de grosses pierres de taille et est tout à fait plat ; les quatre façades sont en briques.
A l'intérieur, il y a un bel escalier tournant qui est très vaste, et on y voit de jolies salles. Autour du château se trouve un beau jardin, dans lequel sont des faisans, des pigeons indiens, des poules étrangères et toute espèce de volaille exotique. Il y a, près du château, un jeu de paume et un parc de deux lieues de long, qui s'étend jusqu'au château neuf.
Nous sommes allés ensuite visiter le château neuf, qui n'est pas fort éloigné du vieux. La partie postérieure de l'édifice est attenante à un vignoble, tandis que la partie antérieure touche au vieux château. Dans la grande salle, il y a beaucoup de beaux tableaux ; on y remarque notamment un petit cadre accroché au mur et peint des deux côtés ; quand on regarde du bas ce petit tableau, il représente une chasse, mais si on le regarde dans une glace, qui est adossée au plafond, on voit deux amoureux qui s'embrassent. C'est un tableau peint avec beaucoup de talent ; il en est de même du reste de tous les objets d'art qui se trouvent dans cette salle. Le château a deux étages ; le roi a, m'a-t-on dit, l'habitude de loger à l'étage inférieur, où les salles communiquent entre elles. Si on avait élevé plus haut la construction, on aurait eu à craindre le vent, le château se trouvant sur une haute montagne. Le toit, autant que je puis m'en souvenir, est recouvert avec des ardoises de peu d'épaisseur.
En sortant du château par la porte de derrière, j’ai vu une galerie magnifique, qui conduisait par deux larges escaliers de pierre au parc d'agrément, que l'on peut parcourir tant à cheval qu’en [p. 214] voiture. Tout au haut de l'escalier se trouve un balcon, qui donne accès au château, et d’où on a non seulement une belle vue sur le paysage environnant, mais d'où on embrasse également d'un coup d'œil les fontaines et les jets d'eau de la cour et du parc. Sous ce balcon et cet escalier se trouve un souterrain construit avec beaucoup d'art, au milieu duquel a été élevée une fontaine avec des coquillages et des coraux ; un griffon projette l'eau, et des rossignols, mus également par l'eau, chantent très agréablement. Sur le côté droit, on nous conduisit dans une grotte, où on a installé plusieurs jets d'eau avec beaucoup d'ingéniosité et comme je n'en avais jamais vu auparavant. Ces jets d'eau sont recouverts tant en haut que sur les côtés d'ambre fondu, que l'on a fait venir de la mer et des mines. On y voit toutes sortes de coquillages, des moules bizarres, des coraux, mêlés à de belles pierres. Lorsqu'on fait marcher les jets d'eau, l'eau sort du rocher et de toutes les statues, qui y ont été placées avec beaucoup de goût, en sorte que le spectacle est fort pittoresque et fort curieux. Le sol est pavé, autant que je m'en souviens, de petits cailloux de couleur ; il se compose d'une foule de petits tuyaux, qui élèvent l'eau jusqu'à la voûte, d'où elle retombe sur le sol sous forme de forte pluie, en sorte qu'on ne peut rester ni en haut ni en bas sans se mouiller.
Les murs ont beaucoup de cavités où l'on a placé de nombreuses figures en métal, en marbre, en coquillages et autres ; presque toutes lancent des jets d'eau. Il y a beaucoup de personnages qui se meuvent ; ainsi on voit des forgerons courir et frapper sur une enclume, des oiseaux chanter, tout en remuant la tête et les ailes, on voit aussi des lézards, des grenouilles, des serpents et autres animaux posés par-ci par-là sur les pierres et lancer de l'eau, en faisant des mouvements quelconques. Si je ne me trompe, il y a au milieu de la grotte un Neptune, dieu de la mer, avec son trident, qui sort de l'eau, debout sur un char. On le voit paraître à la surface, en sortir, tourner de nouveau sur lui-même pour disparaître encore.
[p. 215] Sur le côté gauche de l'escalier ou balcon, on construit encore une autre voûte ou grotte pour y placer un orgue. Dans un mur on a disposé des roses jaunes, en coquillages, qui se détachent sur un fond noir. En somme, il y a tant de belles choses à voir qu'il ne m'était plus possible de tout noter en si peu de temps. On m'a montré également une grande quantité d'ambre, de coquillages, de coraux et de plantes, que le grand duc de Florence a envoyés à Sa Majesté pour décorer encore d'autres grottes.
En sortant de ces grottes, nous vîmes dans la cour une fontaine superbe qui lançait l'eau avec une telle force qu'elle s'élevait en un seul jet à la hauteur de deux hommes. L'eau faisait tant de bruit en tombant que l'on croyait entendre un coup de mousquet. Plus haut, il y avait aussi deux fontaines qui n'étaient pas encore terminées. Le roi a fait venir spécialement pour ce travail un Italien qui a construit ces grottes et ces fontaines, et on peut dire qu'il a fait de fort belles choses. On voit notamment, dans la grotte où est l'orgue, une table de l'intérieur de laquelle sort l'eau sous forme d'une potence, et ainsi qu'une épée, elle retombe à [p. 216] l’endroit d’où elle était sortie. Cet architecte doit construire également, avec un goût extraordinaire, dans le jardin, une grotte sans eau.
Le jardin qui y attenait par derrière n'était autrefois qu'une prairie coupée par de belles allées et ornée de belles plantes. D'après ce que j'ai entendu dire, le vignoble, jusqu'à la rivière, doit être réuni au jardin. »

Platter, Thomas

Récit par Virginio Orsini de son passage à Saint-Germain-en-Laye

« Je suis passé ensuite à Saint-Germain et j’ai admiré surtout la beauté du site. J’[y] ai trouvé Francini, encore abbé de nom, mais je promets à Votre Altesse qu’il a fait et fera des choses galantes. On ne peut nier qu’il ne cherche à imiter Pratolino, mais il le fait avec tant de grâce qu’on peut lui pardonner. »

Orsini, Virginio

Commentaires d'Ambrosio de Salazar sur les châteaux de Saint-Germain-en-Laye

« [p. 89] San German en Laye es un lugar muy ameno, donde los Reyes toman sus plazeres muy amenudo, tanto para la caça como para qualquier otro exercicio de recreacion ; el Rey Carlos Quinto deste nombre Rey de Francia, establecio el Castillo, y Francisco primero lo hizo passar adelante : Y despues los demas Reyes lo han adornado y enrriquecido de muy lindos edificios, ay muy lindissimas fuentes, y esta cercado de aguas y bosques, ay una esclera artificial mucho mas de notar que la que avemos dicho de las Thieulerias o Jardines de Paris en la casa Real, ay una cosa muy de notar junto de San German en Laye, como une legua y es un bosque, casy todo [p. 90] de Robles que Llaman el bosque de la traycion, que si se toma un ramo o palo del dicho bosque le meten en le agua del Rio de la Sena, que passa por alli junto se va al hondo como si suesse una piedra, Algunos tienne por cierto que sue en este bosque, donde se urdio la traycion que Galalon hizo contra los doze Pares de Francia en tiempos de Carlo Magno, que es historia verdadera, y Dios no ha querido, que este bosque despues diesse fruto y assies la verdad, porque el arbol que cortan un avez, no buelue mas a dar otro, y pierde su fruto hasta la raiz, aunque el roble de su natural sea frutifero. »

Salazar, Ambrosio de

Récit par Johann Wilhelm Neumayr von Ramssla de sa visite à Saint-Germain-en-Laye

« [p. 143] Den 20 zogen J. Fürstl. Gn. nach S. Germain en Laye : seynd zwey königliche Häuser / ligen beyde auff einem Berge : Das alte ist ein groß Gebäwbe / meistlich von gebackenen Steinen auffgefützrek / die Form ist fast ovalis, Inmassen solches am Hoff inwendig zu sehen / welches dem Gebäwde ein selßam Ansehen gibt : Im Hoff seynd in dreyen Ecken Thürme / in solchen kan man zu oberst auffs Dach kommen. An stadt des Dachs ligen grosse steinerne Platten über einander / daß das Wasser abschiessen kan : So ist auch oben / so wol in als außwendig ein Parapetto, oder Lehne von steinern Seulen rings herumb / und demnach das ganße Gebäwde oben wie eine altana gemacht / daß man oben allenthalben sicher herumb gehen / und sich vmbsehm kan / wie man dann ein schön Theil Landes vor sich hat. Inwendig sihet man oben herumb viel Salamandra in Stein gehawen / darauß abzunemen / daß Ludovicus Xll diß Hauß gehawet.
[p. 144] Die Gemach / so viel J.F.G. gezeigetworden / seynd gar schlecht / wie auch der Saal. Nechst bey dem Thor / auff der rechten Hand ist die Capell : Die Fenster am Schloß seynd hoch / und in Schwibbogen gefast / welches dem Gebäwde ein schön Ansehen gibt : Hat ein tieffen Graben herumb Gegen Mitternacht ist ein Lustgarten mit schönen Quartiren vnnd Gängen : So ist auch nechst daran ein lustiger dicker Wald oder Thiergarten / etliche Meilwegs groß / hat rings herumb eine hohe Mawer. Auß vorbemeltem Garten seynd viel lustige alléen und Gänge in solchen Wald gemacht : Sol eine schöne Lust darinnen seyn : Darumb haben auch die Könige allzeit diesen Ort sehr geliebet und hoch gehalten der / jetzige junge König ist allhier erzogen worden.
Nicht weit davon stehet ein groß Ballhauß / sol der schönsten eines in Franckreich seyn.
Das ander königliche Hauß ligt ohn gefehr 200 Schritt von diesem / gar an der Ecke des Berges. Ob es wol nicht so weitleufftig / hoch und groß / als das ander / so ist es doch viel schöner / ordentlicher und künstlicher angelegt und gebawet. Das gantze Gebäwde ist nidrig / und nur Gemachs hoch auffgeführet : Die Gemach seynd ohn gefehr ein pahr Ellen von der Erden erhöhet : Man gehet allenthalben durchauß von einem ins andere / Ist auch das gantze Werck gleichsam in zwey Quartier außgetheilet / eins vor den König / und das ander vor die Königin / wie ein Theil an Zimmern und Galeria gebawet / so ist auch das ander. In des Königs Galeria stehen an den Wänden viel Städte auff grossen Taffeln abgemahlet / unter andern auch Venedig / Florenz / Prage / Nimegen / darunter diese Wort : Ville du fondement de l’Empire, [p. 145] Denn Carolus Magnus hat solche zu einen Reichssitz in denselben Landen gemacht / wie er auch mit Ach und Theonville daselbst gethan. Am Ende über der Thür hat der Mahler ein groß durchsichtig und prospectivisch Gebäwde gemahlet / welches von serne das Ansehen / als sehe man noch weiter die Galeria hinauß.
In der Königin Galeria stehen viel Fabuln auß Ovidio und andern Poeten, auch auff grossen Taffeln / fast in natürlicher grösse gemahlet.
Diese Galerien seynd oben rund / wie ein lang Gewölbe / Ist alles überauß schön von Golde und Farben angestrichen. So seynd auch in den Gemachen viel schöner kunstreicher Gemählde / Wände und Decke allenthalben schön gefasset / und auch mit Golde und Farben auffs künstlichste gemahlet : Camin von bundten Marbel auffs zierlichste gemachet.
Auß den Galerien und Gemachen sihet man hinab in den Fluß Seine, und ein gut Theil ins Land. Es ist aber hinter den beyden Galerien, und zwar so lang das gantze Gebäwde ist / ein Platz etwa zwölff Schritt breit / gepflastert : In der mitte daselbst stunde eine blaw Seule von Holtz mit viel güldenen Lilien daran / sol ein Brunn seyn war aber nicht ganghafft / und viel daran zerbrochen.
Weil es auch umb das Hauß also beschaffen / daß man auff beyden Seiten / da es an der lenge wendet / damit herauß an Berg gerücket / Als ist an der einen Seiten auff der Ecken eine Capell / dorinn der König Meß hört : Ist von schönen bundten Marbel / und oben hinauß rund mit einem Thürmlein / daran die Fenster / damit das Liecht daselbst hurein fallen kan. Sie ist zwar klein / aber recht schön und artig nach der architectur gemacht.
[p. 146] Von bemeltem Platz seynd zweene grosse gepflasterte Wege hinab auff einen andern Platz / so auch gepflastert : Daselbst ist eine Galeria auff hundert Schritt lang (denn so lang ist auch das gantze Hauß) die ist gleich unter vorgedachtem obersten Platz : An beyden Seiten seynd Grotten, oder schöne künstliche Gewölbe / mit Meerschnecken / Muscheln / Perlenmnutter / seltzamen Meer unnd andem Gewächsen / unnd Steinen außgesetzet. Mitten in der ersten Grotta stunde ein runder Lisch auß schwarßen Marbel / In der mitte war ein Röhrlin / auff dasselbe stackte der Italiäner / so auff die Wasserkunst bescheiden / unterschiedene Instrument, darauß sprang das Wasser auff allerley Art. Insonderheit hat er eins / das gab Wasser auff eine Form / als wann es ein schön Cristallen Kelchglaß were : Item ein anders / wie ein Umbrel, unnd also formirte er etliche Gefäß / und andere Ding vom Wasser. Auff der einen Seiten an der Wand saß eine Nympha, die schlug auff der Orgel / und regte das Häupt. Bey dem Fenster stunde ein Mercurius auff einem Fuß / und bließ eine Tromete. So saß auff der andern Seiten ein Guckguck auff einem grünen Baum / ließ sein Gesang so eigentlich hören / als wann er natürlich were.
In der andern Grotta kam ein Drach auß einer Klufft herfür / schlug mit seinen Flügeln / reget den Kopff / strackt solchen endlichen in die höhe / und speyete viel Wassers von sich. So waren auch viel Vogel umb ihn herumb / die fiengen an zu singen. Auff der andern Seite stunde ein grosser steinerner Trog von Muscheln / unnd allerley Meersteinen / auch gar künstlich gemacht : In solchem kam ein Neptunus auff seinem Wagen / so zwey Meerwunder zogen / auß einer [p. 147] Klufft herfür / regete sich alles / als hette es das Leben : Er wandte sich aber im Trog mit dem Wagen / und fuhr wieder in die Klufft hinein.
Von diesem Platz gehen abermaln zweene gepflasterte grosse Wege hinab noch auff einen andern Platz / so auch gepflastert / daselbst ist eben auch eine solche lange Galeria mit zweyen Grotten, welche gerade unter die ersten gebawet. In der ersten Grotta stunde an der einen Seiten ein grosser steinerner Trog / auch auff die Art gemacht / wie von den vorigen gemeldet worden / war voll Wasser / vnnd sahe man nichts darinn / bald that sich allmehlich ein grosser Drach auß dem Wasser herfür / breitete die Flügel auß / hub den Kopff in die höhe / gab ein selßam Gethön / unnd endlich auch Wasser von sich. Auff der andern Seiten stund ein Berg / daran waren Wind und andere Mühlen / die giengen umb / Item allerley Handwercksleute / die ftengen an zu arbeiten / und regete sich alles : In der Grotta am audern Ende dieser Galeria, war ein Orpheus mit seiner Lyra, unnd umb ihn eine grosse Anzahl wilder Thier und Vögel : Wann er musiciret, so sol sichs alles regen / war dumaln ungangbar / dann die Grotta sol ein Riß betommen haben / und sagte der Welsche / daß sie unter 40000 Cronen nicht könte wieder repariret werden.
Alle bißhero erzehlte Grotten seynd also gemacht / daß man einen trieffnaß dorinn machen kan / dann das Wasser felt nicht allein von oben herab / sondern springt auch auß der Erden / und von allen Seiten herfür.
Von diesem Platz gehet man noch ferner zweene gepflasterte [p. 148] Wege hinab auff einen grossen Platz / daselbst wird jetzt ein Lustgarten mit Quartieren von artigen Zügen mit Burbaum zugericht. Auß diesem Garten werden noch mehr Wege gemacht / daß man vollends gar hinab zum Fluß kommen kan : Ist also an diesem Ort ein recht königlicher Lust. König Kenricus IV hat es gebawet auch bey seinem Leben / weil es nicht weit von Pariß / sich gar offt daselbst auffgehalten. Es ist zwar alles gar ansehnlich und herzlich auffgeführet und zugericht : Ist aber anders nichts als ein grosser Steinhauffen. Dann da sihet man nichts als Steinwerck / und gar keine Bäwme oder Streucher. Wann der Berg auff die maß zugericht were / wie der zu Tivoli bey Rom am schönen Palatio daselbst / weil er selbigen bey nahe gleichet / würde die Lust bev weitem schöner und herrlicher seyn. »

