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Château-Neuf Français
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Récit par Niccolò Madrisio de sa visite à Saint-Germain-en-Laye

« [p. 324] Il luogo insigne per le fasce di Lodovico Decimo quarto è San Germano detto in Laja dalla vicinanza d’una selva di questo nome, principiato gia da Carlo Quinto, proseguito poi dagl’Inglesi, che ne furono qualche tempo Padroni, posto tra Parigi, d’onde è discosto qualche dodici miglia, e Poissi picciola città natalizia di San Luigi, e famosa per la conferenza seguita tra i Cattolici, e i Protestanti di Francia alla presenza di Carlo Nono, e di Catterina de’ Medici all’ora Reggente ne’ primi torbidi, che successer colà della Religione. A riguardo dell’onore, che ha avuto il Castello di San Germano di veder nascer Lodovico XIV, vi si recita ogn’anno li 5 Settembre nella Regia Capella un Panegirico in lode di Sua Maestà, de’quali se n’avra una seria omai di settanta, non essendo, come ben si può credere, tutti d’ugual bellezza, ne tutti corrispondenti al grand’ argomento, che trattano. Francesco Primo, che si dilettava oltra modo di caccie, ristabili in grazia delle medesime con qualche mutazione il vecchio Castello qual ora si vede girar attorno il Cortile in forma della lettera D, figura, ch’egli li fece dare per alluder al nom d’una Dama da lui amata, il quale principiava in tal lettera. Il nuovo Palagio fu fatto fabbricar [p. 325] da Enrico Quarto ; le sei Galerie, le numerose scale, le grotte sotterranee, i compartimenti del Giardino, o più tosto de’ vari Giardini, che s’incontrano nella discesa da quell’erto Colle sono opera di Lodovico Decimo Terzo, al che tutto il Monarca presente ha dati poi quegli ultimi delicati abbellimenti, c’han reso altre volte San Germano il più celebre di tutti i luoghi Reali. La Natura vi ha contribuito tutto per far il sito amenissimo, la vista aggradevole, e piena di tutti gl’immaginabili privilegi. In un gran tratto di paese, che di piena vaghezza si domina da quell’altezza veramente straordinaria, vi si scopre assai bene così lontano, ch’egl’è, lo stesso Parigi. Ciascuno de’ Giardini, e delle grotte accennate teneva già qualche giuoco curioso d’acqua con varie figure, che si moveano, le quali all’ora faceano una gran parte di queste delizie. Nella grotta, che ancora porta il nome da lui, v’era un’ Orfeo, che nell aprirsi dell’acqua suonava delicatamente la lira accorrendo da vari siti molte sorti d’animali ad udirlo : Diverse altre statue rappresentanti il Re, il Delfino, et la Corte s movevano a veder lo spettacolo, e gli arbori si piegavano alla loro comparsa. Vi era in altra Grotta un Perseo, che volava per aria a liberar Andromeda, ed un Dragone levatosi dibatteva strepitosamente le ali vomitando dalla bocca un gran fonte, attorno il quale molti Rosignoli, e Canarini disposti negli alberi facean la melodia, ch’è lor propria. Sorpasserò [p. 326] un popolo d’altre figure minori che bello stesso tempo maneggiavano ogn’altra sorta di musicali strumenti, e rappresentavano tutti i mestieri dell’arti correndo une spesa si grande nel mantenimento di tante macchine, e giuochi, che dicono che rottasi una volta una corda al violino d’Orfeo non costasse a Lodovico XIII meno di 300 scudi il rimetterla. V’avean pure delle Grotte asciutte, che col mezzo di certo moto secreto dell’acque producevano un venticello freschissimo, il quale in oltre animava Organi, e simili strumenti pneumatici. V’eran molt’altri ingegnosi scherzi non men d’acqua, che d’aria, i quali seccatisi i fonti dopo che il Re ha fermate le sue applicazioni a Versaglie, si son tutti guastati, rimasi inselvatichiti i Giardini della discesa suddetta, e sepolte nell’erba tutte quelle logge, e quelle, altre volte si magnifiche scale in guisa che sono divenute impraticabili, e mettono una formal compassione. Quando io fui colà vi latrava in quelle Galerie una Mandra di cani, che il Re Giacomo d’Inghilterra vi tenea rinserrati per uso delle sue caccie. Il vecchio Castello solo serviva all’abitazione di questo Re, e della sua Corte, come pure per di lui servigio si teneva aggiustata, e culta l’unica parte del Giardino superiore in cima del Colle, e s’era anzi accresciuta di non peche bellezze. San Germano all’ora, ciò che differ gli Storici del Palagio di Teodofico, si potea chiamar un rigido Monastero, ed una vera scuola morale nel soggiorno di [p. 327] quest’ esule coronato, e dell’ incomparabil Maria d’Este sua Moglie non solo perchè rappresentava la maggio peripezia di fortuna, che si sia mai veduta ai di nostri, ma anco per le tante virtù Cristiane, ed Eroiche, nelle quali ambidue incessantemente s’impiegavano avendo destinato per ciascun giorno della settimana qualche particolar esercizio della loro esemplarissima Divozione. »

Madrisio, Niccolò

Récit par Louis Huygens de sa visite aux châteaux de Saint-Germain-en-Laye

« Ou on entre le premier c’est le vieux chasteau qui est bastij par François I de brique mais fort singulierement. C’est icij où loge le le Roij d’à present car le defunct estoit dans le chasteau neuf qui est en bas et bastij par Henri 4.
Il ij a dans ce vieux bastiment une chapelle assez belle où il ij a des orgues. Au reste, les appartemens du Roij et de la Reijne et la salle des comediens ij sont assez mediocres et mal entretenus, encor que le Roij ij vienne assez souvent. Elle est du reste fort grande, et on dit mesme qu’il ij [a] plus de 500 chambres logeables et encor n’ij a t il qu’une court. A costé gauche de la maison il ij a des parterres qui sont bien jolis et au delà d’autres grand jardins. Derriere il ij a premierement une grande court et au delà le chasteau neuf, qui est assez estendu en largeur mais aussij bien bas. L’architecture n’en est pas tout à fait à la moderne mode. Le corps de logis consiste principalement aux appartemens du Roij et de la Reijne. Cestuij cij est peint mais pas trop bien. Celuij du Roij est beaucoup meilleur et le plancher tout doré et lambrissé. On nous monstra icij la chambre où il est mort. A chaque appartement il ij a une longue galerie voutée toute peinte. Dans l’une des deux il ij a plusieurs villes assez mal representée, entre autres Maestricht et Nimwegen et Werrdenbirgh en Westphalie où ils ont mis dessous Werdenbroch, ville de Wespallon. Derriere cette maison, il ij a une grande terrasse, de laquelle on descend par des grands degrez dans les jardins qui viennent jusques à la riviere, mais sont tres mal entretenus, tous les degez abattus et toutes ces fameuses grottes, qui ont tant cousté autrefois, en desordre. Le chasteau vieux est toute couvert de grosses pierres de tailles au lieu d’ardoises. Quand on ij est monté dessus, on descouvre une fort belle campagne et Paris fort distinctement. »

Huygens, Louis

Récit par Johann Wilhelm Neumayr von Ramssla de sa visite à Saint-Germain-en-Laye

« [p. 143] Den 20 zogen J. Fürstl. Gn. nach S. Germain en Laye : seynd zwey königliche Häuser / ligen beyde auff einem Berge : Das alte ist ein groß Gebäwbe / meistlich von gebackenen Steinen auffgefützrek / die Form ist fast ovalis, Inmassen solches am Hoff inwendig zu sehen / welches dem Gebäwde ein selßam Ansehen gibt : Im Hoff seynd in dreyen Ecken Thürme / in solchen kan man zu oberst auffs Dach kommen. An stadt des Dachs ligen grosse steinerne Platten über einander / daß das Wasser abschiessen kan : So ist auch oben / so wol in als außwendig ein Parapetto, oder Lehne von steinern Seulen rings herumb / und demnach das ganße Gebäwde oben wie eine altana gemacht / daß man oben allenthalben sicher herumb gehen / und sich vmbsehm kan / wie man dann ein schön Theil Landes vor sich hat. Inwendig sihet man oben herumb viel Salamandra in Stein gehawen / darauß abzunemen / daß Ludovicus Xll diß Hauß gehawet.
[p. 144] Die Gemach / so viel J.F.G. gezeigetworden / seynd gar schlecht / wie auch der Saal. Nechst bey dem Thor / auff der rechten Hand ist die Capell : Die Fenster am Schloß seynd hoch / und in Schwibbogen gefast / welches dem Gebäwde ein schön Ansehen gibt : Hat ein tieffen Graben herumb Gegen Mitternacht ist ein Lustgarten mit schönen Quartiren vnnd Gängen : So ist auch nechst daran ein lustiger dicker Wald oder Thiergarten / etliche Meilwegs groß / hat rings herumb eine hohe Mawer. Auß vorbemeltem Garten seynd viel lustige alléen und Gänge in solchen Wald gemacht : Sol eine schöne Lust darinnen seyn : Darumb haben auch die Könige allzeit diesen Ort sehr geliebet und hoch gehalten der / jetzige junge König ist allhier erzogen worden.
Nicht weit davon stehet ein groß Ballhauß / sol der schönsten eines in Franckreich seyn.
Das ander königliche Hauß ligt ohn gefehr 200 Schritt von diesem / gar an der Ecke des Berges. Ob es wol nicht so weitleufftig / hoch und groß / als das ander / so ist es doch viel schöner / ordentlicher und künstlicher angelegt und gebawet. Das gantze Gebäwde ist nidrig / und nur Gemachs hoch auffgeführet : Die Gemach seynd ohn gefehr ein pahr Ellen von der Erden erhöhet : Man gehet allenthalben durchauß von einem ins andere / Ist auch das gantze Werck gleichsam in zwey Quartier außgetheilet / eins vor den König / und das ander vor die Königin / wie ein Theil an Zimmern und Galeria gebawet / so ist auch das ander. In des Königs Galeria stehen an den Wänden viel Städte auff grossen Taffeln abgemahlet / unter andern auch Venedig / Florenz / Prage / Nimegen / darunter diese Wort : Ville du fondement de l’Empire, [p. 145] Denn Carolus Magnus hat solche zu einen Reichssitz in denselben Landen gemacht / wie er auch mit Ach und Theonville daselbst gethan. Am Ende über der Thür hat der Mahler ein groß durchsichtig und prospectivisch Gebäwde gemahlet / welches von serne das Ansehen / als sehe man noch weiter die Galeria hinauß.
In der Königin Galeria stehen viel Fabuln auß Ovidio und andern Poeten, auch auff grossen Taffeln / fast in natürlicher grösse gemahlet.
Diese Galerien seynd oben rund / wie ein lang Gewölbe / Ist alles überauß schön von Golde und Farben angestrichen. So seynd auch in den Gemachen viel schöner kunstreicher Gemählde / Wände und Decke allenthalben schön gefasset / und auch mit Golde und Farben auffs künstlichste gemahlet : Camin von bundten Marbel auffs zierlichste gemachet.
Auß den Galerien und Gemachen sihet man hinab in den Fluß Seine, und ein gut Theil ins Land. Es ist aber hinter den beyden Galerien, und zwar so lang das gantze Gebäwde ist / ein Platz etwa zwölff Schritt breit / gepflastert : In der mitte daselbst stunde eine blaw Seule von Holtz mit viel güldenen Lilien daran / sol ein Brunn seyn war aber nicht ganghafft / und viel daran zerbrochen.
Weil es auch umb das Hauß also beschaffen / daß man auff beyden Seiten / da es an der lenge wendet / damit herauß an Berg gerücket / Als ist an der einen Seiten auff der Ecken eine Capell / dorinn der König Meß hört : Ist von schönen bundten Marbel / und oben hinauß rund mit einem Thürmlein / daran die Fenster / damit das Liecht daselbst hurein fallen kan. Sie ist zwar klein / aber recht schön und artig nach der architectur gemacht.
[p. 146] Von bemeltem Platz seynd zweene grosse gepflasterte Wege hinab auff einen andern Platz / so auch gepflastert : Daselbst ist eine Galeria auff hundert Schritt lang (denn so lang ist auch das gantze Hauß) die ist gleich unter vorgedachtem obersten Platz : An beyden Seiten seynd Grotten, oder schöne künstliche Gewölbe / mit Meerschnecken / Muscheln / Perlenmnutter / seltzamen Meer unnd andem Gewächsen / unnd Steinen außgesetzet. Mitten in der ersten Grotta stunde ein runder Lisch auß schwarßen Marbel / In der mitte war ein Röhrlin / auff dasselbe stackte der Italiäner / so auff die Wasserkunst bescheiden / unterschiedene Instrument, darauß sprang das Wasser auff allerley Art. Insonderheit hat er eins / das gab Wasser auff eine Form / als wann es ein schön Cristallen Kelchglaß were : Item ein anders / wie ein Umbrel, unnd also formirte er etliche Gefäß / und andere Ding vom Wasser. Auff der einen Seiten an der Wand saß eine Nympha, die schlug auff der Orgel / und regte das Häupt. Bey dem Fenster stunde ein Mercurius auff einem Fuß / und bließ eine Tromete. So saß auff der andern Seiten ein Guckguck auff einem grünen Baum / ließ sein Gesang so eigentlich hören / als wann er natürlich were.
In der andern Grotta kam ein Drach auß einer Klufft herfür / schlug mit seinen Flügeln / reget den Kopff / strackt solchen endlichen in die höhe / und speyete viel Wassers von sich. So waren auch viel Vogel umb ihn herumb / die fiengen an zu singen. Auff der andern Seite stunde ein grosser steinerner Trog von Muscheln / unnd allerley Meersteinen / auch gar künstlich gemacht : In solchem kam ein Neptunus auff seinem Wagen / so zwey Meerwunder zogen / auß einer [p. 147] Klufft herfür / regete sich alles / als hette es das Leben : Er wandte sich aber im Trog mit dem Wagen / und fuhr wieder in die Klufft hinein.
Von diesem Platz gehen abermaln zweene gepflasterte grosse Wege hinab noch auff einen andern Platz / so auch gepflastert / daselbst ist eben auch eine solche lange Galeria mit zweyen Grotten, welche gerade unter die ersten gebawet. In der ersten Grotta stunde an der einen Seiten ein grosser steinerner Trog / auch auff die Art gemacht / wie von den vorigen gemeldet worden / war voll Wasser / vnnd sahe man nichts darinn / bald that sich allmehlich ein grosser Drach auß dem Wasser herfür / breitete die Flügel auß / hub den Kopff in die höhe / gab ein selßam Gethön / unnd endlich auch Wasser von sich. Auff der andern Seiten stund ein Berg / daran waren Wind und andere Mühlen / die giengen umb / Item allerley Handwercksleute / die ftengen an zu arbeiten / und regete sich alles : In der Grotta am audern Ende dieser Galeria, war ein Orpheus mit seiner Lyra, unnd umb ihn eine grosse Anzahl wilder Thier und Vögel : Wann er musiciret, so sol sichs alles regen / war dumaln ungangbar / dann die Grotta sol ein Riß betommen haben / und sagte der Welsche / daß sie unter 40000 Cronen nicht könte wieder repariret werden.
Alle bißhero erzehlte Grotten seynd also gemacht / daß man einen trieffnaß dorinn machen kan / dann das Wasser felt nicht allein von oben herab / sondern springt auch auß der Erden / und von allen Seiten herfür.
Von diesem Platz gehet man noch ferner zweene gepflasterte [p. 148] Wege hinab auff einen grossen Platz / daselbst wird jetzt ein Lustgarten mit Quartieren von artigen Zügen mit Burbaum zugericht. Auß diesem Garten werden noch mehr Wege gemacht / daß man vollends gar hinab zum Fluß kommen kan : Ist also an diesem Ort ein recht königlicher Lust. König Kenricus IV hat es gebawet auch bey seinem Leben / weil es nicht weit von Pariß / sich gar offt daselbst auffgehalten. Es ist zwar alles gar ansehnlich und herzlich auffgeführet und zugericht : Ist aber anders nichts als ein grosser Steinhauffen. Dann da sihet man nichts als Steinwerck / und gar keine Bäwme oder Streucher. Wann der Berg auff die maß zugericht were / wie der zu Tivoli bey Rom am schönen Palatio daselbst / weil er selbigen bey nahe gleichet / würde die Lust bev weitem schöner und herrlicher seyn. »

Neumayr von Ramssla, Johann Wilhelm

Récit par Jodocus Sincerus de sa visite des châteaux de Saint-Germain-en-Laye

« [p. 293] Lorsque tu es à Paris, il ne faut pas négliger de visiter les lieux voisins les plus remarquables. Outre Fontainebleau, que j’ai décrit tout à l’heure, il y a la ville de Saint-Germain-en-Laye, située à cinq lieues. Elle ne manque pas d’une certaine antiquité. Ce fut le roi Charles V qui en commença le château, ou du moins qui le restaura ; mais François Ier, passionné pour la chasse, le fit reconstruire avec plus d’éclat. Cette ville ne fait partie d’aucun diocèse. Elle est contiguë à une forêt de chênes, appelée le Bois de trahison. Dans l’angle qui regarde la ville, on m’a montré une grande table de pierre auprès de laquelle on dit que la trahison fut conçue ; je laisse à d’autres le soin d’expliquer en quoi cette dernière consistait, et qui l’exécuta, ne voulant pas m’égarer dans les choses incertaines. On prétend aussi que les branches des arbres de cette forêt jouissent de cette propriété singulière, de couleur à fond comme les pierres, au lieu de surnager, si on les jette dans la Seine ; mais je n’ai pas expérimenté le fait.
J’ai encore emprunté à Mérula ce passage. Je dirai en outre que le nouveau château est une construction admirable. J’y ai remarqué six galeries et des grottes dans lesquelles l’eau, amenée par des conduits divers, produit des effets mécaniques étonnants : 1° la grotte d’Orphée, [p. 294] où on voit une statue du poète, tenant une lyre sur laquelle il joue, lorsqu’on fait marcher les eaux. Au son de la lyre, différents animaux s’avancent autour d’Orphée, les arbres s’inclinent, et le roi passe avec le dauphin et toute sa suite ; 2° la grotte d’une jeune musicienne que les eaux mettent en mouvement, et qui lève la tête de temps en temps comme si elle regardait réellement ses auditeurs. À ses côtés, des oiseaux exécutent une mélodie suave. Remarque contre la fenêtre une table de marbre bigarré représentant un gracieux paysage. Au milieu est un tuyau d’où l’eau s’échappe, en courant autour d’obstacles qui la forcent à représenter différentes figures. Contre la muraille intérieure on a placé la statue d’un satyre ; 3° grotte de Neptune : lorsqu’on fait marcher les eaux, deux anges sonnent de la trompette, et, à ce bruit, Neptune paraît, armé d’un trident, et traîné dans un char à deux chevaux ; après être resté un instant, il s’en retourne, et les trompettes sonnent encore. Tu remarqueras sur la muraille les forges de Vulcain ; 4° la grotte de Persée : on voit celui-ci délivrer Andromède et frapper le monstre main de son glaive.
Entre les deux premières grottes tu en verras une cinquième, celle où un dragon lève la tête en battant des ailes, et vomit tout-à-coup de larges torrents d’eau, pendant que des rossignols [p. 295] factices font entendre des chantes harmonieux. Outre ces grottes où les eaux jouent de toute part, il faut voir aussi la grotte sèche, qui offre en été une fraicheur délicieuse ; une fontaine avec une statue de Mercure dans l’une des galeries ; et enfin, dans une des chambres du palais, l’image de la France éplorée qui se laisse choir, et que le roi soulève pour la remettre dans son premier état. »