Neumayr von Ramssla, Johann Wilhelm

Description par Claude de Varennes des châteaux de Saint-Germain-en-Laye

« [p. 191] Estant à Paris, il faut aller voir les lieux les plus remarquables qui en sont proches. Outre Fontainebleau, dont nous avons desja parlé, Saint Germain, qui n’en est qu’à 5 lieues, doit estre visité. Le premier bastiment est deub au Roy Charles V, dit le Sage. François I, qui se plaisoit fort à la chasse, remit ce chasteau, ou maison royalle, qui est tres belle et d’un fort bon air. Il y a un beau bois taillis, complanté de chesnes, et en un coing, qui regarde le bourg, se montre une table de pierre fort grande où fut traittee quelque trahison, qui faict que le bois en est appellé le bois de trahison. Le nouveau bastiment est fort magnifique et royal. On y void six galeries et 4 ou cinq grottes sousterraines. Un Oprhée avec sa lyre faict sortir toutes sortes de bestes sauvages qui s’arrestent à l’entour de luy, et les arbres flechissent et s’enclinent : le Roy suit avec le Dauphin et autres personnes. Secondement, une fille joue d’une instrument [p. 192] de musique par l’artifice et mouvement des eaues, et plusieurs oyseux artificiels chantent fort melodieusement. 3. Un Neptune fort armé de son trident, et assis sur un char au son d’une trompette sonnée par deux anges : le char est trainté par deux chevaux. 4. Persée delivre Andromede, et frappe un monstre marin de son espee. 5. Un dragon mouvant ses ailes leve sa teste, et l’abbaissant vomit et jette quantité d’eau, pendant que les rossignols artificiels chantent fort doucement. On y void aussi une grotte seiche, pour y prendre le frais pendant les chaleurs de l’esté. Les galeries et chambres sont ornées d’autres statues et peintures. »

Varennes, Claude (de)

Description par Giovanni Francesco Rucellai des châteaux de Saint-Germain-en-Laye et récit des moments suivant la mort de Louis XIII

« [p. 122] San Germano en l’Aye
Villa Regia con un bellissimo parco, e grandi stradoni, e lungo giuoco di maglio, et un serraglio pieno di tutte le sorte d’animali il castello che chiamano vecchio è assai comodo con un bel cortile di mattoni con loggie, et una bella cappella di li si passa al castel nuovo per un gran prato quale è fabbrica bassa assai, ma però comoda di habitatione con un cortile ovato, e di là dalla sala appuntellata nella prima camera grande fu posto il corpo del Re morto in un letto di velluto rosso trinato d’oro vestito di una camiciuola lina e quattro guardie attorno, e sacerdoti che salmeggiavano, e dirimpetto al letto erono posti tre altari dove la mattina si celebravono messe. Il posto di questo nuovo castello cominciato dalla Reg. Caterina e poi finito da Enrico 4. è bellissimo facendo una superba vista per venir da Parigi perchè dalle [p. 123] radici della collina che è assai bene alta sino al' estremitâ dove egli è posto sono scalinate, ringhiere, e grotte con nicchie di pietre, pilastri, e cornicioni diversi, che pare tutta una facciata seguita ; sotto le scale sono quantità di scherzi di acqua, e fra un piano, e l’altro bellissimi parterri, e spartimenti e da lontano come dissi apparisce una vastissima mole : si esce dalla porta S. Honorato, e si passa tre volte la Senna sopra tre gran ponti, et il primo si chiama il ponte a Nouilli, et è lontano dalla città cinque leghe.
[…]
[p. 188] Il Re morto esposto a S. Germano
Dicono nel havere sparato il Re haver ritrovato lo stomaco pieno di vermi, e fra l’altre uno grandissimo che l’attraversava tutto che per ciò sentiva in vita grandissimi dolori. Fu sempre in questa malattia, come si è detto, devotissimo e faceva ogni mattina dire la messa in camera sua, e si comunicava.
Il Lunedi 18 di Maggio sentendo che ancora a S. Germano stava esposto il corpo del Re per la moltitudine del popolo che andava a vederlo si risolse il sig. Amb. con le ssig. Camerate trasferirvisi, dove arrivato, e passato per il Castello vecchio, nel quale S. M. era stata lungo tempo malata, e dal quale un mese avanti la morte era uscito, e fattosi portare nel Castello nuovo. Un tiro di archibuso lontano dal vecchio, [p. 189] dove passata la sala del puntello nella quale erono alcune guardie si entrava in una gran camera parata di bellissimi arazi d' oro, e seta, dove era il corpo di S. M. posto in un gran letto di velluto rosso trinato d’oro, il quale stava a diacere tenendo sotto il capo due gran cuscini coperto con le lenzuola come se fussi stato malato ; ma però scoperto dalla cintura in su, e vestito d’una camicivola bianca, et un berrettino da notte in capo bianco con giglietti, e con un Crocifisso fra le mani, e per essere egli nella lunga malattia assai estenuato li havevano dipinto il viso che pareva sano con le basette aricciate, e la sua zazzera molto bene accomodata ; il letto era tutto aperto per lasciare libera la vista al popolo che numeroso da Parigi, e d’altrove concorreva e non volle il Re essere trattato come è di costume dei Re e persone grandi della Francia prohibendolo espressamente per suo testamento cioè di tenere il corpo del Re morto, o l’effigie sua al naturale, in un simile letto con gran pompa per spatio di 40 giorni continui, servendolo a tavola, e di tutti gli altri ministerij come si fussi vivo, come seguì pochi mesi sono al cadavero del Cardle di Richelieu. Volse dunque il Re esser trattato privatamente e nè meno esser vestito col manto Reale, nè con Corona, o scettro. A piedi del letto era una gran Croce d’oro ritta, con 12 candellieri similmente d’oro con candele accese, et a i quattro angoli del letto erono da capo due guardie scozese dette del corpo, con la loro sopra veste ricamata, coperta [p. 190] di velo nero, con le loro partigiane, e da piedi due Araldi d’arme con le loro sopra veste di velluto con gigli d’oro coperta del medesimo velo nero, si come una maza ancora d’argento che tengono in mano, erano a dirimpetto al letto tre Altari, dove continuamente la mattina si celebravano messe, et intorno al letto erano accomodate alcune panche per comodità di molti Padri di diverse Religioni che salmeggiavano assistendovi ancora alcuni Vescovi, e Prelati.
Allato a questa camera ne era un altra non troppo grande, dove mori S. M. Si riscontrorono nel ritorno per la strada molte compagnie di cavalli che andavano a S. Germano per accompagnare il cadavero del Re a S. Dionigi il giorno seguente, come segui accompagnato ancora da fanteria in sul farsi notte con solo trecento torcie e privatamente. »

Rucellai, Giovanni Francesco

Description par John Evelyn des châteaux de Saint-Germain-en-Laye

« [p. 52] Accompanied with some English gentlemen, we took horse to see St. Germain-en-Laye, a stately country-house of the King, some five leagues from Paris. […] [p. 54] The first building of this palace is of Charles V., called the Sage ; but Francis I. (that true virtuoso) made it complete ; speaking as to the style of magnificence then in fashion, which was with too great a mixture of the Gothic, as may be seen in what there is remaining of his in the old Castle, an irregular piece as built on the old foundation, and having a moat about it. It has yet some spacious and handsome rooms of state, and a chapel neatly painted. The new Castle is at some distance, divided from this by a court, of a lower, but more modem design, built by Henry IV. To this belong six terraces, built of brick and stone, descending in cascades towards the river, cut out of the natural hill, having under them goodly vaulted galleries ; of these, four have subterranean grots and rocks, where are represented several objects in the manner of scenes and other motions, by force of water, shown by the light of torches only ; amongst these, is Orpheus with his music, and the animals, which dance after his harp ; in the second, is the King and Dolphin ; in the third, is Neptune sounding his trumpet, his chariot drawn by sea-horses ; in the fourth, the story of Perseus and Andromeda ; mills ; hermitages ; men fishing ; birds chirping ; and many other devices. There is also a dry grot to refresh in ; all having a fine prospect towards the [p. 55] river, and the goodly country about it, especially the forest. At the bottom, is a parterre ; the upper terrace near half a mile in length, with double declivities, arched and balustered with stone, of vast and royal cost.
In the pavilion of the new Castle are many fair rooms, well painted, and leading into a very noble garden and park, where is a pall-mall, in the midst of which, on one of the sides, is a chapel, with stone cupola, though small, yet of a handsome order of architecture. Out of the park you go into the forest, which being very large, is stored with deer, wild boars, wolves, and other wild game. The Tennis Court, and Cavallerizzo, for the menaged horses, axe also observable. »

Evelyn, John

Description par Johannes Pakenius des châteaux de Saint-Germain-en-Laye

« Necdum abibamus Urbe ; et tamen abibamus qot hebdomadis in viciniam, Regiis Ducalibusq ; aedificiis circum septam. Nunc ad S. Germanum oppidum ab arce Regoa, salubri aere et amoeno in monte situ juxta Sequanam nobile. Fundator arcis Carolus V. Franciscus I restaurator : Henricus IV augmentator. Fabrica ex latere cocto passim F.F.F.F. signata : conclavia sexaginta tria. Porticus symbolo Henrici IV conscripta, duo protegit unus, unus scilicet Henricus duo Regna Gall. et Nav. Regium ad portam sacellum : area ovalis : hanc prope duorum milliarum vivarium. »

Pakenius, Johannes

Description par Hébert des châteaux de Saint-Germain-en-Laye

« [p. 59] Germain en Laye (Château royal de), à quatre lieues de Paris, et à deux par-delà Versailles, sur une montagne bordée par la rivière de Seine, [p. 60] se divise en Château vieux, et en Château neuf.
Architecture.
Les Anglois ayant démoli le Château vieux bâti en forteresse par Louis VI, dans le douzième siècle, il a été rétabli dans le quatorzième par Charles V, et augmenté par François I, qui y a aussi fait faire une terrasse d'où l'on découvre un très vaste pays. Louis XIII y fit faire des embellissemens, et Louis XIV des augmentations fur les desseins de J. H. Mansart. La grande salle qui sert aux divertissemens, est une des plus grandes du Royaume. Henri IV commença à faire bâtir le Château neuf sur les desseins de Marchand, que Louis XIV fit continuer, en faisant faire une grande partie de la façade qui règne le long de la rivière, par J. H. Mansart, ainsi que les deux terrasses, et surtout la troisième qui, soutenue par une galerie percée d'arcades, forme par leur belle distribution le plus riche amphithéâtre qui soit au monde, tant par la situation du terrein, que par tout ce que l'art a pu tirer d'avantages du voisinage de la
Seine. André le Nôtre a aussi montré son habileté par la belle terrasse de 1200 toises de long sur 15 de large, terminée [p. 61] par le parc aux lièvres. Les deux jardins fur les côtés de ce Château, nommés, l'un, le Jardin de Madame la Dauphine, et l'autre le Boulingrin, ont chacun une terrasse, dont les vues en rendent la promenade très agréable. Le petit Parc percé de routes, et la Forêt de S. Germain, qui a vingt-cinq portes, contiennent ensemble plus de six mille arpens.
Peinture et sculpture.
La Cène, chef-d’œuvre du Poussin, sur l’autel de la Chapelle : au dessus, une sainte Trinité, par Simon Vouet, accompagnée de deux Anges de stuc, grands comme nature, tenant les Armes de France, par Sarazin. Dans la Sacristie, une Mère de pitié, et une Vierge et l'enfant Jésus.
Le plat-fond de la chambre à coucher du Roi est décoré de quatre tableaux allégoriques, peints par Simon Vouet, représentans le premier, la Victoire assise sur un faisceau d'armes ; le deuxième, une autre tenant une palme ; le troisième, la Renommée tenant une couronne de laurier ; et le quatrième, Venus essayant un dard. »

Hébert, ?

Récit par Charles-Louis Cadet de Gassicourt de son passage à Saint-Germain-en-Laye

« Notre intention n’étoit pas de nous arrêter à Saint-Germain ; mais en voyage, mon amie, fait-on ce qu’on voudroit faire ? Mon cheval étoit déferré, il falloit bien réparer sa chaussure. Je n’en fus point fâché, j’aime beaucoup Saint-Germain. Sa vue, sa forêt, sa terrasse, le parc de Noailles, excitent toujours mon admiration, et me rappellent avec plaisir le mot de Bassompière. Marie de Médicis chérissoit ce séjour. « Quand j’y suis, disoit-elle un jour, j’ai un pied à Saint-Germain et l’autre à Paris. – En ce cas, Madame, ajoute le galant maréchal, il me seroit doux d’être à Nanterre ». »

Cadet de Gassicourt, Charles-Louis

Description par Harry Peckham du château de Saint-Germain-en-Laye

« [p. 217] It is not above two miles from thence to the palace of St. Germains, which is situated on a moutain twelve miles distant from Paris. Had Louis XIV, expended half the treasure in erecting a palace there, which he did at Versailles, it must have been superior to any thing in Europe : there is a lofty moutain at S. Germains, washed by the river Seine, looking over a delightful country to Paris : Mount Calvary, St. Denis, and a vast reach of the river are comprehended in one view ; a forest of six thousand acres ajoins to the palace, and a grand terrace of three thousand paces, which overlooks the [p. 218] whole county. This is the situation of St. Germains, which Louis XIV had not sense enough to admire, but preferred Versailles which was so boggy that he was obliged to make a hill to build on, which has no prospect ot two miles extent, and which has all the inconveniences of a low and damp situation ; at the same time that the water is obliged to be brought from six miles distance.
Having seen the prospect, you have seen every thing at St. Germains, except a picture, by Poussin, and. St. Louis giving alms, by Le Brun, which are in the chapel. In the sacristy are two most admirables piece, the one of the Virgin Mary feeding the infant Jesus ; St. John lying on his gands and knees blowing with his mouth the fire of the chasing dish, on wich stands the pap pan ; this is by Michael Angelo ; the other is by Caracci, of the Virgin holding a dead Christ in her armes, with her head bending over his face in a most moving and expressive attitude.
The palace is an olde brick quadrangle, very narrow, flanked with four large towers, and [p. 219] surrounded with a dry ditch ; it was built by Francis I. and is now inhabited by different families, chiefly Englich, descended from those who by more than human weakness abandoned their fortunes and their country with their ideot king, who had neither policy to keep, nor courage to defend that crown which by inheritance descended to him. »

Peckham, Harry

Récit par John Gustavus Lemaistre de son passage à Saint-Germain-en-Laye

« In returning to Paris, we took the road of St. Germain. The old castle still remains ; but its outward appearance was so gloomy, that we felt no inclination to visit the interiour. If the french monarch intended to pay a compliment to the pretender, in giving him a palace as nearly as possible resembling St. Jame’s, his choice was admirable. The view from the terrace is pretty, but by no means either as extensive, nor as rich, as I expected from its celebrity. »

Lemaistre, John Gustavus

Récit par William Shepherd de sa visite à Saint-Germain-en-Laye

« [p. 167] At the extremity of the forest, we found the town of St. Germaine, where we took breakfast, and then repaired to the terrace of the palace, which commands a charming view of the adjacent country. On the left and in the centre of the prospect we saw St. Denis and Paris ; and on the right Malmaison, St. Cloud, and the district of Versailles. On the ever memorable 30th of March, this spot was crowded with people, who distinctly saw, with various and undescribable emotions, the battle which preceded the surrender of Paris. We found the palace, which is a gloomy and inelegant brick building, surrounded by stone walls and a deep ditch, over which, opposite [p. 168] the gate, was thrown a draw-bridge. The whole edifice had the air of a state prison ; and, on enquiry, we found, that it might well class with buildings of that description. It was Napoleon’s principal military school ; and his method of supplying it with pupils, affords an instance of that tyranny in detail, which was, no doubt, one of the primary causes of his ruin. Whenever he was apprised, by his agents that any individual of rank and wealth had a son who was strong, active, and spirited, and the youth had attained the age of sixteen or seventeen, the Emperor addressed a letter to the parent, congratulating him on the early promise of his child, and gracioulsy offering, if he destined him for the army, to admit him into his school at St. Gemaine ; and promising, on his good behaviour, to cause him to make his way rapidly in the service. This letter was well understood to be a command. The young man was accordingly severed from his domestic connections. He was shut up in the palace, where, for the space of three [p. 169] years, he was precluded from personal communication with his friends ; and employed, from five in the morning till ten at night, in studying, scientifically and practically, the military art. At the expiration of that time he was liberated from confinement, and sent, with a commission in his pocket, to join the regiment to which it was thought expedient to attach him. When we consider the waste of life which was occasioned by Bonaparte’s campaigns, we may easily conceive that the pupils of his military academies were regarded ad for ever lost to their relatives and friends. Four hundred youths were at this time immured in the palace, and were to be restored to their parents on the breaking up of the establisment, which we undestood was to take place in two days from the period of our visit. What a subject must this gaol-delivery afford to the pen of a sentimental traveller, should any such character witness the transaction ! Our guide, from whom we obtained this information, was a retired soldier who had an allowance [p. 170] as an invalid, of eight sous a day. He acknowledged that most of the military were friendly to Bonaparte, but still was of opinion, that the sentiments of the nation at large would preclude his re-establishment on the throne. »