Sincerus, Jodocus

Récit par Georg von Fürst de sa visite à Saint-Germain-en-Laye

« [p. 207] Zu einer andern Zeit ritten wir nach S. Germain en Laye, welches auch ein Königliches Lust Schloß ist, und 6 Meilen von Pariß lieget. Es sind allhier 2 Königliche Häuser, welche beide auf einem Berge erbauet seyn. Das alte ist ein groß Gebäude, so meistens von Ziegelsteinen aufgeführet. Es hat ein ovales Ansehen, und macht eine wunderliche Figur. In drei Ecken des Hoffes stehen hohe Thürme, in welchen man biß oben auf das Dach steigen kan. Auf dem Dache liegen grosse steinerne Platten, welche so geleget seyn, daß das Wasser darauf abschießt. Und auf den Seiten befinden sich schöne Seulen, welche das ganze Gebäude umgeben, und einen vortreflichen Altan machen. Man kan sich weit und breit darauf umsehen, und ein groß Stücke Landes [p. 208] betrachten. Gegen Mitternacht ist ein Lust-Garten welcher mit schönen Quartieren und Gängen ausgeziehret ist. Nächst daran stößt ein dicker Wald, oder Thier Garten, welcher etliche Meilen groß ist, und rings herum mit einer Mauer umgeben. Man nennet diesen Wald das Holz der Verrätherey. In einer Ecken stehet ein steinerner Tisch, daran ehemahls diejenigen gesessen, welche eine gro Verrätherey angerichtet, und sich deswegen einander verschworen haben. Von diesem Holße ist merkwürdig, daß es von der Zeit an teine Früchte getragen. Wenn man einen Ast von einem Baume abschneidet, so verdorret er, und bringt keine Blätter mehr hervor. Der Ast selbst zu Grunde, wie ein Stein, wo er in die vorbeyflüßende Seine geworffen wird. Man meynet, daß Gott dadurch feinen Zorn anzeige, welchen er gegen die Verräther gefasset, die an diesem Orte ihre Gottlosigkeit beschlossen haben. Das neue Hauß liegt ohngefehr 200. Schritte von dem alten, und ganz an der Ecke des Berges. Es ist zwar nicht so weitläufftig, hoch und groß, als das vorige, aber viel schöner, ordentlicher und künstlicher gebauet. Man kan aus einem Zimmer in das andere gehen. Das ganze Gebäude ist gleichsam in zwei Quartiere eingerheilet, eins vor den König, und das andere vor die Königin. Wie denn auch auf beyden Seiten die Zimmer einerley seyn. Bey diesem Berge ist ein schöner Platz zusehen wo auf beyden Seiten vortreffliche Grotten gemachet seyn. In der esten funden wir einen runten Tisch von schwarzen [p. 209] Marmor, welcher in der Mitten ein Röhrgen hatte. Auf daßelbe steckte der Kunst Meister unterschiedne Instrumente, durch welche das Wasser auf unterschiedne Weise sprunge. Insonderheit gefiel uns eine Art wohl, da das Wasser eine Gestalt vorstellete, als wenn man ein Kelch Glaß von dem schönsten Christall sähe An der Wand faß eine Nymphe, welche auf der Orgel schlug, und das Haupt darzu bewegte. Mercurius aber stund bey dem Fenster auf einem Fusse, und machte ein lustiges Stückgen mit seiner Trompete. Auf der andern Seite sahe man einen Guckug, welcher auf einem Baume saß, und seine Stimme so natürlich hören ließ, als wenn er lebendig wäre. In der andern Grotte wurden wir einen Drachen gewahr, welcher aus seiner Klufft hervor kam. Er schlug mit seinen Flügeln um sich, regte den Kopf, streckte ihn hoch in die Höhe, und spiehe viel Wasser von sich Um ihn befanden sich viel Vögel, welche ihre Stimmen erhuben, und eine angenehme Mufique machten. An der andern Seite stund ein großer Trog, welcher von Muscheln und Meersteinen sehr künstlich verfertiget war. Neptunus kam auf einem Wagen hinein gefahren, welcher von zwei Meerwundern aus einer Klufft gezogen wurde. Es regte sich alles, als wenn es lebendig wäre. Wie er sich nun in dem Troge mit seinem Wagen umgewendet hatte, so fuhr er wieder in seine Klufft hinunter. Von diesem Orte giengen wir auf einen andern Platz, wo wir ebenfalls schöne Grotten antraffen. In der ersten sahen wir auch einen grossen Trog, welcher [p. 210] mit Wasser ganz angefüllet war. Wie wir hinzukamen, so war nichts darinnen zu finden. Bald aber regte sich allmehlich ein großer Drache. Er kam aus dem Wasser hervor, breitete die Flügel aus, hub den Kopf in die Höhe, und verursachte ein wunderlich Geräusche. Endlich spiehe er viel Wasser von sich, daß wir uns kaum retiriren konten. Auf der andern Seite stund ein Berg, daran sich Wind und Wasser Mühlen befanden, die ordentlicher Weise herum giengen. Dabey sahe man allerley Handwercks Leute, welche anfiengen zu arbeiten, und sich an allen Orten bewegten. An dem äussersten Ende der Grotte saß Orpheus mit seiner Leyer und um ihn stunden viel Thiere und Vögel So bald er nun anfieng zu leyern, sogleich wurde auch alles rege, und sprung um ihn herum. In allen diesen Grotten muß man sich wohl in acht nehmen, wenn man nicht will bade naß werden. Denn ehe man sichs vermuthet, so springet das Wasser aus der Erden, aus den Wänden, und auch aus der Decke. Es ist lustig anzusehen, wenn es uns nur nicht selber betrifft. Hier hielt sich der König in Engelland, Jacob der II. auf, und beweinte mit seiner Gemahlin die grosse Thorheit, welche er in Engelland begangen. Sein Vater, Carl der I. vergriff sich an dem ersten Grund Gesetze und wollte aus eigner Macht dem Volcke Contributionen aufflegen. Darüber verlohr er sein Königreich, und auch seinen Kopff darzu. Hieran hätte sich sein Sohn spiegeln sollen, und desto behutsamer regieren. Allein er griff das andere Grund [p. 211] Gesetze an, und wolte neue Gesetze machen, ohne das Parlament darum zu befragen. Hierüber büßte er seine drey Kronen ein, und muß allhier das Gnaden Brod essen. Doch was können nicht die Papistischen Rathgeber anrichten, wenn sie einen Regenten überreden wollen, daß er wider alle Grund Gesetze handeln, und seine Evangelische Unterthanen mit Gewalt zum Pabstthum zwingen dürffe. »

Fürst, Georg (von)

Récit par Elie Brackenhoffer de sa visite à Saint-Germain-en-Laye

« [p. 11] Le jeudi 13 octobre, en compagnie de M. Offmülner et de son majordome, ainsi que d’un Suisse, j’ai fait une excursion à Saint-Germain-en-Laye. Nous sommes partis en voiture à 7 heures du matin, et à 10 heures nous sommes arrivés. La journée était belle et claire, mais le vent froid. Le chemin était agréable ; nous y avons vu une grande quantité de villages et de bourgs, qui étaient un charme pour les yeux. Devant Saint-Germain, s’étend une grande île, que le grand chemin traverse, sur plus d’une lieue de long ; des deux côtés il y a des ponts à péage. Cette île, assez vaste (comme on l’a dit) est plein de cerfs, de chevreuils, de lièvres et de lapins ; comme il est interdit, sous les peines les plus sévères, de les tuer ou de leur faire du mal, ils sont si familiers, qu’ils n’ont pas peur des voyageurs ou des passants ; au contraire, ils accourent. Cette île est entourée par la Seine ; elle est pleine d’arbres et de bois, et chaque année, à [blanc, pour la Saint-Hubert], les princes et les plus grands personnages de la cour y font une grande chasse, après laquelle on donne un fin banquet en l’honneur de ce saint, patron des chasseurs. Cette année, Mons. Monbason, grand veneur de France, présenta un cerf, [p. 12] en présence des ducs d’Orléans, d’Anguien et d’autres grands personnages assemblés.
Saint-Germain est un peu sur la hauteur (il faut mettre pied à terre deux fois) ; pour ce motif, il y a une plus belle vue sur la campagne et les localités environnantes que dans toutes les autres résidences royales. Elle est à 4 milles de Paris. On la divise en vieux et nouveau château. Le vieux, bâti par Charles V, et restauré pour la première fois par François Ier, est petit, et tout en brique. Son toit est revêtu de carreaux, presque comme à la Bastille, à Paris ; on peut s’y promener et regarder très loin autour de soi. Sur les cheminées de ce château, on voit partout F.F., ce qui signifie que François Ier l’a restauré. Il est très haut ; il y a 63 appartements, mais pas particulièrement magnifiques. La chambre du roi, où il réside parfois en hiver, paraît un peu sombre ; à ce moment elle n’était pas meublée. On nous a aussi montré la salle où se joue la comédie ; au-dessous de la scène, des deux côtés, on a peint un escalier de six ou huit marches environ avec tant d’art, qu’on s’y trompe, et que nous ne pouvions pas croire qu’il fût peint, avant de nous en être approchés et de l’avoir touché de nos mains.
La cour est presque ovale ; elle est de grandeur moyenne ; à droite de l’entrée, se trouve une chapelle, qui est toute dorée, et décorée à profusion de belles peintures et d’autres ornements. L’autel est orné de colonnes de marbre noir et d’ouvrages dorés. L’orgue, également doré, est superbe et d’un grand prix. Ce château est entouré d’un fossé profond, mais sans eau. Aussi, pour entrer, on passe sur un pont, muni d’un pont-levis.
A gauche du château, il y a un beau parterre, sur lequel [p. 13] donne la chambre du roi, et qui a une belle vue. Au bout de ce parterre, commence un beau parc, un bois, long de deux lieues, dans lequel on peut voir un long jeu de mail, muni de pavillons quarrez en maçonnerie, où l’on peut se reposer ou bien où peuvent se mettre les spectateurs, sans être gênés. Devant le château, il y a une grande et large basse-court, dans laquelle sont les écuries et autres communs. De là, on accède à droite dans une très grande et belle cour, divisée en deux par une cloison, par laquelle nous parvînmes tout droit au château neuf.
Il a été bâti par Henri IV ; il est donc encore assez neuf. On y montre : 1° L’antichambre du roi. 2° Chambre où est mort Louis XIII. 3° Cabinet. 4° Galerie du roi, au haut de laquelle on voit cet emblème : Duo protegit unus, ce qui veut dire qu’il possède à lui seul deux royaumes, la France et la Navarre. Au-dessus de la porte, est représenté le château de Fontainebleau ; des deux côtés, sont très joliment peintes à la détrempe, en assez grande dimension, les villes suivantes : Huy, Venize, Prague, Namur, Mantoua, Aden en Arabie, Compaigne, Heureuse, Sion en Suisses, Moly, Tingu, Stafin en Afrique, Teracina, Ormus en Perse, Bellitry, Werderboch en Westphale, Numegen, avec cette inscription : Ville du fondement de l’empire, car Charlemagne a voulu faire de ces villes des villes impériales. Passau, Mastrich, Thessala Tempe, Florence.
5° L’antichambre de la reine. 6° Sa chambre, dans laquelle est né Louis XIV, le roi actuel. 7° Le cabinet de la reine. 8° Sa galerie, ornée de grands panneaux avec des scènes tirées d’Ovide. Ces appartements sont égaux en dimensions et en beauté ; tous en effet, sont ornés de belles dorures et de sculptures ; égaux aussi en vue, car ils ont la même exposition, étant tous dans le corps de bastiment qui donne sur le jardin. Dans les deux appartements, il y a encore [p. 14] quelques autres pièces pour les officiers et les gardes, dont la Française est d’un côté et la Suisse de l’autre.
Sous la galerie et la chambre du roi, on montre encore quelques chambres basses, ou bien plutôt écuries, dans lesquelles se trouvaient les oiseaux et les quadrupèdes suivants : un castor ; des corneilles des Pyrénées, environ de la grosseur d’un pigeon, tout entières d’un noir intense, comme du charbon ; elles ont des becs rouge sang, et des pattes sans plumes ; des outardes, ou oies sauvages ; des petits chevaliers de la mer, petits oiseaux marins ; un aigle ; un perroquet de toutes les couleurs, extraordinairement grand et beau ; un mouton du pays de More, qui est haut, et qui a un cou et des pattes longs et rudes, un museau pointu ; un mouton turc ; un bouquetin femelle ; le mâle a été détruit après la mort de Louis XIII, parce qu’il avait fait beaucoup de mal et endommagé des gens ; on montre encore ses cornes, elles sont extraordinairement grandes et admirables en cela. La femelle est loin d’avoir d’aussi grandes cornes ; elles sont cependant plus grandes, plus larges et plus incurvées que les ordinaires ; son poil est aussi d’autre couleur que les ordinaires, il est épais, gris et a un aspect bien sauge. Un mouton de la Barbarie, qui a une queue, large en haut presque comme deux mains, et qui par le bas se réduit à rien ; elle n’est pas particulièrement longue, mais elle est épaisse et grasse, et en bas elle est toute blanche et molle de graisse ; il se met à beugler quand on lui tire ou lui prend la queue.
Un chat de l’ile du Canada, autrement dit une civette ; il est beaucoup plus grand qu’un chat domestique, mais il en a presque la forme et le poil. Dans une cour, devant, il y avait beaucoup de canards et d’oies des Indes, une grande quantité de poules d’eau des Indes, quelques cygnes, des faisans et autres gallinacés.
De là, nous sommes descendus dans les jardins, [p. 15] pour voir les grottes. Il y avait à vrai dire cinq grottes naguère, savoir une grotte seiche, dans laquelle on prenait le frais en été et on se garantissait de la grande chaleur ; la grotte de Neptune ; des orgues ; de Persée ; et d’Orphée ; mais il ne reste que les deux dernières, les autres s’étant écroulées en 1643, avec de grands dommages et de grosses pertes, après avoir été bâties à grands frais. Ces grottes passaient, disent quelques-uns, pour supérieures à toutes celles de France, d’Allemagne et d’Italie, mais la plupart affirment qu’elles égalaient celles d’Italie, sans toutefois les surpasser.
Avant que nous visitions les grottes, le fontainier exigea de nous une pistole, pour faire jouer les eaux, sous ce prétexte qu’il était obligé d’y employer 50 torches ; et comme il s’obstinait dans sa prétention, il fallut bien en passer par là, car nous ne voulions pas être privés du meilleur morceau de notre excursion. Dans la grotte de Persée, il y avait, tout à l’entrée, un grand bassin, dans lequel se trouvait un grand dragon ; au-dessus de lui était juché Persée ; sur le côté il y avait une montagne, près de laquelle était sculptée Médée, le tout en cuivre. Persée presque de grandeur naturelle se précipitait de la hauteur vers le dragon, il avait en mains un bouclier et une épée, et quand il fut près du dragon, il donna quelques coups ; [p. 16] le dragon, qui était grand, horrible et épouvantable, se dressa avec un grand fracas, battit des ailes en l’air, ouvrit la gueule et grinça des dents, de si terrible manière, qu’en raison de la soudaineté, on en était presque épouvanté. Le dragon laissa retomber ses ailes, calma sa fureur, et à ce moment l’eau du bassin s’épandit plus abondante, submergeant presque le dragon ; il paraissait mort, et avoir été tué par Persée. Et alors Persée revint à sa place. C’est une belle pièce, qui mérite bien d’être vue.
Dans la même grotte, à gauche, il y a une montagne, où se trouvent quantité de forges, de papeteries et de moulins à blé en bois, qui sont tous mis en mouvement par des appareils hydrauliques. De même, quelques chapelles ou églises, dont l’eau faisait sonner les cloches. Tout cela est très gentil et très beau. Devant cette grotte, l’eau joua aussi comme si de tous les bouts et de tous les coins était tombée une pluie chassée par le vent, de sorte que tous ceux qui ne se retirèrent pas de côté furent complètement trempés.
De là, nous nous rendîmes à l’autre grotte. Dans celle-ci était assis Orphée, presque de grandeur naturelle ; il jouait du violon, remuant les mains et frottant l’archet sur le violon, mais à l’intérieur, par un habile jeu des eaux, une position était introduite qui donnait d’elle-même le ton du violon. Autour, se dressaient beaucoup d’arbres, sculptés en bois, qui remuaient et dansaient ; un rossignol était perché sur un arbre et chantait. Des deux côtés, accoururent toute sorte de bêtes sauvages qui écoutèrent Orphée, puis l’une après l’autre rentrèrent. Un coq d’Inde se tenait non loin d’Orphée, se tournait et se trémoussait, et se posait comme s’il dansait. Un singe était assis, qui portait constamment une pomme à sa gueule. Parmi tout cela, coulaient les rigoles, giclaient les tuyaux venus d’un bassin devant lequel était assis Orphée.
Après cela, dans une grande fenêtre ou trou carré, qui s’étendait loin en arrière en perspective, de toutes parts [p. 17] garnie de lumières, un jeu d’eau produisait l’effet suivant : les sept planètes, faites d’une sorte de bronze et peintes, se mirent en mouvement ; une partie, savoir le soleil, la lune et Mercure en haut, les autres par terre, et il est impossible de voir avec quoi ni comment ils sont tirés. Puis, apparaissent aussi les douze figures du Zodiaque, les quatre éléments. Item, le jeune roi s’avance aussi, avec son frère le duc d’Anjou, escortés par les Suisse. On représente encore la mer, avec ses grandes vagues, et des bateaux qui y naviguent. On représenta également l’enfer, plein de feu, et si artistiquement fait qu’on croit voir tout brûler réellement ; et on y voit des figures représentées par une tête, sur laquelle s’acharne la fureur du feu ; les yeux de cette tête sont rouge feu. Devant l’enfer, se tient Acharon, l’infernal nocher ; un autre tient Cerbère enchaîné.
Il y a aussi une représentation analogue du paradis, et beaucoup d’autres choses, qu’à cause de leur multitude je n’ai pas toutes pu retenir et décrire. Dans cette grotte, à droite, Bacchus est assis sur un tonneau ; il a une coupe en main, si pleine qu’elle déborde, et que l’eau en tombe goutte à goutte.
Il y a aussi les quatre vertus cardinales en marbre blanc ; on dit qu’elles se trouvaient naguère à la pyramide des Jésuites, qui était près du palais.
Ces deux grottes sont carrés, bien voûtés, joliment pavées de petits cailloux vernissés, pour le reste, de toutes parts ornées de coquillages et de toute sorte de colimaçons, ainsi que de cristal, de merveilleuses pétrifications, de minéraux et autres ornements. A remarquer qu’on ne voit pas de murailles ni de mortier, ni sur les côtés, ni en haut. Le pavé (formé, comme on l’a dit, de petites pierres et d’ardoises de dimensions égales) représente des roses et d’autres figures, ainsi que des coquillages et des colimaçons, [p. 18] assemblés non sans un art consommé, et formant toute sorte de dessins.
Quant aux jardins, il semble à vrai dire qu’ils ont dû être superbes et charmants, mais maintenant ils sont à l’abandon ; en effet, dans le voisinage de l’eau, on ne voyait pas trace du moindre canal ; à vrai dire, à en juger par le cuivre, il devait y en avoir cinq ou six, mais ils étaient complètement envahis par la végétation. De même, dans le verger voisin, tout était ravagé et en désordre. Il y a cinq jets d’eau, mais l’eau ne jaillissait pas de tous.
De ces jardins, l’un est plus haut que l’autre : on en a une très jolie vue sur l’île voisine, et par les temps clairs, on distingue fort bien de là Paris et beaucoup de petites villes, de bourgs et de villages. Pour la jolie vue, ces jardins surpassent de beaucoup toutes les autres résidences de plaisance royales. »