Shepherd, William

Récit par Joseph Delort de sa visite à Saint-Germain-en-Laye

« [p. 57] Nous entrons dans Saint-Germain-en-Laye, à quatre lieues de Paris, ville située sur une montagne, au pied de laquelle coule la Seine, et peuplée d'environ 9,000 habitans. Elle doit son nom à 1’évêque Saint-Germain, [p. 58] qui vivait dans le 5e siècle, et l'épithète en Laye lui vient de la forêt silva Ledia ou Lea, dont il est fait mention dans un ancien cartulaire de l'abbaye Saint-Germain-des-Prés.
En remontant à l'origine de cette ville, qui sera toujours célèbre, tant par le séjour qu'y ont fait nos princes que par son magnifique château, on voit que, sous le roi Robert, on y érigea une chapelle dédiée à Saint Germain, puis un petit monastère, près duquel se forma un village qu'on appela tout simplement Saint-Germain.
Sous le règne de Louis-le-Jeune, on y bâtit une maison de plaisance ; et dès-lors nos rois continuèrent à s’y plaire et par suite à l’habiter.
Christine de Pisan, qui fut élevée à la cour de Charles V, nous apprend que ce monarque, à juste titre surnommé le Sage, fit moult notablement réédifier le chatel de Saint-Germain en 1370. Il fut pris par les Anglais sous Charles VI. Charles VII le reprit des mains d'un capitaine anglais, et Louis XI son fils, qui n'aimait point la campagne, mais qui n'épargnait rien pour la conservation de ses jours, en fit présent à Jacques Coitier, son premier médecin, qui [p. 59] en fut dépouillé à la mort du prince. Néanmoins Charles VIII et Louis XII le négligèrent beaucoup. Ce ne fut qu’à l'époque où François Ier, qui avait beaucoup de goût pour lâchasse, et s'était pris d'affection pour Saint-Germain, que le château fut augmenté d'un étage, ce que l'on reconnaît facilement à la couleur grise du moellon, décoré par des dessins en brique. Louis XIII y fit faire encore de grands embellissemens, et durant le règne de son fils, les cinq pavillons qui flanquent les encoignures, furent élevés par J. H. Mansart ; du reste, les lettres initiales sur les diverses constructions, rappellent les règnes sous lesquels elles ont été faites.
Ce que l'on appelle le château neuf, sur le faîte de la montagne plus près de la Seine, fut commencé sous Henri IV et Marie de Médicis, qui n'épargnèrent rien pour la perfection des ouvrages. Il fut embelli par Louis XIII qui y fut élevé ; et Louis XIV, qui y naquit le 5 septembre i638, en fit sa principale habitation jusqu'à la construction de Versailles. Mais, de tout cet édifice, au bas duquel est le village du Pec, il n'existe [p. 60] plus aujourd'hui que la tour où est né Louis-le-Grand, et qui tombe en ruines.
Marie de Médicis aimait tellement ce séjour, un des plus agréables qui soit en France et où l'on a remarqué qu'on vivait longtemps, qu'elle disait au maréchal de Bassompierre : « Je me plais ici, quand j'y suis ; j'ai un pied à Saint-Germain, l'autre à Paris. » – « En ce cas, madame, lui répondit le maréchal, je voudrais être toujours à Nanterre. »
On ne peut douter non plus que Henri lV ne l’aimât aussi, puisque, pour donner aux habitans une marque de l'intérêt qu'il leur portait, il les affranchit de tout impôt, le 10 juillet 1598, privilège dont ils jouirent jusqu'en 1789.
La lettre suivante, inédite, qui se rattache à mon sujet, écrite à la duchesse de Verneuil, prouvera qu'il y venait souvent :
« Mon cher coeur yls ont bien fayt le diable [p. 61] vers ma fame, je vous voyrré demayn au matyn et vous conterré tout, je veus fayre des myenes, cest pourquoy je ne desyre pas, qu’an ce tamps là vous soyes ycy, afyn que l’on ne vous acuse de ryen. Je manvoys demayn a St Germayn. Prepares vous à partyr demayn, car mardy je joueré mes jeus et vous voyrres si je suys le mettre. Je te donne le bon soyr mes cheres amours et un mylyon de besers.
H.»
En 1689, le roi Jacques II, ayant perdu sa couronne, se retira à Saint-Germain, où il fut accueilli avec la générosité qui caractérise les princes français. Il y mourut le 16 septembre 1702, et la reine son épouse, de la maison d'Est, y termina aussi sa carrière le 7 mai 1718.
Comme on vient de publier les Mémoires de ce roi, et que je n'y ai point trouvé les quatre lettres autographes intéressantes qui me sont tombées entre les mains, je crois
devoir les présenter ici […].
[p. 67] Fier d'avoir visité l'asile
Des plus illustres de nos Rois,
J'en sors, et, traversant la ville,
Bientôt j'arrive dans le bois.
D'abord, je trouve un militaire,
Que décorait la croix d'honneur,
Entretenant une bergère,
De ses combats, de sa valeur.
Car son âge me porte à croire
Que de l'amour la vive ardeur
Existe plus dans sa mémoire
Qu'elle ne règne dans son cœur.
Mais, l'amitié par sa douceur
Remplaçant la saison de plaire,
Peut-être du départ du frère
Il se console avec la sœur.
[p. 68] Plus loin, vers des routes secrètes,
Je rencontre sur mon chemin
Un homme lisant des tablettes :
J'approche, il se tourne, et soudain
Je reconnais un des poètes
Qui jadis chanta tour-à-tour
Et nos exploits, et nos conquêtes,
Et les conquêtes de l'amour.
– Quel but, ô favori des Muses,
Vous a conduit en ce vallon ?
Ces lieux sont-ils votre Hélicon?
– Tu me railles ou tu t'abuses.
Admirateur de Cicéron
Je fais comme fit ce grand homme :
Toujours il revoyait aux champs
Ses écrits composés à Rome ;
Et moi, je viens, tous les printemps,
À Saint-Germain, dans ces retraites,
Au sein des bocages fleuris,
Lire les pièces que j'ai faites
Dans le tourbillon de Paris.
[p. 69] Respectant les occupations de cet homme, je le saluai, et je continuai ma route avec mon ami.
Les belles masses de verdure de la forêt, l’une des plus belles du royaume puisqu’elle a cinq mille sept cent quatorze arpens, me rappellent que les rois de la première et seconde races s'appliquèrent peu au gouvernement des forêts, précisément peut-être parce que la France en était alors remplie. Ce ne fut que sous Philippe-Auguste que l’on commença à en tirer parti. Philippe III, Charles V et Charles VI rendirent sans doute des ordonnances pour leur conservation, mais ce fut François Ier, qui surtout les regarda comme un précieux trésor pour l’État ; aussi consacra-t-il tous ses moyens à leur entretien.
[p. 70] En causant ainsi, nous arrivons au bout de la grande route où se trouve le joli château des Loges, enclavé dans la forêt, et qui doit son nom au mot latin du moyen âge Logiae, qui signifie habitation au milieu des bois.
Le petit pavillon qu'on voit fut construit par ordre d'Anne d'Autriche, qui s’y rendait toutes les fois qu'elle allait à Saint-Germain.
Ce lieu, aussi célèbre par la foire qui s’y tient, que par les divers établissemens auxquels il servit a résisté aux destructions opérées par le vandalisme. En 1624, des ermites s'y établirent. Plus tard, c'est-à-dire en 1685, Louis XIII y plaça des Religieux, Augustins ; et c'est ainsi qu'après avoir servi à d'autres établissemens de ce genre, une succursale de la maison royale d'Ecouen y fut établie dans la révolution. Enfin une ordonnance de mai 1816, en a subordonné l'organisation à la maison royale de Saint-Denis. »

Delort, Joseph

Récit par James Fenimore Cooper de sa visite à Saint-Germain-en-Laye

« [p. 77] The next stage brought us to St. Germain-en-Laye, or to the verge of the circle of low mountains that surround the plains of Paris. Here we got within the influence of royal magnificence and the capital. The Bourbons, down to the period of the revolution, were indeed kings, and they have left physical and moral impressions of their dynasty of seven hundred years, that will require as long a period to eradicate. Nearly every foot of the entire semi-circle of hills to the west of Paris is historical, and garnished by palaces, pavilions, forests, parks, aqueducts, gardens, or chases A carriage terrace, of a mile in length, and on a most magnificent scale in other respects, overlooks the river, at an elevation of several hundred feet above its bed. The palace itself, a quaint old edifice of the time of Francis I, who seems to have had an architecture not unlike that of Elizabeth of England, has long been abandoned as a royal abode. I believe its last royal occupant was the dethroned James II. It is said to have been deserted by its owners, because it commands a distant view of that silent monitor, the sombre beautiful spire of St. Denis, whose walls shadow the vaults of the Bourbons; they who sat on a throne not choosing to be thus constantly reminded of the time when they must descend to the common fate and crumbling equality of the grave.
An aqueduct, worthy of the Romans, gave an imposing idea of the scale on which these royal works were conducted. It appeared, at the distance of a league or two, a vast succession of arches, displaying a broader range of masonry than I had [p. 78] ever before seen. So many years had passed since I was last in Europe, that I gazed in wonder at its vastness.
From St. Germain we plunged into the valley, and took our way towards Paris, by a broad paved avenue, that was bordered with trees. »

Cooper, James Fenimore

Récit par Karl Gottlob Ferdinand von Polenz de sa visite à Saint-Germain-en-Laye

« [p. 337] Von geschichtlichen Eindrücken überfüllt, fuhr ich, mit unserm Landsmanne, dem Montmartre und den Maifons blanches (wo Blücher während der Schlacht von Paris gehalten haben soll) vorüber, durch das Dorf und die Barrière Clichy in die Straße gleiches Namens, von wo wir auf der Eisenbahn uns nach St. Germain-en-Laye begaben ; eine 5 Stunden von Paris an der Seine anmuthig gelegene Stadt, in der die reich gewordenen Pariser Gewürzkrämer (épiciers) in schönen Landhäusern, von den Sorgen ihrer Geschäfte wohl eine andere Ruhe suchen, als die, welche der Herr auch ihnen verheißen hat. Die Aussicht von der dasigen Terrasse ist weit reizender, als ich eine solche in der Nähe von Paris erwartet hatte, und die in wiederholten Krümmungen zwischen Weinhügeln, üppigen Wiesen und lachenden Gärten sich hindurchwindende Seine hat das Bild veranlaßt, daß fie, von der Hauptstadt zauberisch angezogen, immer wieder zu ihr sich wenden müsse.
Auch St Germain, in dessen von Franz I. gebautem Schlosse sich jetzt eine Militärstrafanstalt befindet, ist reich an geschichtlichen Erinnerungen. Ludwig XIV. wurde hier in einem Hause an der Terrasse geboren, an dem man eine Wiege angebracht sieht. Er wählte, da ihm das Andenken an die Unruhen der Fronde Paris unbehaglich machte, das dasige Schloß zu seiner Residenz, bis ihn der stete Anblick des Kirchthurmes von St. Denys an den Tod erinnerte und in seinem [p. 338] Lebensgenusse unangenehm störte. Da vertauschte er diesen lieblichen Aufenthalt mit der Einöde von Verfailles, die er erst mit ungeheurem Aufwande von Kosten zu seiner Residenz umschaffen mußte. Er suchte in der Ueberwindung der Natur seine Größe und den fehlenden Fluß durch die bekannten kostbaren Wasserleitungen zu ersetzen. »

Polenz, Karl Gottlob Ferdinand (von)

Récit par Samuel James Capper de son passage à Saint-Germain-en-Laye

« [p. 285] I came on to this old-fashioned little town, where for such long years our exiled Stuarts held their Court. I did this because lodging at Versailles was out of the question. Not only the last bed, but I am disposed to think the last arm-chair, has long been appropriated. Everywhere the troops are encamped, and all day yesterday poured in the long stream of fugitives from Paris. […] [p. 286] St. Germain was almost as crowded as Versailles, and I esteemed myself very fortunate to secure a garret.
The terrace of St. Germain presented a strange and anomalous appearance. Eager faces were watching the white smoke from Valérien, and gazing over the magnificent panorama to the dark spot in the distance, which they knew was the site of the Arc de Triomphe, just over which I distinguished the peculiar ring of white smoke which is caused by the bursting of a shell in the air. At the same time, nurses were promenading with their little charges along the terrace, and ladies and gentlemen were strolling up and down, enjoying the glorious panorama and the delicious afternoon, as though men at a very few miles’ distance were not engaged in the mortal strife, and those little puffs of smoke were not the too sensible signs of the agony of civil war into which their country had been plunged. »

Capper, Samuel James

Mentions de Saint-Germain-en-Laye dans l’Histoire de Charles VI de Jean Juvenal des Ursins