Brackenhoffer, Elie

Récit par Edward Browne de sa visite à Saint-Germain-en-Laye

« We dined at Rueil and in the afternoon we cross’d the Seine twice and came to St. Germaines. Wee entred a great Court Yard and left a Chasteau well ditchd on the left hand, and a Teniscourt on the right (this is the Kings house), wee went forward to the house, of which the front is supported with noble round pillers.
Here was no Entrance for us and we despairing to get in, by great fortune there came two Capucins, under whose conduct wee saw the house. The Hangings were taken downe, but the roomes were nobly guilt and Painted, the roofe especially. Of two Galleries the one [was] hang’d with very rarey painted pieces and the other with the Mapps of great Cities. Out of these Galleries you have the noblest Prospect hereabouts. We went out on the other side of the house and so descended by those three stately cloisters, which stand one above another, supported with vast Pillers, and made pleasant with waters workes, and makes a noble showe a great way before you come at the house. Afterwards you descend into a Garden, and so lower into a Medow, till you come at the Water side from whence the house stands a great height, and is seen all about the Coutrey. Wee lodged this night at Le Pec a little town by the river sid and [vide]. »

Browne, Edward

Récit par Eduard Kolloff de sa visite à Saint-Germain-en-Laye

« [p. 128] Die anmuthige Lage der Stadt Saint-Germain-en-Laye auf einem der vielen Hügel, welche die Ufer der Seine beherrschen, bewog zuerst Ludwig den Dicken, hier ein Schloß zu bauen. Dasselbe wurde im vierzehnten Iahrhundert von den Engländern zerstort und erstand erst unter Karl V wieder aus seiner Asche. Franz I erweiterte und verschönerte es, indem er ihm zu Ehren der Diana von Poitiers die Form eines gothischen D geben ließ. Ludwig XIV verließ diesen seinen Geburtsort aus Aberglauben und bewies gleiche Schwache, wie Katharina von Medicis, welche dasselbe Schloß aus einem andern Vorurtheile floh. Nostrodamus hatte namlich der französischen Agrippina prophezeit, daß sie in Saint-Germain sterben würde. Sie wählte darauf Paris zu ihrem Aufenthaltsorte und bewohnte das Louvre ; aber das Louvre grenzte an die Kirche Saint-Germain l'Auxerrois. Sie begab sich daher nach Blois, wo sie krank wurde und zur größten Ehre und Freude der Astrologen in den Händen des gelehrten Bischofs von Noyon starb, welcher Saint-Germain hieß.
Heinrich IV hat in Saint-Germain unermeßliche Summen verschwendet. Er fügte zu dem alten Schlosse noch ein neues hinzu, welches die Residenz der schönen Gabriele von Estrées wurdeWenn [p. 129] man sich damals über die an das Schloß stoßende Terrasse lehnte, erblickte man Kaskaden, Grotten, hängende Gärten u. s. w. Der König hatte den berühmten Mechaniker Francini aus Florenz kommen lassen, um in Saint-Germain die Wunder seiner Kunst zu zeigen. Dieser schuf daselbst die Grotten des Perseus und Orpheus, zwei Meisterwerke der mechanischen Bildnerei ; auf der einen Seite sah man den Perseus in voller Rüstung, wie er der an den Felsen gebundenen Andromeda zur Hülfe eilt, und emen ungeheuren Drachen, welcker wüthend aus einem Gartenteiche hervorschießt, besiegt und wiederum in den Abgrund zurückjagt ; gegenüber war Orpheus in natürlicher Größe abgebildet, auf einem Felsen sitzend und fromme Kirchenarien auf seiner Leier spielend, zur großen Rührung der ihn umgebenden Felsblöcke, welche Strome von Thronen vergießen, und aller Thiere der Schöpfung, welche vom Elephanten bis zur Blattmilbe, aus ihren Schlupfwinkeln herbeieilen, um den Tonen der Musik zu lauschen. Diese ganze künstliche Welt lebte, regte und bewegte sich aufs wunderbarste ; zum großen Verluste für die Kunst ist sie leider im I. 1649 untergegangen.
Unter den Nachkommen Heinrich IV wurde das Schloß von Saint-Germain ein Asyl für Iakob II und die Seinigen ; gegenwärtig ist es in eine militärische Strafanstalt verwandelt.
[p. 130] Die Stadt ist unbedeutend ; viele kleine Rentiers haben sich aus dem Lärm der Hauptstadt nach Saint-Germain zurückgezogen, obschon mehrere daselbst befindliche Reiterkasernen und das Garnisonsleben die angenehmen Spaziergänge und die ländliche Zufriedenheit und die gesunde Luft vielfach verbittern. Die Eisenbahn hat reges Leben in die Stadt gebracht ; bereits sind die Preise der Häuser und Wohnungen bedeutend gestiegen. Von der berühmten Terrasse hat man wirklich eine herrliche Aussicht auf das Thal der Seine, deren Lauf man von hier aus weithin verfolgen kann. Von Paris sieht man außer dem Triumphbogen wenig ; wohl aber die nordwärts gelegenen Anhöhen. Der Wald, welcher die Terrasse auf der Südseite beschattet, bietet äußerst liebliche Spaziergänge. Das alte weitläuftige Schloß mit vielen für den Architekten wichtigen Details ist für gewöhnliche Besucher unzugänglich geworden.
Das sogenannte Logenfest, ein Iahrmarkt, welcher alle Herbst gehalten wird, zieht jedesmal eine unermeßliche Menschenmenge nach Saint-Germain. »

Kolloff, Eduard

Récit par Dubois, valet de chambre du roi, de la mort de Louis XIII à Saint-Germain-en-Laye