« [p. 103] [1390] Au dict an, le Roy s’en alla esbatre a Sainct Germain en Laye, et la Royne aussy, et plusieurs des seigneurs, dames et damoiselles, et devisoient ensemble, et s’esbatoient es bois de Poissi. Et une fois survint un terrible tonnerre, si se retrahirent au chasteau. Et disoient aucuns que oncques n’avoient veu si horrible ne terrible tonnerre, et entre Sainct Germain et Poissy y eut quatre hommes morts et foudroyez. Et apres ce toute la nuict feit le plus merveilleux vent que oncques on eust veu, et arracha arbres es forests et jardins, et abbatit cheminées et hauts des maisons, et aucuns clochers, et feit [p. 104] des dommages innumerables. Et disoit on, et aussi estoit il vray, que le Conseil estoit assemblé pour faire une grosse taille sur le peuple, et quand on veid les dictes tempestes, le Conseil se separa, et feut rompu. Et a la requeste de la Royne, feut expressement defendu qu’on n’en levast aucunement.
[…]
[p. 111] [1392] Et manda le Roy a ses oncles de Berry et de Bourgongne la deliberation qu’il avoit faict d’aller en Bretaigne, en les requerant qu’ils veinssent vers luy le mieux accompaignez qu’ils pourroient. Lesquels feurent bien esbahis quand ils sceurent l’entreprise, et comme ceux qui estoient au conseil du Roy avoient osé estre si hardis d’avoir faict la dicte conclusion sans les appeller, eux qui estoient oncles du Roy, veu que l’entreprise estoit grande, et a l’executer pouvoit avoir des difficultez et dangers beaucoup. Et de ce feurent tres mal contents de ceux qui estoient autour du Roy et qu’on disoit le gouverner, c’est a scavoir Clisson, La Riviere et Noujant, et si estoient plusieurs autres. Car ils tenoient le Roy de si pres que nul office n’estoit donné sinon par eulx, ou de leur consentement. Et sembloit par leurs manieres qu’ils cuidoient estre perpetuels en leurs offices, et qu’on ne leur pouvoit nuire. Et haultement, et en grande auctorité, se gouvernoient. Et si estoient les gens d’Eglise et de l’Université tres mal contents d’eux. Car ils grevoient eulx, et les jurisdictions ecclesiastiques, et leurs privileges. Et voloient de si haute aisle qu’a peine on en osoit parler. Et afin qu’on n’eust pas leger acces devers le Roy, le feirent partir de Paris, et aller a Sainct Germain en Laye. Ce nonobstant l’Université delibera d’envoyer une notable ambassade devers le Roy au dict lieu de Sainct Germain. Et y furent deputez le recteur [p. 112] mesme, et plusieurs nobles clercs de toutes les quatre facultez. Et quand ils feurent a Sainct Germain, feirent scavoir a monseigneur le chancellier et au Conseil qu’ils avoient a parler au Roy et qu’il leur pleust de leur faire avoir audience, et par plusieurs fois interpellerent et feirent dilligence de l’avoir. Et apres plusieurs responses et choses dictes par le chancellier, il leur dit que le Roy estoit occupé en tres grandes et haultes besongnes, et que de present n’auroient audience, et qu’ils ne se souciassent de leurs privileges et qu’on les garderoit tres bien, et qu’ils s’en allassent. Et pour ce s’en retournerent a Paris sans estre ouys. Ce qu’on tenoit a chose bien estrange.
[…]
[p. 125] [1393] Le Roy alla en pelerinage a Sainct Denys en France, et aussi au mont Saint Michel. Et avoit de belles et grandes devotions en Dieu, et s’en retourna esbatre a Sainct Germain en Laye. Et luy faisoit on toutes les plaisances qu’on pouvoit. […]
[p. 126] Le Roy estant a Sainct Germain en Laye et son Conseil, l’Université de Paris envoya une notable ambassade par devers luy, le prier et requerir qu’on voulust entendre a l’union de l’Eglise. Et leur octroya leur requeste, et voulut qu’on advisast toutes les manieres par lesquelles l’union se pourroit faire, et il estoit prest d’y entendre. De laquelle chose les ambassadeurs au nom de l’Université rendirent graces et mercis au Roy et aux seigneurs qui estoient avec luy, et en firent leur rapport à l’Université.
[…]
[p. 214] [1405] Il y eut un merveilleux tonnerre et une grande tempeste en l’hostel de monseigneur le Daulphin. Mais un autre au dict an vint à Sainct Germain en Laye, bien grand et horrible, auquel estoient la Royne et le duc d’Orleans, qui avoient esté veoir madame Marie de France à Poissi, et faisoit a une vespree depuis disner beau temps, et net. Par quoy delibererent d’aller chasser au bois, et se meit la Royne en un chariot, et ses damoiselles avec elle, et le duc d’Orleans, et autres femmes, a cheval. Et soubdainement survint une merveilleuse tempeste de vents, grosse gresle et pluie, et tellement que le dict duc d’Orleans feut contrainct de se bouter dedans le dict chariot ou la Royne estoit. A cause de quoy les chevaux du dict chariot, qui estoient forts et puissans, feurent tellement espouventez qu’ils commencerent a courir [p. 215] tant qu’ils peurent jusques a ce qu’ils se trouverent en la vallee, vers le pont du Pec, et s’en alloient tout droict en la riviere. Et disoit on qu’ils se feussent fourrez et bouttez dedans l’eaue, et que tous ceux qui estoient dedans eussent esté noyez, si ce n’eust esté un homme qui s’advisa de coupper les traiz des chevaux. Et de ce feurent grandes nouvelles a Paris, et partout. Et y eut aucunes gens notables, et catholicques, qui advertirent la Royne et le duc d’Orleans que c’estoit exemple divin, et qu’ils estoient taillez que de brief leur mescherroit s’ils ne faisoient cesser les aides et charges qu’on donnoit au peuple, et qu’ils payassent leurs debtes qu’ils devoient aux marchands qui leur avoient livré leurs marchandises.
[…]
[p. 430] [1417] Le duc de Bourgongne avoit intention d’aller devant Sainct Denys. On le sceut, et pour ce on envoia dedans deux vaillants chevaliers, l’un nommé messire Guillaume Bataille, et l’autre messire Hector de Pere, bien accompaignez de gens de guerre. Et quand le duc le sceut, il se porta d’y aller, et s’en alla [p. 431] vers Sainct Germain en Laye. Et le pont de Poissy, Meulant, Mante et Vernon se rendirent et mirent en son obeyssance. Et partout les nobles, et specialement, les riches, estoient pillez, derobez ou rançonnez, et aucuns mis dehors. »

Juvenal des Ursins, Jean

Mentions de Saint-Germain-en-Laye dans la Chronique de Charles VII de Jean Chartier

« [t. I, p. 229] [mai-juin 1436] Comment Saint Germain en Laye fut françois
En ce mesme temps, fut mis le chasteau de Saint Germain en Laye en l’obbeissance du roy de France, moiennant certain argent que le conte de Richemont, connestable de France, en fist bailler au cappitaine qui le tenoit de par les Angloiz.
[…]
[t. II, p. 135-136] [septembre-octobre 1449] De la reddicion de la ville de Gisor par appoinctement et composicion faictes avecques eulx
Cependant que le siege estoit devant le susdit chastel de Gaillart, avant la reddicion d’icelluy deux ou trois jours seulement, le susdit seneschal de Poictou, avec ung des escuyers d’escuyrie du Roy nommé Pariot, et ung aultre nommé Pierre de Courcelles, parens de la femme de Richard de Marbury, chevalier anglois, et capitaine de la ville de Gisors pour le roy d’Angleterre, traictierent et appoinctierent avec ledit de Marbury pour la reddicion d’icelle ville en l’obeyssance du Roy, et firent composicion telle [p. 136] que le susdit capitaine traictia et promit de rendre la place de Gisors dans le dix huictiesme jour du moys d’octobre ensuivant. Et, de faict, se rendit ce cappitaine anglois en l’obeyssance du Roy, et luy fit serment fort solemnel en tel cas accoustumé, parmy ce qu’on luy delivrast purement, nettement et sans despens deux de ses enfans, nommez Jehan et Hemond, lesquels avoient esté prins au Ponteaudemer.
Et oultre ce, luy fust accordé qu’il joyroit des susdites terres de sa femme, que les Françoys tenoient et occupoient, fust par don du Roy ou aultrement. Outre plus, a la requeste des parens de sadite femme, et pour les agreables services que le Roy esperoit que luy et ses enfans luy feroient au temps a venir, il le fit cappitaine de Sainct Germain en Laye, et luy donna sa vie durant seullement tous les profits et esmolumens qui appartenoient a ladite cappitainerie. »

Grandes chroniques de France

Récit par Robert de La Marck du mariage du futur François Ier à Saint-Germain-en-Laye

« Ce temps pendant que ces menees se faisoient, monsieur d’Angoulesme en menoit un aultre ; car il vouloit que le mariage de luy et de madame Claude, fille aisnee du roy Louis, feust achevé, laquelle chose feust accordee par bons moyens par ledict seigneur roy Louis : et, en ce mariage faisant, il luy bailloit la duché de Bretaigne, pour en jouir presentement ; mais cela ne fist pas sans beaucoup d’affaires, car le Roy, qui estoit un peu chatouilleux, scavoit bien comment il avoit faict au feu [p. 43] Roy, et craignoit que ledict sieur d’Angoulesme ne luy en voullust faire autant. Toutesfois, la chose se fist, et y feust ledict sieur d’Angoulesme merveilleusement bien servi, et spécialement par monsieur de Boissi, grand maistre de France, et par le trésorier Robertet, qui pour lors gouvernoit tout le royaume, car, depuis que monsieur le legat d’Amboise mourut, c’estoit l’homme le plus approché de son maistre, et qui scavoit et avoit beaucoup veu, tant du temps du roy Charles que du roy Louis ; et sans point de faulte, c’estoit l’homme le mieux entendu que je pense naguères avoir veu, et du meilleur esprit ; et tant qu’il s’est meslé des affaires de France et qu’il en a eu la totale charge, il a eu cet heur qu’il s’est toujours merveilleusement bien porté. Le Roy avoit auparavant baillé audict sieur d’Angoulesme la duché de Vallois, afin qu’il eust nom duc, et avecques ce, la duché de Bretaigne, ce qu’il avoit de par ses pere et mere : c’estoit ung gros prince, et pouvoit faire beaucoup de bien a ses serviteurs. Ledict sieur d’Angoulesme, quand vint au jour de ses avantdictes nopces, envoya querir le jeune Advantureux, qui estoit de sa nourriture, lui mandant qu’il s’alloit marier. Laquelle chose entendue par ledict Advantureux, subit se trouva au chasteau d’Amboise, où ledict sieur estoit, et madame sa mere ; et incontinent partit dudict chasteau d’Amboise, bien accompagné, et vinst à Saint Germain en Laye, qui est un fort beau chasteau a cinq lieues de Paris, beau parc en belle chasse. Et luy arrivé, au bout de quatre jours apres, feurent faictes les nopces les plus riches que vis jamais, car il y avoit dix mille hommes habillés aussi richement que le Roy, ou que monsieur d’Angoulesme qui estoit le marié ; et pour l’amour de la feue Royne, tout le monde estoit en deuil ; et ne feust pas changé d’homme ni de femme pour ledict mariage. »

La Marck, Robert (de)

Mentions de Saint-Germain-en-Laye dans le Journal des guerres civiles de Dubuisson Aubenay

« [p. 9] [19 février 1648] Le Roi et la Reine vont à Saint-Germain voir la reine d’Angleterre, malade, affligée des mauvaises nouvelles du roi son mari, prisonnier de ses sujets parlementaires en l’ile de Wight.
[…]
[p. 65] [22 septembre 1648] Préparatifs de cour pour s’en aller le lendemain à Saint-Germain-en-Laye.
La nuit d’entre le 22 et le 23, on a enlevé de l’hôtel de Condé ce qu’il y avoit de précieux.
[…]
[p. 66] [23 septembre 1648] Le soir, les prévôt des marchands et échevins sont mandés à Ruel, où la cour demeure.
[…]
La reine d’Angleterre arrive au Louvre, à Paris.
[…]
Ce jour, madame du Plessis s’en va coucher, avec madame la comtesse de Miossens, à Meudon, chez madame de Guénégaud, leur mère. Mais ce soir même, à six heures, madame d’Orléans y arriva avec ses enfants et son train et y coucha, comme aussi le lendemain, et n’en partir que le lendemain, après midi, pour Saint-Germain.
Jeudi 24, que le parlement étant assemblé à Paris, y vinrent au parquet des gens du Roi, les sieurs de Choisy, de Caen, chancelier de M. le duc d’Orléans, et chevalier de Rivière, agent de M. le prince de Condé, chargés d’une lettre chacun, de la part de leurs maîtres […]. Toutes deux prient la compagnie de députer et envoyer le lendemain vendredi 25, dès le matin, pour dîner à Saint-Germain, où cependant Leurs Majestez allèrent de Ruel coucher le jeudi soir, et là conférer sur les affaires présentes. […]
[p. 67] [25 septembre 1648] Le même vendredi, après midi, madame la duchesse d’Orléans partit de Meudon et alla coucher à Saint-Germain.
Les députés du parlement furent à Saint-Germain, où ils furent bien dînés par le contrôleur général de la maison du Roi et y virent seulement les princes, auxquels ils firent trois demandes, et une avant toutes, savoir la continuation du parlement, par la [p. 68] bouche du premier président : la première, que le Roi retournât à Paris pour assurer le peuple, la deuxième que les prisonniers d’Etat soient mis en liberté et les exilés rappelés, la troisième que le Roi, la Reine et les princes donnent et pourvoient de sûreté suffisante aux députés du parlement pour faire la conférence avec lesdits seigneurs princes, après que ces trois demandes auront été vidées. On les remit à envoyer quérir leur réponde dimanche prochain.
[…]
Dimanche 27, le parlement, par ses députés, retourna dîner à Saint-Germain, fut bien traité et vit la Reine ; et s'assemblant avec les princes seuls : sur la continuation du parlement durant les vacances, leur fut accordée pour huit jours, sans préjudice de la première parole de créance jointe à la première continuation de prolonger autant qu'ils en auroient besoin. Sur le retour du
Roi à Paris et la comparution ou venue des princes au Palais, en parlement, fut répondu qu’il n’y avoit pas assez de sûreté de la part du peuple. Pour le troisième point, concernant les prisonniers qui doivent être interrogés au bout de vingt-quatre heures après leur capture, le chancelier, qui s’y trouva, comme aussi le maréchal et surintendant de la Meilleraye, et avec lui M. Tubeuf, parla, disant que l’ordonnance en avoit été faite par les rois pour montrer et prescrire aux juges et officiers du royaume comme ils en devoient user dans les formes ordinaires, mais ce n'est pas dire que le Roi se soit lié les mains par là et astreint d'en user de même pour les prisonniers d’Etat, dont les crimes sont souvent si secrets, que même il n'est pas à propos qu’on leur donne à connoitre à eux-mêmes, que c'est pour cela que l’on les a emprisonnés. Pour le quatrième point, de la sûreté du Parlement, on la lui promit toute entière, jusqu’au bout de la conférence, laquelle on a ce jour même commencée, en faisant voir les rôles ou registres et livres des états des finances ; et la continuation fut remise à jeudi prochain.
[…]
[p. 70] Ce même jour de jeudi, premier octobre, les députés du parlement allèrent à Saint-Germain, où presque tous les présidents, qui se prétendent naturels députés, qui n’y avoient point encore été, y furent. M. le chancelier s'y trouva avec les princes. Sur le point du relâchement des prisonniers et de la sécurité publique, il fut, par les députés, dit et allégué que Louis XI, roi sévère et qui avoit en son règne emprisonné toutes sortes de gens à tort et à travers, comme s'en repentant, avoit fait une ordonnance, qui se trouve en la conférence des ordonnances ou volume de Fontanon, par laquelle il ne vouloit point qu’un officier, quel qu’il fût, pût être destitué ni privé de sa fonction qu’après poursuites contre lui juridiquement faites par devant ses juges naturels. Depuis lors, cela s'est pratiqué, les offices n’étant point vénaux, on n’en a ôté [p. 71] aucun à personne qu’en l’an 1561, le Roi en destitua un de sa fonction pour contenter le roi de Navarre ; mais ce ne fut que pour trois jours, au bout desquels il fut rétabli, comme aussi sous Henri IV cela est arrive. Et n’y a que sous Louis XIII, sous le
Gouvernement du cardinal de Richelieu, après celui de Luynes et du maréchal d'Ancre qui avoient commencé, que la destitution et interdiction des conseillers du parlement et des chambres entières ont eu lieu. Le parlement demande donc qu’à présent la Reine donne sûreté et promette s’abstenir de telles choses, en rappelant les exilés et libérant les prisonniers. M. le duc d’Orléans a été contre cela, disant que c’étoit la sûreté de l’Etat que le Roi et son Conseil puissent destituer les brouillons et se saisir des gens suspects etc. Et sur ce que le parlement a représenté que cette sûreté qu’il demandoit, regardoit lui et les autres princes, il a répondu que les princes devoient vivre près du Roi et de la Reine si bien qu’ils ne donnassent sujet de devenir fâcheux ni suspects, et que, pour lui, il y vivoit de sorte qu’il ne craignoit point de tomber jamais en tel inconvénient.
Enfin le parlement est retourné le soir même à Paris sans rien obtenir, sinon que samedi prochain il eût à retourner par les mêmes députés pour avoir la réponse sur cette demande que
M. d’Orléans se chargeoit de porter à la Reine, mais n’assuroit pas d'obtenir. Cependant M. le Chancelier a rendu auxdits députés tous les articles des assemblées ci devant tenues par les cours unies dans la chambre Saint-Louis, avec la réponse à chacun d’iceux, selon qu’ils sont accordés ou non. Là, le quartier de la remise de la taille au peuple pour 1648 n’est qu’à condition des charges préalablement déduites. Le chancelier a ajouté que si le parlement ne reçoit l’offre de la Reine, ainsi qu’elle l’a fait, elle ne tiendra rien de toutes les autres choses par elle accordées sur les autres points.
[…]
[p. 72] [3 octobre 1648] Samedi 3, les députés du parlement furent à Saint-Germain et y dînèrent par ordre du grand maître de France, M. le Prince, lequel, avec le duc d’Orléans, suivi du chancelier, les vint trouver assez tard et dit le chancelier, d’abord, qu’on ne se savoit assez étonner comme le parlement, durant une conférence qui est comme une surséance et trêve entr’eux, a donné l’arrêt d’ôter les quarante sols pour chaque bœuf que l’on payoit au Roi pour avoir gratifié son peuple de la remise du sol pour livre ; à quoi le Premier Président repartit vertement que le parlement s’étonnoit lui-même comme, puisque le Roi en avoit gratifié son peuple, on lui avoit si longtemps fait payer ces quarante sols, sans que Sa
Majesté en profitât. Et ainsi eurent plusieurs paroles, le Premier Président disant que c’étoit lui qui avoit signé ledit arrêt d’hier et avoit eu raison.
De là il passa sur certains droits et offices que ledit chancelier a établi sur le sceau et qui seront ou doivent être ôtés comme abusifs et à la foule du peuple. Le président de Nesmond interrompit, disant que ce n’étoit l’objet de leur venue, mais pour avoir contentement et réponse précise sur la sûreté de leurs personnes et de tout le monde et pour le relâchement des prisonniers. M. le duc d’Orléans dit que tous engageoient leur parole avec celle de la Reine que dans trois mois les prisonniers auroient liberté, sur quoi le Premier Président dit que ce n’étoit contentement, ains amusement, et se voulut lever pour s’en aller. Le prince de Condé parla et le retint, disant qu’il iroit avec M. d’Orléans supplier la Reine là-dessus et s’y en alla, le chancelier aussi avec eux et furent si longtemps que le parlement s’ennuya et s’en voulut aller. Là-dessus les princes et le chancelier retournèrent et [p. 73] voulurent recommencer ; mais le parlement dit qu’il ne se pouvoit annuiter et que le jeudi précédent, le peuple impatient de ce qu’ils ne retournoient point avant la nuit, fut sur le point de se mutiner et tendre les chaînes, craignant qu’on ne les eût retenus à Saint-Germain pour entreprendre sur Paris et qu’ils vouloient, à ce coup, prévenir tel désordre. Les princes étonnés prièrent qu’ils revinssent mercredi, et, sur refus, lundi, mais le Premier Président dit qu’il falloit finir et qu’ils ne croyoient pas que le peuple les voulût laisser retourner, toutefois que le lendemain dimanche 4, après dîner, ils reviendroient et se rendroient là sur une à deux heures, pour la dernière fois, comme ils ont fait, et ont obtenu par écrit de la Reine (laquelle a désiré un contre écrit des princes, comme tel étoit leur avis, et ils l’ont baillé à Sa Majesté) et [des] princes, qu’aucun officier ne seroit emprisonné, qu’au bout de vingt quatre heures il ne fût livré à ses juges naturels, pour lui être faite interrogation et procès. Que quant aux personnes d’autre qualité, dans trois mois ils seroient rendus au parlement, ou autres, leurs juges naturels, pour leur faire procès.
[…] [13 octobre 1648] Une lettre de cachet est venue avec ordre d’aller à Saint-Germain.
Les députés y sont arrivés à trois heures de relevée. Le Premier Président a dit à la Reine que la raison d’ôter cette entrée étoit parce que c’étoit un impôt jadis mis et établi seulement pour trois ou quatre ans et qui depuis avoit été par abus continué sans lettres du Roi. La Reine a dit que les délais, dont le parlement usoit, minoient les affaires du Roi et qu’ainsi il avoit [devoir] de finir dans demain, moyennant quoi elle offroit de rabais, sur toutes les levées qui se font à Paris, la somme de douze cens mille livres par an. Le Premier Président a répliqué qu’il étoit impossible de finir dans demain, y ayant encore beaucoup à examiner sur le tarif. La Reine s’est retirée en un coin du cabinet avec son Conseil, les députés en un autre coin, puis, eux faits venir, le chancelier a dit de la part de la Reine qu’elle faisoit le rabais de douze cens mille livres à Paris, outre l’impôt tout nouvellement et cette année mis de vingt et un sols par muid, pourvu que le parlement cessât ses assemblées dans jeudi soir, sauf à lui à députer commissaires pour le règlement de ces douze cens mille livres sur toutes les denrées sur lesquelles on lève ; et qu'elle ne pouvoit pas accorder une déclaration du Roi, que le Premier Président avoit demandée, pour autoriser l’arrêté de ce matin là, pour les [p. 77] cinquante huit sols ôtés sur le vin, parce que cela iroit à donner telles déclarations tantôt sur le bois, or sur le charbon, or sur le sel et sur les autres denrées, qui iroient à des longueurs entièrement ruineuses aux affaires du Roi et à des sommes que les affaires du Roi ne sauroient souffrir.
[…]
[p. 78] [15 octobre 1648] Cependant le sieur de Sainctot, parti ce matin avec M. du Plessis de Saint-Germain-en-Laye, est venu de la part de la Reine, vers laquelle les gens du Roi durent, en vertu d'une lettre de cachet, aller après dîner pour la supplier de donner les deux millions de rabais à Paris ; ce qu’ils firent, et trouvèrent la Reine retournant avec le Roi de Pontoise, de la visite de la mère Jeanne. Sa Majesté fit répéter deux ou trois fois la promesse de finir dans dimanche et, à cette condition, elle promit les deux millions, ajoutant qu’à proportion d’iceux, elle fit aussi diminution à toutes les villes du royaume.
[…]
[p. 79] [20 octobre 1648] Les députés, qui ont été de jour à autre à Saint-Germain vers la Reine et les ministres, se sont assemblés, l'après dîner, chez le Premier Président, pour rédiger par articles toutes choses.
[…]
[p. 81] [28 octobre 1648] Ce jour 28, la chambre des Comptes fut à Saint-Germain faire ses plaintes et remontrances contre le parlement, sur les sixième et septième articles de la déclaration du Roi du 22 octobre, vérifiée en parlement le 24, et le président Nicolai harangua à merveille, sans perdre respect à Leurs Majestés.
[…]
[29 octobre 1648] Le prévôt des marchands et les échevins de Paris à Saint-Germain, pour le retour du Roi en sa bonne ville.
Au soir, avis de Saint-Germain que le lendemain, vendredi 30, toute la cour déménage et ramène ses meubles de Saint-Germain à Paris.
[…]
[p. 82] [31 octobre 1648] Samedi au soir, le Roi, la Reine, toute la cour avec, retournent à Paris, à petit bruit, et sans que le peuple ait eu, comme il eût bien voulu, permission d’aller au devant, ni faire réception ; cela pour éviter toute assemblée.
[…]
[p. 102] [6 janvier 1649] Mercredi 6, jour des rois, à sept heures du matin, le comte de Miossens est venu chez M. du Plessis de Guénégaud, auquel, en ce même temps, on apporta à signer la lettre du Roi ci-après mentionnée, écrite au prévot des marchand, l’averti que, sur les trois heures, le Roi étoit parti du Palais-Royal avec la Reine et le cardinal Mazarin, et étoit allé à Saint-Germain. Messieurs les ducs d’Orléans et prince de Condé avoient suivi en même temps. En peu d’heures après, lesdits sieurs du Plessis, secrétaire d’Etat, et comte de Miossens, son beau frère, se sont mis en carrosse du premier, à six chevaux, et ont été en cour. Une heure après eux, sont partis les enfants dudit sieur du Plessis, pour aller à Fresne.
[…]
[p. 103] Cependant est arrivé une lettre de cachet, signée de Guénegaud, au prévôt des marchands et échevins de Paris, par laquelle le Roi dit qu'il s’en étoit allé, non pour déplaisir qu’il eût de sa bonne ville de Paris, mais pour la crainte d’aucuns du parlement qui avoient intelligence avec ses ennemis et dessein sur sa personne.
Il y arriva aussi deux lettres aux mêmes gens de la ville, une du duc d’Orléans, l’autre du prince de Condé, portant que c’étoit par leur avis que leRoi s’en étoit allé. Elles furent, comme l’autre, portées au parlement, où elles sont demeurées.
Aussitôt que la nouvelle du « Regifugium » a été connue dans le quartier Saint-Honoré, la populace s’est amassée vers la Friperie et les Halles ; et comme un chariot passoit, chargé d’argent au sieur Bonneau, il a été pillé, vis à vis des pilliers de ladite Friperie et de la rue Tirechappe. On dit aussi qu’un autre chariot fut pillé à la rue Fromenteau. Item un carrosse du comte de Tillières et celui du maréchal d’Estrées, où il y avoit deux cassettes, l’une d’argent, l’autre de papiers.
Les meubles et bagage du Roi, demeurés au Palais-Royal, sous la conduite du sieur du Mont, sous-gouverneur de Sa Majesté, furent exposés à sortir sur des mulets, mais arrêtés à la porte et renvoyés. Depuis lors, ont resté là ; mais le 10 janvier on a dit que conseillers du parlement étoient députés pour aller visiter ce qui appartenoit à la personne du Roi, et le faire passer ; le reste demeurant ici.
Le Roi coucha au lit du maréchal de Villeroy et la Reine en celui de M. le Prince, à Saint Germain. »