« [p. 523] Le samedi vingt unieme de fevrier 1643, le Roi est tombé malade d’une longue et mortelle maladie, qui paroissoit comme flux hépatique (les autres la nommerent fievre etique), laquelle ensuite causa des abscès dans le corps et pourtant donnoit toujours quelque esperance de guerison. Et pour marque de cela, le premier jour d’avril que nous commençames le quartier, le Roi se leva et fut quasi tout le jour hors du lit, et travailla fort longtemps à peindre certains grotesques, à quoi il se divertissoit ordinairement.
Le 2 avril, il se leva encore comme les autres jours et se divertit à l’ordinaire.
Le 3, il se leva et voulut faire un tour de gallerie. J’avois l’honneur de lui porter sa chaise pour se reposer ; il la demandoit souvent et ne faisoit pas vingt pas qu’il ne la lui fallut donner, quoique messieurs de Souvré et de Charost, l’un premier gentilhomme de la chambre en année, le second capitaine des gardes de quartier, l’aidassent en le soutenant par-dessous les bras. Ce fut la derniere promenade que fit Sa Majesté. Apres, Elle se leva de fois à autre mais ne s’habilla plus et alla toujours souffrant et s’affoiblissant jusqu’au dimanche 19 avril, qu’il dit avoir tres mal passé la nuit, et sur les huit heures du matin il dit ces memes paroles : « Je me sens bien et vois mes forces qui commencent à diminuer ; j’ai demandé à Dieu cette nuit que, si c’etoit sa volonté de disposer de moi, je suppliois sa divine majesté d’abreger la longueur de ma maladie ». Et alors, s’adressant à M. Bouvard, son premier medecin, il lui dit : « Vous savez qu’il y a longtemps que j’ai mauvaise opinion de cette maladie ci et que je vous ai prié et meme pressé de m’en dire votre sentiment ». Ce que M. Bouvard avoua, disant : « Il est vrai, Sire ». Le Roi reprit la parole et dit : « Je vois bien qu’il faut mourir, je m’en suis aperçu dès ce matin, puisque j’ai demandé à M. de Meaux (qui etoit son premier aumonier) et à mon confesseur les sacremens qu’ils m’ont differés jusqu’à présent » ; et continua son discours par les plus beaux termes du monde, qui faisoient voir qu’il étoit fort preparé à mourir. Ces paroles furent si essentielles qu’elles nous tirerent des larmes en abondance. Mais l’après dinée, sur les deux heures, il nous confirma bien plus fortement dans la croyance qu’il en avoit. S’etant levé et mis dans sa grande chaise à la romaine, où l’on se peut coucher tout de son long, ou bien souvent il se reposoit et faisoit de longs sommeils, particulierement les soirs, et dans laquelle il se soulageoit un peu de la lassitude son lit, étant donc assis dedans, la tete haute, il nous commanda d’ouvrir les fenetres afin qu’il vit, nous dit il, sa derniere demeure. Ce fut une pensée qui nous troubla et nous toucha vivement, puisqu’etant logé au chateau neuf de Saint Germain en Laye, il avoit fait sa [p. 524] chambre du cabinet de la Reine, duquel on a la plus belle vue du monde, particulierement celle de Saint Denis qui se decouvre fort à plein, et c’etoit la demeure qu’il entendoit et nous aussi.
Tous les soirs, il se faisoit lire la vie des saints ou quelques autres livres de devotion par M. Lucas, secretaire du cabinet, et quelquefois par M. Chicot, son medecin.
Le soir du meme jour, il demanda au sieur Lucas de prendre un petit livre du Nouveau Testament et de lire en Saint Jean, chap. 17 : Pater meus, clarifica me, chapitre qu’il lui remarqua positivement, qui sont les meditations de la mort que fit Jesus Christ avant de passer le torrent de Cedron, et la priere qu’il fit à Dieu, son père, sur le meme sujet, qui est ravissante.
Le Roi, ayant fait un assez long sommeil dans sa chaise et n’ayant plus envie de dormir, fit lire dans l’Introduction à la vie devote, par le bienheureux François de Salles. Ayant commandé au sieur Lucas de lire les chapitres de la meditation de la mort, Sa Majesté voyant que ledit sieur Lucas ne les trouvoit pas assez tot, prit le livre, à l’ouverture duquel il trouva les meditations qu’il cherchoit, et lui dit : « Lisez cela » ; ce qui fut fait jusqu’à minuit, apres quoi le Roi nous commanda de nous retirer.
Le lundi vingtieme, il fit la plus haute action qui se pouvoit faire en semblable occasion. Il declara la Reine regente apres sa mort. Il fit cette action avec un visage gai et satisfait, en presence de la Reine, de M. le duc d’Orleans, de M. le Prince et de tout ce qu’il y avoit de Grands à la Cour. MM. les ministres d’Etat y etoient presens. Le Roi nous ordonna d’ouvrir les rideaux de son lit et, apres avoir entretenu la Reine, monsieur son frere et M. le Prince, il haussa le ton de sa voix et fit un tres beau discours à toute l’assemblée, puis il commanda à M. de La Vrilliere, secretaire d’Etat, qui etoit lors en mois, de lire tout haut la regence de la Reine, afin que tout le monde scut sa derniere volonté.
M. de La Vrilliere, touché d’une semblable action, qui donnoit une marque evidente de la mort prochaine du Roi, fit cette lecture au pied du lit de Sa Majesté. Les larmes qui couloient de ses yeux en abondance etoient des preuves authentiques de sa douleur. La Reine etoit au pied du lit du Roi, assise dans une chaise que j’avois eu l’honneur de lui presenter ; elle fondoit aussi en larmes. Tout le monde pleuroit aussi. Apres la lecture faite, le Roi s’adressa à la Reine, à monsieur son frere et à M. le Prince, et ensuite à MM du parlement, qui etoient aussi presents, auxquels il dit des choses si touchantes qu’ils ne pouvoient tous se consoler. Le Roi, qui paroissoit ce jour là avec un visage vermeil, content et sans inquietude, marquoit bien qu’il n’avoit nulle apprehension de la mort. Tout le monde voyoit le plus grand roi de la terre, chargé de conquetes et de victoires, quitter son sceptre et sa couronne avec aussi peu de regret que s’il n’eut laissé qu’une botte de foin pourri. Il sembloit que Dieu lui eut donné plus de force ce jour là que les precedens, pour donner lieu de faire voir en lui une plus grande et plus genereuse action que toutes celles qu’il avoit jamais faites.
Tout le monde se retira en pleurs. Apres, le Roi fut assez longtemps avec M. de Meaux et son pere confesseur. Le soir, il se fit lire la Vie des saints.
Le mardi 21, le Roi dit qu’il avoit bien mal passé la nuit et qu’il se trouvoit foible des grandes evacuations qu’il avoit faites et faisoit encore. Apres une où je me trouvai seul aupres du chevet de son lit, luy ayant presenté son linge pour se nettoyer, et lui soutenant un peu haut son drap et sa couverture, il se regardoit le corps. Apres se l’etre consideré un espace de temps, il dit, levant les yeux au ciel : « Mon Dieu, que je suis maigre ! » comme, en effet, on ne pouvoit pas l’etre davantage. Il n’avoit plus que les os et la peau. On lui voyoit les cuisses et les jambes si menues du haut en bas qu’il n’y avoit que les genoux qui faisoient remarquer un peu de grosseur en cet endroit ; le reste sembloit un squelette.
Le reste de ce jour fut employé comme les autres à prier Dieu, ce que faisoit continuellement Sa Majesté avec des elevations d’esprit très grandes ; et on lui voyoit presque toujours les yeux ouverts au ciel comme s’il eût parlé à Dieu, cœur à cœur. Aux heures accoutumées de ses prieres, nous lui portions au chevet de son lit un petit pupitre d’ebene, où il mettoit son livre de service divin, que lui meme avoit composé, intitulé : Parva christianae pietatis officia per christianum regem Ludovicum XIII ordinata. Le Roi savoit presque tous les offices par cœur. Tous ceux de chaque jour de la semaine etaient dans ce livre ainsi que ceux de toutes les fetes de l’année, beaucoup d’autres de devotion et particulierement de votifs pour demander à Dieu la grace de bien mourir, que [p. 525] Sa Majesté avoit faits pour elle particulierement, et qu’Elle recitoit sans y manquer tous les lundi ; et toutes ses prieres reglées ne l’empechoient pas d’agir à son conseil, quasi le tiers du jour, avec MM. les ministres, avec lesquels il agissoit comme s’il se fut bien porté, et aussi etoit il très sain de l’esprit.
Ce meme jour, monsieur le Dauphin fut baptisé sur les cinq heures du soir dans la chapelle du vieux chateau de Saint Germain, et son parrain fut monseigneur le cardinal de Mazarin et sa marraine fut madame la Princesse, et fut nommé Louis, le tout en presence de la Reine et sans ceremonie, à cause de la maladie du Roi. Je voulus voir cette action là, et, de retour l’un des premiers aupres de Sa Majesté, Elle me demanda ce qui s’y etoit passé, ce que j’eus l’honneur de lui raconter. Le Roi, apres avoir entendu le recit que je lui en ai fait, en loua Dieu ; il hausse les yeux au ciel et fut assez longtemps en cette action. La Reine, monsieur le cardinal et toute la Cour y arriverent un peu de temps apres, qui entretinrent le Roi de la sagesse de monsieur le Dauphin et de tout le reste.
Le mercredi 22, il se trouva fort mal, il avoit mal passé la nuit. Messieurs les medecins trouverent à propos qu’il communiat. L’on en avertit la Reine, afin qu’elle y vint, et qu’il falloit aussi qu’elle amenat messeigneurs ses enfans, pour recevoir la benediction du Roi.
Tout le monde se desesperoit : M. de Souvré me commanda d’aller attendre la Reine à la porte de la salle des gardes, afin de lui donner avis qu’elle entrat par le cabinet. Ce jour là, il faisoit grand froid et un temps fort rude. La Reine vint : je m’adressai à madame de La Flotte et lui dis le commandement que j’avois eu de monsieur de Souvré. Elle voulut bien le dire à la Reine, qui dit aussitôt : « Je l’ai bien entendu ». La foule du monde etoit si prodigieuse qu’elle causoit une grande confusion. Les seigneurs qui etoient là prirent l’un monsieur le Dauphin, l’autre monsieur d’Anjou, et se pousserent dans la presse, de sorte que la Reine demeura seule en son carrosse avec madame de La Flotte. Sa Majesté crioit : « N’y a t il là personne qui m’aide, me laissera t on seule ? » Moi, qui n’etois pas assez osé pour lui presenter la main, je m’avançai dans la presse et fis en sorte de lui amener M. le duc d’Uzes, son chevalier d’honneur, qui la conduisit par le cabinet. Arrivant dans la chambre du Roi, elle va droit au chevet de son lit et se jetta à genoux, fondant en larmes. Elle fut longtemps dans le particulier, où le Roi faisoit voir qu’il lui parloit avec affection.
Madame la duchesse de Vendome avoit entre ses bras monsieur d’Anjou, qui crioit desesperement à cause qu’il n’avoit pas une de ses femmes avec lui, elle n’avoit pu entrer à cause de la quantité du monde. Elle me le donna pour l’oter de là et m’en aider comme je pourrois ; tellement que je le portai dans le cabinet du Roi, l’assis sur la table et lui fis croire que le Roi avoit un petit cheval d’or et de diamans, et qu’il le vouloit donner à l’un des deux qui seroit le plus sage, tellement que, grace à Dieu, je l’appaisai fort bien et le remis quelque temps apres entre les mains de madame de Folaine, sa gouvernante.
Dans ce temps là, la conference de Leurs Majestés finit et la ceremonie s’acheva, et la Reine presenta au Roi ses deux enfans à genoux, et elle aussi, lesquels reçurent la benediction de Sa Majesté. Et apres ces choses faites, tout le monde se retira de là un peu de temps. Le Roi demanda à M. Bouvard si c’etoit pour la nuit ensuivante ; sa reponse fut que ce n’etoit pas sa croyance, s’il n’arrivoit quelque accident.
Sur le soir, messieurs les marechaux de La Force et de Chatillon vinrent voir Sa Majesté, qui les exhorta avec amour de quitter leur religion. Que veritablement, selon le monde, ils etoient de fort braves gens, mais, selon Dieu, qu’il n’en etoit pas de meme, et qu’il n’y avoit pas deux voies pour aller au ciel, que hors de l’eglise catholique, apostolique et romaine il n’y avoit point de salut, et les convia, par de fort beaux termes, d’y penser. Ce meme jour, il reçut madame d’Elbeuf et mademoiselle sa fille.
Le jeudi 23, il reçut l’extreme onction et repondit à tous les pesaumes et les litanies ; et lorsqu’il lui fallut toucher les saintes huiles, je me trouvai avec Laplanche, un de mes compagnons, les plus pres du pied de son lit, ce [p. 526] fut à moi lui decouvrir les pieds. je ne fus jamais si pressé de douleur que de voir mon maitre en cet etat là, et qu’il fallut lui rendre un semblable service. A la fin de la ceremonie, monsieur de Vantadour, chanoine de Notre Dame, s’approcha du Roi et lui parla assez longtemps et en sortit avec larmes, ce qui obligea le Roi à dire : « Je ne trouve pas mauvais que vous pleuriez, c’est une marque que vous m’aimez, mais cela me donne de la tendresse, car Dieu scait si je ne suis pas ravi d’aller à lui ». Continuant de parler de Dieu, il avoit toujours grand monde qui l’etouffoit. Desirant voir par les fenetres de sa chambre, il fit, en faisant signe que l’on se rangeat : « Hé, Messieurs, donnez moi la vie ». En meme temps tous ceux qui n’avoient que faire sortirent.
Le vendredi 24, il ne voulut pas prendre une prise de rhubarde, qu’il refusa aux prieres de Monsieur, son frere, de monsieur le Prince et à celles de messieurs les ministres, ce qui faisoit desesperer tout le monde de sa santé. Neanmoins, il se porta si bien l’apres dinée qu’il commanda à M. de Niert, premier valet de garde robe, d’aller prendre son luth, et il chanta des louanges à Dieu, comme Lauda anima mea Dominum, et fit aussi chanter Savi, Martin, Campfort et Fordonant, qui chanterent en partie des airs que le Roi avoit faits sur les paraphrases de David par monsieur Godeau, et ne fut chanté que des airs de devotion, et meme le Roi chanta quelques unes des basses avec monsieur le marechal de Schomberg, ce qui nous causa de tres grandes joies, mais non pas de durée.
La Reine, qui avait de coutume de venir tous les jours à pareille heure, fut fort surprise de joie d’entendre cette musique, et ravie de voir le Roi mieux. Le reste du jour se passa de meme. Et sur ce que le monde disoit au Roi qu’il etoit gueri, il dit tout haut : « Que si c’etoit la volonté de Dieu qu’il revint au monde, il lui plut lui faire la grace de donner la paix à toute l’Europe ».
Le samedi 25, les forces sembloient bien augmenter. Le Roi passa bien le jour, toujours dans les prieres comme à l’accoutumée.
Le dimanche 26, il se porta bien. L’apres dinée, il me demanda ceux qui etoient dans l’antichambre. Lui ayant nommé monsieur de Guitaud, il commanda qu’on le fit entrer, et fut assez longtemps dans la ruelle de son lit à l’entretenir.
Le lundi 27, il reçut monsieur de Beringhen, premier valet de chambre, qui revenoit des occasions de Hollande, où il s’etoit signalé par ses belles actions.
Le mardi 28, il ne se passa pas bien la nuit et fut mal.
Le mercredi 29, il se porta mieux, et ce meme jour il reçut madame de Guise et messieurs ses enfans.
Le jeudi 30, il fut assez bien et passa assez bien la journée.
Le vendredi, premier jour de mai, il se trouva mal pour n’avoir pas bien passé la nuit.
Le samedi 2, il ne se trouva pas mieux, et ce meme jour il reçut monsieur de Bellegarde.
Le dimanche 3, il se trouva mal.
Le lundi 4, il reçut monsieur Le Tellier, secretaire d’Etat ayant la commission de la Guerre, à la place de monsieur Desnoyers.
Le mardi 5 et le mercredi 6, mauvais.
Le jeudi 7, il se trouva fort mal, et dit à monsieur Chicot, l’un de ses medecins : Quand me donnera t on les bonnes nouvelles qu’il faille partir pour aller à Dieu ?
Ce meme jour, la Reine fit dresser une chambre au chateau neuf, fut fort tard dans la chambre du Roi, et y envoyoit à tout moment de la nuit.
Le vendredi 8, il fut tres mal et eut beaucoup de peine à prendre des alimens, et pria qu’on le laissat mourit en patience. J’avois accoutumé de demeurer tous les jours dans la chambre de Sa Majesté, jusqu’à ce que monsieur de Souvré, qui y couchoit, me commandat de me retirer. Mais ce soir, le Roi, voyant que messieurs d’Archambault, Forest et Bontems, premiers valets de chambre, etoient sur les dents, Sa Majesté commanda que Desnoyers, barbier, et moi, demeurassions au coucher pour soulager les susdits nommés jusqu’à la mort de notre tres cher maitre. Et le meme soir, le Roi vomit des eaux, où j’eus l’honneur de lui tenir la tete.
Le samedi 9, il fut tres mal tout le jour. Le soir, sur les neuf heures, il lui prit un grand assoupissement. Messieurs les medecins n’en etoient pas bien satisfaits. Ils firent beaucoup [f. 527] de bruit pour l’eveiller. Ils lui tatoient le pouls et ne l’eveilloient point. Ils jugerent enfin qu’il etoit à propos de l’eveiller et en donnerent la commission au pere Dinet, confesseur de Sa Majesté, qui s’approcha d’Elle, lui cria assez haut par trois fois : « Sire, Votre Majesté m’entend Elle bien ? Qu’Elle se reveille, s’il lui plait, il y a si longtemps qu’Elle n’a pris d’alimens que l’on a peur que ce grand sommeil ne l’affoiblisse trop ». Le Roi se reveilla et lui dit d’un esprit present : « Je vous entends fort bien, mon pere, et ne trouve point mauvais ce que vous faites, mais bien ceux qui vous le font faire. Ils scavent que je ne repose point les nuits, et à present que j’ai un peu de repos, ils me reveillent ». Et s’adressant à son premier medecin, il lui dit beaucoup de choses que je laisse au bout de la plume. Et apres lui avoir parlé si aigrement, il changea de discours et dit : « Est-ce que vous voulez voir si j’apprehende la mort ? ne le croyez pas, s’il faut partir à cette heure, je suis prêt ». « Mon pere, dit il à son confesseur, est ce qu’il faut aller ? Allons, confessez moi et recommandez mon ame si les choses pressent ». Ce que l’on lui assura que non, mais que la grande delibilité de sa personne et le besoin qu’il avoit de prendre des alimens avoient fait qu’on l’avoit eveillé. Et toute cette nuit fut tres mauvaise.
Le dimanche 10, le Roi fut tres mal. Et lorsqu’on le voulut presser des alimens, qui etoit une gelée fondue dans un certain verre qui avoit un grand bec courbé, de façon qu’il pouvoit prendre de la nourriture sans qu’il fallut lui lever la tete, tout le monde le pressoit d’en prendre pour prolonger sa vie et pour esperer toujours quelque soulagement. Et il leur disoit : « Hé ! obligez moi de me laisser mourir en patience ».
L’apres dinée, sur les quatre heures, monsieur le Dauphin vint voir le Roy. Les rideaux du lit etoient ouverts, et le Roi dormoit, mais avec la bouche ouverte et les yeux tournés ; ce qui donnoit des marques de sa mort prochaine. Je m’approchai de monsieur le Dauphin, aupres duquel j’etois lors assez bien pour m’etre attaché aupres de sa personne dans une maladie qu’il eut, où je passai plusieurs nuits entieres à le chanter et à la bercer avec sa remueuse. Monsieur le comte de Vivonne etoit lors aupres de lui. Je leur dis à tous deux : « Considerez, je vous prie, le Roi qui dort, comme il est et de quelle façon, afin qu’il vous en souvienne lorsque vous serez grands ». Ce que firent ces deux enfans avec attention. De là, un peu de temps apres, j’entrai dans la galerie où etoit monsieur le Dauphin, lequel, apres s’etre joué, s’etoit assis sur une paillasse aupres de madame de Lanzacq, sa gouvernante, et monsieur de Vivonne aupres de lui. Je leur demandai à tous deux : « Avez vous bien remarqué de quelle sorte le Roi dort, afin qu’il vous en souvienne ? » Ils repondirent qu’oui, qu’ils avoient bien remarqué et qu’il tenoit la bouche et les yeux ouverts et tout tournés, particulierement le gauche, et qu’ils s’en souviendroient bien.
Dupont, huissier de la chambre de Sa Majesté, qui etoit de garde aupres de monsieur le Dauphin, prit la parole et dit : « Monsieur, voudriez vous bien etre roi ? » Monsieur le Dauphin repondit : « Non ». Dupont reprit : « Et si votre papa mouroit ? » Monsieur le Dauphin dit de son propre mouvement, la larme à l’œil, ce que j’ai jugé très remarquable : « Si mon papa mouroit, je me jetterois dans le fossé ». Ce qui nous surprit tous, voyant qu’il ne pouvoit exprimer sa douleur par d’autres termes. Madame de Lanzacq prit la parole, et dit : « Ne lui en parlons plus, il a déjà dit cela deux fois ; si ce malheur nous arrivoit, il y faudroit prendre garde bien exactement, quoiqu’il ne sort jamais qu’on ne le tienne par les cordons ».
Sur les six heures du soir, le Roi, sommeillant, s’eveille en sursaut, s’adresse à monsieur le Prince, qui etoit lors dans la ruelle, et lui dit : « Je revois que votre fils, le duc d’Anguien, etoit venu aux mains avec les ennemis, que le combat etoit fort rude et opiniatre, et que la victoire a longtemps balancé, mais qu’apres un rude combat elle est demeurée aux notres, qui sont restés maitres de la bataille ».
C’est la prophetie du gain de la bataille de Rocroy, qui se fit dans le meme temps, ayant entendu ces paroles de la bouche du Roi.
Sur les dix heures du soir, le Roi etoit assoupi. Les medecins le trouverent froid et quelques uns d’entre eux crurent que c’etoit le froid de la mort, ce qui donna frayeur à tout le monde. La Reine, qui etoit toujours aupres du Roi, se trouva fort etonnée de cet accident, et vouloit passer la nuit dans la chambre de Sa Majesté, sans que monsieur de Souvré, par [p. 528] ses prieres, l’obligea d’en sortir à deux heures apres minuit. Il la reconduisit dans sa chambre, et j’eus l’honneur de l’eclairer. Sa chambre etoit fort proche, il n’y avoit que l’antichambre à passer. De là, quelque temps apres, la Reine envoya mademoiselle Filandre, sa premiere fille de chambre, pour sçavoir des nouvelles du Roi. Elle marchoit fort bellement, de peur d’eveiller Sa Majesté, qu’elle croyoit endormie. J’etois lors seul dans la ruelle et proche du Roi, qui ne dormoit pas. Je me donnai l’honneur de lui dire : « Sire, il me semble que la Reine soit en peine de la santé de Votre Majesté : voila mademoiselle Filandre ». Le Roi dit : « Faites la venir ». Il lui parla, et elle fut rendre reponse à la Reine.
Sur les trois à quatre heures apres minuit, il se plaignit d’une douleur de coté gauche. Elle etoit si violente qu’il dit : « Si j’avois ma toux ordinaire avec cette douleur, je mourrois tout presentement, n’ayant pas la force de supporter les deux ; mais c’est Dieu qui ne le veut pas ». Il etoit sujet à une certaine toux seche qui le tourmentoit beaucoup.
Nous fimes chauffer du lait et le mimes dans des vessies de porc, et le posions sur sa douleur. Apres, il dit que cette douleur s’elargissoit, et continuoit de s’en plaindre. Il lui prit ensuite un vomissement, où j’eus l’honneur de lui tenir la tete, comme m’etant trouvé le plus pres de sa personne. Je courois à la partie la plus pressée. Le reste du jour fut tres difficile et tres mauvais. Le Roi, neanmoins, prioit toujours Dieu et travailloit avec ses ministres. Il fit longtemps ecrire sous lui monsieur de Chavigny.
Le lundi 11, il fut desesperé de tous les hommes. Il sentoit de grandes douleurs et ne pouvoit rien prendre. Il passa ainsi le jour, chacun pleuroit et se plaignoit les uns aux autres. Enfin, il prit son orge mondée, qui pourtant ne lui ota pas la toux. De là, à deux heures, il prit son petit lait qui la lui ota et le fit un peu dormir. Mais bientot apres ses douleurs de ventre lui redoublerent, et nous lui appliquames des vessies de porc avec le lait. Tout ce jour fut tres mauvais.
Le mardi 12 fut tres mauvais, et on croyoit qu’il ne passeroit pas la nuit. Ceux qui etoient aupres de lui le prierent instamment de vouloir prendre des alimens, entre autres le sieur Bontemps se mit à genoux, les larmes aux yeux, pria Sa Majesté instamment de prendre un bouillon. Il le refusa, et leur dit : « Mes amis, c’en est fait, il faut mourir ! » et se tourna la vue de l’autre coté. Sur les sept heures du soir, l’on lui apporta le saint viatique, croyant qu’il devoit mourir. Je l’observai dans cette action, comme j’avois fait ci devant plusieurs fois. Je voyois de grosses larmes qui lui tomboient des yeux, avec des elevations d’esprit continuelles, qui faisoient connoitre evidemment un commerce d’amour entre Leurs Majestés divine et humaine.
La Reine demeura dans la chambre du Roi jusqu’à trois heures apres minuit, et monsieur le duc de Beaufort y passa la nuit tout entiere sur la paillasse, aupres de monsieur de Souvré.
Le mercredi 13 fut mauvais. Le Roi ne pouvoit prendre d’alimens. Tout le jour se passa dans les meditations et pensées de la mort. Il se faisoit entretenir, il y avoit dejà quelques jours, par messieurs les eveques de Meaux et de Lisieux, et par les peres de Vantadour, Dinet et Vincent, qui l’assisterent jusqu’à la mort. Quelques fois il leur disoit : « Faites moi un discours du mepris du monde », d’autres fis « des merveilles de Dieu », et d’autres « du purgatoire ». Il me souvient que le pere Dinet lui disoit, à propos des longues malades : « Que Dieu nous les envoye pour nous faire eviter les peines du purgatoire, et que Sa Majesté pouvoit esperer la meme grace ». Le Roi lui repondit : « Mon pere, je n’ai pas une semblable pensée ; au contraire, si Dieu ne me laissoit que cent ans dans le purgatoire, je croirois qu’il me feroit une grande grace ». La Reine ne bougea du chevet de son lit, et elle ne s’en eloignoit que lorsqu’il falloit changer de bassin au Roi, qui en gardoit toujours sous lui. Nous lui avions fait un trou au premier des matelas, de la grandeur d’un bassin, avec un bourlet fort large, de sorte que cela ne l’incommodoit point. Il y avoit dans les selles force pus de lait qu’il avoit dans le corps, et tout faisoit une puanteur si horrible que cela faisoit quasi mal au cœur. Et ce qui m’etonnoit le plus, c’est que la Reine ne bougeoit du chevet de son lit, duquel il sortoit des exhalaisons tres mauvaises. Mais sa vertu etoit si grande, ainsi que l’affection qu’elle avoit pour le Roi, qu’elle n’en temoignoit rien du tout, quoiqu’elle soit une des plus propres personnes qui ait jamais eté au monde. Le Roi, qui etoit aussi fort propre, lui disoit fort souvent : « Madame, n’approchez pas si pres [p. 529] de moi, il sent trop mauvais dans mon lit ».
Je me servis de l’occasion de presenter à la Reine une petite fiole de menteca, pleine d’essence de jasmin, que j’avois encore gardée des liberalités que m’avoit faites Madame Royale, ma bonne maitresse, lorsque j’etois à Turin la derniere fois, et la Reine, apres s’en etre servie, dit tout haut « qu’elle n’avoit jamais rien senti de si bon », et il fallut qu’elle scut d’où venoit cette precieuse liqueur.
Le soir, le Roi fit lire la vie de Jesus Christ, mise en françois par le père Bernardin de Montreuse, de la compagnie de Jesus, et il ne tarda guere à etre assoupi. Il revoit dans son sommeil, et parloit dans ses reveries par des mots interrompus, dont j’entendis quelques uns, entre autres de M. de Souvré, et souvent de ses medecins. Il avoit tout à fait dans l’esprit qu’il avoit dit quelque chose à monsieur Vautier, l’un d’eux, et apres ses reveries et son sommeil passé, il me demanda où il etoit. Je lui dis : « Sire, il n’ose se montrer : il a peut que Votre Majesté ne soit en colere contre lui ». Alors le Roi dit : « Faites le moi venir ». Sitot qu’il le vit, il lui tendit la main et lui parla. Il avoit peur de l’avoir faché. Comme sa maladie etoit longue, il disoit quelquefois quelque chose qui fachoit ; mais un quart d’heure apres il vous faisoit revenir, vous faisant voir qu’il n’avoit pas eu dessein de vous choquer, et vous disoit quelques paroles obligeantes.
Comme il etoit inquiet de l’affliction de la Reine, il demanda au sieur Bontemps qui est ce qui etoit aupres d’elle. Il lui dit que c’etoit madame de Vendome. « Je l’ai cru aussi, dit le Roi, elle lit un livre de la Passion ; dites à monsieur de Souvré qu’il vous donne le mien de la Resurrection et de l’Ascension qui est demain, et portez le lui de ma part ».
Sur les deux heures apres minuit, il retomba dans son assoupissement et dans ses reveries. Il avoit sous lui force oreillers, dont il y en avoit qui etoient pleins de paille d’avoine, pour etre plus frais, et cela lui tenoit la tete haute et les reins. Il se mit par trois fois sur le coté gauche, la tete et les epaules tout à fait fors de ses oreillers, et la pesanteur de son corps et sa foiblesse l’eveilloient, de sorte qu’il me commandoit de lui aider. Nous avions eloigné son lit de la muraille, en façon qu’on pouvoit tourner autour. Je me mettois derriere son chevet, je le prenois par dessous les bras et le relevois doucement sur les oreillers, ce que je fis cette nuit là deux fois. La troisieme, il tendit le bras droit à l’un de ses medecins, nommé Courat, et lui dit : « Tirez à vous », et depuis il ne s’en ota plus. Il demanda vingt fois quelle heure il etoit et s’il feroit bientôt jour. Enfin, je lui dis que le point du jour commençoit à paraitre. Il me commanda d’ouvrir ses rideaux et ses fenetres. Comme le jour s’augmenta, on vit que sa vue paroissoit egarée, ce qui fit croire qu’il ne vivroit plus guere. Il commanda de presser la masse, à laquelle il se trouva fort peu de monde. Apres la messe, il se fit lire la passion de Jesus Christ par son confesseur, mais il ne le laissa pas lire longtemps ; il lui dit : « Mon pere, quittez cette lecture là, donnez la à un autre, et allez manger pendant que vous avez le temps, vous aurez assez d’autres affaires ».
Le Roi fut pressé par ceux qui etoient aupres de lui pour l’obliger à prendre son petit lait dans un verre fait expres. Il voulut pourtant qu’on le soulevat un peu de dessus ses oreillers, ce que nous fimes Desnoyers et moi ; et comme il fut un peu contraint, il perdit l’haleine et pensa rendre l’esprit entre nos bras. Nous en etant apperçus, nous le remimes en diligence et en douceur sur ses oreillers. Il y fut longtemps sans pouvoir parler, et puis il fit : « S’ils ne m’eussent bientôt remis, je rendois l’esprit ». Et alors il appela ses medecins et leur demanda s’ils croyoient qu’il put encore aller jusqu’au lendemain, disant que le vendredi lui avoit toujours eté heureux, qu’il avoit ce jour là entrepris des attaques qu’il avoit emportées, qu’il avoit meme ce jour là gagné des batailles, que ç’avoit eté son jour heureux, et qu’il avoit toujours cru mourir ce meme jour là.
Les medecins, apres l’avoir fort consideré et touché, lui dirent qu’ils n’etoient pas assurés qu’il put aller jusqu’au lendemain, en ce que son redoublement avoit coutume de venir sur les deux heures apres midi, et que s’il etoit grand, il l’emporteroit, et qu’il n’avoit pas assez de force pour y resister.
Alors le Roi leva les yeux au ciel et pria longtemps Dieu avec ferveur. Puis il dit tout haut : « Dieu soit loué », et reprit avec vigueur : « Mon Dieu, votre volonté soit faite », et appela monsieur de Meaux, et lui dit : « Il est temps de faire mes adieux », et commença par la Reine, qu’il embrassa tendrement, et à qui il dit beaucoup de choses que personne n’entendit qu’elle. En parlant, ils s’entremouilloient leurs visages de leurs larmes, et la Reine pensa suffoquer tant elle etoit penetrée de douleur et de deplaisir. Il continua ses adieux à monsieur [p. 530] le Dauphin, à monsieur le duc d’Anjou, à Monsieur, son frere, à monsieur le Prince et à plusieurs autres qui etoient dans sa chambre. Et apres il demanda à faire de l’eau : il ne pouvoit plus se servir de ses mains, la chaleur commençoit à se retirer, tellement que j’eus l’honneur de le servir et de lui en faire faire dans un certain verre fait expres, qui est un peu gros et comme une bouteille platte par en bas, et un col un peu gros et large courbé, de sorte que l’on peut faire de l’eau sans se hausser ni remuer. Ce fut le Roi lui meme qui s’avisa de cette commodité, et de celle des biguiers avec lesquels il prenoit de la nourriture.
Un peu de temps apres, il voulut dire adieu à monsieur de Souvré et à ses premiers valets de chambre ci dessus nommés, et à Desnoyers, et me fit aussi l’honneur de me donner sa main, que je mouillai de larmes. Il me fit la garde de me serrer la main pour dernier marque de sa bonne volonté, ce qui me toucha tellement que, me voulant lever pour faire placer à mes autres camarades qui esperoient la meme grace, je tombai sur les mains quasi evanoui et me traina à quatre pieds. Tous les autres officiers de sa chambre se preparoient à cet adieu mais le Roi, qui se sentit touché de voir les siens si affligés, retira sa main et ne parla plus que de Dieu.
Alors, messieurs les eveques de Meaux et de Lisieux, et les peres de Vantadour, Dinet et Vincent, entrerent tous en la ruelle du lit, et n’en partirent plus qu’apres la mort du Roi, qui entretint fort son confesseur, et apres monsieur l’eveque de Lisieux, qui etoient tous à genoux priant Dieu. Le Roi appela monsieur Bouvard, et lui dit : « Touchez moi et me dites votre sentiment », ce que fit monsieur Bouvard, les larmes aux yeux. Il lui dit ces memes paroles : « Sire, je crois que ce sera bientôt que Dieu delivrera Votre Majesté : je ne trouve plus de poulx ».
Le Roi leva les yeux au ciel et dit tout haut : « Mon Dieu, recevez moi à misericorde », et s’adressant à tous, il reprit : « Prions Dieu », et regardant monsieur de Meaux, il lui dit : « Vous verrez bien lorsqu’il faudra lire les prieres de l’agonie, je les ai toutes marquées ». C’etoit un grand livre dans lequel monsieur de Meaux lisoit les prieres. Tout le monde prioit et pleuroit. La Reine et toute la Cour etoient dans la chambre du Roi. Les rideaux de son lit etoient ouverts et la chambre etoit si pleine qu’on s’y etouffoit, et hors les officiers de la chambre les autres etoient tous des personnes de qualité, princes, princesses, chevaliers de l’ordre et grands seigneurs. J’etois placé entre le lit du Roi et la muraille derriere sa tete. Il avoit les bras hors du lit. Nous lui avions chauffé des linges pour les lui couvrir et pour lui tenir un peu de chaleur, et comme il les remuoit il se les decouvroit. J’etois derriere et je les lui recouvrois de temps en temps, tant qu’il ne put plus remuer, et tout cela en presence de la Reine et de toute la Cour. Les prieres de l’agonie se recitoient ensuite des autres qui avoient dejà eté dites. Le Roi dit au pere Dinet : « Il me vient des pensées qui me tourmentent ». « Sire, lui dit ce pere, il faut resister, vous etes au fort du combat, il faut combattre genereusement, afin de remporter la victoire ; meprisez vos ennemis, ils ne vous pourront faire de mal, vous voyez que tout le monde vous aide par ses prieres ». Aussi tout le monde toit à genoux. Il parla encore deux ou trois fois à monsieur de Lisieux, mais avec peine. A un moment de là, ne pouvant plus parler, il regarda le père Dinet et mit son doigt sur sa bouche. Je n’entendois pas ce signer. Le pere Dinet m’a dit depuis que c’etoit à l’occasion d’une vision d’une maison qu’il avoit eue et qu’il avoit reçue comme des arrhes de son salut, et pour une marque de la misericorde que Dieu lui faisoit ; et par ce doigt qu’il mettoit sur sa bouche, il lui disoit qu’il n’en falloit pas parler. Apres cela, perdant peu à peu la parole, il perdit aussi l’ouïe et n’entendit plus.
Monsieur le duc d’Orleans et monsieur le Prince conduisirent la Reine dans sa chambre. Et outée de douleur elle sortit, à leur priere, de celle du Roi.
Le Roi etoit dans l’agonie. Il ne parloit ni n’entendoit. Tout le monde etoit en prieres, et nous voyions peu à peu les esprits de la vie se retirer. Il commença à ne plus remuer les bras ni les jambes, et on ne vit plus remuer le petit ventre. Toutes ses parties se mouroient les unes apres les autres, et le Roi agonisoit doucement. J’etois tellement touché qu’il m’en prit une foiblesse, et par hasard on m’avoit donné à tenir l’eau benite du Roi : j’en pris avec la main que je me jetai sur le visage. Le bon M. de Lisieux, me voyant dans cet etat, me dit ces memes paroles : « Mon ami, consolez vous ».
Le Roi diminuoit à vue et ses hoquets etoient de loin à loin les uns des autres, de sorte qu’on le croyoit passé, lorsque, quelque peu de temps apres, il jeta le dernier à deux heures trois [p. 531] quarts apres midi, le jeudi quatorzieme mai 1643, jour de l’Ascension, au bout de trente trois ans de son regne, à une heure pres.
Monsieur de Lisieux lui donna de l’eau benite et lui ferma les yeux, qui etoient demeurés fixes dans le ciel.
Messieurs les aumoniers et les religieux continuerent leurs prieres, et tout le monde lui jeta de l’eau benite.
Monsieur de Souvré etoit sorti pour aller donner ordre à beaucoup de choses necessaires.
Monsieur de Liancourt, son compagnon, etoit là present, auquel je m’adressai et lui dis que, s’il trouvoit à propos que tout le monde se retirat pou un moment, nous oterions un bassin qui etoit sous le Roi, dans lequel il y avoit de la matiere si acre et si mauvaise qu’elle ne tarderoit pas à corrompre la chair du Roi, que de plus nous racommoderions le lit et le mettrions plus proprement ; qu’il avoit commandé, durant sa maladie, qu’on ne le laissat pas salement apres sa mort.
Monsieur de Liancourt trouva fort à propos ce que je disois : il commanda aussitôt que l’on se retirat pour un temps. Mes compagnons et moi lui raccommodames son lit et le remimes fort proprement dessus, couvert de son drap et de sa couverture, le visage decouvert. Nous lui otames le mouchoir dont nous lui avions bandé la tete et le menton pour lui faire tenir la bouche fermée, et nous lui croisames les bras sur son estomac et lui remimes un petit crucifix de cuivre fort bien fait, monté sur une petite croix d’ebene, que mademoiselle Filandre avoit preté. Le Roi le tenoit dans sa main droite.
Messieurs les aumoniers et les religieux reprirerent leurs places, et un valet de chambre de chaque côté du chevet, qui furent toujours de garde jour et nuit et accompagnerent le Roi jusqu’à Saint Denis.
Le lendemain, sur les neuf heures du matin, on ouvrit le corps du Roi, ce que je n’avois point de curiosité de voir. Mais un garçon de la chambre me dit que monsieur de Souvré me demandoit. Il etoit present à l’ouverture, de sorte que je jetai la vue sur ce triste spectacle. Je vis le corps du Roi, qui m’avoit eté si precieux, etendu sur la table, en la gallerie, le coffre tout ouvert ; et proche de là, sur un billard, dans des bassins, les entrailles, les boyaux dans l’un, le foye, la ratte et le cœur dans l’autre. Je vis un de ses boyaux percé, le bas mésenterre quasi pourri, dans le haut mésenterre un ulcere et quantité de verre qu’on lui avoit aussi trouvés ; le foye assez beau, pourtant un peu pale ; la ratte belle et les poulmons assez sains et le cœur fort beau. Je vis dans ce corps qu’il y venoit encore un ver dans les reins. Dans ce temps, monsieur de Souvré m’appela et me commanda d’aller aupres du Roi d’à present pour le suivre et le servir, comme j’ai fait depuis.
Voilà les remarques veritables que j’ai faites, et les assure telles pour avoir vu les choses de mes yeux et entendu de mes oreilles. »