Dubuisson-Aubenay, François-Nicolas

Mentions de Saint-Germain-en-Laye dans les mémoires du cardinal de Retz

« [t. 2, p. 12] Le 26 d’aout de 1648, le Roi alla au te Deum. L’on borda, selon la coutume, depuis le Palais Royal jusques à Notre Dame, toutes les rues de soldats du regiment des gardes. Aussitôt que le Roi fut revenu au Palais Royal, l’on forma de tous ces soldats trois bataillons, qui demeurerent sur le pont Neuf et dans la place Dauphine. Comminges, lieutenant des gardes de la Reine, enleva dans un [p. 13] carrosse fermé le bonhomme Broussel, conseiller de la grande chambre, et il le mena à Saint Germain.
[…]
[p. 87] [septembre 1648] Le president Viole, qui avoit ouvert l’avis au parlement de renouveler l’arret de 617 contre les etrangres, vint à Saint Germain, où le Roi etoit allé de Ruel, sous la parole de monsieur le Prince, et il fut admis sans contestations à la conference qui fut tenue chez M. le duc d’Orleans, accompagné de monsieur le Prince, de M. le prince de Conti et de M. de Longueville. […]
[p. 88] Il y eut cinq conferences à Saint Germain. Il n’entra dans la premiere que messieurs les princes. Le chancelier et le marechal de La Maillerie, qui avoit eté fait surintendant en la place d’Emeri, furent admis dans les quatre autres. Ce premier y eut de grandes prises avec le premier president, qui avoit un mepris pour lui qui alloit jusques à la brutalité. [p. 89] Le lendemain de chaque conference, l’on opinoit, sur le rapport des deputés, au parlement. Il seroit infini et ennuyeux de vous rendre compte de toutes les scenes qui y furent données au public, et je me contenterai de vous dire, en general, que le parlement, ayant obtenu ou plutôt emporté sans exception tout ce qu’il demandoit, c’est à dire le retablissement des anciennes ordonnances par une declaration conçue sous le nom du Roi mais dressée et dictée par la Compagnie, crut encore qu’il se relachoit beaucoup en promettant qu’il ne continueroit pas ses assemblées. Vous verrez cette declaration toute d’une vue, s’il vous plait de vous souvenir des propositions que je vous ai marqué de temps en temps, dans la suite de cette histoire, avoir eté faites dans le parlement et dans la chambre de Saint Louis.
Le lendemain qu’elle fut publiée et enregistrée, qui fut le 24 d’octobre 1648, le parlement prit ses vacations et la Reine revint avec le Roi à Paris bientôt après.
[…]
[p. 99] Le parlement resolut, le 2 de janvier [1649], de s’assembler pour pourvoir à l’execution de la declaration, que l’on [p. 100] pretendoit avoir eté blessée, particulierement dans les huit ou dix derniers jours, en tous ses articles, et la Reine prit le parti de faire sortir le Roi de Paris, à quatre heures du matin, le jour des Rois, avec toute la cour.
[…]
[p. 129] Je l’appris, à cinq heures du matin, par l’argentier de la Reine, qui me fit eveiller et qui me donna une lettre ecrite de sa main par laquelle elle me commandoit, en des termes fort honnetes, de me rendre dans le jour à Saint Germain. L’argentier ajouta de bouche que le Roi venoit de monter en carrosse pour y aller, et que toute l’armée etoit commandée pour s’avancer. Je lui repondis [p. 130] simplement que je ne manquerois pas d’obeir. Vous me faites bien la justice d’etre persuadée que je n’en eus pas la pensée.
Blancmenil entra dans ma chambre, pale comme un mort. Il me dit que le Roi marchoit au Palais avec huit mille chevaux. Je l’assurai qu’il etoit sorti de la ville avec deux cents. Voilà la moindre des impertinences qui me furent dites depuis les cinq heures du matin jusques à dix. J’eus toujours une procession de gens effarés, qui se croyoient perdus. Mais j’en prenois bien plus de divertissement que d’inquietude, parce que j’etois averti, de moment à autre, par les officiers des colonelles, qui etoient à moi, que le premier mouvement du peuple, à la premiere nouvelle, n’avoit eté que de fureur, à laquelle la peur ne succede jamais que par degrés, et je croyois avoir de quoi couper, devant qu’il fut nuit, ces degrés, car quoique monsieur le Prince, qui se defioit de monsieur son frere, l’eut eté prendre dans son lit et l’eut emmené avec lui à Saint Germain, je ne doutois point, madame de Longueville etant demeurée à Paris, [p. 131] que nous le revissions bientôt, et d’autant plus que je savois que monsieur le Prince, qui ne le craignoit ni ne l’estimoit, ne pousseroit pas sa defiance jusqu’à l’arreter.
[…]
[p. 133] La terreur du parlement n’etoit pas encore bien dissipée. Je ne fus pas touché de son irresolution, parce que j’etois persuadé que j’aurois dans peu de quoi le fortifier. Comme je croyois que la bonne conduite vouloit que le premier pas, au moins public, de desobeissance vint de ce corps, qui justifieroit celle des particuliers, je songeai à propos de chercher une couleur au peu de soumission que je temoignois à la Reine en n’allant pas à Saint Germain. Je fis mettre mes chevaux au carrosse, je reçus les adieux de tout le monde, je rejetai avec une fermeté admirable toutes les instances que l’on me fit pour m’obliger à demeurer, et par un malheur signalé, je trouvai au bout de la rue Neuve Notre Dame Dubuisson, marchand de bois, et qui avoit beaucoup de [p. 134] credit sur les portes. Il etoit absolument à moi, mais il se mit ce jour là en mauvaise humeur. Il battit mon postillon, il menaça mon cocher. Le peuple, accourant en foule, renversa mon carrosse, et les femmes du Marché Neuf firent d’un etau une machine sur laquelle elles me rapportent, pleurantes et hurlantes, à mon logement. Vous ne doutez pas de la manière dont cet effort [p. 135] de mon obeissance fut reçu à Saint Germain. J’ecrivis à la Reine et à monsieur le Prince en leur temoignant la douleur que j’avois d’avoir si mal reussi dans ma tentative. La premiere repondit au chevalier de Sevigné, qui [p. 136] lui porta la lettre, avec une hauteur de mepris ; le second ne put s’empecher, en me plaignant, de temoigner de la colere. La Riviere eclata contre moi par des railleries et le chevalier de Sevigné vit clairement que les uns et les autres etoient persuadés qu’ils nous auroient des le lendemain la corde au cou.
Je ne fus pas beaucoup emu de leurs menaces, mais je fus tres touché d’une nouvelle que j’appris le meme jour, qui etoit que M. de Longueville, qui, comme je vous ai dit, revenboit de Rouen, où il avoit fait un voyage de dix ou douze jours, ayant appris la sortie du Roi à six lieues de Paris, avoit tourné tout court à Saint Germain. Madame de Longueville ne douta point que monsieur le Prince ne l’eut gagné, et qu’ainsi M. le prince de Conti ne fut infailliblement arreté. Le marechal de La Mothe lui declara, en ma presence, qu’il feroit sans exception tout ce que M. de Longueville voudroit, et contre et pour la cour. M. de Bouillon se prenoit à moi de ce que des gens dont je l’avois toujours assuré prenoient une conduite aussi contraire à ce que je lui en avois dit mille fois. Jugez, je vous supplie, de mon embarras, qui estoit d’autant plus grand que madame de Longueville me protestoit qu’elle n’avoit eu, de tout le jour, aucune nouvelle de M. de La Rochefoucauld, qui etoit toutefois parti, deux heures apres le Roi, pour fortifier et pour ramener M. le prince de Conti.
Saint Ibar revint encore à la charge pour m’obliger à l’envoyer, sans differer, au comte de Fuensaldagne. Je ne fus pas de cette opinion, et je pris le parti de faire [p. 137] partir pour Saint Germain le marquis de Noirmoutier, qui s’estoit lié avec moi depuis quelque temps, pour savoir, par son moyen, ce que l’on pouvoit attendre de M. le prince de Conti et de M. de Longueville. Madame de Longueville fut de ce sentiment, et Noirmoutier partit sur les six heures du soir.
[…]
[p. 144] [9 janvier] Le marquis de Noirmoutier m’assura, des le lendemain qu’il fut arrivé à Saint Germain, que M. le prince de Conti et M. de Longueville etoient tres bien disposés, et qu’ils eussent eté déjà à Paris si ils n’eussent cru assurer mieux leur sortie de la cour en s’y [p. 145] montrant quelques jours durant. M. de La Rochefoucauld ecrivoit en meme sens à madame de Longueville.
[…]
[p. 196] Monsieur le Prince etablit de sa part ses quartiers. Il posta le marechal du Plessis à Saint Denis, le marechal de Gramont à Saint Cloud, et palluau, qui a eté depuis le marechal de Clerembaut, à Sevres. L’activité naturelle à monsieur le Prince fut encore merveilleusement allumée par la colere qu’il eut de la declaration de M. le prince de Conti et de M. de Longueville, qui avoit jeté la cour dans une defiance si grande de ses intentions, que le cardinal, ne doutant point d’abord qu’il ne fut de concert avec eux, fut sur le point de quitter la cour, et ne se rassura point qu’il ne l’eut vu de retour à Saint Germain des quartiers où il etoit allé [p. 197] donner les ordres. Il eclata, en y arrivant, avec fureur contre madame de Longueville particulierement, à qui madame la Princesse sa mere, qui etoit aussi à Saint Germain, en ecrivit le lendemain tout le detail. Je lus ces mots, qui etoient dans la meme lettre : « L’on est ici si dechainé contre le coadjuteur qu’il faut que j’en parle comme les autres. Je ne puis toutefois m’empecher de le remercier de ce qu’il a fait pour la pauvre reine d’Angleterre ».
Cette circonstance est curieuse par la rareté du fait. Cinq ou six jours devant que le Roi sortit de Paris, j’allai chez la reine d’Angleterre, que je trouvai dans la chambre de madame sa fille, qui a eté depuis madame d’Orleans. Elle me dit d’abord : « Vous voyez, je viens tenir compagnie à Henriette. La pauvre enfant n’a pu se lever aujourd’hui faute de feu ». Le vrai etoit qu’il y avoit six mois que le cardinal n’avoit fait payer la reine de sa pension, que les marchands ne vouloient plus fournir et qu’il n’y avoit pas un morceau de bois dans la maison. Vous me faites bien la justice d’etre persuadée que madame d’Angleterre ne demeura pas, le lendemain, au lit faute d’un fagot, mais vous croyez bien aussi que ce n’etoit pas ce que madame la Princesse vouloit dire dans son billet. Je m’en ressouvins au bout de quelques jours. J’exagerai la honte de cet abandonnement, et le parlement envoya quarante mille livres à la reine d’Angleterre.
[…]
[p. 199] Le parti ayant pris sa forme, il n’y manquoit plus que l’etablissement du cartel, qui se fit sans negociation. Un cornette de mon regiment, ayant eté pris par un parti du regiment de La Villette, fut mené à Saint Germain, [p. 200] et la Reine commanda sur l’heure qu’on lui tranchat la tete. Le grand provot, qui ne douta point de la consequence, et qui etoit assez de mes amis, m’en avertit, et j’envoyai en meme temps une trompette à Palluau, qui commandoit dans le quartier de Sevres, avec une lettre tres ecclesiastique, mais qui faisoit entendre les inconvenients de la suite, d’autant plus proche que nous avions aussi des prisonniers, entre autres M. d’Olonne, qui avoit eté arreté comme il se vouloit [p. 201] sauver habillé en laquais. Palluau alla sur l’heure à Saint Germain, où il representa les consequences de cette execution. L’on obtint de la Reine, à toute peine, qu’elle fut differée jusques au lendemain, l’on lui fit comprendre, apres, l’importance de la chose, l’on échangea mon cornette, et ainsi le quartier s’etablit insensiblement.
[…]
[p. 287] Le 24 de ce mois, qui etoit celui de fevrier, les deputés [p. 288] du parlement, qui avoient reçu leurs passeports la veille, partirent pour aller à Saint Germain rendre compte à la Reine de l’audience accordée à l’envoyé de l’archiduc. La cour ne manqua pas de se servir, comme nous l’avions jugé, de cette occasion pour entrer en traité. Quoiqu’elle ne traitat pas dans ses passeports les deputés de presidents et de conseillers, elle ne les traita pas aussi de gens qui l’eussent eté et qui en fussent dechus : elle se contenta de les nommer simplement par leur nom ordinaire. La Reine dit aux deputés [p. 289] qu’il eut eté plus avantageux pour l’Etat et plus honorable pour leur compagnie de ne point entendre l’envoyé, mais que c’etoit chose faite, qu’il falloit songer à une bonne paix, qu’elle y etoit disposée et que, monsieur le chancelier etant malade depuis quelques jours, elle donneroit, des le lendemain, une reponse plus ample par ecrit. Monsieur d’Orleans et monsieur le Prince s’expliquerent encore plus positivement, et promirent au premier president et au president de Mesme, qui eurent avec eux des conferences tres particulieres et tres longues, de deboucher tous les passages aussitôt que le parlement auroit nommé des deputés pour traiter.