Dubois, Marie

Récit des derniers jours et de la mort de Louis XIII au Château-Neuf, par Jaques Antoine, garçon de la chambre du roi

« [f. 184] Relation de la mort du roy Louis treize
Avant propos
Il sera remarqué que monsieur Antoine, qui a fait la relation ou le recit fidel de ce qui c’est passé pendant la derniere maladie et mort du tres glorieux et chretien roy Louis treize, d’heureuse mémoire, lequel a eu l’honneur de servir ce grand roy presqu’aussytost sa naissance, arrivée à Fontainebleau le 27e de septembre de l’année 1601, l’ayant toujours servy et suivit dans tous les lieux et voyages que Sa Majesté a faits dans tout son royaume en qualité de garçon ordinaire de sa chambre, principallement dans celuy de son mariage qui fut conclu avec la reyne Anne d’Autriche, infante d’Espagne, en la ville de Bourdeaux le 25e jour de novembre 1615 comme dans les guerres que le Roy avoit a soutenir contre des villes revoltées par les religionnaires de la pretendue reformée, qu’il fut obligé d’assieger comme Saint Jean d’Angelly en 1621, celuy de La Rochelle en 1628, de Montaubant en 1630 et bien d’autres places que Sa Majesté reduisient à son obeissance ; ensuite, Elle fut obligée de faire le voyage de la ville de Thoulouze pour le proces qui y fut fait à monsieur le marechal de Montmorency, lequel fut executé [f. 184v] dans l’hostel de cette ville le 31 octobre 1631, ledit sieur Antoine ayant toujours continué de servir ce grand prince avec assiduité et fidelité jusqu’à son deceds arrivé au chasteau neuf de Saint Germain en Laye le 14e de may 1643, feste de l’Assencion de Notre Seigneur, agé de 41 ans sept mois et dix huit jours, ayant regné 33 ans, en ayant esté l’un des tristes temoins, ce qui l’a obligé de faire ce recit tant pour sa consolation que pour eterniser la mémoire à la posterité de ce grand et pieux roy surnommé Louis le Juste.
In memoria aeterna erit justus.
[f. 185] Relation de la mort du roy Louis treize par monsieur Antoine, garçon ordinaire de la chambre de ce grand roy
Le jeudy 21e fevrier 1643, le roy Louis treize, d’heureuse mémoire, à qui ses rares vertus ont fait donner le surnom de juste, tomba malade d’un flux comme hepatique et d’une espece de fivre lente dans son château neuf de Saint Germain en Laye, où il demeuroit ordinairement les estées.
Cette maladie, qui ne le quitta point jusqu’à la mort, nonobstant qu’elle ne fut jugée d’abord dangereuse ny mortelle par les medecins qui ont accoutumée de flatter les grands roys et princes, la suitte leur fit bien connoiste en peu de temps qu’ils s’etoient trompez et que ce prince etoit en danger plus qu’ils n’avoient cru, sa maladie ayant durée deux mois et vingt trois jours, et par cette grande longueur luy avoit corrompu les entrailles et les parties nobles comme ont le remarqua apres son deceds. Sa Majesté ayant eu durant presque tout le temps de son mal de bons intervales pendant lesquelles Elles travailloit dans son conseil, alloit à la chasse et faisoit [f. 185v] les mesmes exercies que lorsqu’Elle avoit jouy d’une plaine santé.
Le vendredy 22e fevrier, Sa Majesté fut fort incommodée de son flux et de ses hemoroides, qui l’empescherent de sortir ce jour là. Elle ne voulut voir à son lever ny toute la matinée que ses domestiques. Mais, l’apres diner, Elle receue des visites dans sa gallerie où elle prit le divertissement de la musique jusqu’à son souper, qui fut fait en particulier, avec les seuls officiers de gardes, ainsy que du coucher.
Le samedy 23e fevrier, de petits remedes qu’on luy donna la nuit le soulagerent de ses hemoroides. Elle continua d’en estre soulagée jusqu’au mardy 26e, qu’Elle tint conseil au chevet de son lit. Ce jour, Sa Majesté declara monsieur le duc d’Anguin, fils de monsieur le prince de Condé, generalisime de son armées de Flandres.
Le mercredy 27e jusqu’au samedy dernier febvrier, le Roy se trouva bien mieux et fit les mesmes exercices qu’en plaine santé. Il alla à la chasse dans la forest et se promena dans le parc et dans la maison du Val, qu’il avoit faite rebastir pour y aller faire des retours de chasses ou toutte la court se trouvoit.
Le dimanche premier mars, Sa Majesté continua à se bien porter et de n’avoir point eu d’insomnie ny d’alteration, ayant envoyé monsieur Bontemps, son premier vallet de chambre, querir la Reyne et messieurs ses enfans pour le divertir pendant son diner dans son appartement, où ils demeurent jusqu’au souper. Le coucher de ce jour là finit par la lecture ordinaire que Sa Majesté fit faire jusqu’à ce qu’Elle [f. 186] fut endormie par le sieur Chicot, un de ses medecins de quartier, homme fort prudent et savant.
Le samedy 2e mars, Sa Majesté se trouva à son reveil un peu mieux que la nuit. On luy donna un bouillon qu’il trouva assez bon. Ensuite, il se leva pour diner, voulut y voir assez de monde, estant d’une assée bonne humeur. Ensuite, se promena dans toutes ses belles grottes, où il fit jouer toutes les machines et les eaux. Sa Majesté se trouva ainsy jusqu’au huitiesme dud. mois, tantost bien et mal, estant d’une foiblesse tres grande, passant le plus souvent la nuit dans sa chaisse de commodité.
Le samedy 9e mars, Sa Majesté se trouve bien plus mal, fut tourmentée tout le long de ce jour d’une coliques et des hemoroides, ne sachant dans quelle posture se mettre, ne pouvant se tenir ny couchée ny debout, ce qui le rendit d’un chagrin mortel. Sa Majesté ne voulut voir personne d’extraordinaire et fut si foible qu’Elle ne pouvoit se tenir d’aucune posture, ce qui dura ainsy jusqu’au mercredy 13e mars.
Le mercredy 13e mars, le Roy, en se reveillant, se trouva bien mieux. Il avoit assez bien passé la nuit, prit un bouillon. Ensuite, il dina assez bien, en particulier, dans son lit, en presence de la Reyne qui ne manquoit pas de le venir voir tous les matins. L’apres midy, il se promena en robe de chambre dans sa gallerie, qui est tres belle et peinte en tableaux d’histoire de Dianne. La Reyne, les princes et les princesses s’y trouverent avec beaucoup de gens de qualité pour le divertir. Il y fit plusieurs tours, soutenu sous les bras par monsieur de Souvray, premier gentilhomme de la chambre en année, et par monsieur de Charots, capitaines des gardes en quartier. Sa Majesté, s’etant trouvée lassée, demanda son fauteuil, qui luy fut apporté par Antoine [f. 186v] et Tortilliere, garçons de la chambre. Le Roy s’entretien avec la Reyne, ses enfans et les ministres jusqu’au souper, qu’il voulut faire en particulier, de mesme que le coucher où la lecture ordinaire fut faite par monsieur Lucas, secretaire du cabinet, tres sçavant homme.
Le jeudy 13e mars, quoyque Sa Majesté, qui s’estoit un peu fatiguée à la promenade du jour precedent, eut assez bien reposée la nuit, Elle continua à se mieux porter. On ne laissoit point de s’apercevoir que son corps diminuoit peu à peu, comme Elle ne prenoit que tres peu de nourriture et ne beuvoit presque point de vin et prenoit beaucoup de remedes, ce qui le rendoit sy foible.
Le vendredy 14e mars, le Roy, en s’eveillant, se trouva tres bien, qu’il avoit bien reposé la nuit. On luy donna un bouillon tres nourrissant. Il receu tous ce jour beaucoup de visites, jusqu’au souper en public. Le coucher fut fait à l’ordinaire avec la lecture.
Le samedy 15e mars au matin, le Roy ne se trouva pas si bien. Il avoit esté tourmenté la nuit d’une colique, ne se leva qu’à midy en robbe de chambre, se mit dans sa chaise, ayant prit un bouillon. Il receut quelques visites de la Reyne et d’autres personnes. Ensuite, messieurs ses enfans y vinrent passer quelques temps. L’apres diner, estant fatigué, il y fit un petit somme jusqu’à l’heure du souper, qu’il prit une panade et d’autres mets dans son lit avant que de se rendormir.
Le dimanche 16e mars, Sa Majesté se trouva fort mal à son reveil. Elle avoit mal passé la nuit, sentant [f. 187] des douleurs partout le corps. Elle estoit d’un chagrin mortel et ne vouloit prendre aucuns remedes que par force. Cela etonna les medecins, qui voyoient qu’Elle diminuoit à veue d’œil, et que leurs remedes avoient des effets contraires à ceux qu’ils en esperoient. On remarqua mesmes qu’Elle se portoit mieux lorsqu’Elle n’en prenoit pas sy souvent, mais il falloit se soumettre aux ordres de la medecine et mourir dans les formes, accident ordinaire aux grands seigneurs. On commença alors d’avoir une mechante opinion de la maladie de Sa Majesté. Tout le jour se passa en consultation de medecins que la Reyne fit venir de Paris et de tous les costez. Le Roy, sur le soir, fit pour se rejouir chanter quelques airs de devotion par les musiciens jusqu’à ce qu’il fut endormy.
Le lundy 17e mars et le lendemain mardy 18e, le Roy ne fut pas mieux que le jour precedent. Il ne voulut pas prendre son bouillon le matin, quoyque la Reyne et les princes l’en eussent instament prié. Sa Majesté ne voulut point à diner qu’une panade et passa toute cette journée assez mal jusqu’aux coucher, que monsieur Lucas fit la lecture ordinaire.
Le mercredy 19e mars, le Roy se trouva assez tranquille. Il etoit un peu affoibli par les remedes continuels et par les ptisannes que les medecins luy ordonnoient, ce qui luy donnoit un tres grand degoust pour toutes sortes d’alliments, ne voulut prendre toute cette journée que des bouillons.
Le jeudy 20e mars, le Roy continua à se porter toujours tres mal, n’ayant point reposé la nuit. Il luy survint dans les reins de nouvelles douleurs que l’on croyoit une colique nephretique, avec les hemoroides qui luy continuoient et qui le tourmenterent tous le jour sans discontinuer, jusqu’au [f. 187v] vendredy 21 dudit mois de mars, n’ayant d’autre remedes que d’y presser continuellement du lait chaud dans des eponges pour les rafraichir et les adoucir. Sa Majesté ne se leva que l’apres midy. Il se promenoit en robbe de chambre dans sa gallerie avec la Reyne et quelqu’autres personnes de qualité. Il voulu mesmes jouer aux echets avec monsieur de Souveray jusqu’au coucher, aimant fort ce jeu.
Le samedy 22e mars, Sa Majesté en s’eveillant dit qu’Elle avoit assez bien passée la nuit et qu’elle se trouvoit bien mieux que les jours precedens, ce qui fut attribué aux petits remedes qu’on luy avoit données pour le faire dormir. Elle se leva en public, ayant ordonné à monsieur de Souvray, premier gentilhomme de sa chambre, de faire entrer tous ceux qui viendroient. Elle dina assée bien. Sa Majesté se promena l’apres midy dans ses appartement et passa dans la gallerie de la Reyne, pinte en tableaux des villes, qui etoit d’une joye extreme de voir que le Roy se portoit sy bien. Les medecins en conçurent mesme une bonne esperance. Le souper et le coucher se firent en public, avec la musique et grande joye.
Le dimanche 23e mars, le Roy fut assez bien. Il avoit esté un peu incommodé la nuit des hemoroides et d’une toux jusqu’à dix heures, qu’il prit un bouillon. Apres, il s’endormit et demeura au lit jusqu’à midy. Ayant demandé à Antoine, garçon de la chambre, s’il y avoit quelqu’un dans l’antichambre, luy ayant repondu qu’il n’y avoit que monsieur le comte de Guitaut, capitaine des gardes de la Reyne, qui venoit de la part de la Reyne pour scavoir des nouvelles de Sa Majesté, il le fit entrer et luy dit : Monsieur, vous diez à la Reyne que je me porte mieux et que j’auray le bien de l’aller voir sur le soir. A quoy monsieur de Guitaut repondit : [f. 188] Sire, Votre Majesté luy fera grand plaisir de voir Votre Majesté en chemin de guerison. L’apres diner se passa en grande joye. Le Roy s’amusa à peindre en pastels, à quoy il reusissoit tres bien, faisant le plus souvent les portraits de ses officiers en pasteilles, qu’il leur donnoit pour se souvenir de luy. On peut dire que Sa Majesté etoit le prince du monde le plus adroit soit à danser, à monter à cheval, à faire des armes, et à tous les exercices qu’un gentilhomme doit sçavoir, mesme les mathematiques et les mecaniques. Il forgeoit et tournoit au tour, il faisoit toutes sortes de filets à prendre des animeaux, oyseaux et poissons, il faisoit mesmes travailler les officiers de sa chambre les plus adroits, qui par là luy faisoient bien leur cour. Enfin, ce prince ne demeuroit jamais oysif.
Le lundy 24e mars, il continua à se bien porter. Il avoit bien passé la nuit, ainsy il commenda que l’on fit entrer tous le mond à son lever, que cela luy feroit plaisir. Tant de peuple s’y trouverent qu’il estoit presqu’impossible d’entrer dans la chambre pour faire le service. La convalescence du Roy causoit une sy grande joye que cette journée se passa dans les mesmes divertissements que la precedente.
Le mardy 25e mars, feste de l’Annonciation de la Sainte Vierge, Sa Majesté se trouva assez bien. Elle se leva en public, entendit la messe avec une devotion exemplaire. Apres la messe, le Roy envoya monsieur Bontemps demander à la Reyne si elle vouloit bien venir diner avec luy, ce qu’elle accepta avec joye. Ils dinerent ensemble et eurent plusieurs petites conferences tres agreables. L’apres midy, le Roy s’alla promender dans sa gallerie. Il y fit porter sa grande chaise pour s’y reposer, où sa musique s’y trouva. On chanta plusieurs petits airs de devotion jusqu’au souper, [f. 188v] qui fut fait en public, ainsy que le coucher, où on fit la lecture jusqu’à ce que Sa Majesté fut endormie.
Le mercredy 26e mars, le Roy à son reveil se trouva un peu plus mal qu’à l’ordinaire. Il avoit esté tourmenté d’inquietudes pendant la nuit. On luy donna une medecine qui luy fit assé bien. Il ne voulut voir personne jusqu’à midy, qu’il se leva et receu des visites jusqu’au soir. Mais, s’estant ressenty comme d’un frisson, voulut se coucher aussytost.
Le jeudy 27e mars, le Roy, qui avoit fort mal passé la nuit, dit en s’eveillant : Je me sens bien affoibly, je m’apperçoit que mes forces diminuent de jour en jour, j’ay prié le Seigneur que, s’il luy plaisoit de me tirer de ce monde, qu’il me dit la grace d’abreger la grande longueur de ma maladie. Ensuite de ce discours, il s’adressa à monsieur Bouvard, son premier medecin, luy dit : Vous sçavez bien, Monsieur, qu’il y a quelque temps que je vous ait dit que je n’avois pas bonne opinion de ma maladie, que je vous ait prié et mesme pressé de m’en dire votre sentiment, mais vous m’avez fait esperer de ma guerison. Monsieur Bouvard luy avoua, luy disant : Sire, je n’ay osé le temoigner à Votre Majesté, de peur de luy en donner d’inquietudes. Le Roy n’en parut pas plus emut, en disant : Je m’it suis bien preparé, l’ayant mesme temoigné à mon confesseur et à monsieur de Meaux de me mettre en estat de bien mourir. Sa Majesté voulut se coucher plus tost qu’à son ordinaire ; depuis ce jour jeudy 27e mars, le vendredy 28e jusqu’au mardy premier jour d’avril, le Roy se trouva dans une espece de langueur et fut toujours assez mal, ne reposoit que fort peu les nuits. Il avoit du degout pour toutes choses. On luy fit prendre pendant ce temps là beaucoup de remedes, entr’autres une [f. 189] medecine purgative qui fit de grands evacuations qui l’affoiblirent extremement par de grands efforts pour la rendre, et souffrit tout ce jour dans le bas vente des grandes douleurs.
Le mardy premier avril, Sa Majesté, qui avoit estée fort incommodée les jours precedents, ne laissa pas d’avoir estée assée tranquille cette nuit et se trouva mieux tout le long du jour, prit un bouillon à son reveil et ne voulut voir ce latin que ses domestiques. La Reyne etant venue jusques dans l’antichambre pour voir le Roy, y apprit qu’il avoit dit qu’il ne vouloit voir personne ce matin pour dormir. Elle s’en retourna dans son appartement jusqu’à son diner, qu’elle revient avec messieurs ses enfans. Ayant dit au Roy dans la conversation qu’elle etoit venue le matin pour le voir mais qu’elle n’avoit osé entrer de peur de l’incommoder, ce discourt surprit le Roy, qui répondit : Quand je dis, Madame, que je ne veux voir personne, ce ne doit pas estre pour vous, et vous scavez tres bien que vous etes la maitresse d’entrer chez moy à quelques heures qu’il vous plaira, je n’ay voulut parler que pour des etrangers. Le reste du jour se passa en petits amusements que chacun faisoit naitre pour pourvoir dissiper le chagrin de Sa Majesté, jusqu’au souper qui se fit de bonne heure en particulier. Ce jour, l’on releva le quartier des officiers de la maison du Roy à l’ordinaire, mais quelqu’uns voulurent demeurer pour voir l’issue de la maladie de Sa Majesté.
Le mecredy 2e avril, Sa Majesté, qui avoit eue une tres bonne nuit, se porta bien mieux. Les medecins luy firent prendre ce matin une ptisanne de rhubarbe qui, l’ayant beaucoup purgée, luy donna beaucoup d’appetit au diner [f. 189v] qu’Elle fit dans son lit. Elle se leva pendant quelques heures l’apres midy et, comme Elle estoit fort affoiblie et lasse d’estre couchée, Elle se fit porter son fauteuil pres de la fenestre qu’Elle fit ouvrir pour avoir de l’air. La veue estant tres belle et le temps fort serain, Sa Majesté avança la teste à la fenestre, d’où l’on decouvre aisement les clochers de l’abbaye de Saint Denis. Les ayans apperçues, Elle se tourna vers ses officiers de la chambre, leur dit : Mes amis, voilà peut être bientost ma derniere demeure, leur montrant de la main même le chemin par où on devoit le mener. Ce discours ne fut pas dit sans avoir tiré des soupirs et des larmes de ceux qui l’entendirent, qui admirent la grande fermeté et le genereux mepris avec lesquels ce grand roy regardoit sans emotion le lieu de sa sepulture. Ensuite, Sa Majesté ordonna à monsieur Lucas de lire dans la Vie des saints du jour, qu’il fit pendant quelques heures jusqu’au souper, qui fut d’une panade et quelques pommes cuites. Apres quoy, Elle voulut se coucher, ayant envye de dormir, n’y estant resté que les seuls officiers de garde avec les medecins et chirurgiens.
Le jeudy 3e avril, le Roy, qui n’avoit eu la nuit que peu d’inquietudes, continua à se mieux porter, ayant pris le matin un remede qui luy avoit fait assez de bien. Elle voulut etre seule pour se reposer cette matinée, car il venoit tous les matins une si grande confusion de peuples qu’on ne pouvoit passer dans la salle des gardes ny dans l’antichambre. La Reyne y arriva pour faire prendre au Roy un petit potage ou consommé qu’il mangea avec assez d’appetit, ce qui rejouit beaucoup cette princesse de voir le Roy, quy estoit d’assez bonne humeur. Elle envoya Antoine, garçon de la chambre, querir messieurs les princes ses enfans, qui arriverent aussytost. Sa Majesté, les ayant apperceus, en temoigna de la joye, leur dit plusieurs paroles pleines de douceurs et leur fit des questions sur leur maniere de vie et [f. 190] sur la conduite qu’ils devoient tenir dans la suite. Le soir venu, tout le monde se retira à l’exception des officiers pour le service. Le Roy fit lire par monsieur Lucas les Meditations de la mort qu’il avoit marquez dans son livre journaillier. La lecture dura jusqu’au souper, où se trouva la Reyne, qui voulut parler au Roy en particulier, ce qui obligea M. de Souveray de faire retirer tout le monde de la chambre. Ensuite, le coucher du Roy se fit à l’ordinaire, sans lecture.
Le vendredy 4e avril, Sa Majesté se trouva fort tranquile. Elle n’avoit eue la nuit que peu d’inquiétudes, les medecins luy ajant proposé de prendre medecine, mais le Roy n’en voulut point, telle priere que la Reyne luy en fit, luy disant : Madame, les medecins s’ennuyent de me voir un peu en repos. Ensuite, Sa Majesté s’endormit jusqu’à midy, qu’Elle se mit à table pour diner, où elle mangea avec beaucoup d’appetit. Toute l’apres diné se passa à recevoir des visittes des princes et d’autres personnes de distinction, jusqu’au soupper. Ensuite, elle ordonna au sieur Chicot de lire quelques passages de l’Introduction à la vie devote de saint François de Sales, ce qu’il fit jusqu’à ce que Sa Majesté fut endormie.
Le samedy 5e avril, Sa Majesté ayant assez bien passé la nuit, continua à se bien porter, ce qui donna quelques esperences aux medecins d’une guerison dont toute la court avoit bien de la joye devoir en si peu de temps un si grand changement. Sa Majesté se leva ce matin en robbe de chambre, estant fort guaye, et dina en public. L’apres midy, Elle envoya querir par Tiffaine, garçon de la chambre, les sieurs Camefort, Ferdinand et de Niert, premier valets de garde robbe, lequel a esté dans la suite premier vallet de chambre du Roy, qui jouent tous tres bien du luth et du therobe. Ils firent un petit concert [f. 190v] et chanterent en partie Lauda Anima et d’autres airs de devotion composés sur les paraphrases des Pseaumes de David du sieur Godeau. Le Roy voulut mesme aussy chanter une des basses avec monsieur le mareschal de Chomberg, qui chantoit fort bien. Ce concert rejouissoit toute la cour qui s’i estoit rendue. Monsieur de Souvray en avoit fait avertir la Reyne par Antoine qui, etant arrivée aussitost, fut fort surprise d’entendre cette musique et de voir un changement si subit, dont la joye retentissoit dans tout l’appartement du Roy, et tout le monde disoit à Sa Majesté qu’Elle estoit en chemin de guerison et que le printemps, qui etoit tres doux, accheveroit le retablissement de sa santé. Le Roy à cela repondoit fort serieusement : Je suis, Messieurs, fort resigné à la volonté du Seigneur ; s’il me redonne la santé, je travailleray de tout mon pouvoir à donner la paix à mon royaume et à soulager mes peuples. Le reste du jour se passa tres bien jusqu’au coucher, où Sa Majesté fit lire par monsieur Lucas dans le Nouveau Testament le 17e chapitre de l’Evangile de saint Jean, où sont les prieres que Jesus Christ fit à son père avant que de passer le torrent de Cedrin, mais, pendant cette lecture, le Roy s’endormit et, s’etant reveillé peu de temps apres fort inquieté, il demanda à monsieur Bontemps quelle heure il estoit, et luy ayant repondu qu’il etoit onze heures, il dit qu’on s’allat reposer.
Depuis le dimanche 6e avril, Sa Majesté, à la foiblesse pres, continua jusqu’au lundy 14 avril à se bien porter. Elle tenoit tout les jours conseil, le plus souvent au chevet de son lit. Fut ce mesme jour qu’Elle congedia monsieur des Noyers, secretaire d’Estat, qui luy avoit demandé permission de se retirer. Elle revetit de sa charge monsieur Michel Le Tellier, maitre des requestes, qui l’exerça par commission jusqu’à la mort de monsieur des Noyers qui arriva en 1645. Pendant ce temps là, le Roy s’occupa aux mesmes exercices qu’en pleine [f. 191] santé, excepté qu’il ne montoit point à cheval. Il alloit en carosse les apres diner prendre l’air dans la forest ou dans le parc les beaux jours de la saison, qui etoit lors tres belle et douce. Sa Majesté temoignoit d’estre fort content de se voir en meilleur etat que les jours precedens. Elle receue beaucoup de visites, particulierement de madame de Guise et de messieurs ses enfans, qu’il pria de demeurer quelque temps parce qu’il etoit bien aise de les voir, à quoy madame de Guise repondit que Sa Majesté luy faisoit bien de l’honneur, qu’elle resteroit tant qu’il luy plairoit et qu’elle seroit ravie de pouvoir contribuer au retablissement de sa santé.
Le lundy 14e avril, le Roy, en s’eveillant, dit qu’il avoit esté beaucoup tourmentée la nuit de vapeurs et des chaleurs de teste qui l’avoient empesché de dormir et fait changer à tous momens de places dans son lit. On luy donna son bouillon. Apres l’avoir prit, il demeura au lit et sommeilla jusqu’à midy, qu’il se leva et demeura en robe de chambre pour diner, qui fut très court. Ensuite, la Reyne fut avec le Roy seulle quelque temps en conversation, où il s’endormit dans sa grande chaise pendant deux heures, ce qui luy fit beaucoup de bien parce que l’insomnie de la nuit l’avoit très fatigué. Le coucher se fit à l’ordinaire.
Le mardy 15 avril, le Roy, qui n’avoit pas eu tant d’inquiétudes cette nuit que les précédentes, se porta un peu mieux. Mais tous les bons jours qu’il avoit eus auparavant ne l’empeschoient pas d’estre d’une grande foiblesse. La santé de S. M. ne revenoit point. Elle sentoit toujours du mal de temps en temps dans les entrailles. Les medecins qui le voyoient dans une espece de langueur n’en etoient pas tres contents. Ils conclurent seullement de luy faire prendre du petit lait les matins, pour tacher de pouvoir luy rafraichir les entrailles, que Sa Majesté resentoit toujours echauffés, ce qui fut continué sans un soulagement [f. 191v] jusqu’au mercredy 23 avril que le Roy se trouva fort abbatu et fatigué des remedes et du petit lait qu’Elle avoit pris toujours pendant huit jours, pendant lesquelles Elle n’avoit point bu de vin. Cela luy avoit causé une si grande foiblesse qu’Elle ne pouvoit se soutenir debout. Les medecins, qui voyoient que le Roy diminuoit, luy firent quitter le petit lait.
Le jeudy 24e avril, ce qui avoit esté resolut le jour precedent dans la consultation fut augmentée de la seignée, laquelle fut faitte sur les huit heures du matin, mais elle reussit tres mal, car elle cause au Roy une toux continuelle comme d’une espece de fluxion sur la poitrine qui le tourmentoit beaucoup, ce qui luy fit prendre la resolution de recevoir ce jour le Saint Sacrement. Comme il fit tres devotement en particulier, en presence de la Reyne et de quelques grands officiers de sa maison, Sa Majesté ne voulut voir personne de toute la matinee que son confesseur, le pere Dinet, jusqu’au diner. Dans ce temps, le Roy ayant tesmoigné à la Reyne que son intention estoit que l’on baptissa monsieur le Dauphin, agé de 4 ans 8 mois, pour cet effet l’on envoya querir M. le cardinal Mazarin et madame la princesse de Condé pour le tenir sur les fonds baptismaux. La ceremonie en fut faite vers les quatre heures du soir, dans la chapelle du vieux château, par monsieur l’eveque de Meaux, premier aumonier de Sa Majesté, sans aucunes grandes ceremonies ny rejouissances à cause de la maladie du Roy. Monseigneur le Dauphin fut nommé Louis au nom de notre saint père le pape [vide] par monsieur le cardinal Mazarin, avec madame la princesse de Condé sa mareine, en presence de la Reyne et de toute la cour. La ceremonie faite, la Reyne et madame la Princesse avec monsieur le cardinal firent le recit au Roy de ce qui s’y estoit passé et de la sagesse de monsieur le Dauphin, qui arriva [f. 192] aussytost avec madame de Lensac, sa gouvernante, et sous gouvernante, madame [vide]. Sa Majesté l’ayant aperceut, luy ayant fait plusieurs questions, entr’autres luy dit : Mon fils, comment vous a-t-on nommé au baptême ? Monsieur le Dauphin ayant repondu sans esiter : Louis quatorze, mon papa, le Roy luy dit : Pas encore, mon fils, mais ce sera peut estre bientost, si c’est la volonté de Dieu. Puis, levant les yeux au ciel, Seigneur, dit il, faite luy la grace de le faire regner apres moy en paix et en prince veritablement bon chretien et comme fils ainay de l’Eglise, qu’il ait toujours en veue le maintien de votre sainte religion et le soulagement de ses peuples. Sa Majesté parrut avoit bien de la joye que cette ceremonie fut faite. Le Roy envoya Tortilliere, garson de la chambre, chercher la Reyne qui s’en estoit allée dans son appartement. Outrée de douleurs, luy dit : Madame, apres que Dieu m’a fait la grace aujourd’huy d’avoir fait baptisser mon fils, j’ay pris aussy la resolution, sy Dieu dispose de moy, de vous faire declarer la regente de mon royaume jusqu’à ce que mon fils soit dans un age de majorité, afin de prevenir les contestations qui pourroient arriver à ce sujet. Sa Majesté tint ce discours avec des paroles si tendres qu’elles tirent des larmes de toutes l’assemblée et mesme la Reyne en tomba comme evanouie dessus le dit du Roy, en telle manière que monsieur de Souvray fut obligé de l’en retirer de force et de l’emmener dans son appartement. Outrée de douleur, le Roy envoya sur l’heure Antoine, garçon de la chambre, chercher monsieur de La Vrilliere, secretaire d’Etat, en qui Sa Majesté avoit beaucoup de confiance, luy expliqua ses intentions en particulier, luy ordonna d’aller dresser la declaration de la regence en forme de testament afin de la faire verifier en parlement au plus tot. C’est ainsy que se passa la journée. Sa Majesté n’ayant pris qu’une petite panade avec un peu de gellée, elle se trouva tres foible à son coucher.
Le vendredy 25e avril, le Roy se trouva assez mal en s’eveillant, ayant esté tres tourmenté toute la nuit d’une [f. 192v] toux tres seiche que l’on ne put adoucir par tout les remedes que l’on luy donna, qui dura jusqu’à son diner, ou il ne prit que du bouillon, de la gellée et quelques compottes. D’abord que le Roy eut diné, il envoya Tortilliere, garçon de la chambre, chercher monsieur de La Vrilliere, qui arriva presqu’aussytot avec monsieur le chancelier Seguier, accompagné des ministres et secretaires d’Estat, des princes et princesses du sang et gens de la premiere qualité, qui aborderent de tous costez. A l’instant, le Roy fit ouvrir les rideaux de son lit, et prenant la parole dit à haute voix : Messieurs, c’est en cette occassion que je veux que vous soyés temoins de mon intention pour donner à mon royaume la tranquilité et le repos apres ma mort, s’il plait à Dieu de disposer de moy, n’ayant put jusqu’à present luy donner la paix generalle. Ce discours finy, Sa Majesté ordonna à monsieur de La Vrilliere de faire tout haut la lecture de la declaration de la regence, afin que tout le monde scu sa derniere volonté. Monsieur de La Vrilliere en fit la lecture et eut bien de la peine à l’achever de la lire, à cause des larmes qui luy couloient des yeux d’avoir esté obligé de dresser un acte si facheux, qui donnoit une marque comme evidente de la mort du Roy son maitre, qu’il aimoit passionnement. Sa Majesté ordonnoit entr’autres choses par cette declaration qu’en cas qu’Elle mourut, la Reyne fut regente pendant la minorité de son fils, que monsieur le duc d’Orleans, son frere, seroit chef du conseil d’Estat, en son absence monsieur le prince de Condé, et lieutenant general du royaume sous l’autorité de la reyne regente et de son conseil, qui seroit aussy composé de monsieur le cardinal Mazarin, du chancelier, du sieur Claude Bouthillier et du sieur Chavigny, son fils, secretaire d’Etat. Cette lecture finie, le Roy voulut estre seul avec le pere Dinet, son confesseur. Tout le monde se retira dans l’antichambre. Apres y avoir demeuré une [f. 193] demye heure, le Roy ordonna à messieurs le chancellier de Chavigny et de La Vrilliere de faire incessament verifier la declaration en parlement, ce qui fut executé ledit jour 25e avril 1643. Le reste de cette journée se passa assée doucement. S. M. parut d’une grande tranquilité. La Reyne, estant presente, demeura fort tard avec le Roy. Apres avoir eu quelques secretes conversations ensemble, Sa Majesté envoya Riviere, garçon de la chambre, chercher Monsieur. Le duc d’Orleans estant arrivé, le Roy luy permit de bonne grace de faire revenir madame la duchesse d’Orleans, sa femme, qui estoit lors à la ville de Bruxelles depuis quelques années. Le reste de ce jour se passa assé bien.
Le samedy 26e avril, le Roy se trouva cette nuit tres incommodé par de grandes challeurs d’entrailles avec une toux continuelle, nonobstant tous les remedes que les medecins ordonnoient de donner à Sa Majesté. N’ayant pris qu’un bouillon, Elle se leva en robbe de chambre pour diner, quy fut fort court. L’apres midy, le Roy receu quelques visites jusqu’à sou coucher qui fut comme à l’ordinaire, avec la lecture.
Le dimanche 27e avril, le Roy se trouva plus indisposé que le jour precedent, ayant vuidé une espece d’abceds ou apostume par embas cette nuit. Sa Majesté ne se sentit estre plus soulagée et prit un bouillon dans le lit et se rendormit jusqu’à dix heures, qu’Elle mangea une panade et de la gellée qui luy servit de diner. L’apres midy se passa en amusement. Sur le soir, Sa Majesté se trouva un peu incommodée, luy ayant pris des inquietudes, demandant à tous momens quelle heure il estoit, etant tres chagrin, ne trouvant point de bonne place dans son lit. Le coucher fut fait avec la lecture ordinaire.
Le lundy 28e avril, le Roy à son reveil se trouva [f. 193v] d’une tres grande foiblesse, manque de prendre de la nourriture ny point boire de vin, ce qui luy empeschoit de pouvoir dormir, nonobstant les julepes que l’on luy faisoit prendre avec des sirops composés, S. M. disant à tous momens qu’Elle se sentoit diminuer de jour en jour, que les medecins luy faisant toujours esperer le retablissement de sa santé, ne trouvant plus de consolation qu’à se disposer à bien mourir par des lectures spirituels qu’Elle se faisoit faire tres souvent. Cette journée se passa tres tristement, ainsy que le mardy 29e avril qui fut encore plus mauvaise.
Le mercredy 30e et dernier jour d’avril, le Roy se trouva tres foible, dit à messieurs de Souvray et à monsieur Bouvard, premier medecins, et à ses confreres : Messieurs, je me sens bien mal ce matin, je ne croit pas que cette maladie ait bonne issue. A quoy monsieur Bouvard repondit : Ah Sire, Votre Majesté ne doit pas avoir cette opinion, ce ne sera rien s’il plaist à Dieu, il faut que Votre Majesté ait confiance en luy et aux remedes que nous vous ordonnons. Elle avoir estée fort inquieté la nuit, ne dormant point, ayant demandé à tous momens l’heure qu’il estoit et s’il ne seroit pas bientost jour. Elle fit meme tirer plusieurs fois les rideaux de son lit par le sieur Bontemps et fait ouvrir les fenestres par Antoine, estant tres inquieté dece que le jour ne venoit point pour ce lever et prendre l’air car il faisoit extremement chaux dans sa chambre qui estoit tout le jour pleine de monde et grand feu. Sur le midy, Elle prit un bouillon purgatif qui luy fit faire l’apres midy beaucoup d’evacuations, ce qui l’empescha de ne voir tout ce jour là personnes que ses domestiques, avec qui Elle s’entretenoit souvent de son mauvais estat. Le coucher se fit sans lecture, parce que S. M. se trouva fatigué du remede qu’Elle avoit pris.
Le jeudy premier may, le Roy se trouva tres incommodé toute cette nuit par une espece de collique, n’ayant que tres peu repossé, ayant eu une grande sueur par tout le corps [f. 194] et par les jambes. Il demanda à Tortilliere sur les trois heures du matin un linge pour les essuyer. Tortilliere le luy ayant donné, il ne put les essuyer lui mesme et dit à monsieur Bontemps de tenir la couverture levée un peu haute tandis que Tortilliere et Antoine luy frotteroient les jambes et les pieds, qu’il avoit tres mouillées. Sa Majesté, se voyant dans cette posture, fit reflexion sur l’etat où Elle se voyoit et leur dit : Mes amis, je suis d’une grande maigreur, mais c’est la volonté de Dieu. Effectivement, le Roy n’avoit plus que la peau colée sur les os : ses jambes et ses cuises etoient si menues que la seule grosseur des genouilx qui les faisoit remarquer, tout son corps avoit plustost la figure d’un squelete que d’un homme vivant. Tout ce jour se passa en apprehensions du mauvais succez de sa maladie. Sa Majesté ne laissoit pas cependant d’agir autant qu’Elle pouvoit, de tenir conseil avec ses ministres, ayant toujours eu l’esprit et le jugement fort sains. Sur le soir, Elle eut une petit toux seche qui l’incommoda extremement jusqu’à minuit, malgré tous les sirops que l’on luy donnoit, se faisant faire la lecture par le sieur Chicot, l’un de ses medecins ordinaires, lequel disoit souvent au Roy, qui estoit tres inquiete de l’issue de sa maladie : Sire, il faut que Votre Majesté ait patience et qu’Elle attendre avec tranquilité la volonté du Seigneur J. C., il est le maitre de notre vie et de notre mort. Pendant ce discours, le Roy s’endormit.
Le vendredy 2e may, Sa Majesté se trouva assez mal car il s’estoit eveillé plusieurs fois pendant la nuit, avoit demandé tres souvent quelle heure il estoit et quelle temps il faisoit. Antoine luy ayant repondu qu’il etoit trois heures et qu’il faisoit tres beau pour la saison, il demanda à boire et apres s’endormit jusqu’à huit heures du matin, qu’on luy presenta un bouillon dont il avoit bien besoin pour [f. 194v] humecter sa poitrine que la toux avoit fort dessechée, mais il ne vouloit point le prendre, disant qu’il n’en avoit plus besoin, mais il le prit par complaisance à la priere de la Reyne qui estoit presente. Ensuite, le Roy s’endormit jusqu’à cinq heures du soir. On en tira un bon augure parce que depuis six jours il n’avoit point eu de bon sommeil, et dit en s’eveillant mesme qu’il se sentoit mieux, mais qu’il estoit bien foible. Le sieur Bouvard, son premier medecin, luy ayant repondu que c’etoit parce que Sa Majesté ne prenoit pas assée de nourriture, Elle prit quelque alimens qu’on luy presenta sur le champ, mais Elle n’en prit qu’avec beaucoup de peine, n’ayant point d’appetit. Elle commanda sur le soir à monsieur de Souvray de redoubler les officiers de sa chambre, car ceux qui la servoient depuis le commencement de sa maladie, qu’ils n’avoient pas voulut quitter, ne pouvant plus resister aux veilles continuelles qu’ils avoient faites, et afin qu’ils se soulageassent les uns les autres, le Roy fit coucher dans son antichambre deux valets de chambre, un tapissier, un barbier, le porte chaire pour soulager les six garçons de la chambre qui estoient sur pied nuit et jour depuis la maladie du Roy.
Le samedy 3e may, le Roy se trouva le matin extremement mal. Toute les parties de son corps estoient tres douloureuses, ce qui obligea les medecins de faire entr’eux une consultation dans laquelle il fut resolu qu’en cas que le mal continua jusqu’au lendemain, il faudroit luy faire recevoir le saint sacrement, et cependant en faire avertir la Reyne afin qu’elle n’en fut point surprise. On en donna la commission à monsieur de Meaux, qui luy annonça cette triste nouvelle, dont elle fut tres etonnée, ne croyant pas que le Roy fut dans cet etat. Elle partit aussytost de son appartement et à son arrivée elle trouva le sieur Bouvard qui luy dit qu’il falloit [f. 195] attendre au lendemain pour en avertir le Roy. Elle luy demanda à qui il falloit en donner la commission, ne voulant pas s’en charger. Le père Dinet, confesseur du Roy, la prit avec peine, mais on peu dire que tant de precautions n’etoient pas necessaires pour porter Sa Majesté à cette sainte action car Elle y estoit tres preparée depuis longtemps. Cette journée se passa tres mal. Tout le monde etoit d’une grande consternation de voir le Roy si mal, qui diminuoit d’un jour à l’autre. Personne ne le pouvoit voir sans jetter des larmes. Mesme la Reyne, qui ne bougeoit du chevet de son lit, en rependoit à tous momens, car elle estoit outrée de douleur, et des ce moment ne voulut plus le quitter ny jour ny nuit. Pour cet effet, elle ordonna qu’on luy apporta un petit lit dans un petit cabinet qui estoit pres de la chambre du Roy afin de s’oter les inquietudes qu’elle avoit etant plus eloignée de l’appartement du Roy. L’apres diner, le Roy se trouva un peu plus tranquile que le matin et il receu une visite de messieurs les marechaux de Chatillon et de La Force, qui etoient de la religion pretendue reformée. Il fut bien aise de les voir, leur dit plusieurs choses obligeantes sur leurs actions et les exorta ensuite à quitter leur religion dans laquelle il ne pourroient faire leur salut, ajoutant qu’à la verité ils etoient de braves gens et d’un grand merite selon le monde, mais que selon Dieu il n’en estoit pas de mesme, que pur aller au ciel il n’y avoit pas deux voyes et qu’il n’y avoit point de salut hors de l’Eglise catholique, apostolique et romaine, à quoy ils les convia de faire reflexion. Le reste de ce jour se passa à l’ordinaire, où l’on fit la lecture jusqu’à ce que Sa Majesté fut un peu endormie.
Le dimanche 4e et le lundy cinquiesme may, le Roy n’avoit pas eté si fort tourmenté ces deux nuits. Il se trouva un peu mieux. On luy donna à son reveil des vouillons compossés qu’il eut bien de la peine à prendre, etant extremement degouté. Il ne [f. 195v] voulut voir personne que la Reyne car cette princesse etoit la seule consolation du Roy. Apres midy, le père Dinet vient voir Sa Majesté et luy dit : Sire, je me suis chargé d’une commission que j’ay prise et que je croit que vous ne trouverez pas mauvaise, qui est de proposer à Votre Majesté, qui a toujours souhaittée dans sa maladie, dont on ne peut sçavoir les suittes, de recevoir encore le saint sacrement du corps de Jesus Chrit. Le Roy receu cette nouvelle avec joye et sans emotion et dit : Mon pere, je vous suis bien obligé de la bonne nouvelle que vous m’aprenez, puis, levant les yeux au ciel : Seigneur, dit il, me voila pres à vous recevoir, rendez moy digne de cet honneur. Apres quoy tout le monde sortit. Le pere Dinet demeura seul avec Sa Majesté pour le confesser. Pendant ce temps, monsieur de Souvray fut en avertir la Reyne, qui etoit dans son appartement, qui arriva aussytost chez le Roy, tres surprise de cette nouvelle, ayant amenée messieurs les princes ses enfans, tous eploreez. Quand le Roy fut confessé, l’on les fit passer dans le cabinet du Roy, mais monsieur le duc d’Anjou, qui se mit à pleurer et à gronder de ce qu’il n’avoit pas aussy avec luy aucune de ses femmes de chambre, mais parce qu’il faisoit trop de bruit au Roy, on fut obligé de l’envoyer par Antoine avec madame de la Folaine, sa sous gouvernante, dans la gallerie du Roy. Alors monsieur de Meaux et le père Dinet entrerent dans la chambre pour disposer Sa Majesté à recevoir encore une fois le saint sacrement, qu’il avoit dejà receu dans le court de sa maladie. Apres qu’ils l’eurent veu dans la disposition d’une ame tout à fait chretienne et resignée à la volonté de Dieu, car leur ayant dit mille belles choses à ce sujet, monsieur de Meaux alla à la parroisse querir le saint sacrement accompagné du curé avec tout son clergé, où assista la Reyne, les princes et princesses avec beaucoup de personnes de la cour. Sa Majesté le receut avec une devotion tres exemplaire. Peu [f. 196] de temps apres, voulant estre seule, on fit sortit tout le monde. Alors, le Roy se fit donner le pupitre dont il se servoit quand il vouloit lire dans le lit et reciter les prieres qu’il avoit composées, qui avoient pour titre Vera christiana pietatis officia per chritianissimum regem Ludovicum tercium decimum ordinata. Il les recita pendant une bonne demye heure, que Sa Majesté scavoit par cœur tous les offices de chaque jour de la semaine, qu’il doit telle affaire qu’il eut, outre l’office votif tous les lundis, et celuy des morts tous les vendredys au soir, pour demander à Dieu la grace de bien mourir. Le reste du jour se passa tristement. Sa Majesté se trouva ny mieux ni plus mal.