[…]
[p. 364] [5-7 mars] Il est necessaire que je vous rende compte de ce qui se passa ces jours là et au parlement et à la conference de Ruel.
Celle-ci commença aussi mal qu’il se pouvoit. Les deputés pretendirent, et avec raison, que l’on ne tenoit point la parole que l’on leur avoit donnée de deboucher les passages et que l’on ne laissoit pas meme passer librement les cent muids de blé. La cour soutint qu’elle n’avoit point promis l’ouverture des passages et qu’il ne tenoit pas à elle que les cent muids ne passassent. La Reine demanda, pour conditions prealables à la levée du siege, que le parlement s’engageât à aller tenir [p. 365] sa seance à Saint Germain tant qu’il plairoit au Roi, et qu’il promit de ne s’assembler de trois ans. les deputés refuserent tout d’une voix ces deux propositions, sur lesquelles la cour se modera des l’apres midi meme. M. le duc d’Orleans ayant dit aux deputés que la Reine se relachoit de la translation du parlement, qu’elle se contenteroit que, lorsque l’on seroit d’accord de tous les articles, il allât tenir un lit de justice à Saint Germain, pour y verifier la declaration qui contiendroit ces articles, et qu’elle moderoit aussi les trois années de defense de s’assembler, à deux : les deputés n’opiniatrerent pas le premier, ils ne se rendirent pas sur le second, en soutenant que le privilege de s’assembler etoit essentiel au parlement.
[…]
[p. 369] [9 mars] M. le prince de Conti ayant dit, le meme jour, au parlement que M. de Longueville l’avoit prié de l’assurer qu’il partiroit de Rouen, sans remise, le 15 du mois avec sept mille hommes de pied et trois mille [p. 370] chevaux et qu’il marcheroit droit à Saint Germain, la compagnie en temoigna une joie incroyable, et pria M. le prince de Conti d’en presser encore M. de Longueville.
[…]
[p. 379] La paix fut donc signée, avec beaucoup de contestations, trop longues et trop ennuyeuses à rapporter, le 11 de mars, et les deputés consentirent, avec beaucoup de difficulté, que M. le cardinal Mazarin y signât avec M. le duc d’Orleans, monsieur le Prince, monsieur le chancelier, M. de La Meilleraie et M. de Brienne, qui etoient les deputés nommés par le Roi. Les articles furent :
Que le parlement se rendra à Saint Germain, où sera tenu un lit de justice, où la declaration contenant les articles de la paix sera publiée ; apres quoi il retournera faire ses fonctions ordinaires à Paris ;
Ne sera faite aucune assemblée de chambre pour toute l’année 1649, excepté pour la reception des officiers et pour les mercuriales ;
Que tous les arrets rendus par le parlement, depuis [p. 380] le 6 de janvier, seront nuls, à la reserve de ceux qui auront eté rendus entre particuliers, sur faits concernant la justice ordinaire ;
Que toutes les lettres de cachet, declarations et arrets du conseil rendus au sujet des mouvements presents seront nuls et comme non avenus ;
Que les gens de guerre levés pour la defense de Paris seront licenciés aussitôt apres l’accommodement signé, et Sa Majesté fera aussi, en meme temps, retirer ses troupes des environs de ladite ville ;
Que les habitants poseront les armes, et ne les pourront reprendre que par ordre du Roi ;
Que le deputé de l’archiduc sera renvoyé incessamment sans reponse ;
Que tous les papiers et meubles qui ont eté pris aux particuliers et qui se trouveront en nature seront rendus ;
Que M. le prince de Conti, princes, ducs et tous ceux sans exception qui ont pris les armes n’en pourront etre recherchés, sous quelque pretexte que ce puisse etre, en declarant par les dessus dits dans quatre jours à compter de celui auquel les passages seront ouverts, et par M. de Longueville en dix, qu’ils veulent bien etre compris dans le present traité ;
Que le Roi donnera une decharge generale pour tous les deniers royaux qui ont eté pris, pour tous les meubles qui ont eté vendus, pour toutes les armes et munitions qui ont eté enlevés tant à l’Arsenal qu’ailleurs ;
Que le Roi fera expedier des lettres pour la revocation du mestre du parlement d’Aix, conformement aux articles accordés entre les deputés de Sa Majesté et ceux du parlement et pays de Provence du 21 février ;
[p. 381] Que la Bastille sera remise entre les mains du Roi.
[…]
[p. 398] [13 mars] Comme le president Le Cogneux commençoit à proposer que le parlement renvoyât les deputés pour traiter des interets de messieurs les generaux et pour faire reformer les articles qui ne plaisoient pas à la compagnie, ce que M. de Bouillon lui avoit inspiré la veille à onze heures du soir, l’on entendit un fort grand bruit dans la salle du Palais, qui fit peur à maitre Gonin, et qui l’obligea de se taire. Le president de Bellievre, qui etoit de ce qui avoit eté resolu chez M. de Bouillon, fut interrompu par un second grand bruit encore plus grand que le premier. L’huissier, qui etoit à la porte de la grande chambre, entra et dit, avec une voix tremblante, que le peuple demandoit M. de Beaufort. Il sortit, il harangua [p. 399] à sa manière, et il l’apaisa pour un moment.
Le fracas recommença aussitôt qu’il fut rentré, et le president de Novion, qui etoit bien voulu pour s’etre signalé dans les premieres assemblées des chambres contre la personne du Mazarin, etant sorti hors du parquet des huissiers pour voir ce que c’etoit, y trouva un certain du Boisle, mechant avocat et si peu connu que je ne l’avois jamais oui nommer, qui, à la tete d’un nombre infini de peuple, dont la plus grande partie avoit le poignard à la main, lui dit qu’il vouloit que l’on lui donnât les articles de la paix, pour faire bruler par la main d’un bourreau, dans la Greve, la signature du Mazarin, que si les deputés avoient signé cette paix de leur bon gré, il les falloit pendre ; que si on les y avoit forcés à Ruel, il la falloit desavouer. Le president de Novion, fort embarrassé, comme vous pouvez juger, representa à du Boisle que l’on ne pouvoit bruler la signature du cardinal sans bruler celle de M. le duc d’Orleans, mais [p. 400] que l’on etoit sur le point de renvoyer les deputés pour faire reformer les articles à la satisfaction du public. L’on n’entendoit cependant dans la salle, dans les galeries et dans la cour du Palais que des voix confuses et effroyables : « Point de paix ! et point de Mazarin ! Il faut aller à Saint Germain querir notre bon Roi, il faut jeter dans la riviere tous les Mazarins. »
[…]
[p. 454] Je vous ai dit ci-dessus que les deputés retournerent à Ruel le 16 de mars ; ils allerent, des le lendemain à Saint Germain, où la seconde conference se devoit tenir à la chancellerie, et ils ne manquerent pas d’y lire d’abord les propositions que tous ceux du parti avoient faites avec un empressement merveilleux pour leurs interets particuliers et que messieurs les generaux, qui ne s’y etoient pas oubliés, avoient toutefois stipulé ne devoir etre faites qu’apres que les interets du parlement seroient ajustés. Le premier president fit tout le contraire, sous pretexte de leur temoigner que leurs interets etoient plus chers à la compagnie que les siens propres, mais dans la verité pour les decrier dans le public.
[…]
[p. 472] L’on n’eut presque point de difficulté sur les articles dont le parlement de Paris avoit demandé la reformation. La Reine se relacha de faire tenir un lit de justice à Saint Germain ; elle consentit que la defense au parlement de s’assembler le reste de l’année 1649 ne fût pas inserée dans la declaration, à condition que les deputés en donnassent leur parole.
[…]
[p. 481] Cette paix, que le cardinal se vantoit d’avoir achetée à fort bon marché, ne lui valut pas aussi tout ce qu’il en esperoit. Il me laissa un levain de mecontents qu’il m’eut peu oter avec assez de facilité, et je me trouvai tres bien de son reste. M. le prince de Conti et madame de Longueville allerent faire leur cour à Saint Germain, [p. 482] apres avoir vu monsieur le Prince à Chaillot pour la premiere fois, de la manière du monde la plus froide de part et d’autre.
[…]
[t. 4, p. 214] [avril 1652] Le Roi, dont le dessein avoit toujours eté de s’approcher de Paris, comme il me semble que je vous l’ai déjà dit, partit de Gien aussitôt apres le combat de Bleneau, et il prit son chemin par Auxerre, par Sens et [p. 215] par Melun, jusques à Corbeil, cependant que MM. de Turenne et d’Hocquincourt, qui s’avancerent avec l’armée jusques à Moret, couvroient sa marche, et que MM. de Beaufort et de Nemours, qui avoient eté obligés de quitter Montargis faute de fourrage, s’etoient allés camper à Etampes. Leurs Majestés etant passées jusques à Saint Germain, M. de Turenne se posta à Palaiseau, ce qui obligea messieurs les princes à mettre garnison dans Saint Cloud, au pont de Neuilli et à Charenton.
[…]
[p. 233] Je vous y ai parlé de la demangeaison de negociation comme de la maladie qui regnoit dans le parti des princes. M. de Chavigni en avoit une regelée, mais secrete, avec monsieur le cardinal, par le canal de M. de Fabert. Elle ne reussit pas, parce que le cardinal ne vouloit point, dans le fond, d’accommodement, et il n’en recherchoit que les apparences, pour decrier dans le parlement et dans le peuple M. le duc d’Orleans et monsieur le Prince. Il employa pour cela le roi d’Angleterre, qui proposa au Roi, à Corbeil, une conference. Elle fut acceptée à la cour, et elle le fut aussi à Paris par Monsieur et par monsieur le Prince, [p. 234] auxquels la reine d’Angleterre en parla. Monsieur en donna part au parlement le 26 d’avril et fit partir, des le lendemain, MM. de Rohan, de Chavigni et Goulas pour aller à Saint Germain, où le Roi etoit allé de Corbeil.
[…]
[p. 237] Les choses en vinrent au point que madame de [p. 238] Chatillon alla publiquement à Saint Germain. Nogent disoit qu’il ne lui manquoit, en entrant dans le château, que le rameau d’olive à la main. Elle y fut recue et traitée effectivement comme Minerve auroit pu l’y etre. La difference fut que Minerve auroit apparemment prevu le siege d’Etampes, que monsieur le cardinal entreprit dans le meme instant, et dans lequel il ne tint presque à rien qu’il ensevelit tout le parti de monsieur le Prince.
[…]
[p. 240] Le 3 de mai, monsieur le procureur general fit la relation de ce qu’il avoit fait à Saint Germain, en consequence des ordres de la compagnie, et il dit que le Roi entendroit les remontrances lundi 6 du mois.
[…]
[p. 241] Le 6, les remontrances du parlement et de la chambre des comptes furent portées au Roi, avec une grande force, et le 7 celles de la cour des Aides et celles de la Ville se firent. La reponse du Roi aux unes et aux autres fut qu’il feroit retirer ses troupes quand celles des princes seroient eloignées. Monsieur le garde des sceaux, qui parla au nom de Sa Majesté, ne profera pas seulement le nom de monsieur le cardinal.
Le 10, il fut arreté au parlement que l’on envoiroit les gens du Roi à Saint Germain, et pour y demander reponse touchant l’eloignement du cardinal Mazarin, et pour insister encore sur l’eloignement des armées des environs de Paris.
[…]
[p. 391] Le 13 [octobre 1652], les colonels reçurent ordre du Roi d’aller par deputés à Saint Germain. M. de Seve, le plus ancien, y porta la parole. Le Roi leur donner à diner et il leur fit meme l’honneur d’entrer dans la salle cependant le repas. »

Gondi, Jean-François-Paul (de)

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