Le mardy 6e may, le Roy se trouva au matin fort fatigué, toute la nuit, ce qui etoit un mechant augure, s’etant fait changer de scituation plusieurs fois, ce qui fit que Sa Majesté s’etoit trouvé mal à son reveil et ne prenoit plus aucuns alimens qu’à forces de prieres. Ce fut ainsy que toute la matinée se passa. L’apres midy, il luy prit un grand assoupissement qui dura jusqu’à onze heures du soir sans se reveiller, dont les medecins n’estoient pas contens de ce qu’il duroit si longtemps. On faisoit beaucoup de bruit dans la chambre pour l’eveiller, l’on luy tatoit le poulx qu’on luy trouvoit tres foible et intermitant. La peur qu’on eu qu’il ne mourut dans ce sommeil leur fit prendre la resolution de l’eveiller, mais il fut question d’en prendre la commission que chacun refusoit, ainsy la Reyne et les princes la donner tous au père Dinet, qui s’approcha aussitost du lit et par trois fois luy dit fort haut : Sire, Votre Majesté m’entend telle, qu’Elle se reveiller s’il luy plaist, il y a lontemps qu’Elle n’a pris de nourriture, les medecins ont peur que cela ne vous affoiblisse trop. A ces paroles, le Roy se reveilla en sursaut et dit, d’un esprit assez tranquille : Je vous entends bien, mon pere, et je ne trouve pas mauvais que vous m’ayez eveillé, mais ceux [f. 196v] qui vous y ont obligé scachant bien qu’il y a quelques jours que je n’ait peu dormir, et, s’adressant à M. Bouvard : Vous deviez l’empescher, M., et j’avoue que j’ay eu trop de complaisance de mestre trop fié aux remedes de la medecines. Sa Majesté ayant dit toutes ses choses avec un peu de challeur, ce qui l’avoit emu, ayant le visage tres rouge et les yeux eteincelens, ce qui obligea le pere Dinet de dire au Roy : Ah, Sire, il faut pardonner, Sa Majesté luy ayant repondu : Je leur pardonne de tout mon cœur afin de n’y plus songer. L’emotion que le Roy avoit eu luy ayant causé comme une espece de frisson, le soir, lorsqu’il receu une visite de madame d’Elbeuf et de mademoiselle sa fille, Sa Majesté leur temoigna beaucoup de joye de les voir, leur disant beaucoup de choses obligeantes jusques sur les dix heures du soir que le Roy s’endormit.
Le mercredy 7e may, le Roy se trouva assez bien à son reveil. On luy fit prendre de la gellée fondue pour luy humecter la poitrine qu’une espece de fievre interne qu’il avoit souvent luy avoit rendue fort seche et alterée. Il passa assé doucement toute la matinée. La Reyne, qui ne quittoit le Roy que fort peu, le vint voir sur le midy, l’exhorta à prendre une petite panade, à quoy il consenty volontiers, en disant : Je le veux bien, Madame, pour l’amour de vous. On luy apporta aussytost, il en prit quelques cuielleres qui l’obligea mesme de vomir beaucoup d’eaux avec de grands efforts. Sur les trois heures du soir, il appella la Reyne et luy dit : Madame, j’ay resolu de faire mon testament, quoyque je sois bien persuadé que vous executerés ponctuellement ma derniere volonté sans qu’elle fut ecrite. Ensuite, il dit à monsieur de Souvray d’envoyer chercher monsieur de La Vrilliere, secretaire d’Etat. Antoine le fut querir dans le moment. Etant arrivé, s’enferma quelque temps avec S. M. [f. 197] et le pere Dinet pour dresser ledit testament. Quant il fut fait, le Roy ce le fit lire et leur ordonna de le cacheter de armes de France, de le garder pour le mettre au jour apres son deceds.
Par ce testament, le Roy donne entr’autreschoses cent mil escus pour estre distribuées à ses officiers domestiques pour les recompenser de leurs bons services, Sa Majesté fait aussy quelques leges pieux comme à l’église de Saint Denis vingt mille ecus pour dire une basse messe journalliere, plus à l’eglise de Saint Germain en Laye 600 l. pour dire à perpetuité une messe haute à son intention toutes les années le jour de son deceds, donne en particulier aux six garçons de sa chambre, scavoir Antoine, Thisaine, Riviere, Tortilliere, Meunier et Cailteau chacun mil ecus pour leurs bons services. Ensuitte la Reyne, presente, se retira dans son appartement, outrée de douleur. Tout cela se passa sans que le Roy n’eut une grande emotion. Il se trouva tres mal. L’on fit sortir le monde de la chambre, à l’exception des officiers de services, monsieur de Meaux et du père Dinet, qui firent une lecture spirituelle qui dura jusqu’à dix heures, que Sa Majesté s’endormit mais avec de grandes agitations d’esprit et du corps. Toute cette journée ce passa tres mal ainsy que les jours precedans, en telle façon que l’on crut que le Roy n’iroit pas loin, ce qui dura ainsy jusqu’au samedy 9e may au soir.
Le dimanche 10e may, le Roy se trouva plus mal cette nuit, etant tombée comme en letargie ainsy qu’il avoit eue les jours predecents, ayant eu des inquietudes continuelles avec des grandes foiblesses qui luy prenoient tres souvent et ne voulant absolument plus prendre aucuns alimens. Les medecins desesperent alors de la maladie du Roy et prirent la resolution de luy faire recevoir l’extreme [f. 197v] onction, de peur qu’il ne survint quelqu’accident nouveau.
Monsieur de Souvray envoya tout aussytost Dubois, valet de chambre, avertir la Reyne et luy dire qu’il falloit qu’elle passa dans le cabinet du Roy, à cause de la grande foule de monde que le bruit de la prochaine mort du Roy avoit attiré. A cette nouvelle, la Reyne accourut incontinent et passa seule par la salle des gardes avec messieurs ses enfans, accompagnées de leurs gouvernantes, portées par les huissiers de la chambre, de peur que l’on ne les blessât dans la presse qui etoit tres grandes. On les fit entrer par le cabinet mais la Reyne ayant accourut devant, n’ayant voulu attendre personne, etoit demeurée seule dans la presse, criant : Faites moy place, s’il vous plaist, Messieurs. A ces paroles, monsieur le duc d’Usez, son chevalier d’honneur, la joignit, la fit passer avec bien de la peine dans la chambre, fut droit au lit du Roy qu’elle embrassa en retenant ses larmes le mieux qu’elle pouvoit pour ne le pas affliger. Pendant cela, monsieur de Meaux et le père Dinet preparerent tout ce qu’il falloit pour luy faire recevoir le saint sacrement de l’extrem onction, que Sa Majesé reçut avec une devotion toute particuliere, repondant mesme à toutes les prieres que l’on a coutume de dire, se decouvrant elle même les endroits où il falloit mettre les saintes huiles, faisant des elevations de cœur en levant les yeux au ciel, disant : Seigneur, que votre volonté soit faite, en presence de monsieur de Vantadour, chanoine de Notre Dame de Paris, personne d’une tres grande pieté qui venoit voir le Roy tres souvent, exhortant Sa Majesté d’avoir confiance en la misericorde de Notre Seigneur J. C. Il se retira les larmes aux yeux. Le reste du jour se passa dans une tres grande tristesse. Sur le soir, le Roy eut un vomissement fort violent jusqu’à dix heures, [f. 198] qu’il s’assoupit pour un peu de temps.
Le lundy 11e may, Sa Majesté se trouva fort affoiblye, la fievre luy avoit augmentée tres fort ces deux jours de plus en plus. On luy donnoit un peu de gellée fondue dans un verre courbé par le bout qu’on luy mettoit dans la bouche sans luy lever la teste pour luy humecter la poitrine. Tout son corps estoit si affoibli et si douloureux et decharné qu’on ne pouvoit le toucher sans luy faire beaucoup de mal. Sur le midy, le Roy demanda au sieur Bontemps sir la Reyne etoit chez elle. Le sieur Bontemps luy ayant repondu qu’elle estoit à la messe, il luy dit d’aller luy dire qu’apres la messe elle luy amenat messieurs ses enfans, qu’il vouloit leur donner sa derniere benediction. On ne peut pas douter l’affliction où estoit cette princesse. Elle amenat aussytost monsieur le Dauphin avec monsieur le duc d’Anjou. Ses enfans etoient tous consternez de voie le Roy leur père en cet etat, ne pouvant exprimer leur douleur que par leur larmes. C’est en cet endroit que l’on doit admirer la constance et la fermeté du Roy, en leur donnant sa benediction leur disant : Mes chers enfans, je prie le Seigneur qu’il vous benisse et qu’il vout ait en sa sainte garde, qu’il vous fasse la grace de vivre en bons princes chretiens, qu’ils eussent toujours beaucoup de respect et d’amité pour la Reyne leur mere. Ces paroles toucherent si fort ses deux enfans qu’il se mirent à pleurer et à gemir, de manière que le Roy fut obligé de faire signe de sa main de les oster de sa veue. La douleur qu’il avoit de les voir si touchées l’empescherent de pouvoir leur parler davantage. Sur le soir, S. M. demanda au père Dinet où etoit M. Bouvard, son premier medecin, qu’il ne voyoit point. Luy ayant repondu : Sire, il n’ose parroitre devant Votre Majesté de peur de luy deplaire. Ensuite, le Roy le fit venir et luy dit : M. Bouvard, je vous pardonne de bon cœur, je suis tres faché de vous avoir peu donner quelque chagrin pendant ma maladie, en luy donnant sa main à baiser. Ensuite, on fit [f. 198v] prendre un petit bouillon au Roy, qui etoit tres foible. Il s’endormit la bouche tres ouverte et les yeux un peu de travers. Alors arriva monsieur le Dauphin et monsieur le duc d’Anjou, accompagnez de leurs gouvernantes et de messieurs de Vendosme et de Vivonne, lequel demanda à M. le Dauphin sy il avoit bien remarqué la posture qu’avoit le Roy qui dormoit pour s’en ressouvenir quelque jour. Monsieur le Dauphin luy répondit en soupirant, les larmes aux yeux, qu’il l’avoit bien remarqué et que son bon papa avoit la bouche un peu de travers et l’œil gauche plus tourné que le droit. M. de Vivonne fut fort surpris de cette remarque, aussy bien que M. de Vendosme et madam de Lansac, sa gouvernante, qui luy dit : Monsieur, n’en parlez plus, car cela l’affligeroit trop. On le remena dans son appartement avec peine, ne voulant point sortir de la chambre du Roy. Dans ce temps, Sa Majesté ayant apperceu monsieur le Prince, à qui il dit : Mon cousin, pendant mon sommeil, j’ay revé que monsieur le duc d’Anguien, votre fils, etoit venu aux mains avec les ennemis, que le combat avoit eté tres rude et tres opiniatre, que la victoire avoit eté longtemps balancée et que cependant elle nous estoit demeurée avec le champ de bataille. Monsieur le Prince luy repondit que cela pouvoit bien arriver. En effet, elle arriva le 19e may ensuivant, que la bataille de Rocroy se donna et fut gagnée sur les Esoagnols et sur les Flamans par monsieur le duc d’Enguien.
Le mardy 12e may, le Roy se trouva tres mal. A son reveil, les medecins luy taterent le poulx. L’ayant trouvé tres foible, apprehendant que ce ne fut le froid de la mort. La Reyne voulut passer la nuit aupres du Roy son cher mary mais monsieur de Souvray, la voyant saisie de douleur, la pria de ne point veiller, et luy dit qu’il luy feroit souvent scavoir des nouvelles de Sa Majesté. Ainsy elle se [f. 199] laissa gagner par ses raisons. Il la conduisit à son appartement éclairée par Antoine et Tiffaine, garçons de la chambre, mais sur les deux heures apres minuit la Reyne, estant tres inquiete de scavoir l’estat où le Roy estoit, elle envoya à monsieur Bontemps, premier valet de chambre de Sa Majesté de quartier, mademoiselle Fillandre, sa premiere femme de chambre, pour en estre informée. S’etant tous deux approchés du lit du Roy, l’ayant entendu remuser, en tirant son rideau, accompagné de mademoiselle Fillandre, luy dit : Sire, la Reyne envoye scavoir des nouvelles de Votre Majesté avant que de s’endormir pour en etre informée. Le Roy se retourna et luy dit : Vous direz à la Reyne : comme un homme qui mourra bientost, puisque c’est la volonté de Dieu. La damoiselle Fillandre alla rendre réponce à la Reyne, mais elle ne la rendit pas telle qu’elle étoit, crainte de luy redoubler ses douleurs. Toute cette journée se passa avec de grandes appréhensions de la mort prochaine du Roy.
Le mercredy 13e may, le Roy fut le marin comme desesperé des medecins, qui ne scavoient plus de remedes à luy faire pour le soulager dans ses grandes douleurs qui augmentoient dans toutes les parties de son corps, car il ne pouvoit plus rien prendre qu’avec peine. On luy presenta un bouillon, qu’il prit un peu par complaisance, à la priere de la Reyne et de ses officiers, qui estoient tres consternez de voir le Roy leur maitre qui alloit finir dans peu sa vie et son regne. Sur les dix heurs du matin, on luy fit prendre une portion cordiale que la Reyne elle-même luy donna, ce qu’il voulut bien prendre à sa consideration, afin que cette portion luy peu fortifier l’estomach, mais le Roy se trouva dans une si grande deffaillance de toutes les parties de son corps, dont les meaux s’augmentoient si fort qu’on ne croyoit pas que Sa Majesté deus passer la journée. Apres estre un peu revenue de cette deffaillance, [f. 199v] ou pour mieux dire de cette evanouissement, on lui presenta un bouillon qu’elle refusa absolument, disant : Mes amis, laissez moy mourir en repos. Dans ce temps arriva monsieur le Dauphin avec monsieur son frere, furent dans la gallerie du Roy avec leurs gouvernantes. Le sieur Dupont, huissier de la chambre, qui portoit monseigneur le Dauphin, luy dit par forme de conversation : Monseigneur, si Dieu disposoit du Roy vostre bon papa, voudriez vous bien estre Roy à sa place. Ce petit prince repondit, les larmes aux yeux : Non, je ne veux pas que mon bon papa meure, car, s’il mourroit, je me jetterois dans le fossé du château. Cette reponse surprit bien toute la compagnie, ne pouvant exprimer sa douleur que par cette action. Cela fit dire à madame de Lansac, sa gouvernante : Monsieur, il ne faut plus luy en parler, il me l’a aussy dit deux fois, et si par malheur il s’etoit trouvé seul, il auroit donné de la peine. Elle ordonna qu’on ne le quitta plus et qu’on le tint toujours par les cordons de sa robe. Peu de temps apres, le Roy sommeilla jusques sur les six heures du soir, qu’il demanda à la Reyne, qui estoit dans son appartement, pour qu’elle luy amena messieurs ses enfans, leur voulant encore donner sa derniere benediction. Estans arrivés au chevet du lit du Roy, s’estans jettés à genoux, le Roy leur donna sa benediction avec ses sentimens d’une ame aussy veritablement chretienne que la sienne, et leur fit une exhortation pleine de tendresse en presence des princes et princesses du sang et de toute la cour. Sur le soir, Sa Majesté voulant estre seule avec les eveques de Meaux, de Lizieux, les peres Dinet, de Vantadour et Vincent, qui voyoient que le Roy diminuoit toujours, l’exhortant à combatre pour l’eternité. En autre, le père Dinet luy fit un discours fort consolent à peu pres en ces termes : Sire, les souffrances et les maladies doivent estre regardées par les chretiens comme autant de faveurs de la [f. 200] misericorde de Dieu, par lesquelles il purifie les eleus dans le temps pour les rendre dignes de l’eternité. Votre Majesté ayant souffert avec autant de patience les douleurs d’une aussy longue maladie, n’a t elle pas lieu de tout esperer de cette misericorde qui ne l’a frappé icy bas que pour la detacher du monde, luy decouvrir le neant du monde, et la preparer à quitter genereusement la vie et une couronne perissable pour en acquerir une immortelle. Ce sont là, Sire, les desseins de Dieu sur Votre Majesté, qui a voulu luy epargner par de longues souffrances les peines qu’il faudroit endurer dans le purgatoire pour se purifier de ses fautes avant que de pouvoir entrer dans le ciel. Voilà, Sire, quelle doit estre l’esperance et la consolation que doit avoir Votre Majesté. Laquelle luy répondit d’un ton ferme : Mon père, je m’estimerois bien heureux si le Seigneur ne me laissoit qu’un siecle d’années en purgatoires. Je croirois qu’il me feroit une grande grace. Ce discours fut interrompu par la Reyne, qui arriva dans ce moment. Elle ne bougeoit jour et nuit du chevet du lit du Roy, et n’en sortoit que lorsqu’il falloit vuider le bassin qu’il avoit toujours sous luy, et mesme elle vouloit y demeurer quoyqu’il en sortit des exhalaisons assez mauvaises, ce qu’elle souffroit avec une patience incroyable, le Roy etant souvent obligé de la faire sortir en luy disant : Madame, je vous prie de passer dans mon cabinet tandis que l’on me changera car il sent mauvais pres de mon lit, ce qui obligea Dubois, valet de chambre, de prendre la liberté de luy presenter une petite bouteille d’essence de jassemin qu’elle accepta en le remerciant. Sur le minuit, le Roy se trouva tres mal, demandant souvent l’heure qu’il etoit et s’il seroit bientost jour. La Reyne etoit demeurée dans un fauteuil dans le cabinet du Roy, n’ayant pas voulu s’en aller chez elle, ce qui obligea monsieur de Beaufort et monseur de Souvray, qui se reposoient sur un canapée, voyant cette princesse si fatiguée et outrée [f. v] de douleur, d’aller se reposer dans son appartement, ce qu’elle fit en les priant de luy faire scavoir des nouvelles du Roy tres souvent.
Sur les six heures du matin due jour du mois de may, feste de l’Assencion de Notre Seigneur, le Roy appella le sieur Courrat, l’un de ses medecins ordinaire, luy dit : Monsieur, tirez moy le bras que j’ai hors du lit sans luy dire pourquoy, ce que fit le sieur Courret pour le contenter, et luy remit dans le lit. Ensuite le Roy se tourna vers les medecins et leur dit : Messieurs, croyez vous que je puisse aller jusqu’à demain, je serois bien aise d’y aller sy c’etoit la volonté de Dieu, le vendredy m’a esté bien souvent heureux, ayant remarqué que j’y ai gagné plusieurs victoires. Les medecins luy ayant dit qu’ils n’en n’estoient pas assurées, ils le considererent de tous costez et, l’ayant trouvé en tres mauvais etat, ils dirent que, si son redoublement le prenoit bien violemment, il y auroit à craindre qu’il n’y peut resister, n’ayant pas assez de force pour pouvoir le supporter.
Dans ce temps, Sa Majesté ordonna qu’on ouvrit les rideaux de son lit et les fenetres de sa chambre. On s’apperceut aussytost que sa veue etoit egarée, ce qui fit croire que la nature deffailloit. Le Roy demenda la messe, où il ne se trouva que peu de monde, parce que l’on la dit plus matin que coutume. Ce fut là qu’on remarqua sa grande resignation à la volonté du Seigneur. Apres la messe, Elle fit faire la lecture par le sieur Lucas dans la vie de Jesus Christ traduite en françois par le père Bernardin de Gevres de Montreuil. Pendant cette lecture, le Roy s’asoupit. S’estant trouvé tres fatigué et foible quand il fut revenu de ce sommeil, il y arriva une toux tres considerable. On luy donna du petit lait couppé pour [f. 201] luy pouvoir adoucir, remede tres inutil à ce mal qu’il prit avec bien de la peine, meme à la priere de la Reyne et de ses officiers, ayant pensé meme en estre suffloqué, car etant aussy dans une posture contrainte à cause qu’on luy avoit levé la teste pour le prendre. Ayant perdu l’haleine, comme s’il avoit eté evanoui, et auroit rendu l’esprit si on ne l’avoit pas remis au plustost. M. Boubard luy ayant taté le poux, luy dit, la larme à l’œil : Je crois, Sire, que ce sera bientost que Dieu delivrera Votre Majesté des peines de ce monde car on ne vous trouve plus guere de poulx. A ces paroles, le Roy dit sans s’emouvoir : Mon Dieu, faite moy misericorde, les yeux elevés vers le ciel, haussant la voix : Seigneur, que votre volonté soit faite, je suis prêt à souffrir pour l’amour de vous et pour la remission de mes pechez, et, se tournant ensuite vers messieurs de Meaux, de Lizieux, de Vantadour, le pere Dinet et d’autres ecclesiastiques qui estoient presens, leurs dit : Messieurs, je vous prie de ne me point abandonner dans cette occasion où il y va de mon salut eternel. La Reyne, qui etoit dans le cabinet, tres espleurée, estant venue, elle se jetta sur le lit du Roy en l’embrassant, les larmes aux yeux, si tendrement qu’on fut obligé de l’aracher de force, que monsieur de Souvray l’emmena dans son appartement, en faisant des cris qu’on entendoit de tous les cotez du château. Le Roy, luy ayant demandé pardon des chagrins qu’il avoit pu luy causer, continua ses adieux à ses enfans, aux princes et princesses du sang et ministres d’Etat, aux officiers de sa chambre, de sa garde robbe, de la bouche, du gobelet, et autres de sa Maison qui se trouverent presens, leur reiterant qu’il etoit faché de leur avoir pas fait autant de bien qu’ils en meritoient pour les bons services qu’ils luy avoient rendus, dont il etoit tres content, mais ce qui peut servir d’exemple aux roys, princes et grands seigneurs de ne pas attendre à la mort à [f. 201v] recompenser leurs officiers et domestiques, de n’en pas laisser à d’autres la commission qui fort souvent ne se mettent guere en peine d’efectuer leurs volontés. Ensuite, le Roy tira hors du lit sa main qu’il leur donna à baiser les uns apres les autres, la mouillant de leurs larmes. Sa Majesté fut si sensible à leurs peines qu’il retira sa main pour ne les plus voir. En fut advertir la Reyne, qui estoit dans son appartement, accablée de douleur. Elle amena messieurs ses enfans, que le Roy demanda à voir encore une fois. Sa Majesté leur recommanda plusieurs choses sur leur religion et à la Reyne d’avoir bien soin de l’education de ses enfans, meme aux princes d’avoir bien du repect et d’amitié pour la Reyne et pour ses enfans. Le Roy ordonna de les remener dans leur appar

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